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La riforma Jackson e la disciplina delle spese nel processo civile inglese

di Marcello Marinari
avvocato, esperto di diritto processuale anglo-americano e di mediazione
La nuova disciplina delle spese processuali in Inghilterra: esempio di una modalità efficace e pragmatica di riforma processuale e di utilizzo di istituti processuali con finalità di effettivo case management
La riforma Jackson e la disciplina delle spese nel processo civile inglese

Nel corso degli ultimi 15 anni, dopo l’entrata in vigore delle CPR, il processo civile inglese è stato oggetto di una continua attività riformatrice, sia sul piano legislativo che su quello organizzativo del Court management, un’attività che, in effetti, appare tuttora in pieno svolgimento.

La sempre maggiore attenzione alla corretta utilizzazione degli strumenti procedurali, al fine di evitare ogni abuso del processo, con un forte potenziamento del case management, e quindi dei poteri d’ufficio del Giudice, caratterizzati da un elevata flessibilità, appanna sempre più l’immagine un po’ letteraria e stereotipata del processo inglese come del massimo esempio di liberalismo processuale, così come può sembrare sorprendente, dal nostro punto di vista, l’impegno costante e sistematico per ridurre i tempi del processo, nel quale la fase dibattimentale, ed in particolare la decisione a seguito di sentenza dibattimentale rappresenta ormai un’eventualità statisticamente rara (si leggano le considerazioni di N. Andrews, English Civil Procedure, Oxford 2010, 773, così come, per l’analoga tendenza negli Stati Uniti, lo scritto di Mark Galanter, “the vanishing trial”, 2005).

In questo contesto, il 1 Aprile 2013 è entrata in vigore in Inghilterra e Galles un’ulteriore ed importante riforma, conosciuta comunemente (ma la denominazione è usata anche nei documenti ufficiali) come Jackson Reforms, dal nome di Sir Rupert Jackson, il Giudice della Corte di Appello Inglese incaricato dal Governo di formulare una serie di proposte normative per promuovere l’accesso alla giustizia civile “a costi proporzionati”, oltre che per rivedere le procedure di case management, proposte dalle quali è poi scaturita la riforma, che ne rappresenta, peraltro, un’attuazione parziale.

Il processo riformatore, dal momento dell’incarico a Lord Justice Jackson all’entrata in vigore delle norme che ne rappresentano il risultato finale, ha avuto una durata significativa, protraendosi per circa 5 anni, ed è stato molto articolato, oltre che, come noto, sensibilmente diverso dal nostro.

Può essere utile ricordare, a questo proposito, che, dopo la pubblicazione del preliminary report di Lord Jackson nel maggio 2009 e di quello finale nel dicembre 2009, Governo e Parlamento, acquisite le risposte seguite alla pubblicazione di un consultation paper, hanno proceduto alle conseguenti riforme legislative, sia attraverso la speciale procedura prevista per le modifiche alle Civil Procedure Rules, ed affidata in via permanente al Civil Procedure Rule Committee (CPRC), sia, per le modifiche che lo richiedevano, attraverso l’approvazione di uno specifico, ed autonomo, testo di legge (Legal Aid, Sentencing and Punishment of Offenders Act 2012-LASPO).

Contemporaneamente, la magistratura è stata direttamente ed istituzionalmente coinvolta, con la istituzione di un comitato direttivo incaricato della supervisione del processo di attuazione della riforma, il Judicial Steering Group (JSG, presieduto dal Master of the Rolls, la più alta autorità giudiziaria nell’ambito della giustizia civile) che, in cooperazione con il Ministero della Giustizia, istituito proprio nel 2009, ha dato vita ad un certo numero di progetti pilota presso alcune delle più importanti Corti Inglesi, sperimentando per circa 3 anni sul campo l’applicazione delle riforme proposte, che sono state anche illustrate a giudici ed avvocati in una serie di conferenze ed incontri, mentre il processo legislativo era in corso.

Un procedimento così strutturato, che si spinge ad anticipare in alcune sedi giudiziarie gli effetti delle nuove norme, costituisce un elemento non secondario per lo stesso successo della riforma, producendo in primo luogo una discussione, anche di carattere tecnico giuridico, estremamente approfondita, come è abituale in Inghilterra, e soprattutto una sperimentazione sul campo delle modifiche legislative assimilabile ad uno studio di fattibilità, condotto, per di più (fatto che agevola grandemente l’accettazione delle modifiche legislative), con un forte coinvolgimento dei giudici e degli avvocati, chiamati ad applicare le nuove norme, un coinvolgimento reso anche più facile in Inghilterra dalla loro comune cultura professionale.

