Magistratura democratica
ordinamento giudiziario

"Autoriformare" il CSM?

di Marco Patarnello
giudice del Tribunale di Roma
Non c'è stata consiliatura, da decenni a questa parte, che non si sia confrontata con il tema della riforma del Consiglio. Alcune considerazioni sulle questioni sul tappeto

Si può dire che non ci sia stata consiliatura, da decenni a questa parte, che non si sia confrontata con il tema della "riforma del CSM". Dopo oltre mezzo secolo di funzionamento è fisiologico fare un bilancio e riflettere su cosa cambiare e perché. Molti sarebbero i fronti di una utile "messa a punto", a cominciare dalla legge elettorale, che non ha mai trovato un suo appagante punto di arrivo e che oggi appare pensata efficacemente per disancorare la magistratura da ogni confronto ed elaborazione politica, indebolendola e rendendola sempre più esposta alle pressioni dei partiti e dell'Esecutivo, a fronte di una componente laica sempre più consapevole della propria estrazione. Tuttavia sinora non sembra che lo spirito riformatore che immancabilmente si è affacciato ad ogni mutamento di maggioranza politica sia stato sinceramente orientato a centrare un rafforzamento di quelle che la Costituzione stessa identifica come le funzioni e gli obiettivi del CSM: la tutela dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura.

La versione quotidiana della nostra rivista non è la sede e l'occasione per trattare il tema in modo scientifico e tuttavia qualche considerazione sulle questioni sul tappeto appare utile.

Nella speranza di trarre beneficio nel giocare al riformatore buono (il Consiglio che si autoriforma) e al riformatore cattivo (il legislatore, su input dell'esecutivo), il CSM promette una profonda modifica del proprio assetto. Nel passato più o meno recente abbiamo già assistito a numerosi e non di rado fortunati interventi autoriformatori, attuati sul Regolamento Interno del Consiglio. Dalla radicale riforma del Regolamento in chiave "assembleare" effettuata nel quadriennio '94/'98, all’imbarazzante correzione dei refusi e della punteggiatura pomposamente varata nel corso della consiliatura precedente all'attuale, passando attraverso molti interventi settoriali anche importanti e incisivi. Aspettiamo questa consiliatura alla prova dei fatti, pur se taluni segnali non tranquillizzano. Attendendo di conoscere gli orientamenti ed i temi precisi oggetto di intervento, così da poter esprimere un contributo di elaborazione consapevole nel dibattito, ci sembra di fare cosa utile ricordando alcune problematiche di significato politico emerse nel corso di questi anni, che meritano attenzione. Perché se è vero che forse migliorare è possibile, è ancor più vero che peggiorare e arretrare è infinitamente più facile.

Tra i miglioramenti possibili vi è senza dubbio la legge elettorale. Oggetto necessariamente di un intervento legislativo, la riforma elettorale del Consiglio costituisce uno snodo decisivo nel definirne il ruolo e la caratura nell'architettura istituzionale. Su questo terreno le scelte dovrà farle il Parlamento, ma una risoluzione del Consiglio che orienti il dibattito ed indichi gli obiettivi può essere molto utile. O molto dannosa, se non dovesse andare nella giusta direzione. Ciò che ci sentiamo di dire è che occorre rafforzare l'autonomia del consiglio dal collateralismo politico. Dall'intrusione della politica intesa come esponente degli interessi di chi ha le leve di comando del Paese. L'attuale legge elettorale ha minato alla radice la matrice politica e ideale della componente togata del CSM, mettendo avanti un individualismo personale che svilisce la riflessione e il confronto sulle idee, sola cifra di una vera e consapevole autonomia e indipendenza della magistratura, esaltando il peso delle singole personalità e dei territori. Occorre tornare ai meccanismi fondamentali di una comunità democratica, in cui le elezioni sono per liste concorrenti - sembrerebbe un presupposto elementare, quasi implicito, per una competizione elettorale - che competono con un sistema auspicabilmente proporzionale, considerata la natura dell’organo.

