Magistratura democratica

Il nuovo assetto del giudizio civile di cassazione nel dialogo tra aspettative di maggiore efficienza e garanzia di effettività delle tutele

di Andrea Pasqualin

L’Autore esamina il protocollo tra Suprema corte e Consiglio nazionale forense relativo alla redazione dei ricorsi (17 dicembre 2015), il decreto del Primo Presidente sulla motivazione dei provvedimenti civili (14 settembre 2016), la legge 197 del 2016 e il protocollo tra Corte di cassazione, Consiglio nazionale forense e Avvocatura generale dello Stato sull’applicazione del rito di cui a tale legge (15 dicembre 2016), secondo la prospettiva del rapporto tra aspettative di maggiore efficienza e garanzia dell’effettività della tutela dei diritti, in funzione del loro equilibrato contemperamento quale connotato essenziale della giurisdizione.

Premessa

La sofferenza del giudizio civile di cassazione, dovuta ai numeri davvero imponenti del contenzioso che la Corte si trova a gestire, è ben testimoniata dai ripetuti interventi sul suo assetto succedutisi a partire dalla riforma di cui al d.lgs n. 40 del 2006.

Ad essa sono infatti seguiti, a cadenza curiosamente triennale, la legge n. 69 del 2009, che ha introdotto l’art. 360 bis cpc e ufficializzato la Sezione filtro di cui all’art. 376, al contempo eliminando il quesito di diritto, e il dl. n. 83 del 2012, che ha riscritto il n. 5 dell’art. 360, nella sostanza azzerando il controllo della motivazione.

A distanza di ulteriori tre anni, nel 2015, e nel volgere di dodici mesi, si sono poi avuti il protocollo tra Suprema corte e Consiglio nazionale forense relativo alla redazione dei ricorsi (17 dicembre 2015), il decreto del Primo presidente sulla motivazione dei provvedimenti civili (14 settembre 2016), la legge n. 197 del 2016 e il protocollo tra Corte di cassazione, Consiglio nazionale forense e Avvocatura generale dello Stato sull’applicazione del rito di cui a tale legge (15 dicembre 2016).

Gli ultimi quattro interventi, quelli più recenti, meritano una breve riflessione, condotta con la lente di lettura del rapporto tra aspettative di maggiore efficienza e garanzia dell’effettività della tutela dei diritti, valori il cui equilibrato contemperamento rappresenta connotato essenziale della giurisdizione.

1. Il protocollo sulla redazione dei ricorsi

Il protocollo del 2015[1] nasce dall’esigenza, manifestata dalla Corte, di una comune riflessione sul tema della sinteticità e della chiarezza degli atti di parte, determinata dalla difficoltà nella gestione dei procedimenti per il «moltiplicarsi di ricorsi, controricorsi e memorie sovradimensionati nell’esposizione di motivi ed argomentazioni», come si legge nelle premesse del documento.

È stata l’occasione per un franco e aperto confronto, da subito esteso al tema dell’autosufficienza, attesa l’evidenza dello stretto legame tra le modalità di costruzione di un ricorso e tale delicato tema, le cui declinazioni applicative, non sempre univoche e non di rado ispirate ad un marcato rigore formale, hanno rappresentato la vera ragione di scritti difensivi estesi oltre il necessario.

Qui non si vuole entrare nel merito delle conclusioni alla fine raggiunte, ormai ben note, ma sottolineare come la collaborazione tra magistratura e avvocatura e la condivisione di determinazioni operative possano rappresentare uno strumento di miglioramento del funzionamento della giurisdizione al contempo valido e, proprio perché proveniente da entrambi, rispettoso del necessario equilibrio tra efficienza ed effettività di cui sopra.

Sinteticità e chiarezza sono valori di importanza primaria in un contesto di scarsità di risorse e richiamano la responsabilità degli operatori al loro rigoroso rispetto.

Da molti si è detto della necessità che essi entrino nell’arsenale professionale di magistrati e avvocati.

