Magistratura democratica

L’evoluzione dei rimedi nel dialogo fra legge e giudice

di Giuseppe Vettori

La traiettoria della riflessione di dottrina e giurisprudenza sugli strumenti di tutela nel nuovo ordinamento giuridico integrato. La funzione delle norme di validità, della tutela risarcitoria e del controllo di meritevolezza. La riflessione sull’ordine pubblico, interno e internazionale, come ulteriore strumento controllo che apre la porta alla integrazione del sistema dei rimedi chiamati riequilibrare la diseguaglianza prodotta dal mercato.

1. La Legge e i Giudici fra diritti e rimedi

Fra otto e novecento l’ordine giuridico ha iniziato a manifestarsi nella forma dei diritti fondati sulle Costituzioni, prima e al di là della legge.

Con luci e ombre, come si dice. Bobbio ha raccolto, negli anni novanta, una serie di saggi precisando meriti e limiti dell’età dei diritti[1], Dworkin[2] ha sottolineato che la loro tutela può aggirare il ruolo delle maggioranze politiche, superate spesso da “briscole” (i diritti appunto) con un peso maggiore della sovranità popolare.

Da qui una tensione fra due immagini della democrazia, a seconda che essa si identifichi con la volontà popolare o con un sistema plurale di strumenti e di garanzie idoneo a garantire vecchi e nuovi diritti.

Sono note le diverse visioni. Si rifiuta un costituzionalismo che sottragga alla sovranità popolare il compito di fissare, con legge, le situazioni soggettive fondamentali, per una pluralità di motivi. Non solo per la critica a diverse visioni del diritto (la giurisprudenza degli interessi, il realismo, l’ermeneutica), ma per un pregiudizio ideologico. Il timore che il declino del positivismo finisca per sostituire al processo democratico fondato sulla legge, un assetto aristocratico affidato ai giudici e ad un ordine di sapienti, soli, custodi del diritto[3].

Anche chi ha contribuito, in passato, alla garanzia dei diritti, parla di essi, in un libretto recente, come forme spesso imposte, a volte violente, tutt’altro che innocenti, sino a riscoprire il dovere di avere doveri[4].

Non mi riconosco in questi timori o ritorni al passato per molte ragioni. Ne indico alcune.

I diritti sono stati grandi motori di espansione della democrazia contro gli eccessi del Potere (politico, religioso, economico) e sono da sempre strumenti di potenziamento di prerogative essenziali della persona garantite, oggi, da un sistema multilivello.

Certo, occorre coniugare l’ampliamento fisiologico dei poteri del giudice con la necessità del testo normativo e non mancano posizioni, lucide ed equilibrate[5], sullo spazio che l’ordinamento attribuisce all’interprete e sulla legittimazione del giudice basata sulla professionalità e la rigorosa integrazione con l’essenza della vita democratica del nostro Paese[6].

D’altra parte la scienza giuridica più autorevole avverte, da tempo, che la forma generale e astratta è sempre meno capace di fissare un giusto equilibrio fra istanze sociali e forme di rilevanza giuridica[7]. E sta tutto qui il successo e l’onnipresenza attuale di un richiamo all’effettività. Che ha un significato non declamatorio ma precettivo. Il principio serve a individuare e garantire alle situazioni sostanziali meritevoli una tutela reale, concreta e adeguata. Ciò in base a precisi testi normativi (artt. 2 e 24 Cost., 13 Cedu, 19 Tue, 47 Carta di Nizza-Strasburgo) che esigono conformità effettiva, appunto, ad un ordine costituzionale e sopranazionale.

Basta qualche esempio.

La tutela delle persone con disabilità non può essere riconosciuta[8] solo «nei limiti della disponibilità finanziaria» perché è la garanzia di tali diritti ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionare la loro doverosa erogazione[9]. Con ciò si fissa con chiarezza chi e che cosa garantisce, in tal caso, l’effettività. L’Amministrazione competente deve iscrivere in bilancio con priorità su altre le risorse necessarie per attuare i diritti dei disabili. La legge che vieta o limita tale dovere è incostituzionale.

Tutto ciò serve a ribadire che la cognizione del Giudice delle leggi, in materia finanziaria, non è limitata da una zona franca, ma esige un criterio ermeneutico basato sulla interrelazione e integrazione tra precetti e valori, idonei ad escludere una lesione della effettività dei diritti garantiti. Ma il discorso può proseguire in un ambito più generale.

2. Ripensare i rimedi “ sul serio”

Da circa dieci anni[10] la giurisprudenza di legittimità in Italia riconosce l’autonomia dell’azione risarcitoria anche in presenza di un contratto concluso e valido. Per un motivo chiaro. I comportamenti sleali delle parti esigono, in base ad una lettura attenta delle legge (art. 1440 e 1337 cc), un rimedio autonomo rispetto alla validità o invalidità del contratto concluso. Occorreva solo un ripensamento del rapporto fra regole di validità e responsabilità e si è concluso che le une non assorbono le altre, ma entrambe sono esperibili nei limiti della compatibilità[11].

Tale risultato ha retto alle critiche ampliando i rimedi a tutela della parte che subisce, nella fase formativa del contratto, contegni in mala fede dell’altra[12].

Il giudice deve accertare, su impulso di parte, l’esistenza di un comportamento scorretto in base a precise norme (1337 1440 cc) ed esaminare tutte le circostanze specifiche. Se la conclusione del contratto è avvenuta con la piena consapevolezza di entrambi i contraenti dell’esistenza di comportamenti scorretti non si potrà poi sollevare la violazione della buona fede, senza venire contra factum proprium. Queste ed altre accortezze possono consentire giudizi equilibrati e ragionevoli filtrando, tramite la clausola generale, principi e orientamenti recepiti dal sistema normativo. Un ragionamento semplice e rigoroso che non intacca alcun fondamento di certezza e legalità[13].

In modo analogo la giurisprudenza sta ripensando, ora, l’ambito dei rimedi invalidanti. Con adesioni e dissensi. Tutto inizia ancora da un caso concreto.