Un altro terreno importante è quello di un riequilibrio dei poteri e delle competenze del Comitato di presidenza rispetto all'Assemblea. Il Comitato di presidenza, composto com'è noto, dal Vice Presidente che lo presiede e dai due componenti togati di diritto, è un organo che non è previsto dalla Costituzione e che è stato introdotto e disciplinato in modo a dir poco essenziale dalla legge istitutiva del CSM e dal DPR n. 916/58, per essere meglio definito, ma sempre in termini essenziali, dal Regolamento Interno. Organo privo di rappresentatività, il ruolo del Comitato ha risentito molto della personalità e del peso del Vice Presidente che di volta in volta lo presiedeva e poiché in questa materia la prassi ha un peso rilevante col tempo è divenuto impropriamente un organo di "governo" del Consiglio, con potestà valutativa anche della opportunità o meno di apertura delle pratiche, oltre che con una capacità di indirizzo sempre maggiore anche in ordine alla struttura amministrativa, alla gestione del contenzioso, alla utilizzazione dell'Ufficio studi; l'autorevolezza di questo organo è andata crescendo sopratutto nella consiliatura a presidenza Vietti, assumendo un peso politico che gli consente oramai di gestire il delicato capitolo della composizione delle commissioni con scelte di larga autonomia dai desiderata della componente elettiva, tanto togata quanto laica. Non v'è dubbio che in questo campo pesa chi conta e chi ha filo da tessere. Colpisce che l'assemblea e le diverse componenti che la compongono fatichino a ricondurre se stesse, principali depositarie delle competenze costituzionali, al centro dell'attività consiliare. In questo senso un intervento sul regolamento può essere l'occasione per precisare come sarebbe improprio assegnare - di fatto o di diritto - al Comitato un ruolo di indirizzo politico, sopratutto in ordine al delicato tema dell'apertura e assegnazione delle pratiche, che la Costituzione ha certamente immaginato in seno all'organo in quanto tale, secondo il principio di rappresentanza che lo caratterizza.

Di preminente rilievo è poi la tematica della struttura amministrativa del consiglio, costituita dai magistrati addetti alla Segreteria e all'Ufficio studi e documentazione.

Fin dalla sua costituzione il Consiglio superiore della magistratura si è avvalso, per l’esercizio delle sue attribuzioni costituzionali, della collaborazione di magistrati collocati, per periodi determinati, fuori dal ruolo organico.

L’art. 7 della legge n. 195/58, istitutiva del Consiglio superiore della magistratura - come modificato dalla legge 9 dicembre 1977 n. 908 - stabiliva che La segreteria del Consiglio superiore della magistratura è costituita, nellambito degli organici complessivi dei rispettivi ruoli del personale, da un magistrato di Cassazione nominato alle funzioni direttive superiori o da un magistrato di Cassazione, che la dirige, e da undici magistrati di Cassazione, di appello o di tribunale.

Nel testo normativo non era contenuta alcuna disposizione relativa all’Ufficio studi e documentazione, che è stato previsto dal Consiglio solo a livello regolamentare; per consentire il reclutamento dei magistrati ad esso destinati si fece, quindi, applicazione dell’art. 210 dell’Ordinamento Giudiziario, che prevede la possibilità di collocare fuori ruolo fino a sei magistrati per incarichi speciali. Si è così pervenuti alla destinazione di sei magistrati per lo svolgimento di compiti di studio e documentazione funzionali all’attività del Consiglio[1].

I compiti affidati ai magistrati segretari sono individuati dall’art. 35 del D.P.R. n. 916 del 16 settembre 1958[2], che delinea essenzialmente una funzione di assistenza e verbalizzazione delle attività delle articolazioni consiliari. 

Il Regolamento Interno del Consiglio superiore disciplina la materia in maniera più dettagliata[3], fornendo una rappresentazione composita delle responsabilità attribuite ai magistrati segretari. Essi sono in primo luogo affidatari di compiti di rilievo organizzativo, collaborando per il buon andamento della struttura amministrativa nel suo complesso - con il Segretario generale - e della Commissione cui sono assegnati - con il Presidente di essa –; svolgono attività di verbalizzazione, resocontazione, certificazione e massimazione. D’altra parte essi rivestono, inoltre, un ruolo di estrema rilevanza con riferimento alle attività di merito che costituiscono il contenuto funzionale di esercizio dei poteri amministrativi che la Costituzione assegna al CSM.