In questa direzione si va facendo divulgazione e formazione, anche verso i nuovi aspiranti all’iscrizione nell’albo speciale per le giurisdizioni superiori, l’accesso al quale, come è noto, ora avviene non più per sola anzianità, ma a seguito di superamento di un esame.

Di certo per l’avvocatura abbandonare l’atteggiamento difensivo che ha fatto moltiplicare la dimensioni degli atti, onde non incorrere in censure di inammissibilità per difetto di autosufficienza, potrà essere più agevole nel momento in cui vedrà che le regole del protocollo sul rispetto del principio di autosufficienza troveranno effettiva condivisione ad opera della Corte.

È da ricordare che la relazione del gruppo di lavoro sulla sinteticità degli atti nei giudizi di cassazione, istituito con dm 9 febbraio 2016, è accompagnata da un’ipotesi di modifica normativa che prevede la codificazione delle regole da applicarsi per soddisfare il principio di autosufficienza[2]. Si tratta di modifiche che potrebbero effettivamente semplificare il lavoro di magistrati e avvocati, contribuendo a raggiungere gli auspicati obiettivi di miglioramento dell’efficienza.

2. La legge 197, il decreto del Primo presidente del 14 settembre 2016 e il protocollo del 15 dicembre 2016

Una valutazione diversa deve invece farsi quanto alla riforma del procedimento di cui alla legge n. 197 del 2016.

Non solo per le modalità di approvazione, rappresentate dall’inserimento, in un testo di decreto legge all’esame delle Camere, di un subemendamento sul quale non vi è stata la possibilità di un dibattito, né all’interno del Parlamento, né nella comunità degli operatori e dell’accademia, ma anche per il suo contenuto, che ha profondamente inciso sul tessuto del giudizio di cassazione, spostandone marcatamente gli equilibri.

Come è noto tale legge ha disposto la generale cameralizzazione dei giudizi di cassazione, riservando la trattazione in pubblica udienza ai casi di particolare rilevanza delle questioni di diritto e ai casi di rimessione dalla Sesta sezione che non abbia definito il giudizio.

Va subito detto che non appare del tutto agevole distinguere tra i casi di particolare rilevanza della questione di diritto, che portano alla pubblica udienza, e i casi che presentano una questione di massima di particolare importanza, che conducono invece alle Sezioni Unite (art. 374)[3].

In ogni caso pare da ritenere che la grande maggioranza dei ricorsi – quelli non connotati da particolare rilevanza delle questioni di diritto e comunque da valenza nomofilattica – andrà decisa in Camera di consiglio, con un doppio grado di concentrazione e semplificazione della motivazione, sia per l’utilizzo dell’ordinanza in luogo della sentenza, sia in applicazione dei criteri di redazione dei provvedimenti civili dettati con il decreto del Primo presidente del 14 settembre 2016[4].

Il che appare condivisibile, nell’ottica della promozione del principio di sinteticità e chiarezza di cui si è detto e della rigorosa funzionalità dell’iter argomentativo alla decisione[5], alla condizione peraltro del mantenimento di standards motivazionali che rendano compiuta ragione della decisione assunta e che siano adeguati all’alta funzione che la Corte è chiamata a svolgere.

In questa prospettiva non si dubita che il pur utile ricorso a stringhe motivazionali «per specifiche questioni, processuali o di diritto sostanziale, sulle quali la giurisprudenza della Corte è consolidata» non eluderà le sollecitazioni alla rimeditazione di orientamenti consolidati, ma per il cui ripensamento siano maturati adeguati presupposti (e del resto nel decreto del Primo presidente la previsione dell’utilizzo di tali moduli motivazionali si accompagna all’espressa salvezza dei casi nei quali «il collegio non ritenga di discostarsi motivatamente»).

