Magistratura democratica
Prassi e orientamenti

Standard, carichi esigibili, carichi sostenibili: discussione infinita o indicazioni di lavoro concrete?

di Claudio Castelli
Presidente aggiunto sezione GIP GUP Tribunale di Milano
Misurare il lavoro giudiziario è necessario e possibile, per consentire a ogni ufficio di capire a quali livelli di servizio è in grado di dare soddisfazione e a ogni magistrato per capire qualità e quantità del proprio ruolo

1. Misurare il lavoro giudiziario è necessario e possibile

Misurare il lavoro giudiziario è necessario e impellente. È necessario per consentire un'adeguata distribuzione delle risorse, in primis degli organici e delle presenze di magistrati e personale. È necessario per ogni ufficio per capire a quali livelli di servizio è in grado di dare soddisfazione e con quali tempi. È necessario al singolo magistrato per capire quantità e qualità del proprio ruolo, per darsi priorità e gestire con tranquillità, consapevolezza e trasparenza il proprio lavoro.

Misurare il lavoro giudiziario è possibile. Già i dati elaborati ogni due anni dal Cepej e le statistiche ministeriali forniscono preziose indicazioni, anche se sappiamo i limiti che spesso le rendono solo parzialmente affidabili. Da un lato la mancata omogeneità dei parametri di registrazione (in particolare per gli affari civili non contenziosi e per le notizie di reato) e di rilevazione (per l'intero settore penale per cui ancora non si ha il datawarehouse), dall'altro l'assenza di una qualsiasi pesatura e ponderazione dei fascicoli. Si tratta comunque di problemi che con successivi processi di affinamento sarà possibile gradualmente superare. A breve avremo l'unificazione dei registri penali e quindi il datawarehouse anche in questo settore, poi si potrebbe procedere sia a individuare criteri univoci di registrazione per gli affari non contenziosi (ad esempio le asseverazione di perizie e traduzioni), sia a bonificare i registri relativi a imputati noti (modello 21) da tutte le iscrizioni di persone non identificate (fenomeno molto diffuso che altera qualsiasi comparazione del dato) ed infine a ponderare gli affari seriali, quali le cause previdenziali (già nel passato valutate 1/3 dal Ministero sul carico complessivo), ovvero a dare un coefficiente moltiplicatore a processi notoriamente più impegnativi e complessi come quelli con competenza distrettuale ( tribunale delle imprese nel civile, DDA e tribunale del riesame nel penale). Il fatto che l'attività giudiziaria non si possa misurare è semplicemente falso, anche se è evidente che si tratta di successive approssimazioni con cui possiamo operare con l'intento e la speranza di avvicinarci il più possibile alla fotografia della realtà.

Misurarla consentirebbe anche di porre rimedio alla totale assurdità delle configurazioni degli organici che sembra rispondere più a sedimentazioni storiche e a ragioni casuali che a qualsiasi parametro razionale; non solo non vi è un chiaro rapporto con gli affari sopravvenuti, ma del tutto irrazionali ed apparentemente inspiegabili sono i rapporti numerici anche tra organici di magistrati e personale amministrativo (che oscillano tra i 2,52 ed i 6,60) e tra P.M. e giudici (dall’1,83 ai 3,43).

 

1. Standard e carichi esigibili.

Da queste necessità oggettive nascono i diversi interventi legislativi e le diverse proposte che trattano il tema e che hanno dato vita ad un vivace, e a tratti aspro, dibattito dentro e fuori dalla magistratura. A livello normativo abbiamo due disposizioni:

  • l’art. 11 D. leg. n.160/2006 (modificato dalla L.n.111/2007) che introduce, come elemento accessorio (“tenuto anche conto”), nella valutazione della laboriosità, gli standard di rendimento, individuati dal Consiglio Superiore della Magistratura in relazione agli specifici settori di attività e alle specializzazioni;
  • l’art 37 L.n.111/2011 che parla dei carichi esigibili del singolo magistrato in rapporto agli obiettivi di rendimento dell’ufficio finalizzato al recupero dell’arretrato e alla riduzione della durata dei procedimenti.

Gli uni e gli altri sono strumenti organizzativi molto simili e al di là del nome e delle polemiche che li hanno circondati il vero problema è quello di determinarli in concreto.

Gli standard volevano semplicemente essere l’indicazione di un parametro, articolato per tipologia di attività ed ufficio, per poter dare una valutazione consapevole della produttività del singolo, anche al fine di evitare quelle valutazioni, che per anni sono state dominanti, secondo cui tutti (o quasi) i magistrati avevano una produttività superiore alla media.