La Corte valuta il contenuto, controverso, della clausola (claim made) che «condiziona la copertura assicurativa a due fatti: il sinistro e la denunzia che debbono verificarsi, entrambi, nel periodo di vigenza della polizza». Si esclude l’illiceità ma ci si chiede, giustamente, sino a che punto le parti possano snaturare il contratto di assicurazione, condizionando la copertura ad una barriera temporale che, in certi casi, appare intollerabile. Da qui la sollecitazione di un’indagine sulla meritevolezza della clausola, sull’applicazione dell’art. 33 del codice del consumo e sulla posizione del professionista obbligato ad una assicurazione a favore di terzi.

La critica di alcuni commentatori è tanto forte quanto ingiustificata. Il rinvio alla meritevolezza e alla causa come strumenti di controllo dell’autonomia privata, è considerato pericoloso sino ad evocare una tempesta perfetta che vanificherebbe un criterio astratto e generale sulla validità di questa e altre clausole, sola garanzia di certezza e prevedibilità[14].

In realtà la sentenza ha solo ripensato forme giuridiche, a lungo infettive, con attenzione alla buona teoria e ai precedenti[15]. Una successiva decisione è esemplare[16] nel precisare il ruolo attuale dell’art.1322 cc negli atti di autonomia atipici[17] e il ragionamento è apprezzabile per diversi motivi.

Si sottrae il giudizio alle premesse corporative del codice del 1942 e si collega ai principi di ordine pubblico, riletti alla luce delle norme costituzionali. In particolare gli articoli 2, 4 secondo comma e 41 secondo comma della Costituzione che sottopongono a controllo il risultato di ogni atto di autonomia privata in base ai principi di solidarietà, parità e non prevaricazione.

Si esaminano, poi, alcuni significativi precedenti giudiziari[18] per ricondurre a sistema i tratti di questo controllo giudiziale usato nei confronti di «patti contrattuali che, pur formalmente rispettosi della legge, hanno per “scopo” o per “effetto” di a) attribuire ad una delle parti un vantaggio ingiusto e sproporzionato senza contropartita per l’altra [19]; b) porre taluno in una posizione di indeterminata soggezione rispetto all’altro[20]; c) costringere una di essi a tenere condotte contrastanti coi superiori doveri di solidarietà»[21].

Questa argomentazione resiste ad una verifica dogmatica attenta. Solo qualche cenno[22].

3. La meritevolezza fra storia e dogma

I vecchi dogmi, si sa, non furono capaci di risolvere il problema della giustizia e della razionalità del contratto perché unificarono nel concetto di causa ciò che non poteva essere compreso in una sola categoria[23].

Per tutto il novecento si è andati alla ricerca in Europa di rimedi più efficienti, seguendo ideologie ed esigenze diverse[24]. Una lucida analisi storica ha posto in luce come la giustizia contrattuale «sia stata un nodo irrisolto del diritto privato italiano fra otto e novecento», ed ha spiegato bene il perché. Nel volume si riproducono le decisioni di casi sulle clausole vessatorie, sui patti gravosi, gli interessi usurari e le sopravvenienze, tutte unite dall’intento di dare risposte alle istanze di equilibrio e di protezione in conflitto con i principi cardine dell’individualismo e della dottrina classica del contratto[25].

Il problema era già allora chiaro. L’utilizzo insufficiente di tutele e istituti (vizi della volontà, rescissione) in funzione di limite alla forza obbligatoria del contratto e dell’intangibilità dell’accordo. Una prima risposta si tentò nel 1938 nella riforma del codice ove si riproduceva nell’art. 22 le scelte del Progetto italo-francese che aveva ipotizzato un rimedio di grande modernità, ripreso oggi sostanzialmente nei testi dei Principi europei. Dalla iniquità delle prestazioni era presunto un consenso non libero e si attribuiva al giudice il potere, su istanza di parte, di annullare o correggere il contenuto del contratto[26].

La reazione di Betti fu netta (contro giuristi come D’Amelio e Scialoja). La scelta era un corollario del famigerato dogma della volontà, tipica manifestazione della concezione individualistica propria del diritto naturale ed eredità del liberalismo. Di più. Espressione delle democrazie borghesi asservite al capitalismo non corporativo ispirato da suggestioni della mitologia socialista. Il modello da seguire era, invece, tedesco e si optò come rimedio all’usura e allo squilibrio per l’illiceità della causa chiamata ad assolvere, appunto, funzioni molto diverse: fondare la giuridicità dell’atto e la giustizia del suo contenuto[27].

A ciò contribuì non poco l’ideologia del tempo. Come si è osservato, in modo acuto «tendenze giacobine, hegeliane, fasciste e marxiste suggerirono di contrapporre l’interesse sociale e collettivo all’interesse individuale: l’invalidità fu graduata sui difetti della fattispecie, sicché la violazione dell’interesse collettivo fu considerato un disordine inaudito, mentre la violazione dell’interesse individuale un vizio più lieve»[28].

Nella seconda metà del novecento in Francia[29] e in Germania[30], la revisione dei dogmi tornò all’attenzione della dottrina più autorevole e si è preso progressivamente atto che la nullità è un rimedio (spesso di protezione) che oltrepassa la fattispecie e si frantuma in una pluralità di statuti che tagliano trasversalmente i modelli nazionali e i testi dei Principi. Sicché essa si «storicizza, si relativizza, si frantuma»[31].

Che cosa accade nei tentativi di uniformazione in Europa è noto.

L’abbandono della causa e il riconoscimento del nudo patto è accompagnato da un ruolo forte della buona fede cui è affidato anche il compito di controllo della disparità di potere e dell’equilibrio contrattuale. Scompare il concetto di causa ma non l’esigenza del controllo che ispirava in modo ambiguo quello strumento e l’ideologia sottostante è evidente[32].

L’ordine giuridico del mercato ispira il nuovo diritto dei contratti, tramite un sistema spontaneo «fatto di scelte contrattuali consapevoli e orientate, sentenze correttive fondate sulla buona fede, sfiducia in controlli demolitivi dell’assetto di interessi voluto dalle parti»[33]. Basta pensare che la Proposta di regolamento sul diritto comune della vendita in Europa non regolava l’azione di nullità.

