Magistratura democratica
Giurisprudenza e documenti

L’incostituzionalità della Fini-Giovanardi. Non solo “accademia”

di Andrea Natale
Giudice del Tribunale di Torino
A margine della direttiva del Procuratore della Repubblica di Lanciano
L’incostituzionalità della Fini-Giovanardi. Non solo “accademia”

Come noto, con la sentenza n. 32/2014 (pubblicata sulla G.U., 1^ serie speciale del 5 marzo 2014), la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle modifiche apportate all’art. 73 D.P.R. n. 309/1990 dalla legge n. 49/2006. È anche certamente noto che la sentenza della Consulta ha determinato la «reviviscenza» delle disposizioni in vigore prima dell’entrata in vigore della c.d. legge Fini-Giovanardi. Ma è altrettanto noto che la questione si complica di molto, dovendo considerare le modifiche che – successive all’entrata in vigore della c.d. Fini-Giovanardi – non risultano affette dai vizi propri di quella novella censurata dalla Corte costituzionale. Tra esse – primariamente, ma non solo – la recente modifica dell’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309/1990, introdotta con d.l. n. 146/2013 (poi convertito con legge n. 10/2014).

La sentenza avrà verosimilmente un impatto estremamente rilevante sui destini giudiziari di molte persone, tuttora sottoposte a giudizio e, forse (ma la questione, tecnicamente si presenta molto delicata), anche sui destini - in sede di esecuzione penale - di molte persone già giudicate con sentenza irrevocabile.

Ragionare sugli effetti della sentenza della Consulta, dunque, non è operazione di pura speculazione accademica.

Pubblichiamo allora – per il rilievo del documento – l’amplissima nota predisposta da Francesco Menditto, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lanciano, in cui si affrontano molte delle questioni rilevanti e in cui si propongono le conseguenti linee guida operative (il documento – per esplicita indicazione – è una “prima versione”, frutto del confronto tra Procuratore della Repubblica ed i colleghi sostituti procuratori di quell'Ufficio ed è dichiaratamente aperta a rimeditazioni e adeguamenti ai futuri sviluppi giurisprudenziali e, eventualmente, legislativi).

Nel documento allegato si ragiona sull’impatto della sentenza della Corte sui processi pendenti; sulle conseguenti questioni di individuazione della disciplina concretamente applicabile nel processo; sui riflessi relativi alle vicende cautelari; sulle conseguenze processuali che si possono determinare sulle imputazioni già formulate; sulla questione della disciplina applicabile per i fatti di lieve entità aventi ad oggetto cd. droghe leggere per fatti commessi successivamente all’entrata in vigore del decreto legge. In esso sono comprese anche utili tabelle, capaci di dare un’immagine immediatamente comprensibile delle possibili soluzioni proposte. Ma nel documento si ragiona altresì del possibile impatto sui processi già definiti con sentenza irrevocabile.

Prima di rimandare – direttamente e senza ulteriori commenti – alla lettura dell’analisi effettuata dal Procuratore della Repubblica di Lanciano, è però il caso di svolgere un’ultima considerazione. Il documento che leggerete in allegato è una manifestazione – frutto di una scelta della riforma dell’ordinamento giudiziario risalente al 2006 – del c.d. potere gerarchico che ciascun procuratore capo può esercitare per “governare” l’attività della procura da lui diretta.

Ma – leggendo il documento – si comprende nitidamente che esso – più che esercizio di un potere  – costituisce esercizio della responsabilità istituzionale che il Procuratore della Repubblica avverte: impartire linee guida, per rendere omogenea “l’azione” dell’Ufficio di Procura, onde governare con razionalità le modalità di esercizio dell’azione penale (con evidenti ricadute, dunque, sull’eguaglianza di trattamento degli imputati).

Ma – e qui è il dato che si intende valorizzare – il documento in esame, pur assunto dal Procuratore (e, dunque, espressione della sua responsabilità direttiva), è il frutto di un confronto e di un approfondimento che il procuratore ha attivato con tutti i colleghi dell’Ufficio.

È una piccola traccia di un dato culturale che, però, è di grande rilievo. Al dirigente di un Ufficio giudiziario sono assegnati grandi poteri. Possono esservi dirigenti che li esercitano come tali (come nudo potere); vi sono dirigenti che “interpretano e vivono” quei poteri come esercizio di responsabilità, assunta all’esito di un confronto collettivo (come si suol dire, di gestione partecipata degli uffici giudiziari). E questo è un modello nel quale ci piace riconoscerci.

Buona lettura!

 

08/03/2014
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