Magistratura democratica
Osservatorio internazionale

Il sistema dei rimedi de libertate alla luce della giurisprudenza della Cedu nella sentenza Rizzotto c. Italia (5 settembre 2019)

di Daniela Cardamone
giudice del Tribunale di Milano
Nel sistema dei rimedi in tema di privazione della libertà personale, il diritto dell’indagato di essere sentito personalmente dal giudice assume per la Corte EDU un carattere così pregnante da svalutare qualsiasi altra garanzia procedimentale. L’indagato appare essere il principale, se non esclusivo, garante del proprio diritto di difesa restando sullo sfondo, fino quasi a scomparire, tutti gli altri attori del procedimento, ivi compreso il difensore

1. Inquadramento della fattispecie

La sentenza Rizzotto c. Italia del 5 settembre 2019 [1] riguarda il ricorso al tribunale del riesame proposto ai sensi dell’art. 309 comma 2 cpp da un difensore d’ufficio nell’interesse di un soggetto latitante al momento della emissione della misura cautelare.

Come noto, nel nostro sistema processuale vige il principio costituzionale della immediata impugnabilità dei provvedimenti restrittivi della libertà personale – anche se questi non siano stati eseguiti – in base all’art. 111 della Costituzione.

Su tale principio di rilevanza costituzionale si fonda la previsione dell’art. 309 comma 2 cpp che, per il latitante, fa decorrere il termine per presentare impugnazione al Tribunale del riesame dalla data della notifica dell’ordinanza applicativa della misura a norma dell’art. 165 cpp; è poi prevista la possibilità che, in caso di sopravvenuta esecuzione della misura cautelare, il termine decorre, invece, dalla data di esecuzione della stessa se l’indagato dimostra di non aver avuto tempestiva conoscenza del provvedimento.

Inoltre, anche per le impugnazioni de libertate vige il principio della unicità del diritto di impugnazione, in base al quale l’esaurimento del mezzo per primo scelto dalla parte o dal suo difensore esaurisce il diritto all’impugnazione anche nei confronti dell’altro soggetto legittimato. L’unico correttivo a tale principio è costituito dall’esigenza che, perché si verifichi suddetta consumazione del diritto ad impugnare, occorre che l’organo competente per la decisione abbia già emesso un provvedimento decisorio nel merito e non limitato, quindi, ai soli profili di inammissibilità, poiché, solo in questo caso, si ammetterebbe una inutile duplicazione della stessa impugnazione, con conseguenti rischi di contraddittorietà delle decisioni.

Per quanto riguarda il difensore, la legittimazione a proporre l’impugnazione al tribunale del riesame scaturisce dalla assunzione della qualifica di difensore che si consegue ai sensi degli articoli 96 e 97 cpp.

Nel caso esaminato dalla Corte di Strasburgo, il ricorrente era stato destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo il 16 settembre 2010, per traffico di stupefacenti. La misura cautelare, in un primo tempo, non veniva eseguita poiché il ricorrente risultava irreperibile; veniva, quindi, emesso un decreto di latitanza e gli veniva assegnato un difensore di ufficio. Quest’ultimo, al quale l’ordinanza veniva notificata ai sensi dell’art. 165 cpp, presentava ricorso al Tribunale del riesame di Palermo ai sensi dell’art. 309 comma 2 cpp, ricorso che veniva rigettato con ordinanza del 22 ottobre 2010.

Successivamente, il ricorrente veniva arrestato a Malta e nominava un avvocato di fiducia. In seguito, veniva estradato in Italia e recluso nel carcere di Regina Coeli in Roma. Il difensore di fiducia, al quale l’ordinanza veniva notificata insieme all’avviso di fissazione dell’interrogatorio di garanzia, presentava, a sua volta, ricorso al Tribunale del riesame. A seguito dell’esecuzione della misura, si svolgeva l’interrogatorio di garanzia dinanzi al giudice per le indagini preliminari di Roma, essendo il ricorrente detenuto in quel distretto, in presenza di un sostituto del difensore di fiducia. Il 3 gennaio 2011 si svolgeva l’udienza di dinnanzi al Tribunale del riesame di Palermo e, essendo il ricorrente detenuto a Roma, non presenziava all’udienza, alla quale partecipava invece il suo avvocato di fiducia. Con una ordinanza emessa lo stesso giorno, il Tribunale del riesame di Palermo dichiarava il ricorso inammissibile in quanto il ricorrente aveva già consumato il suo potere di impugnazione, avendo già presentato il ricorso il difensore che gli era stato nominato di ufficio quando era latitante.