L’impressione diffusa è che tale visione debba essere ripensata per almeno due ordini di ragioni. Le Istituzioni si sono mostrate impotenti nei confronti di un capitalismo finanziario globale che ha concentrato in poche reti invisibili, le decisioni e il potere che incide sulle elementari regole di controllo dell’autonomia privata[34]. L’ordinamento europeo è oramai un assetto dotato di principi costituzionali che sollecitano strumenti preventivi di controllo sugli atti di autonomia privata. La Corte di giustizia indica una strada ancora cauta e prudente sul tema, delicatissimo, del mancato rispetto da parte degli intermediari finanziari dell’obbligo di valutare l’adeguatezza dell’operazione proposta. Si rinvia all’ordinamento interno la «disciplina delle conseguenze delle violazioni di tali obblighi, fermo restando il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività previsti dall’art.47 della carta di Nizza»[35].

Le linee di sviluppo sono sostanzialmente due[36].

Sul piano interno l’uso giurisprudenziale della causa in concreto porta taluno, autorevolmente, ad ammettere «un controllo dell’equità del contratto da parte del giudice, come variante nazionale domestica di una regola generale di controllo equitativo della giustizia degli scambi che si sta affermando in campo internazionale»[37]. Con tale strumento le norme di organizzazione (di validità) hanno trovato, si osserva, la clausola generale che (sostituisce l’art.1374 e) incide sull’atto[38].

Sul piano comunitario il diritto ad un rimedio effettivo serve da cornice per ripensare una tutela eliminativa degli effetti che consenta, con l’aiuto delle Corti, di foggiare interventi integrativi, correttivi, e/o sostitutivi coerenti, con la storicità dell’assetto di interessi, secondo un’attenzione estranea alle invalidità codicistiche e nazionali, ma tipiche, invece, delle strategie rimediali[39].

L’esistenza di un vantaggio ingiusto e sproporzionato è vietato dai Principi di diritto europeo dei contratti (4:109), nel caso in cui l’altra parte si trovi in una situazione di dipendenza o una relazione di fiducia o una situazione di bisogno economico o necessità urgenti e se sia affetta da prodigalità, ignoranza, esperienza o accortezza necessaria a contrattare. IL Dcfr (7:207 unfair exploitation) usa riferimenti analoghi mentre i principi Unidroit censurano (3.10) il vantaggio eccessivo e ingiusto in presenza di uno stato di dipendenza, di difficoltà economiche o immediate, oppure di imperizia, inesperienza o mancanza di abilità a trattare, con riguardo alla natura o scopo del contratto. Il diritto anglosassone usa tecniche analoghe come l’Undue Influence e la Uncoscionability[40].

Non solo. Il controllo della libertà contrattuale in base al limite dell’ordine pubblico è presente nelle codificazioni europee e nella loro riforma.

La recente modifica del code civil introduce alcune significative novità in tema di equilibrio negoziale. Dall’ampio riferimento alla buona fede (1104), all’obbligo analitico di informazione prenegoziale (1112.1 -2), alla presenza di abuso dello stato di dipendenza di una parte (1143), alla nullità di clausole di un contratto oneroso in presenza di un corrispettivo illusoire ou dérisoire (1169) o di clausole che privino di sostanza l’obbligazione essenziale del debitore (1170), alla eliminazione delle clausole di un contratto per adesione (concluso fra qualsiasi parte anche non qualificata come consumatore) in presenza di un significativo squilibrio fra i diritti e obblighi delle parti(1171), sino al venir meno di un elemento essenziale del contratto (1186)[41].

È evidente come la ricerca di un rimedio effettivo in tema di squilibrio negoziale sia al centro della attenzione del legislatore, della dottrina e della giurisprudenza italiana ed europea.

Un coordinamento e un dialogo è necessario senza rifiuti o aprioristiche chiusure. Qualche proposta.

4. Le norme di validità e l’ordine pubblico

Lo Stato, si è detto in modo efficacissimo, raccoglie in sé politica e diritto, individuati da confini certi come “antiche mura”. L’economia no. Tramite la tecnica si espande in ogni spazio, reale o virtuale e il problema è «quale diritto regga e governi tale fenomeno».

La risposta di Irti è netta, ma inquietante. L’economia si distende senza confini «impianta produzione e scambio qui o lì, calcola costi e benefici dei singoli diritti e preferisce l’uno all’altro». Così, all’ordine giuridico del mercato subentra il mercato degli ordini giuridici. Non più il diritto determina il luogo dell’economia, bensì l’economia sceglie il luogo del diritto[42]. Sul modo di controllare tale fenomeno non si ha dubbi. È illusoria la protezione offerta dai diritti umani che «si disperdono nella genericità enfatica di carte, dichiarazioni e protocolli di intesa». Solo la decisione politica può dare risposte adeguate e tramite accordi «inter-statuali stringere l’economia nei luoghi prescelti dal diritto».

La risposta dei grandi operatori economici sembra un’altra. Si diffonde la pretesa di costruire un regolamento giuridico autosufficiente, capace di superare «la diversità di regole per analoghe vicende», con clausole di qualificazione, di definizione, di intero accordo, di non rinunzia, di validità[43]. Ma la fiducia nell’autosufficienza del mercato e dell’atto di autonomia e delle regole imposte dal solo mercato (non regolato in modo uniforme) è durata a lungo per poi franare improvvisamente, dal 2008 in poi .

Torna così la riflessione sull’ordine pubblico, interno e internazionale, unico strumento che può consentire di percepire un limite e un controllo.

Basta pensare all’art.6 del code Napoleon a chiusura del Titolo preliminare, e alla recente riforma di quel monumento giuridico, ma anche a ciò che sta accadendo in Italia e in Europa oggi.

Alcune sentenze della Corte di cassazione affrontano il tema[44]. Iniziamo dalla prima.