I carichi esigibili, nella versione di cui all’art 37, venivano invece ad essere la soglia fino a cui poteva spingersi il dirigente dell’ufficio per “sfruttare” i magistrati onde ridurre l’arretrato.

Questa versione dei carichi esigibili, che sono in realtà dei carichi pretesi - l’unica oggi recepita normativamente - è comunque molto diversa dalla vulgata esistente: in realtà per carichi esigibili si intendono diversi concetti a volte confusi:

- ci sono appunto carichi esigibili massimi, come quelli delineati dall’art 37, e minimi, ovvero il minimo che si può pretendere da un magistrato, sotto il cui livello non si può avere una sufficiente professionalità;

- carichi esigibili intesi come limite nel carico di procedimenti assegnati (in input) e intesi, invece come numero limite di sentenze o meglio di procedimenti definiti (in output).

La logica dei carichi esigibili minimi in particolare è meramente difensiva del singolo magistrato e vorrebbe, nelle intenzioni, tutelarlo da valutazioni negative o non positive di professionalità qualora comunque raggiunga la soglia minima prefissata. Intenzione che, in epoca in cui il magistrato è, e ancora più si sente, esposto a forme di responsabilità disciplinare o civile, vorrebbe creare un argine, prima ancora che per un istinto corporativo, per dare serenità e sicurezza al magistrato.

Intenzione del tutto apprezzabile, ma che è davvero opinabile si possa raggiungere con l’indicazione di carichi minimi esigibili: infatti, da un lato, a livello puramente numerico il carico esigibile corrisponderebbe come fine agli standard ed il problema sarebbe allora come arrivare a determinarli; mentre dall’altro il carico esigibile funzionerebbe in difesa da azioni civili o disciplinari comunque solo indirettamente, perché non inciderebbe sui ritardi nei depositi dei provvedimenti o su singoli errori derivanti da negligenza inescusabile.

In effetti, quindi, nella logica del carico esigibile minimo, si preserva il singolo, diminuendo la quantità per assicurare la qualità.

E la prima obiezione che viene da fare è se in una situazione come l’attuale in cui la fortissima domanda della società e dell’economia è di una giustizia in tempi ragionevoli, che complessivamente non riusciamo ad assicurare, sia percorribile questa strada meramente difensiva e fondata sul singolo magistrato, che porta a ulteriori incrementi di durata.

Si tratta comunque di un tipo di approccio datato ed in fin dei conti perdente: quantità vs qualità, singolo magistrato vs ufficio.

Un approccio che ancora una volta pensa che l’ufficio sia la mera sommatoria dei singoli magistrati visti come monadi e non la complessa risultante di plurimi fattori di cui il magistrato e le sue modalità di lavoro sono una componente fondamentale, ma non esclusiva, e che ritiene che la resa di un ufficio debba dipendere da quanto si ha capacità di stressare magistrati e personale, ottenendo da loro sempre più lavoro.

Approccio che va detto è anche pericoloso: la determinazione di un carico esigibile minimo automaticamente viene a condannare tutti coloro che si attestano sotto tale cifra, denunciandoli come negligenti ipso facto.

Alla fine, al di là dell’impatto sui singoli, le proposte forti che ne uscirebbero per gli uffici sono quelle di aumentare gli organici dei magistrati con un’ottica meramente quantitativa, che già nel passato si è dimostrata perdente (siamo passati dai 7202 del 1973 ai 10151 teorici odierni), o ancora quella di farsi retribuire i procedimenti in eccesso rispetto alla soglia dei carichi esigibili, con una chiara mutazione della funzione e del ruolo del magistrato ordinario.

 

2. Quantità e qualità degli affari giudiziari: un’antinomia irrisolvibile ?

Bisogna invece vedere se è possibile spezzare quest’antinomia tra quantità degli affari e qualità del prodotto che oggi sembra decisiva. Un’eccessiva quantità, sia di procedimenti in carico che definiti, fa perdere qualità, ma alla fine porta a riverberarsi anche sulla quantità, in termini di più impugnazioni, più riforme di sentenze, più procedimenti che tornano al grado precedente, più domanda in assenza di determinazioni certe e giuridicamente forti.

Per questo se la produttività di un ufficio e di un singolo magistrato è importante, cedere ad un fordismo senza qualità che cerca ogni anno, a risorse date, di aumentare la resa unicamente alzando l’asticella è del tutto sbagliato e alla lunga ha effetti controproducenti sulla stessa resa del servizio. Un buon dirigente dovrebbe preoccuparsi se, a risorse identiche e a modelli organizzativi stabili, continua ad avere incrementi di definizioni: dovrà andare a vedere se sta perdendo qualità, in che termini e che rimedi sono adottabili.