A questo punto, il ricorrente impugnava in Cassazione tale ordinanza di inammissibilità ma anche questo ricorso veniva rigettato, in base al principio di unicità del diritto all’impugnazione [2].

Nel frattempo, il ricorrente aveva presentato la richiesta di revoca della misura cautelare ex art. 299 cpp al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo. Il gip rigettava la richiesta di revoca della misura con ordinanza del 9 febbraio 2011 affermando che l’istanza concerneva, essenzialmente, le circostanze che avevano giustificato l’applicazione della misura cautelare, le quali erano state già ampiamente esaminate dal Tribunale del Riesame nella sua ordinanza del 22 ottobre 2010 e, rispetto alle quali, non erano stati allegati fatti nuovi. Il giudice, inoltre, riteneva che la gravità della condotta del ricorrente, tenuto conto della quantità dello stupefacente che aveva ceduto, giustificavano la misura cautelare applicata. Il ricorrente non impugnava tale ordinanza di rigetto dinanzi al Tribunale del riesame.

Successivamente il ricorrente veniva condannato con sentenza del Tribunale di Palermo alla pena di due anni e mesi otto di reclusione e veniva rimesso in libertà dopo aver scontato la pena.

Il ricorrente adiva, quindi, la Corte europea dei diritti dell’uomo invocando la violazione di diversi articoli della Convenzione e sollevando diverse doglianze che la Corte decideva di trattare unitariamente alla luce del solo articolo 5 par. 4 della Convenzione il quale stabilisce che: «Ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione ha il diritto di presentare un ricorso ad un tribunale, affinché decida entro breve termine sulla legittimità della sua detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è illegittima».

2. I principi generali della giurisprudenza Cedu in tema di rimedi de libertate

La Corte fa precedere la decisione del caso concreto dalla rassegna dei principi generali affermati dalla sua giurisprudenza in tema di art. 5 par. 4 della Convenzione.

a) Tale disposizione richiede, in primo luogo, che le persone che sono private della libertà personale hanno il diritto ad un controllo sulla sussistenza dei requisiti sostanziali e procedurali della legalità di tale detenzione ai sensi dell’art. 5 par. 1 Convenzione [3], controllo che deve essere effettuato mediante una decisione giudiziaria in tempi brevi [4].

b) La giurisprudenza di Strasburgo richiede, inoltre, che, come per qualsiasi altra disposizione della Convenzione, l'articolo 5 par. 4 sia interpretato in modo tale che i diritti previsti non siano «teorici e illusori», ma «concreti ed efficaci» [5].

c) L’articolo 5 par. 4 della Convenzione, richiede, quindi, che il rimedio azionabile per valutare la legalità della detenzione sia accessibile ed efficace [6].

d) L'articolo 5 par. 4, poi, non impone agli Stati contraenti di stabilire un doppio grado di giudizio per l'esame delle istanze de libertate. Tuttavia, uno Stato che adotta un tale sistema deve, in linea di principio, garantire in appello le stesse garanzie che sussistono in prima istanza [7].

e) Per quanto riguarda, in particolare, le garanzie procedurali richieste, i procedimenti di cui all'articolo 5 par. 4 non devono sempre essere accompagnati dalle stesse garanzie di cui all'articolo 6 par. 1 della Convenzione, avendo le due disposizioni scopi diversi [8]. Tuttavia, il rimedio deve sempre essere di natura giurisdizionale e fornire all'interessato garanzie adeguate alla natura della privazione della libertà di cui si lamenta [9]. In ogni caso, questa procedura deve rispettare, per quanto possibile, i requisiti fondamentali di un procedimento equo [10].

f) La prima garanzia fondamentale richiesta dall'articolo 5 par. 4 della Convenzione è il diritto di essere effettivamente ascoltato dal giudice chiamato a decidere un ricorso in materia di privazione della libertà personale [11].

Per le persone detenute alle condizioni di cui all'articolo 5 par. 1 c) della Convenzione, l'articolo 5 par. 4 richiede lo svolgimento di un'udienza [12]. In particolare, poi, questa udienza deve avere natura contraddittoria e, dunque, richiede la rappresentanza di un avvocato difensore e la possibilità, se del caso, di convocare e interrogare testimoni [13].

