È gravemente errato pensare che il DDL costituzionale denominato “Norme per l'attuazione della separazione delle carriere giudicante e requirente della magistratura”, in questi giorni in discussione alla Camera dei Deputati, riguardi solo la separazione delle carriere, come indicherebbe il suo titolo.
È invece il coronamento di disegni punitivi e di ridimensionamento della magistratura che vengono da lontano (da Gelli a Berlusconi) che decretano la fine della magistratura come pensata dal costituente. Basta vedere i singoli interventi previsti che disegnano una magistratura smembrata, la cui indipendenza viene menomata e i due Consigli Superiori della Magistratura sono resi deboli e influenzabili, introducendo una gerarchia interna, e abbandonando l’obbligatorietà dell’azione penale.
Vediamo i diversi interventi, ma senza mai dimenticare che quello che disegna il DDL costituzionale proposto dalle Camere penali, è un progetto complessivo che dà vita ad un’altra magistratura.
- Il Consiglio Superiore viene diviso in due: un Consiglio Superiore della Magistratura giudicante e un Consiglio Superiore della Magistratura requirente, ciascuno composto per metà da magistrati e per metà da nominati dal Parlamento.
- Viene espressamente previsto che i due Consigli non possano occuparsi d’altro che di assunzioni, assegnazioni, trasferimenti, promozioni e provvedimenti disciplinari. Potranno ancora occuparsi di organizzazione, di tabelle, di criteri organizzativi, di rapporti internazionali, di emettere pareri? Sembra un arretramento rispetto alla già arretrata legge istitutiva del CSM del 1958.
- Vengono previsti due concorsi separati per l’accesso alla magistratura requirente e alla magistratura giudicante e nel contempo viene introdotta la nomina di avvocati e professori universitari di materie giuridiche a tutti i livelli della magistratura giudicante senza concorso.
- Viene abrogata la norma che prevede che i magistrati si distinguono tra di loro solo per diversità di funzioni.
- L’obbligatorietà dell’azione penale viene temperata (o abbandonata) e l’azione penale andrà esercitata “nei casi e nei modi previsti dalla legge”.
Quello che emerge è un disegno generale. È il modo con cui in Italia, andando nella stessa direzione di attacco all’indipendenza della giurisdizione già sperimentate in altri Paesi europei come la Polonia, l’Ungheria e la Romania, si vuole tagliare le unghie ad una magistratura che viene vissuta come troppo indipendente e dove si vogliono introdurre ampi condizionamenti.
È la reazione alla crescita di importanza e rilievo del giudiziario che ha caratterizzato tutti i Paesi occidentali alla fine del secondo millennio, laddove Tribunali e Corti si sono dovuti far carico della debolezza della politica e dell’incapacità del legislativo di regolare e dare risposte ad una società sempre più complessa.
Ma in Italia è anche la resa dei conti che parte da Tangentopoli e dal ruolo crescente che la magistratura ha acquisito anche grazie all’attività di contrasto al terrorismo, alle mafie e alla corruzione.
E la recente crisi che ha colpito il CSM è solo un’occasione, dato che tra l’altro il DDL è stato pensato e proposto ben prima che questa scoppiasse.
Non avremo, come ci viene raccontato spesso in buonissima fede, una separazione delle carriere in cui il ruolo del tutto distinto del giudice lo libererebbe da ogni legame con il PM e lo renderebbe più libero e indipendente di decidere, ma un giudice più debole di fronte ad un PM che impersonerà la volontà punitiva di una società sempre più incattivita.
Del resto già oggi la realtà, sulla base dei pochi dati esistenti, non è certo quella di un giudice appiattito sui PM, dato l’elevatissimo tasso di assoluzioni e proscioglimenti (dal 30% del collegiale al 40-50% del monocratico). E anche i pochi dati esistenti sull’accoglimento delle richieste di misure cautelari da parte dei Gip evidenziano come venga fatto un vaglio serio per nulla influenzato dall’appartenenza ad una stessa magistratura.
Il problema oggi non è la separazione delle carriere, ma che questa proposta venga utilizzata come grimaldello per fare saltare l’intero impianto costituzionale relativo alla magistratura.
Se non fosse così, perché intervenire sulla composizione del CSM, aumentando i nominati dal Parlamento? Perché limitare i poteri del CSM? Perché eliminare il principio di parità delle funzioni, aprendo ad un’indiscriminata gerarchizzazione? Perché attenuare o condizionare con una formulazione estremamente ambigua la stessa obbligatorietà dell’azione penale?
In realtà quello che le Camere penali hanno fatto è stato rendersi interpreti di un’istanza di controllo della magistratura e di condizionarla, dividendola, con una maggiore presenza di nominati dal Parlamento, con un reclutamento parallelo non per concorso, con un’obbligatorietà dell’azione penale parziale.
È un’altra magistratura quella che viene disegnata e, se anche non viene proposta la dipendenza del PM dall’esecutivo, quello che si avrà, sarà semplicemente un ritorno alla situazione dei primi 40 anni dopo l’inizio della Repubblica in cui la magistratura era naturalmente succube e prona alle esigenze politiche, senza necessità di alcun vincolo giuridico espresso.
Una magistratura più debole e gerarchizzata e in cui, in un Paese con tradizioni autoritarie come l’Italia, il rischio è di produrre un PM come super poliziotto indifferente alle ragioni della giurisdizione, molto più forte del giudice, pienamente immedesimato solo nelle sue ragioni di difesa sociale attento solo al risultato, disposto ad incastrare l’imputato che ritiene colpevole con qualsiasi mezzo.
Saranno ancora possibili indagini come quelle sul caso Cucchi o sulle stragi, al di là dei depistaggi e del coinvolgimento di spezzoni delle istituzioni o quello che si vuole è una giurisdizione controllabile, capace solo di far volare gli stracci?
Preoccupa e amareggia che siano degli avvocati a proporla sulla base di prospettazioni scientifiche e di scelte ideologiche di cui non sono state adeguatamente valutate le drammatiche conseguenze.
La strada maestra per un salto di qualità è del tutto opposta: è quella di unire e non quella di separare. Tornare alla vecchia proposta di formazione comune e unitaria per tutti coloro che aspirano a professioni giuridiche (tramite Scuole di specializzazione a numero chiuso obbligatorie come era previsto in origine o attraverso un V anno di università a numero chiuso destinato solo a chi voglia accedere a professioni giuridiche) per creare un’osmosi e una cultura comune.