Magistratura democratica
giurisprudenza di legittimità

La Cassazione per la prima volta alle prese con i problemi del processo civile telematico

di Gianmarco Marinai
Giudice del Tribunale di Livorno
Commento a Corte di cassazione, 12 maggio 2016 n. 9772

La sentenza in commento, pur affrontando una questione di diritto intertemporale, merita di essere segnalata, essendo tra le prime pronunce della Cassazione ad affrontare una delle tante problematiche interpretative del Processo Civile Telematico e, se non letta correttamente, rischia di influenzare gli interpreti anche oltre le intenzioni della stessa Suprema Corte.

La fattispecie è semplice: un atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, notificato il 12 dicembre 2014 e depositato per l'iscrizione al ruolo il 22 dicembre 2014 nella cancelleria del Tribunale di Bergamo, viene dichiarato inammissibile dal giudice (peraltro con decreto emesso prima dell'udienza fissata) con la seguente motivazione: "preso atto dell’indirizzo ricostruttivo ormai consolidato presso questo Tribunale di applicazione rigorosa della norma di cui all’art. 16-bis del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito in legge 17 dicembre 2012, n. 221; considerato in particolare che tale norma prevede il deposito telematico di atti dei difensori delle parti già costituite (comma 1); preso atto che nei confronti del Tribunale di Bergamo, in quanto in possesso di tutti i requisiti tecnici e informatici necessari, il Ministro della giustizia, con proprio decreto, ha attivato con anticipo l’entrata in vigore del processo civile telematico espressamente richiamando la comparsa di risposta ed altri atti endoprocessuali; ritenuto in conclusione che in questa fase non appare sussistente una disciplina giuridica ammissiva del deposito telematico degli atti introduttivi del procedimento (...)".

La Suprema Corte, investita ex art. 111 Cost., dichiara inammissibile il ricorso perché la pronuncia doveva essere impugnata con l'appello, ma, per "la particolare importanza del thema decidendum" pronuncia d’ufficio ex art. 363, c. 3 c.p.c., enunciando il principio di diritto nell’interesse della legge e, correttamente, identifica la questione nella seguente: "se, nei procedimenti iniziati dinanzi ai tribunali a decorrere dal 30 giugno 2014, sia ammissibile − nella disciplina dell’art. 16-bis del d.l. n. 179 del 2012 […], nel testo anteriore al d.l. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2015, n. 132 (che, con l’art. 19, comma 1, lettera a, numero 1, vi ha aggiunto il comma 1-bis) − il deposito con modalità telematiche dell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo" anche in difetto di apposita autorizzazione ex art. 35 del decreto ministeriale 21 febbraio 2011, n. 44.

Per comprendere la questione, è necessario ripercorrere brevemente la normativa regolatrice (che purtroppo – anche in questa materia – si è andata stratificando a cadenza quasi semestrale).

Tralasciando la situazione precedente e limitando l'analisi alle parti strettamente riguardanti il tema di indagine, l'art. 16-bis c. 1 d.l. 179/2012, modificato dal d.l. 90/2014, dispone che "a decorrere dal 30 giugno 2014 nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione, innanzi al tribunale, il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici".

È chiaro, pertanto, che la norma, relativamente agli atti endoprocessuali, legittima (e anzi impone) il deposito telematico, a prescindere, dunque, dal decreto ministeriale di autorizzazione ex art. 35 d.m. 44/2011.

A decorrere, poi, dal 27 giugno 2015, con l'entrata in vigore del d.l. 83/2015 (che ha inserito il c. 1-bis all'art. 16-bis citato), "è sempre ammesso il deposito telematico di ogni atto diverso da quelli previsti dal comma 1" e dunque la questione oggetto di esame da parte della Corte perde di rilevanza: oggi è legittimo il deposito telematico di qualsiasi atto processuale.

La Cassazione afferma che l'art. 16-bis c. 1 non sancisce il divieto di depositare telematicamente gli atti ivi non contemplati (e dunque, sostanzialmente, gli atti introduttivi).

