Magistratura democratica

Il giudice di merito e la Corte di cassazione:
alla ricerca della nomofilachia perduta

di Bruna Rizzardi

Di cosa ha bisogno il giudice di merito quando si confronta con le decisioni della Corte di cassazione? È sufficiente avere a disposizione una vastissima mole di materiale giurisprudenziale, o serve altro?

Un tentativo di visione dalle retrovie della funzione nomofilattica della Cassazione.

1. Il giudice di merito rischia costantemente di avere una visione “strabica” nel processo: guarda contemporaneamente davanti a sé – a quello che accade nello sviluppo processuale – ma non può impedirsi di guardare in alto, e cioè a come, le proprie decisioni, verranno valutate nei gradi superiori.

Al di là delle visioni plastiche, l’essere inseriti in un sistema che conduce – alla fine – ad un confronto con le decisioni della Cassazione, fa procedere per verifiche continue, posto che (quasi) ogni decisione dà potenzialmente voce ad un “precedente”: rendersi conto di essere parte di un sistema così strutturato, non può che far vedere – dal basso – la Cassazione come vertice che deve dare fisiologicamente indirizzi, possibilmente coerenti.

Far parte di un sistema, condividere regole e prassi significa lavorare per la sua coerenza, per l’omogeneità, nella consapevolezza che questo avvicina il più possibile ad un ideale di “prevedibilità” delle decisioni, inteso come sforzo massimo possibile di dare risposte di giustizia uguali per tutti.

Nomofilachia, dunque: niente di nuovo, ma è innegabile che, nell’ottica del giudice di merito, questa funzione della Cassazione continua a rappresentare un dato imprescindibile, ed è con questa visione che nella prassi quotidiana il giudice si confronta con “il precedente”.

 

 

2. Ed è a questo punto che i (veri) nodi vengono al pettine.

Un giudice di merito di lungo corso non può che constatare come lo spazio delle decisioni della Cassazione nel lavoro quotidiano sia cresciuto esponenzialmente: da un moderato uso delle banche dati (Italgiure in primis), si è passati negli anni ad una diffusione sempre più rapida delle decisioni (massimate o no), tanto che l’aggiornamento sull’“ultima” giurisprudenza viene servito praticamente a domicilio, considerata l’opera di informazione continua recapitata direttamente via mail dalle varie formazioni decentrate, dai dibattiti sulle liste, dalle riviste online.

La possibilità di confronto immediato attraverso gli strumenti informatici è un dato ovviamente positivo: la circolazione di decisioni, lo scambio di informazioni, ragionamenti, casistiche è una preziosissima risorsa che colma distanze (anche geografiche) e riequilibra posizioni; nel flusso di informazioni “verticali” (dalla Cassazione) si inseriscono quelle “orizzontali” – ossia lo scambio tra giudici di merito sulle proprie decisioni – con il risultato che ogni giudicante ha, in caso di bisogno, una vastissima mole di dati ai quali attingere in caso di necessità.

Ciò che caratterizza questa situazione non è soltanto la quantità dei dati a disposizione, ma la conoscenza quasi in tempo reale delle decisioni della Corte, arricchite – in tempi altrettanto rapidi – da commenti, note e dibattiti.

Come si muove il giudice di merito in questo panorama, che presenta – ed è inevitabile – contraddizioni, aporie, contrasti? Come guarda – come si diceva in premessa – verso l’alto, soprattutto se dall’alto la ricchezza degli stimoli è costantemente accompagnata dalla loro direzione spesso non univoca?

Nomofilachia, questa sconosciuta?

Viene da pensare che più il panorama è complesso, più ricca è la mole dei dati, e più facile è la tentazione di limitarsi a “cercare”: il materiale giurisprudenziale (intendendo con ciò la produzione della Cassazione arricchita da note, commenti e dibattiti) rappresenta una sorta di ghiotta offerta del mercato, nella quale muoversi alla ricerca di “ciò che serve”.

Cercare tra i precedenti è un po’ una prassi quotidiana: è normale che il giudice di merito davanti ad una questione interpretativa di norme, sostanziali o processuali, magari partendo da un propria visione della questione, “cerchi” un precedente che la supporti.

Ed all’interno dell’offerta – come si diceva – c’è solo l’imbarazzo della scelta: si troverà più o meno qualsiasi cosa (specie se si parte da un pre-giudizio), e spesso ci si troverà a scegliere in base ai criteri più disparati (l’ultima Cassazione, l’indirizzo maggiormente consolidato, una vecchia giurisprudenza tornata in auge, una rivisitazione alla luce della penultima decisione ...).

Il giudice di merito rischia così di diventare un mero fruitore passivo di decisioni altrui, alle quali non “partecipa”; rischia di diventare cioè un mero consumatore di massime, un passivo esecutore di un’operazione matematica già tutta impostata dalla Cassazione.

In uno schema del genere le decisioni della Cassazione potranno anche aiutare il singolo giudice, ma non credo che aiutino il sistema.

 

 

3. Vorrei invece provare ad affrontare la situazione rovesciando la prospettiva e tornando, contemporaneamente, a guardare al “sistema” nel suo complesso.

Essere inseriti in un sistema significa, anzitutto, partecipare alla sua vita ed al suo evolversi, significa far tesoro delle diversità, partendo da ciò che c’è dietro di esse, ossia il ragionamento che ha condotto ad una decisione.

Nel leggere, a volte, sentenze di Cassazione che sono basate su lunghi “elenchi” di precedenti conformi, quello che sfugge è proprio il senso della decisione, la comprensione del “perché” di quella decisione, che non sia un mero rimando a quanto già deciso; così facendo si ricade nell’operazione matematica, nel “prodotto” autoreferenziale, servito al giudice di merito/consumatore.