Il problema della delibazione di una sentenza straniera in tema di danni punitivi induce a chiarire l’ambito applicativo del principio di ordine pubblico ai sensi degli articoli 16, 64 e 65 della legge n.218 del 1995.

Si muove dal passato e dalla nozione di «limite riferibile all’ordinamento giuridico nazionale, costituito dal complesso di principi che, tradotti in norme inderogabili o da queste desumibili, informano l’ordinamento giuridico e concorrono a caratterizzare la struttura etico-sociale della società nazionale in un determinato momento storico»[45]. Si distingue un ordine pubblico interno e uno internazionale[46] e si individua quest’ultimo come «complesso di principi fondati su un’esigenza di tutela dei diritti dell’uomo comuni ai diversi ordinamenti e desumibili anzitutto dai sistemi di tutela esistenti a livello sovraordinato rispetto alla legislazione ordinaria»[47].

Con ciò si attenua la barriera interna all’ingresso «di istituti giuridici e valori estranei ai singoli Stati ma conformi ai Trattati e alle Carte “europee” in linea con la normativa[48] e la giurisprudenza[49] comunitaria, aprendo la via ad un controllo di legittimità degli atti giudiziari stranieri, non alla luce di una “disposizione straniera” o a soluzioni interne agli ordinamenti nazionali, ma in ragione del “nucleo essenziale dei valori del nostro ordinamento” che non coincidono con le norme imperative o inderogabili»[50].

Chiarito questo aspetto resta da individuare il criterio di emersione di tali principi e la risposta si articola in una serie di sentenze recenti.

Si precisa anzitutto che non può essere indicativo l’esercizio di un potere discrezionale del legislatore in una certa direzione, in presenza di una riserva di legge o di norme costituzionali programmatiche.

Ciò perché «possono avere libero ingresso prodotti giudiziari stranieri applicativi di regole diverse, ma comunque non contrastanti con i valori costituzionali essenziali o non incidenti su materie disciplinate dalla Costituzione»[51] (vedi l’esempio passato del divorzio). Non solo.

Si prende atto che la nozione di ordine pubblico non è «una clausola di sbarramento alla circolazione dei valori giuridici», ma un limite alla potenziale aggressione dei valori interni «da valutarsi in armonia con quelli della comunità internazionale». Sicché si dovrà ammettere «il contrasto con l’ordine pubblico soltanto nel caso in cui al legislatore ordinario sia precluso di introdurre, nell’ordinamento interno, una ipotetica norma analoga a quella straniera, in quanto incompatibile con i valori costituzionali primari»[52].

Ciò in base ad «una delicata operazione ermeneutica che non si fermi alla lettera della disposizione normativa, seppure di rango costituzionale» perché esistono in Costituzione «norme dalle quali non si evincono principi inviolabili e che quindi, non concorrono ad integrare la nozione di ordine pubblico». Occorre un giudizio (o un test) «simile a quello di costituzionalità, ma preventivo e virtuale»[53].

La sentenza a Sezioni Unite completa il quadro[54].

Si osserva che è in atto un processo di europeizzazione del diritto privato e processuale attraverso l’ordine pubblico che da strumento di tutela dei valori nazionali diviene «veicolo di formazione di principi comuni agli Stati membri» in relazione ai diritti fondamentali.

Ciò avviene in vari settori.

Nel diritto di famiglia sul riconoscimento di uno stato di figlio ottenuto all’estero che deve essere delibato, si osserva, in base non tanto alla presenza o assenza di norme imperative interne, ma alla compatibilità degli effetti con il nucleo essenziale dei valori dell’ordinamento, espresso anche dai Trattati e dalle Carte dei diritti fondamentali[55].

Nel diritto delle successioni per effetto di un provvedimento normativo relativo alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e all’accettazione e all’esecuzione degli atti pubblici in materia di successioni [56].

Sino alla responsabilità civile e la funzione del danno ove le Sezioni Unite precisano che l’ordine pubblico non è più il complesso dei principi fondamentali della comunità nazionale in un determinato momento storico, ma “il distillato del sistema di tutele sovranazionali ricavabili dall’ordinamento comunitario e dalla Cedu”[57] e lo strumento per promuovere e armonizzare i valori essenziali per la vita e la crescita dell’Unione.

Tale apertura è di grande interesse per una pluralità di motivi.

Consente la circolazione di modelli di tutela e invita a fissare rimedi conformi ad un criterio di effettività, rimesso ad un ordine delineato dall’art. 117 della nostra Costituzione. Non solo. I timori di un’invasione di campo sono infondati se solo si riflette sul principio di divisione dei poteri.

Non si può negare la competenza della scienza giuridica e della nomofilachia di fissare il contenuto di una norma come l’ordine pubblico perché spetta ad esse indicare, in ogni momento storico, all’interprete il significato di uno strumento essenziale per il controllo di validità del contratto.

Certo cambia oggi, radicalmente, la natura del ragionamento giuridico per effetto del nuovo sistema elle fonti che «richiede ai giudici di decidere questioni di diritto contrattuale, non solo sulla base dei codici nazionali ma di controllare se l’esito, apparentemente indicato da quelle norme, fornisca una interpretazione adeguata ai diritti delle parti fissato dal sistema giuridico sovranazionale, comprensivo della Carta di Nizza e la Cedu»[58].

Questa delicata attività richiede cautela, rigore e un dibattito attento. Sono sicuro che tutto ciò non mancherà.

[1] N. Bobbio, L’età dei diritti, Einaudi, Torino, 1992.

[2] R. Dworkin, I diritti presi sul serio, Il Mulino, Bologna, nuova ed., 2010, pp. 270-271, «Se non possiamo pretendere che lo Stato trovi le risposte corrette sui diritti dei suoi cittadini, possiamo comunque insistere perché ci provi. Possiamo insistere nel chiedergli di prendere i diritti sul serio, seguendo una teoria coerente sulla natura di questi diritti e agendo coerentemente con le affermazioni di questa».