3. Analisi dei rimedi di diritto interno

La Corte EDU passa, quindi, in rassegna i rimedi di diritto interno per verificare se essi abbiano rispettato, nel caso concreto, i requisiti richiesti dall’articolo 5 par.4 della Convenzione.

3.1 Il rimedio previsto dall'articolo 309 cpp

Per quanto riguarda il rimedio del ricorso al tribunale del riesame di cui all’articolo 309 cpp, la Corte EDU afferma che le garanzie richieste dalla Convenzione, nel caso di specie, non sono state rispettate; in particolare, sarebbe stata violata la prima garanzia fondamentale che scaturisce dall'articolo 5 par. 4 della Convenzione che è il diritto di essere effettivamente ascoltato dal giudice chiamato a decidere su un ricorso in materia di libertà personale [14]. Infatti, il ricorso al Tribunale del riesame presentato dall'avvocato di fiducia del ricorrente contro l'ordinanza del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo era stato dichiarato inammissibile in quanto il mezzo di impugnazione era stato già esperito in precedenza dal difensore di ufficio, quando quest’ultimo era latitante. Inoltre, in occasione del primo ricorso al Tribunale del riesame, il ricorrente, che all’epoca era latitante, non aveva avuto l'opportunità di comunicare con il difensore di ufficio che gli era stato assegnato e di far presente i propri argomenti a sostegno della domanda di riesame. Infine, il ricorrente non era mai stato sentito dal Tribunale del riesame che si era pronunciato sulla legittimità della sua detenzione e non era, quindi, stato messo nelle condizioni di sostenere personalmente la sua difesa.

La Corte si sofferma, poi, sul ruolo del difensore e, dopo aver ribadito che la Convenzione ha lo scopo di «proteggere diritti non teorici o illusori, ma concreti ed efficaci», afferma che la nomina di un avvocato − di per sé – «non garantisce l’effettività dell’assistenza che può fornire agli indagati» [15].

In particolare, affinché possa essere garantita l’effettività della tutela, la Corte afferma che è necessario che l'interessato, al quale il sistema italiano concede la garanzia – ulteriore rispetto a quelle previste dalla Convenzione – di essere rappresentato da un difensore nominato d'ufficio anche prima dell'esecuzione della misura cautelare, abbia potuto effettivamente «comunicare, liberamente e con riservatezza, con il suo avvocato per discutere il caso e organizzare la difesa».

La Corte ricorda la sua giurisprudenza in tema di latitanti, dalla quale si desume il principio fondamentale che la rinuncia a difendersi non può essere dedotta dal semplice status di latitante [16]. Inoltre, non è il ricorrente a dover dimostrare di non aver voluto sottrarsi alla giustizia o che la sua assenza era dovuta ad una forza maggiore [17]. Nel caso di specie, la Corte afferma che non emerge dagli atti alcuna prova che il ricorrente avesse voluto sottrarsi al procedimento o che avesse rinunciato in modo inequivocabile al suo diritto di difesa.

Alla luce di quanto precede, la Corte EDU conclude che il rimedio previsto dall'articolo 309 cpp non abbia fornito al ricorrente garanzie adeguate.

3.2 Il rimedio previsto dall'articolo 299 cpp

La Corte Europea analizza, poi, il rimedio di cui all’art. 299 cpp, del quale il ricorrente sia era avvalso chiedendo la revoca della misura cautelare al giudice per le indagini preliminari. In proposito la Corte EDU stigmatizza che quest'ultimo aveva rigettato la richiesta senza ascoltare il ricorrente: l’art. 299 cpp non prevede, infatti, lo svolgimento di un'udienza (sic!) e il giudice è tenuto a interrogare l'imputato solo se l’istanza di revoca o sostituzione della misura è basata su fatti nuovi e l’indagato abbia chiesto di essere interrogato. Poiché, inoltre, il diritto del detenuto di essere ascoltato deriva direttamente dall'articolo 5 par. 4 della Convenzione, in quanto è una delle garanzie procedurali fondamentali in materia di privazione della libertà, tale garanzia non può essere subordinata ad una richiesta specifica dell'interessato [18]. Nel caso di specie, inoltre, afferma la Corte EDU, poiché, attraverso il suo ricorso, il ricorrente chiedeva, per la prima volta, un riesame della legittimità della sua detenzione e nessun fatto nuovo veniva sottoposto all'esame del giudice per le indagini preliminari, una richiesta di interrogatorio non sarebbe stata mai accolta.