La disciplina delle spese nel processo civile al momento della riforma, cenni

Il tema delle spese di giudizio e del loro controllo, anche se oggi è al centro del dibattito, riveste da sempre, peraltro, un rilievo centrale, nell’ambito del processo civile inglese (e non solo di quello civile, se è vero che, per la prima volta, nel gennaio di quest’anno, i penalisti sono recentemente entrati in sciopero per il progetto di riduzione dei loro compensi), come già notato dallo stesso Lord Woolf all’epoca della riforma del 1999, e come dimostra l’articolazione e l’estensione delle norme procedurali e sostanziali in materia, del tutto sconosciuta al nostro ordinamento, anche se è necessario ricordare, per completezza, che in Inghilterra non esiste obbligo di assistenza legale in giudizio, un’opzione, peraltro, che il forte tecnicismo procedurale rende praticabile solo per procedimenti particolarmente semplici, dal punto di vista dei problemi di fatto e di diritto.

Non si tratta solo del rilievo pratico che il costo delle cause ha sull’effettività del diritto di accesso alla giustizia, comune, evidentemente, a qualsiasi ordinamento, ma anche di quello teorico, come si può facilmente constatare, in particolare, dall’attenzione e dallo spazio che i principali manuali di diritto processuale civile dedicano a questo tema.

Si deve ricordare, a questo proposito, il grande contributo fornito in questo campo dagli studi di Adrian Zuckerman, le cui proposte non hanno mancato, del resto, di influenzare gli stessi contenuti della riforma, un autore che ha rilevato più volte come la crescita delle spese di giudizio, che ne rappresenta in effetti il problema cruciale,  trovi almeno in parte la sua origine negli stessi meccanismi processuali, così evidenziando la stretta interdipendenza tra le prime e i secondi.

Come ricorda Luca Passanante (cfr. voce “Processo Civile Inglese”, in Enciclopedia del Diritto, 1007, che cita, per la sua esemplarità, il caso Naomi Campbell -quattromila sterline liquidate per danni alla riservatezza, e circa un milione di sterline di spese processuali-anche se va ricordato che il caso giunse fino alla House of Lords) le spese giudiziali in Inghilterra sono mediamente otto volte superiori a quelle italiane, ma si deve aggiungere che possono raggiungere, almeno per le cause di maggior valore (ma non necessariamente elevatissimo), livelli inimmaginabili nel nostro contesto, basandosi, tradizionalmente, su un principio di proporzionalità non incentrato (se non in parte) sul valore della causa, ma, prima di tutto, sulla quantità e sulla qualità dell’attività difensiva, ed essendo soggette ad un potere di liquidazione del Giudice largamente discrezionale, sia sull’an che sul quantum, anche se fondato sulla valutazione di una serie di fattori elencati specificamente dalla legge.

Ciò vale, in particolare, per le cause che si svolgono con le procedure del Fast-Track e del Multi- Track, vale a dire quelle più articolate e complesse previste dalla riforma Woolf, limitandosi invece solo ad alcuni segmenti procedurali del Fast Track, per le cause di minor valore (in materia di recupero di somme o di beni, e di incidenti stradali, o in materia di esecuzione), la previsione di fixed costs predeterminati dalla legge (o di limiti massimi degli onorari-costs capping), mentre nessuna spesa legale, in linea di principio, è prevista per i procedimenti che seguono la procedura degli Small Claims (a parte modesti importi in relazione all’atto iniziale della causa), benché, anche per queste procedure, si preveda la condanna della parte soccombente al rimborso delle spese materiali sostenute dalla controparte.

Secondo le previsioni della Part 44  delle CPR (anch’essa, peraltro, oggetto di riforma, come dirò) la Corte ha il potere di stabilire quale parte deve pagare, quanto deve pagare e quando deve pagare, compreso il potere di non emettere alcun provvedimento sulle spese, così realizzando in sostanza lo stesso risultato che si raggiunge, nel nostro processo, con la compensazione integrale.

Lo stesso principio di soccombenza, pure tradizionalmente accolto dal common law nella disciplina delle spese processuali come regola automatica (costs follow the event), conosce un’applicazione molto più articolata, rispetto a quanto avviene nel processo civile italiano (anche se alcune delle più recenti modifiche degli articoli 91, 92 e 96  del nostro codice di procedura si richiamano a principi in qualche misura analoghi), in relazione ad una serie di fattori specificamente elencati dalla legge, tra i quali assume un particolare rilievo la condotta processuale della parte (ma anche quella precedente alla causa), ed in particolare l’eventuale formulazione di offerte formali (Part 36 Offers) che si rivelino sostanzialmente coincidenti con l’esito del giudizio, mentre il valore della causa costituisce solo uno dei numerosi fattori che influenzano la liquidazione, come ho già osservato. Senza poi trascurare che l’articolazione pratica del principio di soccombenza si estende anche alla possibilità di condanna al pagamento delle spese per singoli atti processuali, che può discostarsi da quella generale, con effetti anche molto rilevanti, in termini quantitativi, specie per quanto riguarda le spese relative alla fase della disclosure.