La Corte argomenta considerando che, "secondo il principio cardine di strumentalità delle forme desumibile dal combinato disposto degli artt. 121 e 156 cod. proc. civ. (cfr. Sez. Un., 3 novembre 2011, n. 22726; Sez. Un., 18 aprile 2016, n. 7665), le forme degli atti del processo non sono prescritte dalla legge per la realizzazione di un valore in sé o per il perseguimento di un fine proprio ed autonomo, ma sono previste come lo strumento più idoneo per la realizzazione di un certo risultato, il quale si pone come l’obiettivo che la norma disciplinante la forma dell’atto intende conseguire".

Una conseguenza, ad esempio, è che, come sancito da S.U. 4 marzo 2009, n. 5160, l'invio a mezzo posta dell’atto processuale destinato alla cancelleria, al di fuori delle ipotesi speciali in cui tale modalità è consentita, dev'essere considerata una mera irregolarità, e quindi l’attestazione da parte del cancelliere del ricevimento degli atti e il loro inserimento nel fascicolo processuale integrano il raggiungimento dello scopo della presa di contatto tra la parte e l’ufficio giudiziario e costituiscono sanatoria (seppur con effetto ex nunc, dal momento della ricezione dell'atto e non da quello della spedizione).

Da ciò deriva che il deposito telematico di un atto introduttivo, essendo "una eventualità considerata possibile dallo stesso codice di procedura civile" (l'art. 83 c. 3 c.p.c. contempla espressamente l'eventualità di costituzione telematica), costituisce una mera irregolarità: "una imperfezione non viziante la costituzione in giudizio dell’attore e non idonea ad impedire al deposito stesso di produrre i suoi effetti tipici tutte le volte che l’atto sia stato inserito nei registri informatizzati dell’ufficio giudiziario previa generazione della ricevuta di avvenuta consegna".

Irrilevante, pertanto, è la presenza per l'ufficio del decreto ministeriale autorizzativo ex art. 35 d.m. n. 44 del 2011, norma che (come già avevo più volte sostenuto in precedenti interventi sul punto, cui rimando per una disamina specifica: http://www.questionegiustizia.it/articolo/pct_prime-pronunce-sulla-validita-degli-atti-in-fo_05-09-2014.php, http://www.questionegiustizia.it/articolo/deposito-telematico-degli-atti-introduttivi_prime-pronunce-favorevoli_05-11-2014.php) conferisce alla DGSIA esclusivamente il potere di accertare e dichiarare “l’installazione e l’idoneità delle attrezzature informatiche, unitamente alla funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici nel singolo ufficio”, ma non certo il potere di individuare il novero degli atti depositabili telematicamente oppure la tipologia di procedimento rispetto alla quale esercitare la facoltà di deposito digitale.

A mio avviso, peraltro, l'aver reso obbligatorio per tutti i tribunali il deposito telematico del decreto ingiuntivo e poi degli atti endoprocessuali presuppone logicamente che tutti gli uffici abbiano installate e funzionanti le attrezzature informatiche e operativi i servizi di comunicazione dei documenti informatici, e dunque, ad oggi, l'art. 35 dovrebbe ritenersi implicitamente abrogato dalla normativa successiva.

La pronuncia della Suprema Corte, pertanto, non può che essere interamente condivisa, andando esattamente nella direzione in precedenza auspicata.

Non sembra, peraltro, che le conclusioni della sentenza possano essere applicate automaticamente (e dunque acriticamente) ad altri casi più volte oggetto di esame da parte (per ora) dei giudici di merito: mi riferisco, in particolare, al caso del deposito di atti che non rispettino le modalità di redazione dettate dalle specifiche tecniche (il caso più comune è quello degli atti processuali in formato pdf-immagine), ovvero al caso del deposito cartaceo di atto obbligatoriamente telematico.

Quanto al deposito cartaceo di atti obbligatoriamente telematici, l'art. 16-bis citato prevede che il deposito "ha luogo esclusivamente con modalità telematiche", norma inderogabile anche per il giudice, tranne le particolari eccezioni di cui ai commi 4, 8 e 9 dello stesso articolo.

La legge, dunque, impone una precisa modalità di deposito, e lo scopo di tale norma è senz'altro ulteriore rispetto alla mera messa a disposizione del giudice e delle altre parti di uno scritto difensivo, essendo il deposito telematico necessario alla realizzazione stessa della nuova organizzazione del processo civile attuata mediante il Processo Civile Telematico che, in caso contrario, ne uscirebbe radicalmente svuotato di contenuti.

