Magistratura democratica

Le scelte del pubblico ministero:
obbligatorietà dell’azione penale, strategie di indagine e deontologia

di Edmondo Bruti Liberati

L’attività del pubblico ministero, pur se rigorosamente svolta nell’osservanza delle regole e delle garanzie del processo, è segnata da scelte discrezionali: esse sollecitano un’assunzione di responsabilità che il richiamo al principio della obbligatorietà dell'azione penale non consente di evitare. Un pubblico ministero che corrisponda al proprio dovere di accertare fatti di reato specifici e responsabilità individuali, nel pieno rispetto delle garanzie di difesa – senza pretendere di risolvere problemi politici e sociali, denunziare generici fenomeni criminali o lanciare segnali – è chiamato ad affrontare queste scelte: la difesa dello statuto di indipendenza del pubblico ministero passa anche attraverso la consapevolezza del ruolo svolto nella giurisdizione, l’elevata competenza professionale, il rispetto delle regole deontologiche, l’attenzione alle ragioni delle parti, nella concretezza dei passaggi del procedimento penale e, per i dirigenti degli uffici, la distribuzione delle risorse e la cura degli aspetti organizzativi.

1. Premessa

Mi propongo di partire da due spunti tratti da ricorrenti polemiche:

1.«L’azione penale è obbligatoria » vs «L’obbligatorietà dell’azione penale è una ipocrisia. Occorrono indicazioni sulle priorità»

2.“Atto dovuto” vs “orologeria giudiziaria”

Un passo indietro. Montesquieu, Libro XI, cap. VI, Lo spirito delle leggi, 1748: «I giudici sono soltanto … la bocca che pronuncia le parole della legge, esseri inanimati che non possono regolarne né la forza né la severità»

«Giudice ... bocca che pronuncia le parole della legge» rimane monito ancor attuale, contro il soggettivismo, l’arbitrio interpretativo, gli spericolati riferimenti, nel settore penale, alla «funzione promozionale del diritto». Anche se dietro il modello/mito del giudice “bocca della legge” si è a lungo trincerata la ideologia della magistratura tradizionalista, la creatività giurisprudenzialeè un dato di fatto con cui ci si è dovuti sempre confrontare.

«Giudici legislatori?» Mauro Cappelletti, 1984. Premessa: «Questo studio comparativo non è inteso a dimostrare la verità, banale, anche se infinite volte, in ogni epoca e con tanta inesauribile perserveranza negata o nascosta, della creatività della giurisprudenza. Esso è inteso a ricercare piuttosto le ragioni per le quali tale creatività è divenuta più necessaria e più accentuata nelle società contemporanee ed a precisare la tuttavia permanente tipicità del processo giurisdizionale»[1].

Il tema della creatività giurisprudenziale è strettamente connesso a quello della discrezionalità. Aharon Barak nella prefazione avverte che il suo studio sulla discrezionalità del giudice concerne «la deliberazione del giudice, quando questi, dopo aver compreso e soppesato i diversi fattori, si trova a dover scegliere tra un certo numero di possibilità, ognuna delle quali è legittima». Più avanti Barak sostiene che in uno stato democratico la società, il pubblico devono essere consapevoli dell’esistenza della discrezionalità e creatività giudiziaria «non dovrebbe essergli celata la verità; altrimenti quando verrà a scoprire che l’operato dei giudici si discosta dalle loro affermazioni teoriche, la sua fiducia nel potere giudiziario subirà un duro colpo»[2].

Queste osservazioni ben note sulla creatività giudiziaria e sulla discrezionalità ben possono essere riferite anche al pubblico ministero. Le ho rievocate solo per sottolineare quanto sia inconsistente il pretestuoso trincerarsi di alcuni settori dei pubblici ministeri dietro il principio della obbligatorietà dell'azione penale per evitare di misurarsi con la assunzione di responsabilità per le scelte discrezionali che percorrono tutta l’attività del pubblico ministero, pur se rigorosamente svolta nella osservanza delle regole e delle garanzie del processo.

Ed ancora alcune ovvietà, che pure non è male ricordare.

Il pubblico ministero ha l’obbligo di accertare fatti di reato specifici e responsabilità individuali, con il livello di prova elevato che si esige per una condanna, nel pieno rispetto delle garanzie di difesa e non di indagare e pretendere di risolvere problemi politici e sociali. Peggio ancora denunziare generici “fenomeni criminali” per “lanciare segnali” alla politica, prima ancora della apertura di una indagine. O addirittura lanciare allarmi alla politica proclamando certezze, ma aggiungendo di non avere prove.

Il pubblico ministero ha l’obbligo di accertare fatti previsti dalla legge come reato e non di intervenire su fatti di malcostume o irregolarità ammnistrative. Art. 330 cpp: «Il pubblico ministero e la polizia giudiziaria prendono notizia dei reati di propria iniziativa e ricevono le notizie di reato presentate o trasmesse a norma degli articoli seguenti». Si discute e vi sono proposte di modifica sulla “iniziativa” del pubblico ministero, ma il punto centrale è nella nozione di reato(oggi è passata nel linguaggio giornalistico la impropria ridondante locuzione reati penali, ma forse serve fare chiarezza).