Il Regolamento Interno, a tale proposito soggiunge che è compito dei magistrati segretari di curare la preparazione delle singole pratiche, ricercando i materiali consiliari, dottrinali e giurisprudenziali funzionali alla trattazione di esse, curano inoltre che sia compiuta la necessaria istruttoria; a richiesta dei relatori i magistrati segretari predispongono elementi per la stesura delle motivazioni e delle relazioni che accompagnano le proposte da sottoporre al Consiglio.

E’ notorio che le indicazioni contenute nell’art. 10 appena richiamato offrono una descrizione del ruolo dei magistrati segretari - all’interno delle commissioni consiliari cui sono assegnati, con riferimento alla istruzione, trattazione e definizione del merito delle proposte elaborate nell’articolazione consiliare - imprecisa per difetto, fortemente riduttiva rispetto alla effettività della prassi amministrativa. Il gran numero di affari amministrativi di cui il Consiglio è gravato[4], la obbiettiva insufficienza del numero dei componenti[5], peraltro assorbiti primariamente dalla responsabilità dell’elaborazione delle linee generali della politica giudiziaria perseguita dall’organo di governo autonomo, fanno sì che ai magistrati segretari sia affidata gran parte della ordinaria amministrazione consiliare, oltre che un fondamentale ruolo di ausilio istruttorio e tecnico nelle scelte strategiche. Sotto il profilo interno, essi hanno un ruolo di cerniera tra il livello burocratico rappresentato dalla struttura amministrativa che garantisce l’operatività quotidiana e quello decisionale politico-rappresentativo costituito dai componenti, laici e togati. Sotto il profilo esterno l’estrazione giudiziaria dei magistrati segretari costituisce, inoltre, ragione di un positivo raccordo istituzionale e operativo tra il plesso di governo autonomo centrale e le articolazioni periferiche, nonché gli uffici giudiziari, cui spetta, da un lato, l’attuazione delle linee di indirizzo consiliare, e, dall’altro la raccolta e l’offerta di informazioni indispensabili per la definizione delle pratiche riguardanti i magistrati.

E’ quindi fondamentale il ruolo dei magistrati segretari quale snodo di elaborazione e di attuazione della pratica consiliare. E’ conseguentemente evidente la rilevanza immediata e diretta, sotto il profilo soggettivo ed oggettivo, della loro formazione di magistrati, della loro estrazione culturale e istituzionale. La loro appartenenza alla magistratura garantisce l'esperienza e la conoscenza diretta del sostrato materiale delle competenze amministrative esercitate, nonché il pertinente accesso alle informazioni anche in sede periferica e sopratutto garantisce la sensibilità rispetto ai principi di autonomia ed indipendenza della giurisdizione che costituiscono il proprium delle attribuzioni di governo autonomo di cui il CSM è depositario.

Analoghe riflessioni riguardano l’Ufficio Studi, che costituisce l’ulteriore presidio di partecipazione diretta dei magistrati – diversi dai componenti eletti – alla concreta attuazione del governo autonomo.

Il regolamento interno del Consiglio [6] attribuisce all’ufficio studi un ruolo più lontano dalla amministrazione attiva[7], maggiormente incentrato sulla riflessione e la elaborazione teorica delle linee culturali in relazione ai temi connessi al governo autonomo. Tra le principali attribuzioni, oltre alla gestione del contenzioso, sono i pareri in materia di iniziativa legislativa, nonché quelli concernenti le tematiche ordinamentali. In tali settori l’ufficio studi ha negli anni consolidato un patrimonio di linee interpretative in relazione agli snodi istituzionali e culturali in cui si colloca e si articola l’amministrazione della funzione giurisdizionale, attraverso la stratificazione di linee omogenee di evoluzione fortemente connotate dalle istanze di autonomia ed indipendenza della funzione giurisdizionale e dalla conseguente centralità del governo autonomo.