[3] V. da ultimo M.Luciani, voce Interpretazione conforme alla Costituzione, in Enc. dir. Ann. IX, 2016, pp. 391 ss., Milano, 2016 pp. 393 ss., pp. 425 ss.; Ferrajoli, Costituzionalismo principialista e costituzionalismo garantista, in Giur.cost., 2010, pp. 2771 ss., Contro la giurisprudenza creativa, in questa Rivista trimestrale, 4, 2016, pp. 1 ss., www.questionegiustizia.it/rivista/2016/4/contro-la-giurisprudenza-creativa_395.php.

[4] L. Violante, Il dovere di avere doveri, Einaudi, Torino, 2017.

[5] R. Rordof, Editoriale, in questa Rivista trimestrale, 4, 2016 , pp. 3 ss., www.questionegiustizia.it/rivista/2016/4/editoriale_393.php; A. Giusti, Giurisdizione e interpretazione in Cassazione, ivi, www.questionegiustizia.it/rivista/2016/4/giurisdizione-e-interpretazione-in-cassazione_403.php; N. Lipari, Ancora sull’abuso di diritto. Riflessioni sulla creatività della giurisprudenza, ivi, p. 33 ss., www.questionegiustizia.it/rivista/2016/4/ancora-sull-abuso-del-diritto-riflessioni-sulla-creativita-della-giurisprudenza_396.php.

[6] P.L. Zanchetta, La legittimazione e il suo doppio (magistrati e consonanza con la Repubblica), in questa Rivista trimestrale, 4, 2016, p. 82 ss. www.questionegiustizia.it/rivista/2016/4/la-legittimazione-e-il-suo-doppio_magistrati-e-consonanza-con-la-repubblica_399.php; E. Scoditti, Dire il diritto che non viene dal sovrano, ivi, p. 129, www.questionegiustizia.it/rivista/2016/4/dire-il-diritto-che-non-viene-dal-sovrano_402.php; F. Macario, L’autonomia privata nella cornice costituzionale. Per una giurisprudenza evolutiva e coraggiosa, ivi, p. 52, www.questionegiustizia.it/rivista/2016/4/l-autonomia-privata-nella-cornice-costituzionale_per-una-giurisprudenza-evolutiva-e-coraggiosa_397.php.

[7] P. Rescigno, Codice (codice civile), in Treccani Enciclopedia del Novecento, Appendice V (1991), Id. Codice (Codice civile), in Enc. giur., Appendice IV, I, 1978.

[8] Corte cost., 16 dicembre 2016, n. 275.

[9] Corte cost., 16 dicembre 2016, n. 275.

[10] Cass., Sez. Un., 26724 e 26725 del 2007; Cass. n. 24795 del 2008, Cass. n.16937 del 2006, Cass. n. 2479 del 2007. e G. Vettori, La buona fede come rimedio risarcitorio, in Obb.cont., 2008, ora in Id. Diritto dei contratti e ordinamento comunitario, Giuffrè, Milano, 2009, 271 ss., e ora nel caso Cir-Fininvest, Cass.27 giugno 2013, n. 21255.

[11] V. sul punto G.Vettori, Validità, responsabilità e cumulo dei rimedi, in Danno resp. 2/2014 pp. 150 ss. in Persona e mercato, 2013; per una visione critica, G. Iudica, Efficacia della transazione e responsabilità extracontrattuale per indebolimento della posizione negoziale, in Resp.civ.prev., 2013, p. 1819. Uno sguardo ai Principi e alla giurisprudenza comunitaria conferma il quadro che sopra si è ricostruito per la disciplina interna. Basta un rapido cenno. L’art. 8.102 dei Pecl (Principi di diritto europeo dei contratti) e l’art. 3.102 (cumulation of remedies) del Charter 3 del Dcfr affermano la possibilità di un cumulo dei rimedi con il solo limite della compatibilità. Gli artt. 7:216 e 7:304 del Charter 7 del Dcfr prevedono la possibilità di altri rimedi in presenza di un’invalidità. La Convenzione sulla vendita internazionale di merci agli art. 45 (obblighi del venditore) e 61 (obblighi dell’acquirente) prevedono la possibilità di cumulo fra adempimento, risoluzione e risarcimento. La Proposta di Regolamento relativo ad un diritto comune europeo della vendita, all’art. 29 (Rimedi in caso di violazione di un obbligo di informazione) prevede che il risarcimento non pregiudica l’applicazione dei rimedi previsti nell’art. 42 (recesso), 48 (dolo), e negli altri casi di annullamento o inefficacia del contratto.

La sentenza Courage della Corte di giustizia afferma la compatibilità fra un azione di danni del consumatore pur in presenza di una nullità del contratto a cui lui stesso ha dato causa. Alla Corte era stato richiesto se osta con il diritto comunitario «il risarcimento di un preteso danno subito a causa dell’assoggettamento della parte ad una clausola contrattuale, in contrasto con l’art. 85 e, di conseguenza, se il diritto comunitario osti ad una norma di diritto nazionale che nega ad un soggetto il diritto di fondarsi sui propri atti illeciti per ottenere un risarcimento dei danni». La risposta è stata netta. «Qualsiasi singolo è legittimato a far valere in giudizio la violazione dell’art. 85 n. 1 del Trattato, anche qualora sia parte di un contratto che può restringere o falsare il gioco della concorrenza ai sensi di tale disposizione». «La piena efficacia dell’art. 85 del Trattato e l’effetto utile del divieto sancito al n. 1 di detto articolo sarebbero messi in discussione se fosse impossibile per chiunque chiedere il risarcimento del danno causatogli da un contratto o da un comportamento idoneo a restringere o falsare il gioco della concorrenza».