Più in generale, si deve mettere in rilievo la connotazione fortemente sanzionatoria che può assumere la decisione sulle spese, sia con l’adozione dell’uno o dell’altro criterio di liquidazione, sia in relazione agli stessi destinatari della condanna alle spese, o dei loro beneficiari, che possono talvolta essere individuati in soggetti diversi dalle parti, che abbiano finanziato la parte soccombente o abbiano compiuto altre attività rilevanti (Costs order in favour or against a non-party).

In casi di particolare gravità, poi, il Giudice può ordinare direttamente allo stesso avvocato di rimborsare al soccombente le spese di giudizio per singoli atti che si siano rivelati inutili o precludergli di riceverne il pagamento dal proprio cliente (waisted costs), in base al principio che il cliente non deve essere danneggiato dalla condotta ingiustificabile (improper, unreasonable, negligent) del suo avvocato, che si può configurare anche, sia pure in casi particolarmente rari, nei quali sia mancata del tutto un’adeguata informazione al cliente rispetto ad un esito quasi certamente negativo della causa, anche nell’ipotesi di hopeless claims.

La regolamentazione delle spese di giudizio è quindi certamente, e lo è anche formalmente, oggi, dopo le riforme Jackson, sul piano tecnico, un potente strumento di case management, considerando l’allargamento della possibilità di predeterminare, fino dalle fasi iniziali, le spese finali che saranno dovute dalle parti, condizionando di fatto, in questo modo, l’ampiezza dell’attività che si svolge nel processo.

La liquidazione, in linea generale, limitandomi anche qui ad un brevissimo accenno, può avvenire secondo due criteri, quello c.d. standard (standard costs), che copre una percentuale generalmente alta, ma non la totalità, dei compensi legali e quello indennitario (indemnity costs), caratterizzato in senso più marcatamente sanzionatorio, in relazione alla condotta della parte, e che può giungere a coprire anche il 100 % della richiesta contenuta nel Bill of costs.

La determinazione delle spese legali, che si fonda in linea generale su tariffe orarie concordate (la cui elencazione nelle note spese -la loro struttura è prevista da specifici forms- talvolta molto complessa, è generalmente affidata a specialisti che operano all’interno degli studi legali), può avvenire contestualmente alla decisione (summary assessment of costs) o essere differita, ed affidata ad un ufficio diverso e ad un Giudice diverso (detailed assessment of costs), presso il quale, in caso di mancato accordo tra le parti sull’ammontare delle spese, si svolge un autonomo procedimento in contraddittorio.

La legge inglese disciplina poi separatamente (Court and Legal Service Act del 1990, così come modificato dalla riforma Woolf) il c.d Costs funding, vale a dire gli accordi che possono essere conclusi tra avvocato e cliente per il pagamento del compenso professionale, e che rivestono un’importanza cruciale, dato l’ammontare dei compensi, per la stessa praticabilità della causa da parte del cliente.

La novità introdotta alla fine degli anni ’90 è stata rappresentata dall’introduzione dei CFAs, Conditional Fee Agreements, secondo la cui disciplina la parte può essere esonerata, a certe condizioni, dal pagamento dell’onorario al proprio avvocato, anche se non si tratta di un equivalente delle Contingency Fees americane, ritenute, almeno fino alle Jackson Reforms, contrarie ai principi stessi del common law.

In pratica, il caso più frequente è stato costituito dall’accordo che esonera il cliente, in ogni caso, dal pagamento degli onorari difensivi al proprio avvocato. In cambio del rischio che assume, si prevede per l’avvocato, in caso di successo, una percentuale calcolata sull’importo liquidato dal Giudice a favore della parte (percentuale soggetta all’approvazione della Corte, il success fee) come nel meccanismo delle Contingency Fees, ma che si aggiunge, in questo caso, all’importo delle spese liquidate a favore della parte vincitrice (receiving party), e non invece, come avviene per le contingency fees, detraendo il compenso dell’avvocato dall’ammontare del risarcimento del danno o comunque della somma attribuita alla parte vincitrice.

In aggiunta, la legge prevede l’addebitabilità alla parte soccombente anche del cd ATE (After The Event) Insurance Premium, vale a dire del premio della speciale assicurazione stipulata dalla parte vincitrice per coprirsi dal rischio di soccombenza.

L’insieme di questi costi aggiuntivi costituisce la additional liability attribuibile alla parte soccombente.

L’applicazione dei CFAs non ha peraltro avuto i risultati sperati, ed anzi, secondo gli analisti, è stata uno dei principali fattori di aumento delle spese legali, portando conseguentemente, con la riforma Jackson, all’introduzione di un nuovo sistema di funding, come dirò, anche se il meccanismo dei CFAs (o meglio della loro addebitabilità alla parte soccombente)  resta applicabile alle cause iniziate prima del 1 aprile 2013, e, sia pure in misura molto limitata, anche alle nuove cause.