Se quindi è necessario cercare di coniugare qualità e quantità, nello stesso tempo occorre capire quali sono i fattori che determinano la capacità lavorativa e la produttività di un ufficio e di un singolo.

 

3. Variabili organizzative e carichi esigibili.

Il censimento ministeriale e una prima analisi delle performance dei diversi uffici, pur da prendere con inevitabile cautela, ci fornisce preziose indicazioni e sfata alcuni luoghi comuni.

Innanzitutto il dato nazionale sia relativo alle sopravvenienze, sia relativo alle definizioni è estremamente divaricato con una forbice che va circa da uno a sei sia nel settore civile che in quello penale (vedi allegate Tabelle 1 e 2).

Inoltre risulta con chiarezza che non vi è un rapporto né tra gli uffici che introitano più affari e quelli che ne definiscono di più, né di entrambi i dati con la durata dei procedimenti nell’ufficio secondo la formula della giacenza media. Anzi: i dati che emergono dalle tabelle sono davvero clamorosi, escludendo ogni rapporto tra carico di lavoro in entrata ed in uscita e i tempi dell’ufficio.

Le variabili che incidono sono molteplici ed anche uno dei fattori maggiormente rilevanti, ovvero gli organici e la loro copertura, non è determinante (vedi allegata Tabella 3).

L’estrema differenza dei dati conferma che la resa di un ufficio giudiziario non è la somma dell’impegno di tanti singoli magistrati e addetti, quasi fossero cellule autonome, ma la capacità di combinare diversi fattori (personali, materiali e tecnologici) con specializzazioni, uffici centralizzati, canalizzazioni per affrontare affari seriali o con identiche tipologie di trattazione. A seconda del contesto, dei flussi e della capacità di leggerli e di intervenire sugli stessi, i singoli magistrati (e non solo) avranno carichi e prospettive di lavoro radicalmente diverse.

Gli organici e la presenza effettiva di magistrati e personale amministrativo sono uno dei fattori fondamentali, ma non il solo. Contano anche il contesto territoriale, le interrelazioni degli uffici tra di loro, con l’avvocatura e con enti esterni, la leadership, le specializzazioni, i modelli organizzativi.

Questi fattori spiegano le differenze sia nelle sopravvenienze che nelle definizioni, oltre che le diverse performance di uffici in situazioni simili che a volte operano in contesti analoghi a pochi chilometri di distanza.

Per questo adottare il carico esigibile come numero fisso elaborato a livello nazionale pare prima ancora che inadeguato alle nostre realtà, ben poco realistico e possibile.

Basti pensare che dai dati ministeriali risulta un numero di procedimenti iscritti per magistrato da 311 a 1487 nel settore civile dei Tribunali, da 179 a 1004 nel settore penale; e di procedimenti definiti che variano da 272 a 1450 per magistrato nel settore civile dei Tribunali e nel settore penale da 158 a 1369 per ogni magistrato.

Anche se si adottasse la media degli uffici, pure operando una riduzione del 20 % (ovvero 809 – 20 % = 647,2 nel civile e 494 – 20 % = 395,2 nel penale), sarebbero comunque sotto soglia 26 uffici nel civile e 28 nel penale.

A meno che l’idea di fondo sia quella di prendere i numeri più bassi in assoluto e far coincidere i numeri minimi con i carichi esigibili minimi, operazione al ribasso che non sarebbe in alcun modo giustificabile e presentabile.

Se questi numeri venissero presi come base per rideterminare il fabbisogno di magistrati si arriverebbe a richieste di aumenti di organico del tutto spropositate e irrealistiche (che a seconda dei parametri che si prendono porterebbero ad aumentare da un quarto al raddoppio degli attuali organici di magistrati e personale).

L’idea viene mutuata dalla giustizia amministrativa dove è noto che il Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa nella seduta del 18 dicembre 2003 elaborava i seguenti carichi di lavoro uniformi sul piano nazionale: numero complessivo di fascicoli a testa tra i 9 ed i 12 (esclusi i ricorsi identici nei motivi e nelle condizioni, quelli connessi, di ottemperanza e di esecuzione), 2 udienze al mese, almeno 80 sentenze l’anno. Sistema possibile per l’omogeneità delle materie e che comunque crea un costante e continuo arretrato che poi i giudici amministrativi si fanno pagare a parte utilizzando un apposito fondo del Comitato di Presidenza della Giustizia Amministrativa (e quindi interno). Sistema che so bene che a molti piace, ma che, da un lato, non è esportabile nella magistratura ordinaria per l’estrema diversità delle tipologie di affari e di contenzioso, e, dall’altro, non mi sembra né esemplare, né commendevole.