La legge n. 197 ha poi sostituito, nel procedimento camerale dinanzi alla Sesta sezione (art. 380 bis[6]), la notificazione della relazione illustrativa delle ragioni di inammissibilità o manifesta fondatezza o infondatezza con l’indicazione se sia «stata ravvisata un’ipotesi di inammissibilità, di manifesta infondatezza o di manifesta fondatezza del ricorso» e ha taciuto sulla partecipazione delle parti, mentre l’ha espressamente esclusa nel procedimento camerale dinanzi alla Sezione semplice (art. 380 bis.1) e in quello riservato ai regolamenti di giurisdizione e competenza (art. 380 ter)[7].

Pare dunque da ritenere che dalla sostanziale esclusione dell’udienza pubblica e dalla trattazione camerale non partecipata (qualora sia davvero dato escludere la facoltà delle parti di essere sentite, il che è stato posto in discussione dalla dottrina[8]) il legislatore della legge n. 197 abbia ipotizzato di trarre margini di recupero di efficienza.

Una lettura condotta anche in questo caso con la lente del rapporto tra efficienza ed effettività della tutela pare tuttavia condurre a ritenere che la scelta abbia privilegiato, in modo non sufficientemente ponderato, un’aspettativa di miglioramento della prima a discapito della seconda.

Non si dubita che la Corte sarà capace di applicare la riforma con tutta l’attenzione necessaria alla migliore tutela dei diritti delle parti che si affidano ad essa, tuttavia non si possono non sottolineare alcune considerazioni.

La prima riguarda la circostanza che da anni la Cassazione sta operando con ritmi e carichi di lavoro assai pesanti e non agevolmente compatibili, a parità di forze, con un aumento di produttività che consenta di assicurare gli adeguati standars di qualità richiesti ad una Corte suprema, chiamata a svolgere il controllo di legalità ai sensi dell’art. 111, c. 7, Cost. e dell’art. 65 ord. giud..

E qui torna l’abusata considerazione del rapporto tra domanda di giustizia e forze in campo e del tema delle riforme a costo zero.

Non ritenendosi infatti condivisibile (oltre che compatibile con l’attuale assetto costituzionale) la scelta di una limitazione dell’accesso alla Corte di cassazione (apparendo piuttosto necessario un equo contemperamento tra la tutela dello ius constitutionis, così come ora per lo più inteso, e dello ius litigatoris), occorrerebbe seriamente rivalutare l’opportunità di investire sulla giurisdizione, onde consentirle quell’aumento di efficienza che garantirebbe dei rilevanti ritorni nell’interesse della collettività e del sistema economico e produttivo.

La seconda considerazione riguarda il rapporto di proporzionalità tra l’attesa di un migliore funzionamento della Corte e la compressione dei diritti delle parti conseguente alla sostanziale eliminazione del momento di (eventuale) contraddittorio orale e della relazione di cui al c. 1 del previgente art. 380 bis.

Quanto al dubbio fondamento di una razionale aspettativa di un aumento di produttività occorre aggiungere a ciò che si è detto due ulteriori rilievi.

Il primo concerne il vantaggio rappresentato per la Corte dalla sostanziale eliminazione dell’udienza pubblica e dall’esclusione delle parti dalle adunanze camerali: esso non appare particolarmente rilevante, dal momento che, almeno di regola, la durata delle udienze pubbliche e di quelle camerali era breve (un paio d’ore), anche perché, di norma, le discussioni non erano frequenti e comunque erano contenute.

Il secondo riguarda la relazione nel procedimento camerale della sesta sezione, che di frequente finiva con il costituire la motivazione dell’ordinanza della Corte, con ciò escludendo che l’impegno del relatore si risolvesse in una inutilmente onerosa duplicazione dell’intervento sullo stesso fascicolo.

E del resto quello che prima faceva il relatore a monte dell’adunanza dovrà essere fatto a valle della stessa, talché alla fine il risultato non cambia (se non per quei limitati casi nei quali il Collegio andava di avviso diverso rispetto a quello del relatore).

Se dunque per la Corte le modifiche di cui alla legge n. 197 appaiono tradursi in benefici oggettivamente modesti, non altrettanto può dirsi per le ricadute sull’esercizio delle ragioni difensive.