Il contributo offerto dall’ufficio studi è tradizionalmente connotato da autonomia rispetto al Consiglio, per evitare il più possibile che la elaborazione delle linee istituzionali fondamentali possa essere condizionata dalla attualità e dalla contingenza amministrativa di cui l’organo si debba occupare. Così lo stesso Regolamento, nel disciplinare l’incarico di Direttore da attribuirsi ad un componente del Consiglio, gli attribuisce un orizzonte temporale limitato e gli conferisce responsabilità esclusivamente organizzative (art. 12 R.I.).

Nella prassi consiliare la indipendenza dell’ufficio rispetto al merito delle opinioni espresse è un valore radicato e condiviso, in quanto utile a promuovere una dialettica interna, - nel quadro di una separazione rispettosa dei rispettivi ruoli – che, fondata sull’approfondimento offerto dall’articolazione tecnica, consenta all’assemblea plenaria, organo deputato all’esercizio dei poteri del CSM, di assumere determinazioni amministrative consapevoli. All’autonomia dell’Ufficio Studi, naturalmente, corrisponde l’esclusività della titolarità in capo al Consiglio delle competenze decisorie finali, e la assoluta libertà del Consiglio nel valutare l’utilità e la condivisibilità delle opinioni offerte[8]; a tutela, anche formale, di tale libertà, vale la regola per cui i pareri e le relazioni dell’Ufficio Studi hanno diffusione solamente interna, costituiscono atti riservati della procedura e non sono disponibili alla conoscenza da parte degli esterni, anche se interessati alla pratica in cui essi si inseriscono[9].

La regola per cui l’Ufficio Studi è composto soltanto da magistrati corrisponde alla esigenza di assicurare, oltre che l’aderenza culturale al patrimonio di elaborazione di merito improntata alla tutela dei valori di autonomia ed indipendenza della funzione giurisdizionale, che la funzione consultiva interna sia esercitata in condizioni di effettiva libertà intellettuale ed imparzialità individuale. Lo status professionale del magistrato, sia pure destinato a funzioni amministrative, garantisce comunque l’assenza di vincoli gerarchici ed è volto a preservare da logiche di condizionamento indiretto attraverso l’altrui possibilità di influire sull’evoluzione della propria carriera, considerato il diritto assoluto alla conservazione del posto nell’ufficio giudiziario, cui è possibile in ogni momento fare ritorno. Analoga garanzia non potrebbe essere offerta da funzionari amministrativi, strutturalmente inseriti nell’organizzazione amministrativa gerarchica, o da accademici o giuristi liberi professionisti, per i quali l’incarico consiliare costituirebbe una non scontata prospettiva professionale e la stabilità dello stesso potrebbe essere strumento di condizionamento operativo.

Non a caso, nel tempo, la sostituzione dei magistrati addetti alla Segreteria Generale ed all’Ufficio Studi con funzionari, accademici o professionisti esterni, è stata più volte proposta soprattutto dalla politica e dalla componente laica come il mezzo per allentare i legami di omogeneità culturale e solidarietà valoriale interna che hanno permesso al circuito del governo autonomo - sia pure in quadro di talune innegabili incoerenze, cadute politiche o etiche - di mantenersi in linea di massima impermeabile rispetto alle sollecitazioni più o meno esplicite ed invasive, provenienti dall’esterno, tese a condizionare l’esercizio delle funzioni del CSM.

Solo incidentalmente è il caso di richiamare, a titolo di esempio, la vicenda connessa alla legge n. 74 del 12 aprile 1990, la quale novellò la legge n. 195 del 1958 modificando l’art. 7 ed introducendo l’art. 7bis, dettando una nuova disciplina rispettivamente per la Segreteria e per l’Ufficio studi del Consiglio, prevedendo che tali uffici fossero composti da funzionari non magistrati[10]. Appare significativo ricordare che tale legge fu chiamata "Smuraglia" dal nome dell'ex componente laico del CSM, illustre avvocato giuslavorista di estrazione comunista e che fece dell'eliminazione dei magistrati dalla struttura del Consiglio una convinta battaglia. In realtà l'iniziale attuazione di tale disciplina, a seguito della presa d’atto della sua difficile praticabilità oltre che del discutibile effetto istituzionale, fu, dopo qualche anno, sospesa e differita, ed infine abbandonata, attraverso la più generale innovazione della struttura consiliare realizzata con il  D.Lgs n. 37 del 2000, attuativo della legge delega n. 266 del 1999. Con la legge n. 111 del 30 luglio 2007 all’art. 5, commi 5 e 6, si è intervenuti ancor più profondamente creando il ruolo autonomo del Consiglio, completandone, così, la piena autonomia propria di un organo di rilevanza costituzionale, aumentandone ulteriormente la dotazione organica, delegando, stavolta, alla integrale autonomia dell’Organo la facoltà di determinare liberamente secondo le proprie insindacabili esigenze organizzative con intervento regolamentare la propria pianta organica in tutti gli aspetti.