Con ciò ci rendiamo conto che se vogliamo giungere ad indicatori realistici non possiamo pensare ad un numero secco, ma a numeri diversificati che debbono tenere conto delle realtà territoriali, delle specializzazione delle diverse sezioni (per esperienza so che a Milano tra una sezione civile e l’altra, tutte encomiabilmente produttive, vi è una differenza che va da 1 a 10 come numero di procedimenti introitati e definiti, per la loro stessa differente complessità), delle modalità organizzative, del supporto dato al giudice.

Del resto già in uno dei primi lavori che aveva ad oggetto il carico sostenibile e esigibile di lavoro per il P.M: (Quercia – Bretone) giustamente venivano introdotte una serie di variabili con cui si cercava di affinare il dato (sede DDA, non capoluogo di provincia, a seconda del numero di collaboratori di P.G., pool specializzato, applicazioni alla DDA) .

Non solo: va superata l’ottica secondo cui il lavoro del singolo magistrato è semplicemente il carico complessivo diviso per il numero dei magistrati, senza tener conto di fattori determinanti per la resa di un ufficio e per lo stesso carico del singolo magistrato, quale, l’esistenza di uffici centralizzati, le specializzazioni, la serialità nella trattazione di affari, i modelli organizzativi.

Pensare che tutto si risolva solo aumentando le risorse è semplicemente sbagliato; se non governato e basato su progetti razionali non facciamo altro che perpetuare una continua rincorsa: all’aumento di magistrati che sembra autorizzare procedure sempre più complicate con correlato un aumento della domanda che poi si riversa sui giudici togati cui a sua volta si tende a rispondere con nuovi aumenti di organico. Trascurando che questi aumenti, anche quando disposti, restano per anni sulla carta, che il nostro paese riesce a produrre un numero limitato di laureati di eccellenza che superano un concorso necessariamente selettivo, che il rischio di reclutamenti straordinari e di una dequalificazione della funzione è sempre dietro l’angolo.

Piaccia o no, l’organizzazione è comunque fondamentale, anche laddove non c’è: ci sono uffici bene organizzati che riescono a far fronte anche a significative carenze di risorse ed altri che sono buchi neri in cui qualsiasi apporto viene perduto.

 

4. Una prospettiva realistica e feconda che parte dall’art 37 per individuare i carichi compatibili.

Ma proprio questa analisi convince che i carichi esigibili introdotti dall’art 37 potrebbero essere fondamentali per:

  • delineare ufficio per ufficio, sezione per sezione, dei carichi compatibili con la qualità;
  • consentire una comparazione tra sezioni e uffici omogenei;
  • individuare, sempre ufficio per ufficio, gli obiettivi possibili a risorse esistenti e le risorse necessarie per perseguire obiettivi più avanzati.

La procedura partecipata già prevista per l’elaborazione del documento di gestione è già una garanzia; ma a differenza di oggi il documento di gestione dovrebbe articolarsi in semplici schede facilmente leggibili con pochi dati essenziali, che come tali potrebbero essere classificate e comparate, potendo così servire sia per dare un chiaro riferimento trasparente ai singoli, sia per elaborare un quadro nazionale realistico, sia per far emergere le richieste e necessità dei vari uffici su cui mettere in mora i diversi enti responsabili, a partire dal Ministero della Giustizia.

I dati e la proposta di carichi dovrebbe inevitabilmente basarsi sulle medie storiche adattate al contesto territoriale e organizzativo, con la creazione di fasce di sostenibilità, dando da un lato il quadro ottenibile a risorse date ed esistenti e dall’altro un progetto di riduzione dei tempi, di abbattimento dell’arretrato e/o miglioramento della qualità se venissero date nuove risorse specificamente richieste.

Il quadro generale che ne uscirebbe da un lato sarebbe un formidabile aiuto per rivedere e ridistribuire in termini razionali organici e risorse, dall’altro consentirebbe una seria comparazione tra le esigenze dei diversi uffici ed infine sarebbe una formidabile messa in mora per chi queste risorse è chiamato a fornire, in primis Governo e Ministero della Giustizia.

D’altro canto sarebbe un’indicazione preziosissima per il singolo magistrato che non solo in questo modo potrebbe avere un quadro generale e trasparente dell’attività propria e dell’intero ufficio, ma attraverso l’indicazione di una fascia numerica indicativa dei carichi esigibili della sua sezione e del suo ruolo potrebbe sapere sia il quadro del proprio lavoro, sia gli obiettivi adottati dall’ufficio.