Non spetta al pubblico ministero il ruolo di custode della virtù pubblica, come ammoniva Alessandro Pizzorno nel 1998 in volumetto dal titolo «Il potere dei giudici. Stato democratico e controllo della virtù»[3]. Meriterebbe di essere ripubblicato, non solo per la finezza e l’attualità della analisi, ma perché forse lo potrebbero finalmente leggere i non pochi commentatori che non sono andati oltre la lettura del titolo e attribuiscono all’autore l’esatto contrario del suo pensiero.

2. Azione penale obbligatoria e direttive sulle priorità

Il principio della obbligatorietà dell’azione penale impone anzitutto la rigorosa delimitazione del campo di intervento del pubblico ministero ai reati penali, uso ancora deliberatamente la locuzione giornalistica, e comporta poi, spesso, assunzione di responsabilità per scelte tra diverse opzioni possibili, ognuna delle quali è legittima, come ci dice Aharon Barak.

Eludere questa assunzione di responsabilità è vano, ma neppure giova alla analisi la banalizzazione di segno opposto di chi evoca come soluzione salvifica quella delle direttive sulle priorità.

Quali direttive? Emesse da chi? A livello locale? A livello nazionale? Quale livello di dettaglio? Quali eccezioni ai criteri generali, per far diventare prioritario un caso specifico che rientrava nelle categorie del non prioritario? Non tratto questi temi, ma osservo che ciò che ha reale incidenza pratica e sollecita la responsabilità del pubblico ministero dirigente di un ufficio è, anzitutto, la distribuzione delle risorse e l’aspetto organizzativo.

Nella mia esperienza di responsabile di una grande procura non ho preferito non emettere direttive sulle priorità, ma operare sul versante organizzazione, con scelte rese trasparenti anche all’esterno con lo strumento del Bilancio di responsabilità sociale.

Alcuni esempi ai due estremi di quella che potrebbe essere in astratto una scala di priorità.

La percentuale di magistrati che devono essere addetti alla Dda, stabilita dalle direttive del Csm è, a mio avviso, più che adeguata e spesso eccessiva. In talune sedi la assegnazione alla Dda è un medaglietta da conquistare e la composizione è del tutto pletorica; a Milano, seguendo le indicazioni del procuratore aggiunto responsabile, si è tenuto un organico ridotto, ma qualificato e i risultati raggiunti dimostrano la bontà della scelta.

I reati seriali e suscettibili di rapida definizione sono trattati dalla sezione Sdas[4], coordinata da un magistrato di grande esperienza e con un turno di sostituti che “estraggono” dalla corsia routinaria i casi che meritano approfondimenti. Le piccole truffe quando assumono rilievo sociale particolare (truffe contro gli anziani) sono trattate da una struttura specializzata.

Per i reati societari, fiscali e fallimentari per il rilievo che hanno a Milano è stata creato un Dipartimento specializzato che è il maggiore per numero di magistrati addetti.

Il principio costituzionale della obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Cost.), ovviamente, mantiene tutta la sua attualità, da un lato, come garanzia di indipendenza del pubblico ministero da qualunque altro potere e, dall’altro, come garanzia della eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge.

D’altronde, a livello europeo, la linea di tendenza è verso l'affermarsi del principio cd. di legalità, anche nei sistemi che non conoscono il principio di obbligatorietà dell'azione penale; la discrezionalità tende sempre più a qualificarsi come discrezionalità “tecnica” per i casi di minimo rilievo (essenzialmente i casi in cui alla violazione della norma penale non corrisponde una reale offensività). Ove al Ministro della giustizia sia riconosciuto il potere di emanare direttive al pubblico ministero, tali direttive tendono ad essere sempre più limitate e controllate. La possibilità per il Ministro di impartire direttive al pubblico ministero, è stata oggetto delle più vive polemiche in Francia, perché apre la strada ad interferenze sui casi di rilievo politico e costituisce comunque un fattore di condizionamento dell'iniziativa del pubblico ministero; successivi interventi legislativi e impegni assunti dai ministri hanno fortemente circoscritto questa facoltà.

Il progetto di «Corpus Juris» per la protezione degli interessi finanziari dell’Unione europea, che ha dovuto tener conto delle diverse tradizioni presenti nei paesi europei, ha significativamente previsto all’art. 19 un sistema di obbligatorietà temperata.

3. Atto dovuto e orologeria giudiziaria

«Atto dovuto» vs «orologeria giudiziaria».

Il preteso «atto dovuto» è in realtà il risultato di una scelta effettuata dal pubblico ministero su an, quomodo, quando. Peraltro l’unico orologio che la giustizia penale deve tenere in conto è quello della ragionevole durata del processo, non l’orologio delle compatibilità con le scadenze della politica, dell’economia o anche dello stato di avanzamento delle grandi opere pubbliche. Le stucchevoli litanie sulle «indagini ad orologeria» ignorano poi il carattere di relativa “casualità” sia dell’inizio dell’indagine penale che non deriva dall'esito di controlli sistematici preventivi (che non sono compito del pubblico ministero) sia del momento delle acquizioni di elementi di prova nel corso della indagine.