Questa breve premessa è sufficiente a mettere in evidenza come la riforma Jackson non possa essere considerata una semplice riforma delle spese di giudizio, per quanto rilevante possa essere, ma una vera e propria riforma procedurale (anche al di la delle norme strettamente procedurali che contiene).

 

La Riforma Jackson, la Gestione delle spese

La portata dell’intervento legislativo, anche sul piano dei principi, si coglie immediatamente già dalla modifica della Part 1 delle CPR, quella che indica gli Overriding Objectives del Codice, una norma di grande rilievo sistematico, posta significativamente all’inizio delle CPR, che caratterizza la codificazione inglese e condiziona, non come norma puramente programmatica, ma come norma sovraordinata di carattere generale che condiziona l’interpretazione di tutte le successive norme del codice.

Nel primo periodo della Rule 1.1, che sintetizza immediatamente l’obbiettivo del codice in quello di attribuire al Giudice il potere di trattare le cause secondo criteri di giustizia, criteri poi elencati nel comma successivo, la riforma introduce infatti, come ulteriore obbiettivo paritario, quello di trattare le cause “at proporzionate costs”, così attribuendo al principio di proporzionalità delle spese legali un peso fondamentale, di pari rilevanza, tra gli obbiettivi prioritari della normativa processuale.

Da questa modifica legislativa scaturiscono le innovazioni introdotte nella disciplina procedurale ed in quella della liquidazione delle spese.

Per un più corretto inquadramento della portata della riforma, si deve subito avvertire che le nuove regole di Costs Management si applicano in effetti, per le cause iniziate dopo il 1 aprile 2013, alle controversie che seguono la procedura del Multi-Track, vale a dire la procedura più complessa, in termini di struttura del pre-trial stage e della disclosure, che si applica alle cause di valore più elevato, che si svolgono generalmente presso la Chancery Division e La Queen’s Bench Division dell’High Court e le loro Specialist Courts, o i Registries territoriali, o anche, in casi più rari, presso le County Courts.

Le nuove norme, peraltro, non si applicheranno alle cause che si svolgono presso la Admiralty e la Commercial Court, né ai casi di valore superiore a 2 milioni di sterline che si svolgono presso la Chancery Division, la TCC e la Mercantile Court, che pure applicheranno tali regole per gli altri casi.

Passando ora a descrivere le modifiche alla disciplina del Case Management, si può subito notare che le nuove regole, contenute nella Part 3, che disciplina i poteri di Case Management, introducono l’obbligo per le parti di scambiare e depositare, all’inizio del Pre-Trial stage, un Costs Budget, che contenga l’elencazione dei compensi professionali per tutta la causa, compresa l’eventuale fase del trial, adempimento che in effetti costituisce uno sviluppo ed un potenziamento di quello, già esistente, di indicare alla Corte una previsione di massima delle spese legali, già in sede di allocation questionnaire.

I Costs Budget dovranno essere discussi in primo luogo tra le parti, alle quali si richiede di giungere preferibilmente ad un accordo sulla quantificazione delle reciproche richieste, e quindi nel corso di un’udienza di Case Management, preceduta dal deposito di memorie, nella quale il Giudice adotterà un vero e proprio Costs Order, che resterà vincolante per il seguito del procedimento, in relazione alle singole fasi, condizionando inevitabilmente la stessa durata e complessità della fase pre-trial.

La valutazione del Case Management Judge si dovrà fondare sul test di proporzionalità condotto in base agli elementi previsti dalla Rule 44.3, vale a dire: il valore monetario delle pretese delle parti, se la causa ha ad oggetto il pagamento di una somma o quello delle domande con oggetto diverso; la complessità della causa; ogni eventuale attività processuale aggiuntiva determinata dalla condotta della parte tenuta al pagamento, ed infine ogni eventuale più ampio fattore, come la reputazione o l’importanza pubblica del caso.

In effetti, la preoccupazione di limitare al massimo la durata ed i costi della fase pre-trial, che costituisce oggi, nella stragrande maggioranza dei casi, l’unica fase del processo (anche se la percentuale è più alta nelle cause trattate dalla High Court), è una costante del processo riformatore inglese, un processo apparentemente inarrestabile, a partire da circa 15 anni, ed emerge chiaramente  anche dalle altre modifiche procedurali introdotte dalla riforma.

Il problema principale è rappresentato dalle cause, di valore medio basso, che seguono il rito del Fast-Track, per le quali, per le ragioni già dette, i criteri di determinazione degli onorari posso produrre i maggiori squilibri.

Come accennato, fino ad oggi l’introduzione di fixed costs, auspicata anche dalla dottrina, ma fortemente avversata da altri settori, è stata limitata a singole materie o a singole fasi procedurali, ed anche su questo terreno intendeva muoversi la riforma Jackson, come emerge dalle proposte formulate.