La sostanziale soppressione della discussione priva infatti della possibilità di contraddire rispetto alla memoria, il che appare particolarmente rilevante per il resistente, che parla per secondo e che potrebbe avere necessità di prendere posizione in ordine alla replica al suo controricorso.

Ma più in generale una possibilità di confronto orale dopo le memorie rappresentava una valvola di sicurezza che integrava in modo del tutto adeguato il contraddittorio tra le parti.

La mera indicazione dell’assunta ricorrenza di una fattispecie di inammissibilità o di manifesta fondatezza o infondatezza, poi, non appare consentire alle parti – e in particolare alla parte che abbia interesse a contraddire sul punto – di avere adeguata conoscenza delle ragioni individuate dal relatore.

All’indomani dell’approvazione della legge il Consiglio nazionale forense ha segnalato alla Corte tali criticità, ottenendone la disponibilità ad una valutazione congiunta delle modalità di applicazione della riforma, nello stesso spirito costruttivo che aveva contrassegnato i lavori preparatori del protocollo del dicembre del 2015 e nella riaffermata consapevolezza dell’importanza della collaborazione istituzionale nell’interesse generale.

È nato così il protocollo del 15 dicembre 2016[9], stipulato anche con l’Avvocatura generale dello Stato, con il quale si sono convenute alcune prassi applicative della riforma.

Si è in primo luogo stabilita, quanto ai ricorsi depositati alla data del 30 ottobre 2016 (data di entrata in vigore della novella) per i quali sia stata o venga successivamente fissata l’adunanza camerale, la possibilità, per l’intimato che non abbia tempestivamente notificato (e depositato) il controricorso, ma che, sulla base della normativa previgente, avrebbe avuto il diritto di partecipare alla discussione, di presentare memoria negli stessi termini previsti per il controricorrente.

Si è precisato che se con questa memoria (che diviene il primo atto difensivo dell’intimato) «vengono sollevate questioni nuove rilevabili d’ufficio, o comunque ne ravvisi l’opportunità, il Collegio, anche su sollecitazione del ricorrente, assegna un termine per osservazioni ai sensi dell’art. 384, 3° comma, cpc».

La previsione convenzionale appare dunque molto opportunamente consentire al ricorrente di segnalare alla Corte la necessità di prendere posizione in ordine a difese nei riguardi delle quali, se fossero state tempestivamente dedotte, avrebbe potuto replicare con la memoria, ovviando, ove necessario, alla situazione di disequilibrio determinata dalla rimessione in termini dell’intimato.

È stata espressamente prevista la possibilità che, nella memoria depositata a norma dell’art. 380 bis.1 o con apposita istanza, le parti possano motivatamente richiedere «che la trattazione avvenga ... in pubblica udienza indicando la questione di diritto di particolare rilevanza che, a loro avviso, giustifica la discussione pubblica».

Si è poi convenuto («tenuto conto dell’esigenza manifestata dall’avvocatura di un’adeguata informazione circa le ragioni dell’avvio del ricorso alla trattazione in adunanza camerale, e contemperata tale esigenza con la necessità di evitare che l’indicazione prevista dall’art. 380 bis cpc si trasformi in una pur sintetica relazione, vanificando la portata innovativa della riforma») che la proposta del relatore, da notificarsi unitamente al decreto di fissazione e al relativo avviso, indichi: (i) quanto alla prognosi di inammissibilità o di improcedibilità, a quale ipotesi si faccia riferimento; (ii) quanto alla prognosi di manifesta fondatezza, quale sia il motivo manifestamente fondato e l’eventuale precedente di riferimento; (iii) quanto alla prognosi di manifesta infondatezza, «i pertinenti precedenti giurisprudenziali di riferimento e le ragioni del giudizio prognostico di infondatezza dei motivi di ricorso, anche mediante una valutazione sintetica e complessiva degli stessi, ove ne ricorrano i presupposti».