Art. 335 cpp «Il pubblico ministero iscrive immediatamente, nell’apposito registro custodito presso l’ufficio ogni notizia di reato che gli perviene o che ha acquisito di propria iniziativa, nonché, contestualmente o dal momento in cui risulta, il nome della persona alla quale il reato stesso è attribuito».

Attenzione agli avverbi: «immediatamente» perentorio, ma… «contestualmente» altrettanto perentorio, ma subito dopo temperato con «o dal momento in cui risulta».

All’art. 1 del decreto ministeriale 30 settembre 1989 Approvazione dei registri in materia penale troviamo: Modello 21 registro delle notizie di reato (noti), ma poi Modello 44 Registro delle notizie di reato (ignoti) e Modello 45 Registro degli atti non costituenti notizia di reato.

Il pubblico ministero iscrive immediatamente, ma in quale dei tre registri mod 21, 44 o 45? Reato o non reato? Noti o ignoti? Qualunque scelta ha margini di opinabilità e può prestarsi ad arbitri, ma appunto è una scelta che il pubblico ministero deve operare. Immediatamente? Ma già l’esame preliminare della “notizia” può non essere così semplice. Ed è più garantista, nel dubbio, iscrivere comunque ed immediatamente a mod. 21 noti? Di recente il procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone, ha emanato una circolare sulla gestione delle iscrizioni delle notizie di reato dopo la riforma penale entrata in vigore con la legge n. 103/2017, che ha attribuito al procuratore della Repubblica il compito di assicurare «l’osservanza delle disposizioni relative all’iscrizione delle notizie di reato», segnalando rischi e costi delle prassi basate sull’automatismo[5]. Nella circolare si richiama opportunamente l’art. 109 disp. att. cpp. «La segreteria della procura della Repubblica annota sugli atti che possono contenere notizia di reato la data e l’ora in cui sono pervenuti in ufficio e li sottopone immediatamente al procuratore della Repubblica per la eventuale iscrizione nel registro notizie di reato». Anche qui si noti «possono contenere» ed «eventuale iscrizione»: due momenti valutativi. Nelle procure, pur escludendo le denunce a carico di ignoti, trasmesse per elenchi dalle autorità di polizia, la segreteria smista ogni giorno decine, nei piccoli uffici, e centinaia, nei grandi uffici, di atti, solo alcuni dei quali «possono contenere notizia di reato». Dunque la prima cernita è effettuata dal personale di segreteria, che ovviamente in caso di dubbio si rivolgerà al magistrato. Non è per nulla un passaggio irrilevante, poiché negli ultimi anni la mole crescente di “atti” che pervengono alle procure, unita alla crescente carenza di personale, in molte situazioni e in quasi tutte le grandi sedi comporta un qualche ritardo nello smistamento e registrazione degli atti pervenuti, salvo le urgenze.

Il secondo passaggio è rimesso al magistrato, procuratore della Repubblica, procuratore aggiunto o sostituto a seconda delle dimensioni dell’ufficio e della struttura organizzativa posta in essere.

La circolare citata detta alcuni criteri per la valutazione che il magistrato deve effettuare. Ferma la funzione di garanzia della tempestiva iscrizione si rammenta che «dall’iscrizione – e dai fisiologici atti processuali che ne conseguono – si dispiegano effetti pregiudievoli non indifferenti», anche quando non vi sia una “fuga di notizie” sulla iscrizione, con la conclusione: «procedere ad iscrizioni non necessarie è tanto inappropriato quanto omettere le iscrizioni dovute».

E infatti un preteso automatismo della iscrizione «finisce per attribuire impropriamente alla Polizia giudiziaria - o, addirittura, al privato denunciante - il potere di disporre delle iscrizioni a mod. 21, potere che, viceversa, non può che essere esclusivo del pubblico ministero». Nella circolare si rammenta che «le persone offese del reato hanno diritto di ottenere informazioni in ordine al contenuto del Registro generale, il che frequentemente consente che l’avvenuta iscrizione divenga strumentalmente utilizzabile, da denuncianti o da altri, per fini diversi rispetto a quello dell’accertamento processuale, specie in contesti di contrapposizione di carattere politico, economico, professionale, sindacale, ecc.»[6]. L’esperienza ci ha mostrato la tecnica, in cui alcuni sono specializzati, di esposti-denunce tanto dettagliati quanto privi di effettive notizie di reato inviate a mo’ di circolare a tutte le Procure italiane nella speranza che qualcuna abbocchi all’amo e consenta la strumentalizzazione sopra evocata.

4. Informazione di garanzia e discovery

Art. 369, comma 1, cpp: «Solo quando deve compiere un atto al quale il difensore ha diritto di assistere, il pubblico ministero invia per posta, in piego chiuso raccomandato con ricevuta di ritorno una informazione di garanzia …».

Solo quando deve. Ancora la questione “orologeria”. È il pubblico ministero che deve valutare quando deve disporre un atto investigativo garantito, in particolare perquisizione o sequestro, ma non solo.

È ricorrente la polemica e la disinformazione sulla legittima difesa. Nella maggior parte dei casi è estremamente difficile stabilire sin dall’inizio se ricorra la causa di giustificazione. E questo quale che sia o sarà il livello di dettaglio della normativa.