Tuttavia, seppure la Part 45 sia stata riformulata, con un ampliamento delle ipotesi regolamentate, ed anche delle materie, ad esempio quella dei Pre-action Protocols, dei Patents Claims, di quelli del HM Revenue and Customs, ed in materia di convenzione di Aarhus sul diritto di accesso, non può sfuggire che le sia pur limitate riforme si applicheranno solo ai casi nei quali la pretesa non è contestata o comunque è oggetto di una decisione semplificata (come emerge dal riferimento ai casi di Judgment by default, by admission, summary judgment, etc…).

Le modifiche procedurali

Le ulteriori modifiche procedurali introdotte dalla riforma riguardano in generale la materia della disclosure, ed in particolare quella delle testimonianze scritte e delle consulenze.

Per apprezzare convenientemente l’importanza dell’estensione della disclosure ai fini della quantificazione delle spese legali, si deve tenere presente l’importo anche molto elevato che possono raggiungere gli onorari difensivi, in questa fase, per il numero di ore necessarie all’esame dei documenti prodotti, in un procedimento ormai completamente scritto come quello inglese.

La riforma tende pertanto a ridurre la quantità dei documenti da acquisire agli atti, in primo luogo, sul piano generale, con l’abolizione, almeno come regola automatica, della standard disclosure, sulla base della quale le parti hanno l’obbligo di dichiarare e poi di produrre tutti i documenti potenzialmente rilevanti, favorevoli o sfavorevoli che possano essere rispetto alla propria posizione, salve le eccezioni in materia di privileges.

La decisione sul materiale probatorio da acquisire viene invece oggi riservata ad una decisione caso per caso, da adottare seguito di un’apposita udienza, dopo il deposito di memorie difensive, con la possibilità di accordi, totali o parziali tra le parti, e con una serie di opzioni articolate, che vanno da quella massima della standard disclosure fino ad una forte riduzione del numero di documenti ritenuti rilevanti.

Sotto un secondo profilo, la riforma, modificando la Part 32.2, incide sulle regole in materia di testimonianza, allo scopo di ridurre il numero dei testimoni e la lunghezza, orale o scritta, delle deposizioni.

In primo luogo, oltre alla possibilità di limitare i temi e le circostanza di fatto oggetto di prova, il Giudice può ora decidere in quali casi sia necessario ascoltare il teste (naturalmente solo in sede di trial) o leggere semplicemente la sua deposizione, come è del resto già abituale, nel trial, per l’evidence in chief, e può limitare la stessa lunghezza delle deposizioni scritte da produrre nell’ambito della disclosure.

L’altro intervento riguarda la consulenza tecnica, già oggetto di particolare attenzione nell’ambito della riforma Woolf, che rappresenta ugualmente un fattore rilevante in materia di spese di giudizio.

Nei procedimenti che seguono il Fast-Track, in effetti, l’impatto delle spese è stato già limitato, dalle CPR, con la previsione della possibilità di nomina di un joint expert, (non esistendo in Inghilterra la nozione di consulente della Corte), anche se il ruolo ed i doveri dei consulenti di parte in Inghilterra sono diversi da quelli previsti nel nostro ordinamento processuale, così da renderne problematica un’equiparazione con i CTP del nostro processo civile.

La riforma prevede adesso, in caso di richiesta di autorizzazione alla nomina di un consulente, che la parte presenti una stima delle spese previste per l’expert, ed indichi l’oggetto specifico della consulenza.

Ma la modifica più rilevante riguarda la possibilità, introdotta dalla PD 35, di una concurrent expert evidence, vale a dire che il Giudice disponga che i consulenti procedano congiuntamente alla risposta ai quesiti posti dalle parti, e che ne coordini il lavoro, con la possibilità, inoltre, di porre quesiti aggiuntivi e di richiedere approfondimenti, così come di chiedere ad un expert di esprimersi sull’opinione degli altri consulenti o di porgli direttamente domande. La possibilità di un joint report, totale o parziale, da parte dei consulenti, o anche di confronto tra gli stessi, non era ignota neppure in precedenza, nella prassi, ma la riforma amplia e rende in qualche modo ordinaria questa possibilità, anche per i procedimenti che seguono il Multi-Track.

La riforma introduce poi una novità molto interessante, ed innovativa, anche in linea teorica, almeno in relazione al contesto processuale inglese, il cd docketing, vale a dire la possibilità di affidare ad un unico giudice, contrariamente a quanto avviene di regola, la trattazione di tutto il procedimento, a partire dall’iscrizione della causa e fino all’eventuale trial, mentre, ordinariamente, come è noto, la fase Pre-Trial viene trattata da un Giudice diverso, in genere un Master o un District Judge.