Infine, nella sentenza in commento si afferma che il ricorso avverso la decisione con la quale il gip rigettava la richiesta ex art. 299 cpp non avrebbe consentito al ricorrente di essere ascoltato. Ne consegue che, secondo la Corte EDU, la richiesta di revoca della misura cautelare prevista dall'articolo 299 cpp non era stata, nelle circostanze del caso, un rimedio valido ai sensi dell'articolo 5 § 4 della Convenzione.

3.3 Il ricorso di cui all'articolo 175 cpp

La Corte analizza poi il rimedio della restituzione nel termine di cui all’art. 175 cpp con il quale, eventualmente, il ricorrente avrebbe potuto dimostrare che non si era sottratto volontariamente alla esecuzione della misura e ottenere così la riapertura del termine per presentare la richiesta di riesame. In proposito la sentenza afferma che la giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione, che è stata applicata nel caso di specie, in base al principio di unitarietà del diritto di impugnazione, avrebbe impedito la riapertura del termine per la presentazione di un ricorso contro una misura cautelare avendo, appunto, il difensore di ufficio già utilizzato il rimedio previsto dall'articolo 309 cpp.

4. Alcuni spunti critici

La Corte di Strasburgo, come noto, attribuisce un’importanza assoluta al diritto dell’indagato/imputato di essere sentito per esporre le proprie ragioni. Di fronte a questo diritto assoluto e insopprimibile, che mette al centro del sistema convenzionale dei diritti fondamentali l’individuo, qualsiasi altra garanzia procedimentale è destinata irrimediabilmente a soccombere.

Nel caso concreto, la violazione del diritto fondamentale ad un ricorso effettivo a tutela della libertà personale si è concretizzata perché, essendo il ricorrente latitante nel momento in cui veniva emessa nei suoi confronti l’ordinanza di custodia cautelare, il difensore di ufficio proponeva ricorso al Tribunale del riesame così precludendo allo stesso la possibilità di poter validamente proporre tale ricorso quando, una volta tratto in arresto e nominato un difensore di fiducia, faceva nuovamente ricorso al Tribunale del riesame.

Un aspetto molto critico per la Corte EDU è che il ricorrente non aveva avuto contatti con il difensore d’ufficio che gli era stato assegnato al tempo della sua latitanza e, quindi, non aveva potuto interloquire con lui per renderlo edotto degli argomenti che avrebbero potuto essere posti alla base del ricorso al Tribunale del riesame.

Per la Corte, neanche il rimedio ex art. 299 cpp poteva contribuire a sanare questo grave vulnus al diritto di difesa. Si tratta, invero, per la Corte di Strasburgo, di un rimedio che non è conforme ai canoni della Convenzione, proprio perché «non è previsto che il giudice fissi udienza per sentire l’interessato». Nel caso di specie, il ricorrente non aveva chiesto, in effetti, di essere interrogato dal gip, ma – afferma la Corte EDU – quand’anche lo avesse fatto, la sua richiesta non sarebbe stata accolta perché la sua istanza di revoca della misura non si basava su fatti nuovi.

Così affermando però, la Corte non considera che l’ordinanza ex art. 299 cpp è impugnabile dinanzi al Tribunale del riesame con l’appello ex art. 310 cpp che prevede che il ricorrente sia sentito in un’udienza celebrata da una autorità giudiziaria collegiale che si pronuncia con un’ordinanza la quale, a sua volta, è ricorribile in Cassazione.

Siamo, quindi, al cospetto di un corredo argomentativo che, come talvolta è dato scorgere nelle sentenze della Corte EDU, mira diritto all’obiettivo forzando un po’ taluni principi nonché trascurando talune specificità del sistema processuale interno.

Nel caso di specie, l’obiettivo, indubbiamente meritorio, di affermare il diritto fondamentale di qualsiasi persona arrestata o detenuta di essere sentita personalmente dal Tribunale che è chiamato a decidere sulla legittimità della detenzione viene perseguito tenacemente dal giudice europeo, sorvolando un po’ su alcune garanzie offerte dal diritto interno – molte di più di quelle che la stessa Convenzione EDU richiede − e neanche azionate dal ricorrente.