Art. 52 codice penale 1930: «Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa». Arturo e Alfredo Rocco irresponsabili buonisti? Ultragarantista il Duce, presidente del Consiglio del 1930? I due commi aggiunti con la legge n. 59/2006 con riferimento alle aggressioni nel domicilio, hanno inteso tipizzare il requisito della proporzione a favore dell’aggredito, stabilendo una presunzione di proporzione. Opera vana perché comunque si ripropone il tema della discrezionalità applicativa. La alternativa è bene espressa nello slogan «La difesa è sempre legittima»: quindi via ogni riferimento a “necessità”, “pericolo attuale” “proporzione” e magari anche infine “offesa ingiusta”.

Ebbene, proprio nei casi in cui vi sia una vittima, anche quando sin dall’inizio appaia probabile che ricorra la scriminante, si impone l’“atto dovuto” della iscrizione immediata nel registro noti mod. 21 e l’informazione di garanzia per l’esercizio dei diritti di difesa (autopsia, perizie balistiche, etc.).

Se nel dibattito pubblico vi fosse un minimo di razionalità proprio da questi casi si dovrebbe prendere lo spunto per far maturare la consapevolezza del valore della presunzione di innocenza.

Più in generale spetta al pubblico ministero la decisione se anticipare al massimo un atto investigativo garantito, con una scelta che ha una valenza garantistica, ma anche l’effetto di rendere pubblica la indagine. Ed anche sulle modalità concrete di compimento dell’atto incidono scelte e direttive del pubblico ministero: perquisizione con ampio schieramento di auto con lampeggianti, uomini armati in divisa e televisioni al seguito oppure perquisizioni disposte con modalità tali da assicurarne insieme la efficacia e la massima discrezione. Per altro verso può essere anche una scelta dell’indagato e una strategia della difesa quella di sollecitare la pubblicità piuttosto che cercare di mantenere la riservatezza sulla esistenza di una indagine penale a carico.

5. Esecuzione di atti di investigazione autorizzati e di misure disposte dal giudice per le indagini preliminari

Fin qui si è parlato di attività direttamente disposte dal pubblico ministero, ma margini di discrezionalità rilevanti investono anche la esecuzione di provvedimenti del giudice per le indagini preliminari.

Un tema sempre attuale è quello delle modalità di documentazione delle intercettazioni telefoniche: quale che sia la normativa di dettaglio, il pubblico ministero si è sempre dovuto confrontare con ”scelte” o “non scelte”. È ovvio che il pubblico ministero di norma non può procedere direttamente all’ascolto integrale, ma delega la polizia giudiziaria che redige il cd. brogliaccio e poi le informative in cui si fa il punto sullo stato delle indagini e sulle risultanze delle intercettazioni. La delega alla polizia giudiziaria non esime il pubblico ministero dal dovere di essere costantemente informato di quanto emerge dalle intercettazioni, anche al fine di valutare se richiedere una proroga o interrompere anticipatamente attività rivelatasi inutile. Spetta ancora al pubblico ministero dare direttive precise sulla redazione dei brogliacci, con particolare riferimento alle conversazioni strettamente private o comunque non rilevanti per la indagine e selezionare poi il materiale da utilizzare nelle richieste di proroga e nelle richieste di misure cautelari, non limitandosi al copia/incolla. E questo vuol dire evidenziare anche i dati favorevoli alla difesa e non evidenziare i dati irrilevanti ai fini dell’accertamento del reato (vicende private, ma anche vicende di rilievo pubblico, politico, economico, di costume ma non attinenti al reato).

Dunque responsabilità diretta del pubblico ministero di gestire, senza adagiarsi sulla delega, le intercettazioni, strumento di indagine essenziale, ma da utilizzare con la più grande attenzione e nei limiti dello stretto indispensabile e della stretta attinenza ai reati da accertare. Un contenimento dei bersagli e delle spese è possibile ed è stato attuato alla Procura di Milano.

Anche la esecuzione delle misure cautelari disposte dal giudice per le indagini preliminari lascia spazio a scelte (o “non scelte”) del pubblico ministero. Al di là dei casi disciplinati dalla normativa sul decreto di ritardata esecuzione, in tema di criminalità organizzata, l’art. 92 disp. att. cpp dispone che l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari sia trasmessa immediatamente al pubblico ministero. Ancora una volta l’avverbio immediatamente, ma l’esecuzione concreta può non essere così immediata, per esigenze organizzative della polizia o per la necessità di eseguire contestualmente misure nei confronti di più indagati. Anche qui largo spazio per le polemiche sulla orologeria del pubblico ministero, spesso senza tener conto che la richiesta del pubblico ministero può essere anche di molto antecedente alla emissione della ordinanza applicativa del giudice per le indagini preliminari e che nel frattempo situazioni di fatto mutate richiedono nuove misure organizzative.

