L’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Bologna del 31 agosto 2017 – con la quale viene parzialmente accolto l’appello nei confronti dell’ordinanza del magistrato di sorveglianza territoriale che aveva disposto, nei confronti di soggetto già internato in casa di lavoro, una proroga della misura di sicurezza detentiva per mesi sette a seguito di una valutazione fondata in particolare sulla sopravvenienza di un titolo cautelare custodiale a carico dell’internato – scevera diverse tematiche inerenti la materia delle misure di sicurezza.
In primo affronta esamina il tema dell’applicabilità, già ritenuta dalla suprema Corte di cassazione, sia pur incidentalmente (cfr. sentenza Prima Sezione Penale del 1° dicembre 2015, ricorrente Schiboni), anche nei confronti degli internati in casa di lavoro o colonia agricola, del termine massimo di durata dell’internamento, termine introdotto, con principio rivoluzionario, dalla legge n. 81/2014 ed applicabile, ex art. 200, comma 2, cp a tutte le misure di sicurezza detentive in corso, secondo il principio del tempus regit actum. Nel considerare applicabile al caso di specie tale termine, il tribunale affronta quindi gli spigolosi aspetti della decorrenza, nel caso in esame, dell’internamento nei confronti dell’appellante, nonché quello della fattispecie di reato alla quale ancorare, ex art. 278 cpp, la valutazione relativa all’avvenuta decorrenza o meno del termine di durata massima dell’internamento. Tale disamina risulta nello specifico piuttosto complessa: la misura di sicurezza detentiva in corso aveva infatti vissuto vicende articolate, essendo stata originariamente disposta dal giudice di merito come espulsione dal territorio dello Stato in relazione a condanna per il reato di cui all’art. 73 dPR n. 309/90, applicata concretamente dal magistrato di sorveglianza ex art. 679 cpp come libertà vigilata e quindi da ultimo aggravata nella misura di sicurezza detentiva della casa di lavoro a seguito della sopravvenuta irreperibilità del soggetto, il quale si era allontanato per lungo tempo dal domicilio ove eseguiva la libertà vigilata. L’internamento in casa di lavoro era infine stato effettivamente eseguito soltanto all’atto dell’arresto del soggetto per fatti di resistenza a pubblico ufficiale e false dichiarazioni sulla propria identità personale, nel dicembre 2015.
Infine il tribunale, preso atto della non ancora avvenuta decorrenza del termine massimo dell’internamento nel caso di specie, decorrenza che avrebbe comportato la dichiarazione di cessazione della misura di sicurezza detentiva, effettua il giudizio di pericolosità ex art. 679 cpp valutando favorevolmente gli indici di recupero del soggetto, il quale, all’atto dell’ultimo arresto per titolo cautelare custodiale, stava svolgendo positivamente una licenza finale esperimento sul territorio, con il supporto del Sert., la non particolare gravità degli ultimi reati commessi dall’appellante per i quali era intervenuta sentenza definitiva e ritendo di non poter invece fondare un giudizio di persistente pericolosità tale da giustificare il mantenimento dell’internamento sulla scorta di una mera ordinanza di custodia cautelare in carcere relativa ad imputazioni peraltro risalenti nel tempo. Ritenuta pertanto affievolita la pericolosità sociale dell’appellante, la misura di sicurezza della casa di lavoro viene trasformata in quella, più affievolita, della libertà vigilata sul territorio per anni uno, con prescrizioni terapeutiche