Tale nuovo assetto ha visto il Consiglio ridisegnare nei dettagli la propria struttura amministrativa ed i propri dipendenti, attraverso l’adozione di un Regolamento Interno trasfuso in Decreto del Presidente della Repubblica, di un Regolamento di amministrazione e contabilità e sopratutto di un Regolamento di disciplina del personale, i quali sono del tutto incompatibili con quanto previsto sul punto dalla legge 74/90. In tale innovativa disciplina non hanno più trovato posto le disposizioni di cui agli artt. 7 e 7bis citati relativi alla struttura mentre, come si è detto, è rimasta la scelta di assolvere alle funzioni della segreteria e dell’ufficio studi con magistrati collocati fuori dal ruolo organico.

C'è da confidare che "l'autoriforma" di cui si anticipa l'imminenza non consista, dunque, nel fare da soli ciò che la politica ha cercato di imporre con riforme capaci di minare l'autonomia e l'indipendenza, eliminando i magistrati dalla struttura consiliare o anche semplicemente affiancandogli funzionari o ricercatori universitari o professori in cerca di sbocchi o di accademia. Piuttosto c'è da sperare che una riforma sul punto si confronti, invece, con la delicata e difficile tematica dei criteri di selezione di tali magistrati da collocare fuori ruolo, criteri mutati più volte nel corso dei decenni senza che si sia mai riusciti a pervenire ad una soluzione davvero appagante.

Quello dei criteri di selezione resta il vero punto nodale di questa tematica. Si tratta di questione che meriterebbe un approfondimento tecnico non compatibile con una trattazione ON LINE del tema. Tuttavia alcune ipocrisie vanno sciolte. Pensare di rendere la scelta di tali magistrati un concorso per titoli ed esami appare astratto. Neppure per gli incarichi direttivi, che pure sono certamente assai più "asettici" di quelli di cui si discute, è stato sinora possibile calcolare l'algoritmo del dirigente migliore. Una qualche forma di esame, mai sperimentata per la scelta dei dirigenti, può essere introdotta per procedure del genere di quelle di cui parliamo. Tuttavia non deve essere trascurata la inclinazione ordinamentale e la sensibilità sul versante istituzionale che implicano incarichi del genere ed un coefficiente fiduciario ineliminabile in lavori a così stretto contatto con componenti dalla significativa curvatura politico-istituzionale. Se l'autoriforma di cui sembra avviarsi a dibattere questo Consiglio riuscirà a sciogliere questo nodo, piuttosto che determinare un arretramento sul versante delle prerogative costituzionali dell'Organo, vorrà dire che avrà centrato un obiettivo non facile.



[1] L’art  210 o.g. intitolato “Collocamento fuori ruolo di magistrati per incarichi specialiprevede :

Salvo quanto è disposto nell'art. 17, sono collocati fuori del ruolo organico della magistratura i magistrati ai quali dal Ministro di grazia e giustizia, o col suo consenso, sono conferiti incarichi non previsti da leggi o da regolamenti, se per tali incarichi debbano sospendere il servizio giudiziario per un periodo maggiore di due mesi.

I magistrati collocati fuori del ruolo organico a norma della presente disposizione non possono, in ogni caso, superare il numero di sei .

Essi conservano il trattamento economico del proprio grado e, possono, per esigenze di servizio, essere temporaneamente destinati ad esercitare le funzioni del loro grado od equiparato, in soprannumero, negli uffici giudiziari della sede nella quale risiedono per l'espletamento dell'incarico stesso.

Al cessare dell'incarico, il magistrato è richiamato nel ruolo organico ed è destinato ad una delle sedi disponibili.