Naturalmente, si deve sempre tenere presente che la novità, che aveva già avuto applicazioni occasionali di natura sperimentale, trova applicazione nella procedura di Multi-Track.

L’ADR

Per completare l’esame degli aspetti della riforma che toccano il case management, seppure non contenuti nelle CPR o nelle PD, è necessario qualche cenno sull’utilizzazione dei meccanismi di ADR, il cui incremento Lord Jackson ha fortemente auspicato, promuovendo anche la realizzazione di un importante documento (The Jackson Handbook), destinato, malgrado quanto si potrebbe ritenere in base al suo nome, a svolgere una funzione che va ben al di là di quella di un semplice manuale di studio.

Anche in Inghilterra, naturalmente, la risoluzione alternativa delle controversie non opera solamente come strumento di case management, ma, in primo luogo, nella fase antecedente l’instaurazione di una causa, e proprio per evitarla, ed è praticata da molti anni, con particolare riferimento alla mediation, come naturale sviluppo della negoziazione diretta tra le parti.

Oltre alla mediation, peraltro, ed a prescindere dall’arbitrato, si possono ricordare, tra gli altri strumenti di ADR, il mini trial, una procedura simile ad un arbitrato irrituale, ma non vincolante, diffusa specialmente nelle controversie tra società, nella quale un collegio composto da rappresentanti delle parti, e presieduto da un terzo indipendente, cerca di raggiungere una soluzione concordata, o l’Early Neutral Evaluation (ENE) nella quale un terzo (che può essere un giurista, o un tecnico - expert evaluation - nelle controversie che lo richiedano) fornisce una valutazione indipendente  non vincolante ma la cui forza si fonda sull’autorevolezza del valutatore.

Altri strumenti di ADR, in rapidissima sintesi, sono la conciliation, la cui nozione non è in realtà diversa da quella della mediazione, ma che, nelle sue applicazioni più importanti, è prevista dalla legge, a differenza della mediazione, nell’ambito delle controversie familiari o in quelle di lavoro, dove opera L’Advisory Conciliation and Advisory Service (ACAS), i servizi di conciliazione offerti dalle Pubbliche Amministrazioni o dalle Aziende, e due forme ibride di arbitrato, l’expert determination e l’adjudication, quest’ultima in materia di contratti edilizi.

Come ho già notato, la mediazione rappresenta uno sviluppo naturale della negoziazione diretta, tradizionalmente molto diffusa in Inghilterra, e spesso risolutiva, anche senza necessità di ricorrere alla mediazione, la cui funzione, in ogni caso, non è tanto quella di ridurre il numero delle cause che raggiungono la fase del trial, già estremamente basso, come detto, ed in continua diminuzione, quanto quella di abbreviare il tempo necessario a trovare un accordo (che si raggiungerebbe comunque), con indubbi risparmi, e con la possibilità, attraverso la rapida definizione delle controversie che lo consentono, di una migliore gestione del portafoglio giudiziale da parte degli studi legali. Si deve anche ricordare che la mediazione extragiudiziale, nei casi di maggior valore economico, è molto costosa, ed è anzi molto difficile determinarne l’estensione, data la sua estrema riservatezza, anche se, sul piano della mediazione delle controversie di modesto valore economico, non mancano iniziative nel campo della Community Mediation e delle organizzazioni di Consumatori.

Pur non esistendo in Inghilterra ipotesi di mediazione obbligatoria, quale condizione di procedibilità della domanda, la mediazione e più in generale l’ADR trova spazio anche all’interno dei Pre-Action Protocols, ormai previsti per molte categorie di cause, benché, anche in questo caso, non si tratti di procedure formalmente obbligatorie. Tuttavia, e torniamo così al tema delle spese, non accettare di svolgere il protocollo preventivo può avere serie conseguenze in relazione alla stessa soccombenza nelle spese di giudizio, secondo quel principio di responsabilizzazione delle parti e dei loro avvocati al quale ho già fatto cenno, che rende molto pericolosa una simile scelta.

In Inghilterra, se si esclude la previsione della Part 26 sulla possibilità di sospendere la causa per consentire un tentativo di conciliazione, non esiste una legislazione specifica in materia di mediazione, stragiudiziale o giudiziale, ad eccezione della modifica introdotta nelle CPR (Part 78) per dare applicazione alla Direttiva Europea (ma solo, attenendosi strettamente all’oggetto della Direttiva, in materia di mediazione delle controversie transnazionali), anche se oggi, con la pubblicazione dell’Handbook, esiste un testo al quale fare riferimento anche in sede giudiziale, benché, formalmente, si tratti solo di un manuale.

Ma l’ADR, e la mediazione in particolare, può svolgere un ruolo importante anche nel corso del giudizio, quale strumento di case management.