Ancora. Dagli artt. 3 e 24 della Costituzione si evince, con un sillogismo chiaro, il principio di effettività della tutela a fronte di diritti e interessi meritevoli. «Il titolare del diritto deve (poter contare) su mezzi che gli consentano di reagire alla violazione», e di reazione si può parlare solo là dove vi è proporzione tra tutela e offesa arrecata. Sicché non è in armonia con l’art. 24 una tutela che si esprime in un risarcimento non pari al danno cagionato o al sacrificio subito. L’art. 8 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, l’art. 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea esprimono tutti un principio che si manifesta, non solo come «un diritto di accesso al giudizio o all’esercizio in esso di un determinato potere processuale», ma come «diritto alla misura appropriata alla soddisfazione del bisogno di tutela». Così D. Imbruglia, L’azione di risarcimento per fatti illeciti degli Stati e il principio di effettività della tutela. Note a margine della sentenza n. 238/2014 della Corte costituzionale, in Persona e Mercato, 2014, n.3, pp. 163 ss.

[12] Cass. 8462/2014 e 26721/2007.

[13] G. Travaglino, La responsabilità contrattuale fra tradizione e innovazione, in Resp. civ. prev. 2016, e contra da ultimo D’amico, Problemi (e limiti) dell’applicazione diretta dei principi costituzionali nei rapporti di diritto privato (in particolare nei rapporti contrattuali), in Giust.civ., 2016, 3, pp. 443 ss.

[14] R. Pardolesi, Le sezioni unite sulla clausola claims made: a capofitto nella tempesta perfetta, in Foro it., 2016, I, col. 2026, ed ivi una prima bibliografia sul tema: A. Palmieri, Polizze claims made: bandito il controllo di vessatorietà ex art. 1341 cc, ivi, col. 2032. E ora R .Pardolesi-G.Pino, Post-diritto e giudice legislatore. Sulla creatività della giurisprudenza, in Foro it., 2017, V, col 113 ss.

[15] D’altra parte il diritto inglese è di estremo interesse sul punto. Dall’utilizzo delle figure di vizi del consenso in funzione di protezione del contraente più debole (mistake, misrepresentation, duress), alle figure della undue influence e uncoscionability come rimedi specifici contro abusi e approfittamenti[15], ove assumono un ruolo rilevante le presumed undue influence nelle quali «non vi è necessità di dimostrare la pressione psicologica subita» sia per l’esistenza di un rapporto di fiducia (medico, solicitor, trustee ) sia perché «il beneficiario di una attribuzione riveste una posizione ufficiale, in virtù della quale si presume abbia un potere di dominio del disponente»[15]. Sino alle situazioni di serious disadvantage che racchiudono forme di incapacità a «tutti i possibili stati di indigenza o di inesperienza» al financial need che evoca «le condizioni di difficoltà economica e finanziaria diverse dalla contingente carenza di liquidità». V. per un efficacissima sintesi, M. Meli, La tutela della parte debole del rapporto nel diritto contrattuale inglese, cit. pp. 45 ss.

[16] Cass. 28 aprile 2017 n. 10509, (presidente Travaglino, estensore Rossetti).

[17] Si prende atto (in continuità con le Sezioni Unite) che la clausola claim made non è nullaper inesistenza del rischio (ai sensi dell’art. 1895 cc), non è vessatoria (ex art. 1341 cc) perché delimita l’oggetto del contratto di assicurazione, ma può essere non meritevole , appunto, in base ad un controllo da fissare in concreto.

[18] Una clausola contenuta in contratto di concessione (Cass. Sez. Un., n. 422 del 17 febbraio 2017), i contratti my way (Cass. sez. Prima, n.22950 del 10 novembre 2015) for you (Cass. ord. sesta -3 n. 19559 del 30 settembre 2015), un contratto atipico contrario alla concorrenzialità del mercato (Cass. sez. terza n.3080 del 8 febbraio 2013), un clausola apposta ad un mutuo di scopo (Cass. sez. terza, n.12454 del 19 luglio 2012), una patto contrario ai doveri di solidarietà apposto ad un contratto di locazione (Cass. sez. terza, n.14343 del 19 giugno 2009), un contratto fiduciario fra un cliente e la banca (Cass. sez. prima, n. 1898 del 19 febbraio 2000), un patto parasociale di voto (Cass. sez. prima, n. 9975 del 20 settembre 1995), una clausola penale eccessiva (Cass. Sez. Un., n. 18128 del 13 settembre 2005).

[19] Cass. n. 22950 del 2015 e n. 19559 del 2015.

[20] Cass. n. 4222 del 2017, n. 3080 del 2013, n. 12454 del 2009, n. 1898 del 2000, n. 9975 del 1995.

[21] Cass. n. 14343 del 2009.

[22] V. R. Sacco, Introduzione al diritto comparato, Utet, Torino, e da ultimo R. Scarciglia, Metodi e comparazione giuridica, Cedem, Padova, 2017.

[23] v. U. Breccia, Causa e consideration, in G. Vettori (a cura di), Remedies in contract, Cedam, Padova, 2008, pp. 31 ss.; ed ivi, V. Scalisi, Il diritto dei rimedi: invalidità e inefficacia, pp. 231 ss., E. Navarretta, La complessità del rapporto fra interessi e rimedi nel diritto europeo dei contratti, pp. 161 ss., P. Perlingieri, Rimedi e modello sociale europeo, p. 203, V. Roppo, Dal contratto del consumatore al contratto asimmetrico (schivando il “terzo contratto”)?, pp. 207 ss; E. Navarretta, Le ragioni della causa e il problema dei rimedi: l’evoluzione storica e le prospettive nel diritto europeo dei contratti, in Studi in onore di Cesare Bianca, III, Giuffrè, Milano, 2006, pp. 637 ss.; C. Scognamiglio, Problemi della causa e del tipo, in Roppo (a cura di), Trattato del contratto, II, Il Regolamento, (a cura di) G. Vettori, Milano, 2006, pp. 97 ss.

[24] M.W. Hesselink, La dimensione politica di un codice civile europeo, in Riv. crit. dir. priv., 2006, pp. 379 ss. e A. Somma (a cura di), Giustizia sociale e mercato nel diritto europeo dei contratti, Giappichelli, Torino, 2007.