[2] Disposizioni di attuazione e coordinamento della legge 24 marzo 1958 n. 195, concernente la costituzione ed il coordinamento del consiglio superiore della magistratura e disposizioni transitorie. L’art 35 citato prevede che:” I magistrati della segreteria a) assistono, se richiesti, alle adunanze del Consiglio superiore e della sezione disciplinare e redigono il verbale; b) assistono, se richiesti, alle riunioni del Comitato di presidenza e delle commissioni di cui agli artt. 3 e 11, ultimo comma, della legge; c) esercitano ogni altra attribuzione stabilita dalla legge e dal Comitato di presidenza, ricevendo le disposizioni dal presidente di detto comitato.

[3] a) collabora con il Segretario Generale per assicurare il buon andamento delle Segreterie delle Commissioni e degli altri settori della struttura consiliare a lui assegnati, sovrintendendo alle relative attività ed all'organizzazione e curando l'attuazione delle direttive emanate dal Comitato di Presidenza e dal Segretario Generale;

b) collabora con il Presidente della Commissione alla quale è assegnato, lo assiste nell'attività organizzativa e nello svolgimento dei lavori e cura l'attuazione delle sue direttive;

c) secondo le direttive impartite dal Presidente della Commissione o dai relatori, cura la preparazione delle singole pratiche, ricercando i materiali consiliari, dottrinali e giurisprudenziali funzionali alla trattazione di esse; cura altresì che sia compiuta la necessaria istruttoria;

d) assiste alle sedute della Commissione; a richiesta dei relatori, predispone gli elementi per la stesura delle motivazioni e delle relazioni che accompagnano le proposte da sottoporre al Consiglio; provvede, su disposizione del Presidente della Commissione, alla redazione del verbale, quando non sia possibile farvi luogo a norma dell'art. 10 bis, lett. b;

e) assiste alle sedute del Consiglio e della Sezione Disciplinare, redige il verbale e sovrintende alla stesura del resoconto da parte dei resocontisti;

f) svolge, se richiesto dal Vicepresidente, dal Comitato di Presidenza o dai Presidenti delle Commissioni, attività di

massimazione di precedenti e attività di ricerca di materiale d'interesse consiliare, anche in collaborazione con l'Ufficio Studi, quando non sia richiesta a quest'ultimo la predisposizione di relazioni o pareri; se addetto alla Sezione Disciplinare, provvede alla massimazione delle decisioni;

g) esercita ogni altra attribuzione stabilita dalla legge e dal Comitato di Presidenza.

[4] Con riferimento soltanto alle cd. Commissioni di gestione, dai dati contenuti nella Relazione per l’Inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2015 risulta che: - in quarta Commissione, competente in relazione allo status ed alla carriera dei magistrati tra il primo gennaio ed il 30 novembre 2014 sono sopravvenute 3328 pratiche e ne sono state  definite 2908; in quinta commissione, che si occupa della nomina di direttivi e semidirettivi, nello stesso periodo sono stati conferiti 70 incarichi direttivi e 90 semidirettivi, sono state definite circa 264 pratiche di conferma, sono state trattate 127 pratiche di contenzioso, oltre a parecchie decine di pratiche varie;  in terza commissione, che si occupa della mobilità e dell’assegnazione delle sedi ai magistrati, sono pervenuti 1029 affari e ne sono stati definiti in plenum 916; in settima commissione, competente all’organizzazione ed al funzionamento degli uffici giudiziari le sopravvenienze sono state di  5182 affari, e le definizioni 5025.-

[5] Come è noto nel 2002 il numero dei componenti elettivi del CSM e stato ridotto da trenta a ventiquattro

[6] L’art. 11 prevede che : 1.L'Ufficio Studi e Documentazione svolge a propria attività nelle seguenti forme:

a) ricerca e raccolta sistematica di materiale di interesse consiliare;

b) stesura di relazioni a richiesta delle Commissioni o del "Plenum", nonché di relazioni e pareri a richiesta del Vicepresidente o del Comitato di Presidenza;

c) cura del contenzioso relativo agli atti del Consiglio;

d) assistenza ai Consiglieri per sommarie indicazioni bibliografiche e sommarie informazioni sullo stato di determinate questioni.