Allora poco importa che il ricorrente, in nessuna fase della procedura, né interna né dinanzi alla Cedu, si sia adoperato per dimostrare che non si era sottratto volontariamente alla esecuzione della misura cautelare; che non abbia mai reso noti gli argomenti che – se portati all’attenzione del Tribunale del riesame di Palermo – avrebbero consentito di dimostrare la illegittimità ab origine della sua detenzione (si ricorda che il ricorrente è stato poi condannato in via definitiva per i fatti per i quali era stato tratto in arresto e non risulta che abbia impugnato la sentenza di condanna di primo grado). Non ha rilievo neanche la circostanza che il ricorrente non abbia chiesto di essere sentito in occasione del secondo ricorso al Tribunale del riesame, quello introdotto dal suo difensore di fiducia. Non rileva, infine, che egli sia stato sentito nell’immediatezza del suo arresto da un giudice, in sede di interrogatorio di garanzia, che aveva il potere di rimetterlo immediatamente in libertà.

Neanche la nomina di un difensore d’ufficio quando era latitante era valsa a garantire adeguatamente il suo diritto di difesa rendendo inutile (e addirittura dannoso) il ricorso da questi tempestivamente esperito al Tribunale del riesame, proprio perché, non avendo potuto interloquire con lui, non aveva potuto organizzare la sua difesa e rendergli noti quegli argomenti difensivi che potevano garantirgli la rimessione in libertà.

Il ricorrente aveva, probabilmente, portato quegli argomenti difensivi all’attenzione del gip del Tribunale di Palermo, il quale aveva rigettato la richiesta di revoca della misura ex art. 299 cpp, ma egli non aveva impugnato tale ordinanza di rigetto al Tribunale del riesame, dove pure avrebbe potuto essere sentito personalmente da un Tribunale collegiale che si sarebbe pronunciato con un’ordinanza a sua volta impugnabile in Cassazione.

5. Effetti della pronunzia

L’effetto principale della sentenza è quello di aver messo in luce il carattere ultroneo del rimedio del ricorso al Tribunale del riesame che può essere presentato prima dell’esecuzione della misura cautelare dal difensore di ufficio del latitante. Trattasi di un rimedio non richiesto dalla Convenzione e che, peraltro, nel caso di specie, ha anche costituito l’origine della violazione dei diritti di libertà del ricorrente, stante la consumazione del potere di impugnazione in base al principio della unicità del diritto di impugnare.

Per superare questa “criticità” non appare praticabile la strada che la Corte EDU indica che è quella di garantire che il latitante, al quale viene assegnato un difensore di ufficio prima della esecuzione della misura cautelare, possa «effettivamente comunicare, liberamente e con riservatezza» con il suo avvocato per discutere il caso e organizzare la difesa. Il soggetto irreperibile, infatti, lo è spesso anche per il suo difensore di ufficio.

Nella sentenza in esame, la Corte EDU rievoca, poi, l’evoluzione giurisprudenziale che si è avuta in tema di processo in absentia e le modifiche normative che ne sono scaturite.

Il processo contumaciale come noto è stato oggetto di plurime condanne nei confronti dell’Italia [19] che sono state alla base di successive modifiche normative [20] con le quali si è inteso adeguarsi agli standard europei. Significativa, sotto questo profilo, è la decisione di irricevibilità della Corte EDU del 25 novembre 2008, Cat Berro c. Italia [21], nella quale si afferma che il legislatore italiano, mediante le modifiche dell’articolo 175 cpp del 2005 [22], ha sopperito ad alcune delle criticità in passato censurate e che sarebbe stato necessario attendere l’interpretazione giurisprudenziale della norma così come modificata. Dunque, il sistema dei rimedi interni per il condannato in contumacia ha continuato ad essere oggetto di valutazione da parte della Corte di Strasburgo anche dopo le modifiche normative del 2005. E ciò anche alla luce della sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione del 2008 (ric. Huzunenau) [23] che aveva dato prevalenza al principio di unità della impugnazione, considerando esaurita la facoltà di impugnare del contumace, qualora il difensore avesse già fatto uso della scelta ex art. 571 comma 3 cpp; principio censurato dalla Corte di Strasburgo proprio nel caso introdotto dal medesimo ricorrente [24].