Allo stesso modo, a mio avviso, è necessario ragionare per la questione relativa al deposito di atti processuali in formato pdf-immagine (su cui rimando ad altro intervento su questa rivista: http://www.questionegiustizia.it/articolo/deposito-di-atti-in-formato-pdf-immagine_la-questione-e-ancora-aperta_30-03-2016.php), o comunque non rispondenti alle specifiche tecniche (consacrate nell'art. 12 del Provvedimento del Ministero della Giustizia 16.4.2014, contenente le specifiche tecniche previste dall'art. 34 d.m. 21 febbraio 2011 n. 44).

Dev'essere, infatti, tenuto ben presente che la sentenza in commento affronta un caso in cui è indubbio che la forma dell'atto sia conforme a quella prevista dalla normativa, mentre ciò che si discosta sono le modalità del deposito (telematiche, invece che cartacee, in assenza di decreto ex art. 35 d.m. 44/2011), modalità che, in ogni caso, corrispondono ad un modello (così come avviene per il deposito a mezzo posta), che non è vietato in assoluto, ma è consentito in casi determinati: il deposito telematico degli atti introduttivi del giudizio – si legge nella sentenza − "è una eventualità considerata possibile dallo stesso codice di procedura civile" (all’art. 83).

La modalità di redazione e confezionamento degli atti telematici è, invece, stabilita proprio nell'art. 12 citato e il rispetto di quelle prescrizioni è necessario affinché un file, cioè un documento informatico costituito da un insieme di bit, da una serie ordinata di informazioni binarie, possa essere qualificato e accettato come valido atto processuale.

Si rende qui necessaria la rigorosa applicazione dell'art. 121 c.p.c., secondo cui il principio della libertà delle forme degli atti vale solo nel caso in cui la legge non richieda forme determinate.

Se la forma non è rispettata (e la forma non è rispettata tutte le volte che – contrariamente a quanto sancito dall'art. 12 cit. – l'atto non è in formato pdf nativo, privo di elementi attivi, sottoscritto con firma digitale o firma elettronica qualificata esterna PAdES o  CAdES e corredato da file XML contenente le informazioni richieste), l'atto è nullo − e la nullità si trae proprio dall'art. 121 e dall'art. 156 c. 2 c.p.c. − in quanto non presenta i requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo.

Ciò detto, il legislatore sembra iniziare a comprendere che è assolutamente necessario un intervento che razionalizzi il quadro normativo (auspicabilmente senza creare un corpus dedicato al PCT, ma integrando le norme sul processo telematico all'interno del codice di rito) e faccia chiarezza quantomeno sulle principali questioni interpretative controverse. Il disegno di legge delega di riforma del processo civile, presentato l'11.3.2016 alla Camera, prevede, infatti, un primo abbozzo (che si spera possa essere sviluppato nel corso del lavori parlamentari) di delega per "l’adeguamento delle norme del rito civile alla nuova dimensione telematica del processo".

Mi sembrerebbe opportuno, infine, tentare di sfruttare le potenzialità del mezzo informatico e far sì che il sistema segnali automaticamente e preventivamente al depositante errori tecnici di varia natura: si pensi allo stesso deposito di atto in pdf-immagine o in altri formati non corretti, ovvero al deposito di atti erroneamente qualificati, o di produzioni documentali fuori dai momenti processualmente dedicati, o di pluralità di documenti inseriti in unico file, o non correttamente descritti o identificati, ecc..

Da una parte il "respingimento" automatico preventivo metterebbe immediatamente la parte a conoscenza dell'esistenza di un problema, dandole la possibilità di rimediare all'errore (senza dover incappare in un irrimediabile successivo provvedimento del giudice, sia esso una declaratoria di nullità o comunque di inutilizzabilità dell'atto o del documento prodotto); dall'altra consentirebbe la formazione di un fascicolo elettronico sin dall'origine corretta e idonea ad una semplice ed efficace consultazione, non solo per le parti e per il giudice di quel processo, ma anche per i giudici dei gradi successivi.

23/06/2016
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