Vi sono poi le modalità di esecuzione degli arresti. Nel Bilancio di responsabilità sociale della Procura di Milano 2014-2015 si è potuto rivendicare: «Il rispetto della dignità delle persone ha comportato, d’intesa con le forze di polizia, la adozione di precise prassi operative per evitare la ripresa fotografica o televisiva di persone al momento dell’arresto. Nel quinquennio, nonostante siano stati eseguiti numerosi arresti in tema di criminalità mafiosa, terrorismo, corruzione e criminalità economica suscettibili di grande risonanza mediatica, in nessuna occasione vi è stata la diffusione di immagini delle persone al momento dell’arresto»[7]. Ma non sempre e non dovunque avviene così.

Le forze di polizia che all’esito di indagini complesse eseguono gli arresti comprensibilmente cercano una qualche visibilità. Questa esigenza può essere soddisfatta in modo rispettoso dei principi con comunicati stampa e anche conferenze stampa. Cito ancora dal Bilancio di responsabilità sociale della Procura di Milano 2014-2015 dal capitolo è dedicato a «La comunicazione della Procura»: «In occasione di indagini di particolare rilievo al comunicato stampa è seguita unaconferenza stampa, tenuta negli uffici della Procura della Repubblica, con la partecipazione dei responsabili della o delle forze di Pg interessate. L’obiettivo è di fornire all’opinione pubblica una informazione il più possibile completa su quegli aspetti della indagine che non sono più coperti da segreto e sempre nel rispetto della presunzione di non colpevolezza».

Lasciamo agli americani la barbarie del perp walk (da perpetrator walk). E dico barbarie a ragion veduta; basti un esempio.

Il 14 maggio 2011 Dominique Strauss-Kahn è stato arrestato a New York con l'accusa di tentata violenza sessuale ai danni della cameriera di un hotel di Times Square ove egli era alloggiato. Quattro giorni dopo l'arresto, ha rassegnato le sue dimissioni dalla carica di direttore del Fmi. Dopo sei giorni di detenzione nel carcere di massima sicurezza di Rikers Island, previo pagamento di una cauzione di sei milioni di dollari, e due passaggi nel perp walk, all'economista sono stati concessi gli arresti domiciliari.

Il 1° luglio 2011 il New York Times ha annunciato una svolta nell'indagine. Secondo il procuratore, la donna avrebbe deliberatamente mentito davanti al Gran Giurì. Per questo, a Strauss-Kahn sono stati revocati i domiciliari e la cauzione milionaria restituita. Il 23 agosto 2011, la procura di New York ha definitivamente archiviato le accuse nei suoi confronti. Tuttavia l'accusatrice ha intentato, per questo episodio, una causa civile contro l'ex direttore del Fmi. A fine 2012 Dominique Strauss Kahn ha chiuso anche la vertenza civile con la cameriera dell'hotel che lo aveva accusato, versandole un indennizzo concordato davanti al giudice a New York; secondo media americani si trattava di sei milioni di dollari.

Ma evitiamo anche gli eccessi contrari.

Art 42-bis Ordinamento penitenziario (inserito con la legge n. 492/1992): comma 4: «Nelle traduzioni sono adottate le opportune cautele per proteggere i soggetti dalla curiosità del pubblico e da ogni specie di pubblicità …»; comma 5: «Nelle traduzioni individuali l’uso delle manette ai polsi è obbligatorio quando lo richiedono la pericolosità del soggetto o il pericolo di fuga o circostanze di ambiente che rendono difficile la traduzione. In tutti gli altri casi l’uso delle manette ai polsi o di qualsiasi altro messo di coercizione fisica è vietato».

In molti palazzi di giustizia sono stati messi in atto dei percorsi per la traduzione direttamente in aula dei detenuti evitando i corridoi e gli atri di passaggio; ma ciò per molti edifici storici e per diverse aule di udienza non è possibile. Spetta al pubblico ministero dell’udienza adottare le misure opportune, ma occorre anche il senso di responsabilità di fotografi ed operatori televisivi.

6. Esercizio della azione penale e scelta dei riti

A conclusione delle indagini è preciso dovere del pubblico ministero (art. 125 disp. att. cpp) vagliare con rigore la sostenibilità dell’accusa in giudizio, resistendo anche alle pressioni di parti offese e denuncianti particolarmente motivati, per non dire di campagne di stampa colpevoliste.

La scelta del pubblico ministero non si limita all’alternativa tra richiesta di archiviazione ed esercizio dell’azione penale, ma investe la scelta dei riti (es. decreto penale, giudizio immediato, custodiale e non). Inoltre all’esito di maxi-indagini il pubblico ministero può optare per il maxi-processo, ovvero operare una serie di stralci per filoni di indagine, con conseguenze non irrilevanti sui tempi del processo e non solo. Abbiamo avuto in Italia l’esperienza di maxi-indagini fortemente mediatizzate sfociate in interminabili maxi-processi con mini risultati finali per l’ipotesi di accusa e maxi-danno per la credibilità della giustizia.

Eppure il favor separationis ispira il codice del 1989 e l’art. 371 cpp in tema di indagini collegate fissa i principi della «speditezza, economia ed efficacia delle indagini».