[25] G. Chiodi, La Giustizia contrattuale. Itinerari della giurisprudenza italiana tra otto e novecento, Giuffrè, Milano, 2009, XI ss. Le risposte, diverse, che giudici e giuristi forniscono a quei problemi, in quel contesto storico, affrontano tutte, con diversi risultati e diversa sensibilità, il tema della eguaglianza e dell’equità nei contratti che può tradursi appunto nella formula della giustizia contrattuale che attesta l’esistenza di un problema. L’utilizzo, discusso e discorde, di tutele e istituti (vizi del consenso, rescissione, buona fede, causa, ordine pubblico e buon costume) in funzione di limite alla forza obbligatoria del contratto e alla intangibilità dell’accordo.

[26] L’art. 22 di tale progetto precisava: «se le obbligazioni di uno dei contraenti sono del tutto sproporzionate ai vantaggi che egli trae dal contratto e alla prestazione dell’altro contraente, di maniera che, secondo le circostanze, debba presumersi che il suo consenso non sia stato sufficientemente libero, il giudice può, su domanda della parte lesa, annullare il contratto o ridurre l’obbligazione». U. Breccia, Continuità e discontinuità negli studi di diritto privato. Testimonianze e divagazioni negli anni anteriori e successivi al secondo conflitto mondiale, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, I, (28), 1999, pp. 328-334 e 462-464) ricorda lucidamente il dibattito su questa norma. Alle opinioni favorevoli di D’Amelio e Scialoja Betti replicò che in tal modo si sarebbe solo codificato un quarto vizio della volontà in linea con «il famigerato dogma della volontà tipica manifestazione della concezione individualistica propria del diritto naturale ed ereditata dal liberalismo». E aggiungeva «che la vittima del contratto ingiusto dev’essere difesa anche all’infuori di ogni pressione, poiché ... dovrebbe essere decisiva... unicamente la illiceità della causa... secondo il modello tedesco della nullità per contrarietà al buon costume». Tale vicenda è stata ricordata, mirabilmente, da U. Breccia, Causa e consideration, cit, p. 31.

[27] U. Breccia, Continuità e discontinuità negli studi di diritto privato, cit., pp. 328, 462; id., Causa e consideration, pp. 50 ss.

[28] R. Sacco, Il contratto, II, a cura di R. Sacco-G. De Nova, in Trattato di diritto civile a cura di R. Sacco, Utet, Torino, 2004, p. 523; V. Scalisi, Il contratto in trasformazione. Invalidità e inefficacia nella transizione al diritto privato europeo, Giuffrè, Milano, 2011, pp. 155 ss.; G. Vettori, Contratto e rimedi, Cedam, Padova, 2009, pp. 571 ss.

[29] J. Ghestin, L’utile e le juste dans le contracts, in Archiv. Phil.d., 1981, pp. 35 ss.

[30] L. Raiser, Il compito del diritto privato, (1977) trad. it. di M. Graziadei, a cura di C.M. Mazzoni, Giuffrè, Milano 1990, p. 98 mi permetto di richiamare, G. Vettori, Autonomia privata e contratto giusto, in Riv. dir. priv., 2000, pp. 21 ss.; Id., Diritto dei contratti e costituzione europea. Regole e principi ordinanti, Giuffrè, Milano, 2005, p. 83 ss.; Id., Giustizia e rimedi nel diritto europeo dei contratti, in Eur. dir. priv., 2006. pp. 53 ss, ma v. in particolare H. Collins, La giustizia contrattuale in Europa, in Riv. crit. dir. priv., 2003, pp. 659 ss.; Il Manifesto intitolato “Giustizia sociale nel diritto contrattuale europeo: un manifesto”, pubblicato in G. Vettori (cura di), Contrato e costituzione in Europa, Cedam, Padova, 2005, e in Riv. crit. dir. priv., 2005, pp. 99 ss. e da ultimo V. Scalisi, Giustizia contrattuale e rimedi: fondamento e limiti di un controverso principio, in V. Scalisi, Il contratto in trasformazione. Invalidità e inefficacia nella transizione al diritto europeo, Giuffrè, Milano, 2011, p.337 ed ivi un’ampia bibliografia. L’opera più ampia e completa sul diritto europeo si deve a C. Castronovo e S. Mazzamuto (a cura di), Manuale di diritto privato europeo, 2 ed., Giuffrè, Milano, 2013.

[31] V. Scalisi, Il contratto in trasformazione, cit., pp. 421 ss.

[32] U. Breccia, Morte e resurrezione della causa: la tutela, in S. Mazzamuto (a cura di), Il contratto e le tutele. Prospettive di diritto europeo, Torino, 2002, p. 250 ss.; Id., Causa e consideration, cit., pp. 36 ss.; E. Navarretta, Causa e giustizia contrattuale a confronto: prospettive di riforma, in Riv. dir. civ., 2006, I, pp. 411 ss.

[33] M. Libertini, Il vincolo del diritto positivo per il giurista, in Studi in onore di A. Falzea, Milano, Giuffrè, 1991; Id., Le fonti private del diritto commerciale. Appunti per una discussione, in Riv. dir. comm., 2008, I, pp. 599 ss.; Id., Clausole generali, norme generali e principi fondamentali nel diritto commerciale. Riflessioni introduttive, in Orizzonti del diritto commerciale, 2011.

[34] Mi permetto di richiamare G. Vettori, Il contratto senza numeri e aggettivi, cit.

[35] V. sull’ambiguità della Direttiva Mifid in ordine ai rimedi S. Grundmann, The Bankinter case on Mifid Regulation and contract law, Ercl, 2013, 9(3) pp. 267-280.

[36] Espressi e commentati in modo lucidissimo dal bellissimo saggio di G. Grisi, Spigolando su causa, derivati, informazione e nullità, in Persona e Mercato, 2015, pp. 137 ss.