Decidere, per il giudice, significa invece poter ragionare contando sulla conoscenza dello “stato dell’arte”; e per fare questo ha bisogno di avere davanti a sé decisioni della Cassazione che diano conto del dibattito in corso, di quali siano gli argomenti in discussione, di come si arrivi ad una od all’altra interpretazione: il giudice deve potersi muovere ragionando in un percorso riconoscibile, che consenta scelte argomentate.

Con questo approccio, “scegliere” per il giudice di merito non è più un’operazione passiva, perché la sua decisione si inserisce in una corrente che procede a due sensi: vista dall’opposta prospettiva, ossia dal punto di vista della Cassazione, una decisione del giudice di merito potrebbe a sua volta diventare un elemento propulsivo, fornendo un contributo vero (non un numero da inserire in una lista), proprio perché si inserisce in un dibattito e non lo subisce.

In questa ottica, il tempo diventa una risorsa preziosa: ci vuole tempo per ragionare ma anche spazio per argomentare in termini non omogenei, procedendo per tentativi; bisogna lasciare, insomma, al giudice di merito la possibilità di collocare la propria decisione in un terreno da coltivare, fino a quando le argomentazioni conducano – allora sì – alla condivisione diffusa e finiscano per formare  “giurisprudenze” (al plurale), e, infine, a decisioni della Cassazione che rappresentino veramente il prodotto di un sistema.

In quest’ottica, paradossalmente, la coesistenza di interpretazioni non uniformi non rappresenta un dato negativo, di incertezza, ma una possibilità, e, plasticamente, un “momento” utile: purché, cioè, le decisioni rappresentino la propria “storia”, la propria origine, esse saranno sempre fattori propulsivi, perché genereranno sempre decisioni a loro volta dinamiche e non mere passive ricezioni di indirizzi.

Certo, nella dinamica del sistema, se un indirizzo non diventa, nel tempo, quello maggiormente condiviso e permane il contrasto, la risposta sono le Sezioni Unite, ma la maggiore “tolleranza” – per così dire – nel tempo delle interpretazioni difformi e l’apporto a due sensi – nei termini sopra descritti – alla creazione degli indirizzi a contrasto farebbe diventare l’intervento delle Sezioni Unite quello che dovrebbe essere, ossia un punto fermo, autorevole e nodale al termine di una elaborazione completa di indirizzi contrastanti.

È invece frequente il ricorso prematuro alle Sezioni Unite, come risposta immediata all’insorgere dei contrasti, in un malinteso senso della nomofilachia, più vicino alla censura che alla tensione all’interpretazione uniforme del diritto: così le Sezioni Unite liberano dalla paura delle interpretazioni non uniformi, ma lo fanno inibendo la progressiva emersione dei problemi.

È emblematico, in questo senso, constatare quante decisioni di rimessione alle Sezioni Unite siano intervenute, negli ultimi due/tre anni di intensa produzione legislativa (sostanziale e processuale) praticamente a ridosso delle “prime” interpretazioni delle nuove norme[1]; non si comprende francamente perché aver fretta di dirimere subito questioni interpretative, senza nemmeno dar tempo di maturare riflessioni ed argomenti, come – appunto – voler scongiurare sul nascere (nel senso letterale, ossia  dalla nascita delle prime interpretazioni di una norma) il formarsi di giurisprudenze contrastanti, quasi identificando questo come  il vero problema del sistema.

 

 

4. Traendo delle conclusioni, mi pare di poter affermare che tutti noi, parti del sistema, condividiamo l’essenzialità della funzione nomofilattica della Cassazione; bisogna però capire quale sia il modo più efficace e proficuo – sempre nell’ottica complessiva del sistema – per far arrivare al giudice di merito la risposta ai suoi dubbi: per strada stretta del “catalogo” – agile, forse, sia per la consultazione che per la redazione delle motivazioni – o attraverso la paziente ricostruzione di percorsi, per consentire sviluppi e interazioni a due sensi?

Affrontare e capire un problema non è solo un esercizio intellettuale: certo, può esserlo, ma è, nella prassi, un’operazione funzionale ad una decisione; non bisogna dimenticarsi, però, che decidere – l’essenza del lavoro del giudice – è azione che ha un’origine ed una direzione: da un lato è il risultato di una riflessione, che si “nutre” degli aiuti disponibili (giurisprudenza in tempo reale, condivisioni via mail, commenti, formazioni, incontri), dall’altro si inserisce nel flusso dei dati che compongono il sistema, via via fino – eventualmente – ad una decisione della Cassazione.

Per il giudice di merito, ridurre la decisione alla scelta da un catalogo significa, in prospettiva, inserire un altro prodotto; così facendo si restringe la visione del sistema, e si perde di vista l’importanza che ha, invece, poter far parte di un percorso definito, con un’origine – appunto – ed una direzione: e quel percorso non può che essere tracciato dalla Cassazione, ossia da chi istituzionalmente è posta al vertice del sistema con questo esatto ruolo.

Nomofilachia, insomma.

[1] La III Sezione della Cassazione rimette alle Sezioni Unite – con tre distinte ordinanze del 7.5.2015 – problemi interpretativi derivanti dalle prime applicazioni dell’art. 131 bis cp (introdotto con d.lgs 16.3.2015 n. 28, entrata in vigore il 2.4.2015), dunque ad un mese di distanza dall’introduzione della norma; la VI sezione rimette alle Sezioni Unite, con decisione del 17.5.2015, questioni relative all’istituto della messa alla prova, introdotto con L  n. 68 del 28.4.2014, entrata in vigore il 17.5.2014.