Riporto le considerazioni svolte sulle indagini Expo nel Bilancio di responsabilità sociale 2014/2015 della Procura della Repubblica di Milano, reperibile nella sua integralità, così come quelli dei quattro anni precedenti, sul sito internet della Procura della Repubblica di Milano: «La vicenda può suggerire qualche riflessione sul tema oggi attuale del rapporto tra iniziative giudiziarie ed attività economica e tra magistratura ed altre istituzioni dello Stato. I tempi della giustizia non sono i tempi dell’economia e delle attività imprenditoriali, ma la giustizia può cercare di adottare tutte le misure organizzative affinché questa distanza si riduca. La Procura di Milano ha svolto il ruolo che le compete di accertamento rigoroso dei fatti di reato. La magistratura penale non deve farsi carico di “compatibilità”, ma può e deve operare con scelte organizzative e di strategia di indagine che assicurino la massima celerità, mettendo le altre articolazioni delle istituzioni in condizione di adottare tempestivamente i provvedimenti di loro competenza. Spettava alle altre articolazioni istituzionali operare affinché al doveroso intervento della magistratura penale, che ha comportato anche l’esecuzione di misure cautelari nei confronti di responsabili operativi dei lavori in corso, seguissero iniziative gestionali ed amministrative atte ad assicurare la prosecuzione delle opere in condizioni di ripristinata legalità. Un primo segnale è venuto con la istituzione in tempi brevissimi dell’Anac, con la presidenza del magistrato Raffaele Cantone, quindi con il raccordo operativo tra il presidente dell’Anac ed il prefetto di Milano, che ha condotto al “commissariamento” di rami di azienda per consentire la prosecuzione dei lavori. Dal canto suo il prefetto di Milano ha posto in essere una particolarmente incisiva azione di applicazione delle misure interdittive antimafia. Nel rigoroso quadro delle rispettive competenze è stata assicurata la piena collaborazione tra Procura della Repubblica, Autorità anticorruzione e Prefettura».

7. Pubblico ministero “parte imparziale”

La analisi finora proposta ha posto in evidenza gli ampi spazi di discrezionalità che connotano le scelte del pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari, fase nella quale il pubblico ministero è sostanzialmente solo senza confronto con la difesa.

Pubblico ministero solo, pubblico ministero onnipotente? Di qui l’accento sulla professionalità e sulla deontologia del pubblico ministero, parte, ma “parte imparziale”. L’ossimoro, che tale è, non può essere liquidato sbrigativamente e con fastidio come spesso avviene. Il tema della imparzialità si pone, sia pure in modo particolare, anche per il pubblico ministero.

Il codice etico dell’Anm (art. 13), riprendendo l’art. 358 cpp detta: «Il pubblico ministero si comporta con imparzialità nello svolgimento del suo ruolo. Indirizza la sua indagine alla ricerca della verità acquisendo anche gli elementi di prova a favore dell’indagato e non tace al giudice l’esistenza di fatti a vantaggio dell’imputato».

Pubblico ministero “parte imparziale”, è una definizione oggetto di polemiche, talora, dicevo, di sbrigativi atteggiamenti liquidatori, soprattutto dopo l’adozione nel nostro Paese di un processo di tipo accusatorio.

Le semplificazioni non giovano, non esiste il “modello di pubblico ministero”: nel 2001 una studiosa francese ha aperto il suo «Etude pour un ministère public européen» con queste parole: «Le ministère public reste l’institution pénale la plus diversifiée en Europe»[8].

Auspico che riprenda nel nostro Paese un approfondimento sul ruolo del pubblico ministero, tema sul quale è vivissima la riflessione in convegni, studi e saggi in Francia ed in Belgio, mentre da noi ormai da qualche anno il dibattito si è isterilito nella stantia ripetizione di stereotipi sulla separazione o meno delle carriere.

Il concetto di indipendenza del pubblico ministero rispetto all’esecutivo è estraneo alla tradizione di molti Paesi, che garantiscono l’indipendenza dei giudici, ma negli ultimi decenni vi è stata una straordinaria proliferazione a livello internazionale di testi che pongono il principio dell’imparzialità del pubblico ministero (declinata con il termine “obbiettività” in lingua inglese)[9].

Un espresso riferimento alla “imparzialità” del pubblico ministero si trova nell’art. 124, comma 2, della Costituzione spagnola del 1978.

A livello di regole di procedura, il principio della imparzialità del pubblico ministero si concretizza nel dovere di indagare, secondo la espressione francese, «à charge et à decharge», concetto ripreso nel nostro art. 358 cpp: «Il pubblico ministero … svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini».

La Raccomandazione 2000 (19) del Consiglio d’Europa sul ruolo del pubblico ministero nel sistema della giustizia penale prevede che «nell’esercizio delle loro funzioni i pubblici ministeri devono agire in modo equo, imparziale» (art. 24 a).

Formulazioni analoghe si trovano nel Corpus Juris sulle disposizioni penali per la protezione degli interessi finanziari dell’Unione Europea, art. 20, comma 1 : «Afin de permettre la manifestation de la verité et de mettre l’affaire en état d’etre jugée, le MPE conduit, à charge et à decharge, les investigation relatives aux infractions definies ci-dessus» e nello Statuto del Tribunale penale internazionale adottato con la Convenzione di Roma del 1998[10].