L’approccio sul punto è mutato con la sentenza della Corte costituzionale n. 317 del 2009 [25] la quale ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’articolo 175 comma 2 cpp nella parte in cui non consente la restituzione nel termine dell’imputato che non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento al fine di proporre impugnazione contro la sentenza contumaciale, quando analoga impugnazione sia stata proposta in precedenza dal difensore dello stesso imputato. Ne è scaturito un giudizio positivo della Corte di Strasburgo che, nel caso Baratta c. Italia [26], ha ritenuto che il ricorrente non fosse più vittima, avendo potuto ottenere la rimessione nel termine per fare appello e la celebrazione di un nuovo processo, anche alla luce dei principi fissati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 317 del 2009.

Nella sentenza Rizzotto si intravede, quindi, un’indicazione da parte della Corte EDU nel senso di individuare quale possibile strada quella, già percorsa in tema di processo in absentia, della impugnazione della sentenza contumaciale già impugnata dal difensore di ufficio, con il superamento della rigida applicazione del principio di unicità del diritto all’impugnazione anche in materia di misure cautelari.

Sul punto occorre, però, rilevare la diversità delle due situazioni non potendosi equiparare la sentenza, per la quale l’unico mezzo di impugnazione è l’appello, alla misura cautelare per la quale, oltre al riesame, è sempre consentito all’indagato richiedere in qualunque momento la revoca della misura, con facoltà di proporre appello avverso la pronuncia di rigetto dell’istanza. In questi termini si era espressa la Corte di cassazione proprio nella sentenza pronunciata nel procedimento nei confronti del Rizzotto [27] argomentando che, in tema di istanze de libertate, non è configurabile alcun limite al diritto di difesa quale conseguenza del principio della unicità del diritto ad impugnare.

Va anche rilevato che, però, per la Corte di Strasburgo, come si è visto, il rimedio ex art. 299 cpp non può essere considerato effettivo e, quindi, sostitutivo e/o alternativo al riesame in quanto non è previsto, se non in casi limitati, l’interrogatorio dell’interessato.

Proprio in tema di art. 299 cpp, anche se, nel caso di specie, la pronuncia di violazione non investe direttamente tale norma, non può negarsi che la sentenza ha affermato dei principi molto chiari.

La Corte EDU ha affermato che, nel caso di specie, proprio perché il ricorrente non era mai stato sentito personalmente da nessun giudice chiamato a pronunciarsi sulla legittimità della misura cautelare, il rimedio ex art. 299 cpp – che non prevede normalmente l’interrogatorio dell’istante – non poteva considerarsi conforme ai criteri stabiliti dalla Convenzione.

Sembra, quindi, che la Corte di Strasburgo abbia voluto affermare che tale rimedio non è conforme ai principi convenzionali solo quando, come accaduto nel caso del ricorrente, il soggetto privato della libertà non sia stato sentito personalmente dal Tribunale del riesame.

Anche se la sentenza in commento ribadisce che questo giudizio di incompatibilità con l’art. 5 par. 4 riguarda il caso concreto del ricorrente, ciò non toglie che la pronuncia è suscettibile di esplicare effetti in tutti i casi simili. Inoltre, l’affermazione secondo la quale l’art. 299 cpp non è conforme alla Convenzione perché non prevede lo svolgimento di un'udienza e perché, derivando il diritto del detenuto di essere ascoltato direttamente dall'articolo 5 par. 4 della Convenzione, tale garanzia non può essere subordinata ad una richiesta specifica dell'interessato, è piuttosto perentoria e non consente di fare molti distinguishings.

Occorre, allora, chiedersi se tale interpretazione così restrittiva dei criteri di cui all’art. 5 § 4 della Convenzione non possa spingere gli Stati ad eliminare i ricorsi ulteriori in materia di libertà, cosa che inciderebbe negativamente sulla tutela dei diritti fondamentali e sugli obblighi stabiliti dall'articolo 53 della Convenzione, che sancisce il principio della massima estensione delle tutele. Si tratta di una preoccupazione espressa dalla stessa Corte EDU, proprio in una sentenza emessa nell’ambito di un ricorso avanzato vittoriosamente qualche anno fa dal medesimo ricorrente Rizzotto [28].

Quindi, probabilmente, si sarebbe dovuto guardare piuttosto alla procedura nel suo complesso per valutare se, tenuto conto della particolarità della situazione, il ricco sistema di rimedi messo in campo dal nostro sistema processuale – che prevede più strumenti di tutela di quelli richiesti dalla Convenzione EDU – davvero non abbia garantito il diritto del ricorrente di ottenere in tempi rapidi una decisione giurisdizionale sulla legittimità della privazione della sua libertà.