Le Corti inglesi hanno, fino dagli anni ’90, sviluppato Pilot Schemes per promuovere la mediation, anche se non come mediazione obbligatoria, ma più esattamente, con lo schema della Court Based Mediation, dando vita ad iniziative mirate in alcune Corti, prima in via sperimentale, ed oggi in via permanente, a condizioni economiche di particolare favore.

Le Corti incoraggiano fortemente, per usare il linguaggio tipico della giurisprudenza inglese, la pratica della mediazione, che viene anzi proposta in via automatica e generalizzata negli Small Claims, un progetto che secondo i dati forniti dal Governo, si è dimostrato molto efficace, portando ad oltre 15.000 mediazioni risolte positivamente nel biennio 2010-2012.

Esistono poi gli Schemes in corso presso la Mayor and City of London County Court e presso la Court of Appeal, nel quale si mette a disposizione delle parti un mediatore a costi ridotti, per le prime ore di tentativo, nonché quelli di mediation information session in corso presso le County Courts di Manchester, Birmingham e la Central London County Court.

In ogni caso, come detto, il Giudice può sempre incoraggiare le parti a tentare la mediazione, ed anzi può sempre ordinare alla parte di prendere in considerazione la mediazione (cfr. Handbook, 13.17). Anche quando ciò non comporta la comparizione in un’apposita udienza, non si tratta di una valutazione destinata a rimanere confinata alla sfera interna della parte, perché quest’ultima dovrà fornire una giustificazione dell’eventuale rifiuto del tentativo, e la stessa Corte (in alcuni casi in materia familiare, nell’ambito degli Small Claims e presso la Corte di Appello, potrebbe anche disporre una vera e propria comparizione dinanzi ad un mediatore (mandatory consideration of mediation). Per incoraggiare le parti ed agevolare la riuscita del tentativo, il Giudice può anche disporre una disclosure anticipata dei documenti.

Il rifiuto di tentare la mediazione può esporre peraltro la parte al rischio di non vedersi riconosciute le spese anche in caso di vittoria nella causa, come ha recentemente sancito una sentenza della Corte di Appello (PGF  V  OMFS COMPANY), che, oltre a pronunciarsi in base al ritardo nell’accettazione di un’offerta formale della controparte ha significativamente affermato (citando nella motivazione proprio il Jackson Hanbook) che il silenzio di fronte all’invito ad andare in mediazione deve essere considerato “di per sé irragionevole”, con l’effetto di invertire in tal caso l’onere della prova, la cui attribuzione è stata oggetto in questi ultimi anni, di pronunce contrastanti.

Ma l’esperienza inglese più recente conosce anche la pratica della conciliazione giudiziale, ed anzi, più precisamente, dell’ADR giudiziale.

In questo campo l’esperienza più interessante è quella della Technology and Construction Court (TCC, sezione specializzata della Queen’s Bench) che attua uno schema di vera e propria Judicial Mediation (gli altri schemi si svolgono in materia familiare e presso gli Employment Tribunals).

L’esperienza della TCC Judicial Settlement (Court Settlement Process, CSP) è stata oggetto, inizialmente, nella sua fase sperimentale, anche di forti polemiche, da parte di chi contestava in linea di principio, come inammissibile, la stessa attribuzione al Giudice di compiti conciliativi, ma è ormai entrata nella pratica ordinaria, giovandosi anche della grande competenza e della motivazione personale dei Giudici che la conducono.

Si tratta di una vera e propria procedura di mediazione, su base consensuale, condotta dal Giudice assegnatario del caso (che, peraltro, in caso di fallimento del tentativo, non potrà svolgere altri compiti nella causa) o da un altro Giudice della Corte, nella quale il Giudice Conciliatore può ascoltare le parti congiuntamente e separatamente, e nella quale è pienamente garantita la riservatezza.

Nel caso in cui il tentativo abbia esito negativo, inoltre, le Parti possono chiedere al giudice conciliatore una valutazione scritta (written assessment) sull’esito probabile della causa, o anche su alcuni soltanto dei punti in discussione, con l’indicazione di quella che potrebbe essere una soluzione ragionevole della controversia.

Il Giudice conciliatore è tenuto al segreto per tutte le attività svolte nel tentativo ed è protetto da completa immunità sul piano della responsabilità civile, come del resto avviene per tutti i giudizi civili.

Presso la stessa TCC e la Commercial Court, inoltre, si svolgono anche procedure assimilabili all’ENE, prima ricordata, denominate Judicial Evaluation, per fornire alle parti una valutazione autorevole, anche se non vincolante, sul probabile esito della controversia, formalizzata per scritto e brevemente motivata.