Un’adeguata applicazione di tale linea operativa da parte della Corte potrebbe contribuire ad ovviare agli inconvenienti segnalati.

La giurisprudenza del 2017 appare essersi attestata sull’affermazione che la legge n. 197 «non prevede che la “proposta” del relatore di trattazione camerale possa e debba essere motivata, potendo essa contenere sommarie o schematiche indicazioni, ritenute dal presidente meritevoli di segnalazione alle parti, al momento della trasmissione del decreto di fissazione della Camera di consiglio, al fine di una spontanea e non doverosa agevolazione nell'individuazione dei temi della discussione, senza che possa riconoscersi un loro corrispondente diritto (cfr. Sez. 6-3, Ordinanza n. 4541 del 22/02/2017 Rv. 643132)»[10].

Certo un protocollo in quanto tale non può vincolare, ma, come detto in ordine a quello dell’anno precedente, una sua convinta condivisione e applicazione contribuirebbe in modo significativo ad un più agevole esercizio delle funzioni difensive – che rischiano altrimenti di restare irragionevolmente e gravemente compresse –, nonché al migliore funzionamento della riforma.

[1] Che può leggersi in www.foroitaliano.it/ wp-content/ uploads/ 2015/ 12/ protocollo-intesa-cass-cnf-motivi-ricorso-civile.pdf.

[2] In www.ca.milano.giustizia.it/allegato_corsi.aspx?File_id_allegato=2701relazione si può leggere la relazione redatta all’esito della seconda parte dei lavori, relativa all’appello, svolta dal gruppo integrato con i decreti ministeriali 28 luglio 2016 e 10 ottobre 2016, ma la parte relativa al principio di autosufficienza (artt. 366 e 369) non è stata modificata.

[3] Sul tema G. Scarselli, La “particolare rilevanza delle questioni” tra camera di consiglio e udienza pubblica, in questa Questione Giustizia on line, 2/2017, www.questionegiustizia.it/articolo/la-particolare-rilevanza-delle-questioni-tra-camera-di-consiglio-e-udienza-pubblica_30-03-2017.php.

[4] Che può leggersi in www.cortedicassazione.it/ cassazione-resources/ resources/ cms/ documents/ Provvedimento_motivazione_provvedimenti_civili_136.pdf.

[5] Espressamente richiamata nel provvedimento in parola, nel quale si raccomanda in modo del tutto condivisibile, tra l’altro, di evitare motivazioni subordinate e obiter dicta, non infrequentemente destinati a complicare la corretta lettura delle coordinate interpretative seguite dalla Corte.

[6] Applicabile (art. 391 bis)anche ai procedimenti per correzione degli errori materiali (con esclusione del rinvio alla pubblica udienza) e ai procedimenti per revocazione (con previsione di rinvio alla pubblica udienza nel caso di ritenuta ammissibilità).

[7] Nel quale era prima possibile limitatamente al regolamento di giurisdizione.

[8] D. Dalfino, Il nuovo volto del procedimento in Cassazione, nell’ultimo intervento normativo nei protocolli di intesa, in Foro it., 2017, V, p. 5, e G. Costantino, Note sulle “misure urgenti per la definizione del contenzioso presso la Corte di cassazione”, ibidem, pp. 12 ss., i quali hanno anche richiamato il precedente di Cass., sez. un., 1 dicembre 2016, n. 24624: in quella circostanza (peraltro si trattava di un caso particolare) la Corte aveva ammesso, in un procedimento al quale si applicava il nuovo art. 380 ter, una breve discussione orale.

[9] Che può leggersi in www.consiglionazionaleforense.it/documents/ 20182/219809/ Protocollo+Cassazione%2C+CNF%2C +Avv.+Generale+dello+stato+su+nuovo+rito+ civile+in+ cassazione/ 80ca8ba5-70ae-49f3- 96f5-364015cba8d4.

[10] Così C. cass., 30 agosto 2017, n. 20563 e altre conformi.