[7] L’unica commissione consiliari con cui ha rapporti di diretta e continuativa collaborazione è la Sesta, competente ad occuparsi dei temi generali di riforma ed amministrazione della giustizia e sostanzialmente priva di compiti di gestione

[8] Non è raro che il Consiglio, nell’esercizio ultimativo ed esclusivo dei suoi poteri, dissenta dalle opinioni dell’Ufficio Studi. E’ noto il recente episodio relativo alla questione dell’interpretazione dell’intervento legislativo in materie di ferie dei magistrati, in cui  il Consiglio ha radicalmente dissentito dall’opinione espressa nel parere dell’Ufficio Studi, inopinatamente reso pubblico mediante comunicazioni su mailing list

[9] Occorre comunque fare presente che il tema della riservatezza dei pareri dell’Ufficio Studi è stato periodicamente oggetto dell’attenzione riformatrice volta a privilegiare le istanze di trasparenza e accesso integrale dei terzi all’azione amministrativa sottese alla disciplina generale di cui alla legge 241//90. D’altra parte si è all’opposto osservato che il contributo dell’Ufficio Studi deve essere qualificato come elemento meramente accidentale del procedimento amministrativo, privo di efficacia vincolante, costituendo funzione di consulenza giuridica interna e non consultiva in senso tecnico, sottratto quindi alle regole dell’accesso agli atti amministrativi. Sotto il profilo istituzionale, il riconoscimento dell’autonoma rilevanza esterna del parere dell’Ufficio Studi modificherebbe in maniera radicale lo stesso ruolo e la funzione dell’Ufficio all’interno della complessiva organizzazione consiliare, trasformandolo da organo strumentale ed ausiliario interno – che non ha funzioni diverse da quelle di contribuire al perseguimento da parte del CSM dei propri fini istituzionali -  in entità portatrice di una autonoma esponenzialità funzionale, connessa a non meglio precisate istanze di legalità amministrativa, suscettibile di rappresentarsi in maniera distinta e, in ipotesi, perfino in contrapposizione dialettica con la volontà espressa dagli organi cui compete in via esclusiva l’esercizio dei poteri assegnati al CSM dalla Costituzione. Dal punto di vista della revisione critica, eventualmente in contenzioso, delle determinazioni consiliari, inoltre, la conoscibilità all’esterno dei pareri dell’Ufficio Studi di contenuto eventualmente non perfettamente conforme, pur se formalmente irrilevante per i motivi fino ad ora illustrati, potrebbe costituire elemento di suggestione in grado di fornire una  rappresentazione maggiormente faticosa o perplessa dell’azione consiliare.

[10] Sul tema si evidenzia la delibera 5 dicembre 2012 già citata in cui è esaminato in maniera tecnica ed analitica definitiva. Al di là delle considerazioni tecniche, si legge nell’atto che “La presenza dei magistrati segretari e dei magistrati addetti allUfficio studi e documentazione costituisce per il Consiglio superiore della magistratura quello che a buon diritto puòconsiderarsi un autentico architrave del sistema di governo autonomo della magistratura e di ciòèfornita quotidiana testimonianza dallo svolgersi concreto dei lavori consiliari, in occasione dei quali tali figure costituiscono un punto di riferimento essenziale ed insostituibile per competenza tecnica ed indipendenza professionale nelle peculiari e complesse materie dellordinamento giudiziario, contribuendo con il loro impegno ad assicurare la piena rispondenza dellattivitàconsiliare al dettato costituzionale che preserva lindipendenza e lautonomia della magistratura. Non èchi non veda come le prerogative e le guarentigie inerenti lo status di magistrati che caratterizzano queste figure professionali sono un presidio di indipendenza che, allo stato della legislazione e della concreta strutturazione della burocrazia statale italiana, non puòcerto essere assicurato con altrettanta pregnanza da alcuna altra figura professionalelattivitàconsiliare presenta molteplici profili di stretta connessione e prossimitàallattivitàgiudiziaria ed al concreto funzionamento degli uffici giudiziari cosìche nessun altra figura professionale potrebbe assicurare in eguale misura una competenza qualificata.

26/05/2015
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