Tutti questi testi non esitano ad indicare che l’obbiettivo del processo penale è quello di “stabilire la verità”. A far giustizia di sbrigative posizioni sul processo accusatorio giova una citazione da un testo del 2001 di Lord Justice Auld (all’epoca presidente di un Royal Commission sulla riforma del processo penale inglese): «Il processo penale non è un gioco. È la ricerca della verità secondo la legge, attraverso una procedura accusatoria nella quale l’accusa deve provare la colpevolezza secondo uno standard particolarmente elevato»[11].

Il tema dell’accertamento dei fatti, la ricerca della verità processuale ci rimanda al principio del contraddittorio.

Paolo Ferrua, in uno scritto pubblicato subito dopo la entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, dopo aver ricordato il significato della verità giudiziale, critica le semplificazioni di chi vorrebbe prospettare «il processo accusatorio come pura soluzione di conflitti tra le parti, dominato da una esasperata disponibilità della prova, da una logica di laissez faire, pronta a sacrificare le esigenze di giustizia sostanziale».

Osservazione conclusiva: «si è insistito troppo sul contraddittorio come diritto di difesa, come garanzia individuale; e non si è, con pari forza, evidenziata la sua dimensione pubblicistica di mezzo per l’accertamento della verità, per la corretta ricostruzione dei fatti»[12].

È proprio il riferimento al metodo del contraddittorio come mezzo per la ricerca della verità che fonda la peculiare “imparzialità” della parte pubblica pubblico ministero.

«La verità ... è realmente nota soltanto a chi ha dedicato un’attenzione uguale e imparziale alle opposte ragioni, cercando di vederla il più chiaramente possibile»[13]: John Stuart Mill, il quale proseguiva con una osservazione che propongo di adattare al pubblico ministero nella fase della indagine preliminare: «Questa disciplina è così essenziale a una reale comprensione delle questioni morali e umane che se una verità fondamentale non trova oppositori è indispensabile inventarli e munirli dei più validi argomenti che il più astuto avvocato del diavolo riesce ad inventare».

Lo stesso Stuart Mill infatti sottolinea che gli argomenti contrari occorre «udirli da persone che ne sono realmente convinte, che li difendono accanitamente e al massimo delle loro possibilità». Nella fase di indagine preliminare in cui il pubblico ministero “è solo”, in mancanza di contraddittorio vero, sarebbe buona regola cercare almeno un confronto all’interno dell’ufficio.

8. Responsabilità e deontologia del pubblico ministero

Negli ultimi decenni nell’ambito della riflessione sulla deontologia dei magistrati una attenzione crescente è stata dedicata alla deontologia del pubblico ministero, tema che assume particolare rilevanza alla luce di quanto sopra esposto sulla discrezionalità che connota molti rilevanti passaggio della attività del pubblico ministero.

A livello europeo un ruolo chiave è stato giocato dal Consiglio d’Europa, in particolare nella fase di costruzione di istituzioni democratiche nei Paesi dell’Europa centrale e dell’Est dopo la caduta del muro di Berlino.

Tra i documenti prodotti da diverse istanze del Consiglio d’Europa, due sono particolarmente rilevanti.

CCJE Opinione no. 12 (2009) e CCPE Opinione No. 4 (2009) su Relazioni tra giudici e pubblici ministeri in una società democratica adottata congiuntamente dal Consiglio consultivo dei giudice europei e dal Consiglio consultivo dei pubblici ministeri europei («Dichiarazione di Bordeaux») .

CCPE Opinione no. 9 (2014) su Norme e principi europei sul pubblico ministeri («Carta di Roma»).

Per ritornare all’ambito interno rimando al Codice etico del 1992 dell’Anm italiana, di cui ho sopra citato l’articolo relativo al pubblico ministero.

Una efficace sintesi è stata proposta nella Relazione inaugurale dell’anno giudiziario 2011 del primo presidente della Cassazione Ernesto Lupo: «L’esercizio di tali rilevanti compiti da parte di giudici e pubblici ministeri garantiti da uno statuto di piena indipendenza richiede piena consapevolezza del ruolo proprio della giurisdizione, elevata qualificazione e competenza professionale, rispetto delle regole deontologiche, massima attenzione alle ragioni degli altri, costume di sobrietà e di rigore istituzionale e professionale».

Da ultimo importanti spunti di riflessione sono stati proposti dal Presidente Mattarella nel discorso rivolto il 6 febbraio 2017 ai magistrati in tirocinio: «I provvedimenti adottati dalla magistratura incidono, oltre che sulle persone, sulla realtà sociale e spesso intervengono in situazioni complesse e a volte drammatiche, in cui la decisione giudiziaria è l'ultima opportunità, a volte dopo inadempienze o negligenze di altre autorità. Per questo l'intervento della magistratura non è mai privo di conseguenze. La valutazione delle conseguenze del proprio agire non può essere certo intesa in alcun modo come un freno o un limite all'azione giudiziaria rispetto alla complessità delle circostanze. È, comunque, compito del magistrato scegliere, in base alla propria capacità professionale, fra le varie opzioni consentite, quella che, con ragionevolezza, nella corretta applicazione della norma, comporta minori sacrifici per i valori, i diritti e gli interessi coinvolti».