Il tempo delle discussioni è finito. Si tratta di mettere mano ad un progetto che nel contempo può dare una seria prospettiva di miglioramento agli uffici giudiziari e garantire i singoli magistrati.

 

 

TABELLA 1

PROCEDIMENTI ISCRITTI E DEFINITI PER MAGISTRATO NEL SETTORE CIVILE
CARICHI PIU’ BASSI ISCRITTI E DEFINITI /GIACENZA MEDIA IN GIORNI (E GRADUATORIA)CARICHI PIU’ ALTI ISCRITTI E DEFINITI / GIACENZA MEDIA IN GIORNI (E GRADUATORIA)
CALTANISSETTA 311 272 366 (77°) TIVOLI 1487 1383 433 (88°)
PALMI 372 347 706 (124°) TREVISO 1313 1272 226 (32°)
NUORO 399 343 495 (101°) PESARO 1180 1160 220 (25°)
LANUSEI 399 434 365 (76°) MANTOVA 1163 1111 128 (3°)
ENNA 431 467 579 (116°) VERONA 1156 1130 215 (25°)
ORISTANO 452 443 537 (109°) PADOVA 1150 1168 288 (53°)
REGGIO CALABRIA 457 411 613 (120°) ANCONA 1141 1126 224 (28°)
LAGONEGRO 475 474 814 (132°) TRANI 1118 1104 462 (94°)
GELA 479 535 464 (95°) VICENZA 1105 1065 343 (70°)
NAPOLI* 508 526 491 (100°) LECCE 1102 1158 478 (99°)

*include Napoli Nord

 

 

TABELLA 2

PROCEDIMENTI ISCRITTI E DEFINITI PER MAGISTRATO NEL SETTORE PENALE
CARICHI PIU’ BASSI ISCRITTI E DEFINITI/ GIACENZA MEDIA IN GIORNI (E GRADUATORIA)CARICHI PIU’ ALTI ISCRITTI E DEFINITI / GIACENZA MEDIA IN GIORNI (E GRADUATORIA)
CALTANISSETTA 179 221 320 (65°) CIVITAVECCHIA 1004 1045 449 (104°)
SPOLETO 189 158 926 (134°) LARINO 999 924 298 (58°)
LOCRI 225 213 446 (102°) NOVARA 996 846 319 (64°)
GELA 252 220 302 (59°) FORLI’ 987 876 228 (37°)
ROMA 264 291 357 (79°) PESCARA 986 734 404 (94°)
REGGIO CALABRIA 267 240 815 (128°) BRESCIA 966 863 135 (9°)
PALMI 286 273 512 (110°) PRATO 960 750 309 (61°)
LAGONEGRO 290 336 677 (123°) TERAMO 950 1369 199 (28°)
NAPOLI* 303 292 370 (82°) RIMINI 945 796 320 (66°)
PALERMO 341 324 420 (97°) PERUGIA 909 766 685 (124°)

 

 

TABELLA 3

PERFORMANCE TRIBUNALI CON MAGGIORI SCOPERTURE DI ORGANICO PERSONALE
SEDI% SCOPERTURA PERSONALEORDINE GIACENZA MEDIA PROCESSI CIVILIORDINE GIACENZA MEDIA PROCESSI PENALI
BUSTO ARSIZIO 42,7 73°
BOLZANO 42,1 19°
PAVIA 38,9 43° 118°
LARINO 38,5 67° 58°
LODI 34,8 19° 103°
PERUGIA 31,2 85° 124°
S. MARIA CAPUA VETERE 29,5 113° 137°
IVREA 29,3 14° 40°
VERCELLI 29,0 31° 62°
NAPOLI* 27,6 100° 82°

*Incluso Napoli Nord

 

 

PERFORMANCE TRIBUNALI CON MAGGIORI SCOPERTURE DI ORGANICO MAGISTRATI
SEDI% SCOPERTURA MAGISTRATI*ORDINE GIACENZA MEDIA PROCESSI CIVILIORDINE GIACENZA MEDIA PROCESSI PENALI
SULMONA 60,0 57° 83°
FERMO 53,6 69° 87°
LANUSEI 53,8 76° 121°
PATTI 42,1 136° 135°
LAGONEGRO 42,1 132° 123°
VICENZA 41,7 70° 63°
SCIACCA 40,0 66° 76°
VARESE 39,1 44° 120°
NUORO 37,5 101° 93°
CUNEO 37,0 44°

*Il dato più attendibile, allo stato non disponibile, dovrebbe essere la scopertura media in un certo numero di anni limitandosi l’attuale dato, la cui attendibilità è quindi parziale, a fotografare la situazione alla data del 30 giugno 2013.

24/06/2015
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24/06/2015