 

Le novità in materia di pagamento del compenso

La riforma interviene poi in modo molto rilevante nel campo degli accordi economici tra cliente ed avvocato (Costs Funding), modificando, come accennato all’inizio, con la Part II del Legal Aid, Sentencing and Punishment of Offenders Act del 2012, il sistema delle Conditional Fees introdotto all’epoca della riforma Woolf, sul presupposto che si sarebbe rivelato, contrariamente alle finalità dei suoi sostenitori, una fonte di incremento, e non di riduzione delle spese legali, sostituendolo con quello dei DBAs (Damaged Based Agreements), vale a dire il pagamento con percentuale sul risarcimento, vale a dire il patto di quota lite, secondo la nostra terminologia.

La riforma, in realtà, non elimina la possibilità, per il cliente, di stipulare con il proprio avvocato un accordo basato sui CFAs, ma, per le cause introdotte successivamente al 1 aprile 2013, esclude che Success Fees e ATE insurance premium possano essere recuperate addebitandole alla parte soccombente (salva una limitata possibilità di applicazione dell’Insurance Premium in materia di cause per responsabilità medica), privando quindi il meccanismo dei suoi principali vantaggi, anche se lasciando agli interessati la scelta di continuare ad avvalersene quando lo ritengano conveniente.

Fanno peraltro eccezione le cause di risarcimento da Mesothelioma, quelle di Insolvency, e quelle in materia di Privacy e Publication, per le quali gli importi premiali dei CAFs rimangono recuperabili.

La novità, come accennato, è costituita dall’introduzione di un sistema di pagamento basato su una quota del risarcimento ottenuto in caso di vittoria nella causa, finora previsto esclusivamente in materia di cause di lavoro.

Si tratta di un cambiamento molto significativo, anche sul piano dei principi, per il sistema inglese, considerando, come ho già detto in precedenza, la contrarietà del common law ad una simile soluzione, per il coinvolgimento dell’avvocato rispetto all’interesse personale del cliente, e tenendo anche conto che, a differenza di quanto avviene negli Stati Uniti, dove non si applica il principio della soccombenza nelle spese, in questo caso il Giudice continuerà ad applicarlo.

La riforma, in particolare il regolamento successivamente emanato, prevede i limiti massimi di percentuale ammissibili, stabiliti non in modo indiscriminato, ma in modo differenziato in relazione ai singoli tipi di controversia.

Contemporaneamente, la riforma aumenta del 10% (con esclusione delle ipotesi in cui è ancora ammesso il CFA) la quota di risarcimento già prevista come quota risarcitoria fissa per “pain and suffering, loss of amenity, phisical inconveniente and discomfort, social discredit and mental distress”, così, in qualche modo, introducendo una parziale compensazione, in questi casi, per la riduzione dell’importo materialmente incassato dal cliente, in caso di pagamento a percentuale.

Un’importante modifica viene poi introdotta anche in materia di soccombenza, attraverso la previsione di ipotesi in cui l’attore, anche quando sia soccombente, non può essere mai condannato al pagamento delle spese, il cd Qualified One-Way Cost Shifting (QUOCS), anche se l’innovazione è per ora limitata alle ipotesi di cause di risarcimento per lesioni personali, e non vale se il convenuto ha proposto un’offerta secondo il meccanismo della Part 36 che si è poi rivelata, anche corretta, anche se in tal caso la condanna alle spese non potrà eccedere l’importo del risarcimento.

Ugualmente, il meccanismo del QUOCS non si applicherà nell’ipotesi in cui la domanda sia stata oggetto di strike out o sia stata ritenuta “fundamentally dishonest”.

Conclusioni

La riforma Jackson, come ho detto, non esaurisce tutte le proposte contenute nel Final Report, e molto probabilmente altre modifiche verranno introdotte nel prossimo futuro, in particolare nel campo dell’appello.

Come in altre occasioni, le nuove norme si presentano prevalentemente, a parte i QUOCS, come perfezionamenti di sviluppi già in parte presenti nella giurisprudenza, ma appaiono ugualmente di notevole rilievo pratico, incrementando, nel terreno procedurale, il potere discrezionale dei Giudici, e la flessibilità del rito, per adattarlo alle caratteristiche del caso concreto.

Forse, se devo esprimere una valutazione conclusiva di carattere comparatistico, metterei l’accento proprio su quest’ultima caratteristica, vale a dire la preferenza per un sistema imperniato su un rito unico, o un numero molto limitato di riti, anziché di una molteplicità di riti, ma con la possibilità di maggiore o minore complessità in relazione alle esigenze specifiche della causa.

Per quanto riguarda, invece, la regolamentazione delle spese di giudizio, la riforma potrà certamente attenuare, ma non risolvere, il problema degli alti costi del processo, per le cause di valore medio-basso, in particolare su quella sproporzione tra spese e valore della causa che ne rappresenta l’aspetto più critico.

Ma non si può che apprezzare la capacità dei giudici inglesi di porsi alla guida di un processo riformatore e modernizzatore indispensabile ad affrontare i cambiamenti e le nuove esigenze poste da una società in continua trasformazione.

 

31/05/2014
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