[37] M. Libertini, Clausole generali, norme generali e principi fondamentali nel diritto commerciale. Riflessioni introduttive, in Orizzonti del diritto commerciale, 2011; con posizione diverse V. Roppo, Causa concreta: una storia di successo? Dialogo (non reticente né compiacente) con la giurisprudenza di legittimità e di merito, in Riv. dir. civ., 2013, 4, pp. 957 ss.; A. Gentili, Il ruolo della razionalità cognitiva nelle invalidità negoziali, in Riv. dir. civ., 2013, 5, p. 1105; G. Vettori, Il contratto senza numeri e aggettivi. Oltre il consumatore e l’impresa debole, in Con. impr., 2012, pp. 1190 ss. e A. di Majo, Giustizia e “materializzazione” nel diritto delle obbligazioni e dei contratti tra (regole) di fattispecie e (regole) di procedura, in Eur. dir. priv., 2013, 3, pp. 797 ss.

[38] Così M. Libertini, Clausole generali, norme generali e principi fondamentali nel diritto commerciale. Riflessioni introduttive, op. cit.

[39] V. da ultimo le profonde e limpide analisi di S. Pagliantini, La tutela del consumatore nell’interpretazione delle Corti, Giappichelli, Torino, 2012; Id., Profili sull’integrazione del contratto abusivo parzialmente nullo, in G. D’Amico-S. Pagliantini, Nullità per abuso ed integrazione del contratto. Saggi, Giappichelli, Torino, 2013, pp. 67 ss. ed ivi la rigorosissima analisi di G. D’Amico, L’integrazione (cogente) del contratto mediante il diritto dispositivo, Giappichelli, Torino, pp. 213 ss.

[40] V. M. Meli, La tutela della parte debole del rapporto nel diritto contrattuale inglese, Cedam, Padova, 2005, pp. 23 ss.

[41] V. in particolare M. Fabre-Magnan, Droit des obligations, 1 Contract et engagement unilatéral, 4ed., Paris, 2016, pp. 41 ss. e G.Alpa, Il progetto francese di riforma del diritto contrattuale, in Riv.crit.dir.priv., 2015, pp. 96 ss.; A. Bénabent, L. Aynés, Réforme du droit des contrats e des obblitations:apercu général, Recueil Dalloz, 2016, pp. 434 ss,; P. Grosser, La negociation dans l’ordonnance du 10 février 2016 portant réforme du droit des cntracts, du régime général e de preuve des obligations, in AJ Contrat-AJ Contrats d’affaires – Concurrence - Distribution, 2016, pp. 270-271; v. D. Mazeaud, Prime note sulla Riforma del diritto dei contratti nell’ordinamento francese,, in Riv. dir. civ., 2016, 2, pp. 432 ss.

[42] N. Irti, Geo-diritto, op. cit. pp. 4, 5, 9, 11/13, ma anche P. Grossi, Globalizzazione, diritto, scienza giuridica, in Foro it., 2002, c. 151 ss., M.R. Ferrarese, voce Globalizzazione giuridica, in Enc.dir., Annali, IV, Milano, 2011, pp. 553 ss.; M.R. Ferrarese, Le istituzioni della globalizzazione - diritto e diritti nella società trans-nazionale, Il Mulino, Bologna, 2000, ove la globalizzazione come tratto del tempo e come netta cesura fra un prima e un dopo. La dimensione giuridica del fenomeno era fissata nel declino del monopolio legislativo degli Stati e nell’imporsi di un ordine che «nasceva dai fatti» e ad essi «si mescolava» rifiutando il canone della conformità per quello della effettività. Così P. Grossi, Globalizzazione e pluralismo giuridico, in Quaderni fiorentini, 2001, p. 551.

[43] M.Foglia, Il contratto autoregolato: le merger clauses, Giappichelli, Torino, 2015, pp. 43 ss., pp. 145, ss.

[44] Cass.ord. n. 9978 del 16 maggio 2016 e Cass. sez. I, 30 settembre 2016 n.19599, in Corriere Giur., 2017, 2, 181 con nota di Ferrando.

[45] V. il richiamo a Cass. n. 3881 del 1969 e n.818 del 1962.

[46] Cosi Cass. n. 228 del 1982.

[47] V. Cass. n. 1302 e 19405 del 2013, n.27 del 2006, n. 22332 del 2004, n. 17349 del 2002, n. 2788 del 1995.

[48] Ove si parla di manifesta contrarietà all’ordine pubblico nell’art. 34 Reg. 22 dicembre 2001 n.44 sulla competenza e riconoscimento delle decisioni civili e commerciali, l’art.26 Reg.CE 11 luglio 2007 n. 864 sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali, l’art. 22 e 23 Reg. CE 27 novembre 2003 n. 2201 in materia matrimoniale e della responsabilità genitoriale, l’art. 24 Reg. CE 18 dicembre n. 4/2009, in materia di obbligazioni alimentari.

[49] Corte Giust. 4 ottobre 2012 , C-249/11 sulla libera circolazione delle persone.

[50] Cass. n. 9483 del 2013, Cass.n. 4040 del 2006 e da ultimo n. 19599 del 2016.

[51] Cass. ord. 16 maggio 2016.

[52] Cass. ord. 16 maggio 2016.

[53] Cass. 30 settembre 2016, n. 19599 cit. e il rinvio a Corte federale tedesca del 10-19 dicembre 2014, x c. Land di Berlino, in www.personaedanno.it, 2015.

[54] Cass. Sez. Un. 5 luglio 2017 n. 16601.

[55] Cass. 30 settembre 2016, n. 19599 in Corriere Giur., 2017, 2, 181 con nota di Ferrando ed ivi il richiamo di una sentenza della Corte Federale tedesca del 10-19 dicembre 2014 in www.personaedanno.it 2015 sempre sullo status di filiazione legittimamente acquisito all’estero. V. anche Cass. sez. lav. n. 14940 del 2016.

[56] Regolamento Ue n. 650/2012 del Parlamento e del Consiglio del 4 luglio 2012.

[57] V. già Cass. n. 1302 del 2013.

[58] Così, in una traduzione imputabile solo a me, U. Collins, The revolutionary trajectory of UE Contract Law towards post-national Law, in un contributo (inedito) nell’ambito del progetto ERPL in corso di elaborazione a cura di H. Micklitz presso L’Istituto Universitario Europeo con sede a Firenze.