Inoltre, si sarebbe dovuto considerare che proprio la molteplicità di rimedi de libertate costituisce il fondamento dell’applicazione “restrittiva” del principio di unicità del diritto all’impugnazione in tema di misure cautelari (si veda sopra sentenza Cass. nel caso Rizzotto).

Infine, quale ulteriore aspetto critico va rilevato che, da questa pronunzia, la funzione del difensore di ufficio esce notevolmente svalutata. Il ruolo del difensore di ufficio non è, come si è visto, per la Corte di Strasburgo un’efficace garanzia del diritto di difesa tutte le volte (non rare in verità) in cui, non avendo contatti con l’assistito, non può organizzare insieme a lui la sua difesa. Anche un eventuale ricorso, appello, impugnazione che tale difensore esperisca, nel rispetto delle norme processuali, risulterebbe per la Corte EDU un inutile dispendio di energie processuali.

In conclusione, per la Corte EDU, di fronte alla lesione del diritto fondamentale dell’indagato/imputato di essere sentito personalmente per esporre le proprie ragioni, qualsiasi altra garanzia procedimentale non appare idonea a controbilanciare la lesione del diritto di difesa.

L’indagato/imputato appare, quindi, essere il principale, se non l’esclusivo, garante del proprio diritto di difesa, restando sullo sfondo, fino quasi a scomparire, tutti gli altri attori del procedimento.

 



[1] Non definitiva nel momento in cui si scrive.

[2] Cass. sez. I pen. n. 36711/2011.

[3] Vedi, tra gli altri, Brogan e altri c. Regno Unito, 29 novembre 1988, § 65, Serie A n. 145 B.

[4] Baranowski c. Polonia, no. 28358/95, § 68.

[5] Vedi, tra gli altri, Artico c. Italia, 13 maggio 1980, § 33, Serie A n. 37, e Schöps c. Germania, n. 25116/94, § 47, CEDU 2001-I.

[6] E. c. Norvegia, 29 agosto 1990, § 60, Serie A n. 181-A, e Sakik e altri c. Turchia, 26 novembre 1997, § 53, Rapporti di sentenze e decisioni 1997 VII.

[7] Toth c. Austria, 12 dicembre 1991, § 84, Serie A n. 224, e Rutten c. Paesi Bassi, n. 32605/96, § 53, 24 luglio 2001, e Lanz c. Austria, n. 24430/94, § 42, 31 gennaio 2002.

[8] Reinprecht c. Germania, n. 67175/01, § 39, CEDU 2005 XII.

[9] Cfr., tra l'altro, DN c. Svizzera [GC], n. 27154 / 95, § 41, CEDU 2001-III.

[10] Lietzow c. Germania, n. 24479/94, § 44, CEDU 2001-I e Schöps, citata sopra, § 44.

[11] Svipsta c. Lettonia, n. 66820/01, § 128, CEDU 2006 III (estratti), e Knebl c. Repubblica ceca, n. 20157/05, § 81, 28 ottobre 2010.

[12] Kampanis c. Grecia, 13 luglio 1995, § 47, Serie A n. 318-B e Włoch c. Polonia, n. 27785/95, § 126, CEDU 2000 XI.

[13] Hussain c. Regno Unito e Singh c. Regno Unito, sentenze del 21 febbraio 1996, Rapporti di sentenze e decisioni 1996-I, § 60 e § 68 rispettivamente.

[14] Svipsta, citata sopra, § 128 e Knebl, sopra, § 81.

[15] Imbrioscia c. Svizzera, 24 novembre 1993, § 38, Serie A n. 275, e Artico v. Italia, 13 maggio 1980, § 33, Serie A n. 37 e Sakhnovski c. Italia, n. Russia [GC], n. 21272/03, § 95, 2 novembre 2010.

[16] Colozza c. Italia, 12 febbraio 1985, § 28, serie A n ° 89; Sejdovic c. Italia [GC], n ° 56581/00, § 87, CEDU 2006 II.

[17] Sejdovic, cit. sopra, § 88.

[18] Vecek c. Repubblica ceca, n. 3252/09, § 78, 21 febbraio 2013.