Il Presidente si rivolgeva ai magistrati in tirocinio ma il monito si deve considerare rivolto a tutti i magistrati.

Rilevo, con preoccupazione, oggi in magistratura e in particolare tra i pubblici ministeri, talune posizioni di chiusura corporativa e di autorefenzialità, che tendono a coniugarsi con il populismo giudiziario.

E se il populismo della politica è preoccupante, il populismo giudiziario è pessimo. La forte denuncia del populismo giudiziario di Luigi Ferrajoli è più che mai attuale: «L’esibizionismo, la supponenza e il settarismo di taluni magistrati», in particolare del pubblico ministero e il «loro protagonismo nel dibattito pubblico diretto a procurare consenso alle loro inchieste e soprattutto alle loro persone».

Non meno attuali le massime deontologiche che Ferrajoli proponeva: «il costume di sobrietà e riservatezza»; «la consapevolezza del carattere sempre relativo ed incerto della verità processuale»; «il costume del dubbio, la prudenza nel giudizio, la disponibilità all’ascolto di tutte le diverse e opposte ragioni»; «il rispetto dovuto a tutte le parti in causa, vittime e imputati, pur se mafiosi, terroristi o corrotti»[14] .

Concludo richiamando un ulteriore passaggio del già citato discorso del Presidente Mattarella ai magistrati in tirocinio: «Equilibrio, ragionevolezza, misura, riserbo sono virtù che, al pari della preparazione professionale, devono guidare il magistrato in ogni sua decisione. Lo spirito critico verso le proprie posizioni e “l'arte del dubbio” - l'utilità del dubbio - sorreggono sempre una decisione giusta, frutto di un consapevole bilanciamento fra i diversi valori tutelati dalla Costituzione. La magistratura, nella nostra recente storia, ha dimostrato di avere tutti gli strumenti per garantire il riconoscimento dei diritti, senza condizionamenti. È un bene che sia sempre più orgogliosa della sua funzione insostituibile, ma anche consapevole della grande responsabilità che grava sulla sua azione».

[1] M.Cappelletti, Giudici legislatori?, Giuffrè, Milano, 1984.

[2] A. Barack, La discrezionalità del giudice (1989), trad. it, Giuffrè, Milano, 1995, pp. 212-213.

[3] A. Pizzorno, Il potere dei giudici. Stato democratico e controllo della virtù, Laterza, Roma-Bari, 1998.

[4] Sezione definizione affari semplici.

[5] Circolare n. 3225/17 del 2 ottobre 2017 del Procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone, in Questione giustizia on line, www.questionegiustizia.it/articolo/no-a-iscrizioni-frettolose_pignatone-sfata-la-leggenda-dell-atto-dovuto_17-10-2017.php.

[6] Tutti i virgolettati sono tratti dalla circolare citata. Per un commento vedi ivi, D. Stasio, «No a iscrizioni frettolose» Pignatone sfata la leggenda dell’”atto dovuto”, in Questione Giustizia on line, Rubrica Controcanto, 17 ottobre 2017, www.questionegiustizia.it/articolo/no-a-iscrizioni-frettolose_pignatone-sfata-la-leggenda-dell-atto-dovuto_17-10-2017.php.

[7] I Bilanci di responsabilità sociale sono reperibili sul sito www.procura.milano.giustizia.it.

[8] A.Perrodet, Etude pour un ministère public européen, Paris, L.G.D.J., 2001.

[9] M. Robert, Quale imparzialità per il pubblico ministero?, in Questione giustizia, edizione cartacea, Franco Angeli, Milano, 2005, 2, pp. 402 ss. Tutte le figure di pubblico ministero previste nei tribunali internazionali sono dotate di indipendenza. Si veda ad esempio l’art. 42 della Convenzione di Roma del 17 luglio 1998 sul Tribunale penale internazionale: «Il Pubblico Ministero non sollecita né accetta istruzioni da alcuna fonte esterna».

[10] In ordine ai doveri del prosecutor all’art 54.1 detta: «Il prosecutor al fine di stabilire la verità deve estendere la investigazione su tutti i fatti e le prove rilevanti per accertare se sussiste una penale responsabilità ai termini di questo Statuto e pertanto deve accertare parimenti le circostanze a favore e contro l’accusa» («The prosecutor shall: In order to establish the truth, extend the investigation to cover all facts and evidence relevant to an assessment or whether there is criminal responsibility under this Statute, and, in doing so, investigate incriminating and exonerating circumstances equally»).

[11] In A rewiew of the Criminal Courts of England and Wales, september 2001, p. 11: «The criminal process is not a game. It is a search for truth according to law, albeit by an adversarial process in which the prosecution must prove guilt to a heavy standard».

[12] P. Ferrua, Contraddittorio e verità nel processo penale, in P. Ferrua, Studi sul processo penale, Vol. II, Anamorfosi del processo accusatorio, Giappichelli, Torino, 1992, p. 49.

[13] John Stuart Mill, Saggio sulla libertà, trad. it. di G. Giorello e M. Mondadori, Milano, Il Saggiatore, 1981, p. 63.

[14] L. Ferrajoli, Dei diritti e delle garanzie, Bologna, Il Mulino, 2013, pp. 14 s.