[19] Si vedano ad esempio, le già menzionate: Sejdovic c. Italia [GC], cit.; Somogyi c. Italia, cit.; Hermi c. Italia [GC] cit., Colozza c. Italia, cit..

[20] Decreto legge 21 febbraio 2005 no. 17, conv. in legge 22 aprile 2005 no. 60; L.28 aprile 2014 n. 67.

[21] Cat Berro c. Italia, decisione del 25 novembre 2008 n. 34192/07.

[22] L. n. 60/2005 di conv. del D.L. n. 17/2005.

[23] Corte di cassazione, Sez. un., del 31 gennaio 2008, Huzunenau.

[24] Huzuneanu c. Italia, 1 settembre 2016, n. 36043/08.

[25] Corte cost., sent. del 30 novembre 2009, n. 317.

[26] Baratta c. Italia, 13 ottobre 2016, n. 28263/09.

[27] Cass. sez. I pen. N. 36711/2011 cit.

[28] Si veda la sentenza Rizzotto c. Italia, n. 15349/06, § 29.

01/10/2019
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23/02/2024
Sentenze di ottobre 2023

Le più interessanti sentenze emesse dalla Corte di Strasburgo nel mese di ottobre 2023

12/01/2024
Sentenze di settembre 2023

Le più interessanti sentenze emesse dalla Corte di Strasburgo nel mese di settembre 2023

22/12/2023
Ancora due condanne dell’Italia per i suoi hotspot

Sadio c. Italia,  n. 3571/17, sentenza del 16 novembre 2023, e AT ed altri c. Italia, ricorso n. 47287/17, sentenza del 23 novembre 2023. Ancora due condanne (una di esse, anzi, doppia e l’altra triplice) per l’Italia in tema di immigrazione, con specifico riferimento alle condizioni di un Centro per richiedenti asilo in Veneto e di un Centro di Soccorso e Prima Accoglienza in Puglia.

14/12/2023
I criteri probatori della violazione del principio del giusto processo di cui all'art. 6 Cedu. Una visione comparatistica

La Supreme Court del Regno Unito ha fornito, in una propria recente sentenza, un contributo di essenziale rilevanza su questioni il cui intreccio avrebbe potuto portare, se non si fosse saputo individuare l'appropriato filo di cucitura, esiti disarmonici sia nel diritto di common law inglese sia, con anche maggior gravità, nel diritto europeo convenzionale. Si trattava di coordinare il fondamentale principio del giusto processo, fissato dall'articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani del 1950, con il più solido dei ragionamenti circa la sufficienza del materiale probatorio raccolto a divenire indice della violazione dello stesso articolo 6. I supremi giudici inglesi si sono collocati saldamente sulla linea della giurisprudenza di Strasburgo, fissando, in un caso dalle irripetibili peculiarità, affidabili parametri che sappiano, come è avvenuto nel caso sottoposto al loro esame, felicemente contemperare l'esigenza di garantire costantemente condizioni di svolgimento dei processi rispettose dei diritti umani con quella, altrettanto meritevole di apprezzamento, di evitare l'abuso del ricorso allo strumento di tutela convenzionale fondato su motivi puramente congetturali e tali, pertanto, da scuotere la stabilità del giudicato, lasciandolo alla mercé di infinite, labili impugnazioni, contrarie allo stesso spirito del fondamentale precetto del giusto processo.

13/12/2023
Rafforzare l’effettività del diritto all’informazione dell’imputato e della persona offesa: le promettenti potenzialità del legal design nel procedimento penale

L’Autore, dopo aver sinteticamente illustrato le finalità generali del legal design – quale disciplina in grado di migliorare la capacità del cittadino di comprendere il contenuto delle norme e quindi sia di adeguarsi alle prescrizioni che esse gli impongono sia di avvalersi delle facoltà che esse gli attribuiscono – ne analizza alcune opportunità operative nel contesto del procedimento penale. In particolare, il contributo si concentra sulla tutela del diritto all’informazione dell’imputato e della persona offesa rispetto ai diritti loro riconosciuti nel procedimento, individuando le sedi, i casi e le forme in cui gli inediti e promettenti strumenti del legal design possono trovare più proficua applicazione. Il terreno elettivo de iure condendo viene individuato nei segmenti, invero numerosi, del procedimento penale che vedono l’imputato e la persona offesa a diretto contatto con l’ingranaggio giudiziario, senza la mediazione rappresentata dall’assistenza del difensore. 

09/12/2023