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La negoziazione assistita nelle cause di separazione e divorzio e la (mancata) tutela dei figli maggiorenni non autosufficienti

di Saverio Umberto De Simone
Consigliere della Corte d'appello di Bari
La negoziazione assistita nelle cause di separazione e divorzio e la (mancata) tutela dei figli maggiorenni non autosufficienti

1.- Autonomia negoziale e diritto di famiglia. 2.- Il D.L. 12/9/14 n. 132 e le novità introdotte con la legge di conversione 10/11/14 n. 162. 3.- La procedura preliminare. 4.- La negoziazione assistita in assenza di figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti. 4.1.- Prime considerazioni e profili di criticità. 5.- La negoziazione assistita in presenza di figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti. 5.1.- Prime considerazioni e profili di criticità. 6.- Gli effetti degli accordi di negoziazione assistita. 7.- E i figli nati fuori dal matrimonio? Una colpevole dimenticanza. 8.- La procedura di separazione o divorzio dinanzi al sindaco.

1.- Negli ultimi decenni il tema della progressiva espansione dell’autonomia privata in molti ambiti del diritto è stato al centro di un importante e serrato dibattito in dottrina ed in giurisprudenza.

Tale dibattito ha riguardato anche il diritto di famiglia, che rappresenta uno dei settori tradizionalmente meno permeabili al riconoscimento della negozialità privata, ed ha spinto alcuni autori a negare a questa branca del diritto natura pubblicistica tout court ed a sostenere, di converso, che alcuni suoi campi siano più refrattari di altri al riconoscimento dell'autonomia privata.

Quantunque il terreno dell’indisponibilità sia attualmente circoscritto essenzialmente alle relazioni tra genitori e figli e, più in generale, ai diritti dei minori, il legislatore incoraggia largamente la negozialità e ciò si può cogliere in quegli altri settori nei quali tradizionalmente è possibile riscontrare una migliore predisposizione al riconoscimento di validità ed efficacia degli accordi intervenuti tra le parti: si pensi al campo della separazione consensuale, in cui la negozialità è in re ipsa, a quello del divorzio, dove gli spazi lasciati aperti all’autonomia negoziale sono molteplici (ricorso a firma congiunta, sentenza su conclusioni conformi e definizione consensuale dell’una tantum), e, soprattutto, alla normativa sull’affidamento condiviso (legge n. 54/2006) in cui si rileva con tutta evidenza il favor per gli accordi tra i genitori sull’affidamento, sulle modalità degli incontri della prole con il genitore non collocatario prevalente e sul contributo al mantenimento dei figli.

Mentre al di fuori di questo ambito il riconoscimento dell’autonomia negoziale delle parti coincide con la piena efficacia e validità degli accordi raggiunti, nei casi innanzi richiamati, nonostante tale favor legislatoris, la negozialità non produceva accordi immediatamente validi ed efficaci ex se, occorrendo sempre e comunque l’intervento giudiziale del Tribunale che la limitava, sottoponendola a controllo per finalità di natura pubblicistica.

Le riforme procedurali sulla separazione e sul divorzio introdotte dalla nuova normativa sulla negoziazione assistita (D. L. 12 settembre 2014, n. 132 come modificato dalla legge di conversione 10 novembre 2014, n. 162), hanno invece segnato un decisivo punto di svolta, attenuando marcatamente l’indisponibilità che ha sempre caratterizzato questo settore del diritto.

2.- Il decreto legge 12 settembre 2014, n. 132, recante misure urgenti di degiurisdizionalizzazione per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile, ha istituito la negoziazione assistita, definita come “un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l'assistenza dei propri avvocati”(v. art. 2, co 1°); tuttavia il nuovo meccanismo negoziale e procedurale in esso delineato, pur introducendo novità significative rispetto alla disciplina previgente, non presentava effetti dirompenti sul sistema e, soprattutto, non realizzava appieno la finalità deflattiva del carico giudiziario pendente in quanto consentiva di ricorrervi solo in assenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti.

La legge di conversione, invece, ha quasi rivoluzionato i confini dell’autonomia privata nell'ambito del diritto di famiglia prevedendo la possibilità di accordi di negoziazione assistita per raggiungere una soluzione consensuale di separazione, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio (nei casi di cui all’art. 3 co 1°, n. 2 lett. b, cioè quelli di divorzio richiesto dopo il termine di tre anni dal giudicato di separazione) ovvero di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio anche in presenza di figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti (o portatori di handicap gravi), accordi che vengono considerati pienamente validi senza l’intervento del Tribunale e, quindi, sono immediatamente efficaci e registrabili negli uffici dello stato civile.

La legge di conversione, oltre a rappresentare espressione del favor del legislatore verso il più ampio riconoscimento dell'autonomia negoziale delle parti in ambito familiare, si è riproposta anche un'altra finalità significativa, ovvero quella della deflazione del carico giudiziario.

Le statistiche ufficiali risalenti all'anno 2012 ci dicono che le separazioni ed i divorzi senza figli rappresentano circa il 30% del totale sicché, secondo la disciplina del decreto legge, la nuova procedura avrebbe determinato una deflazione solo del 30% del contenzioso; l’estensione dell'istituto agli accordi di negoziazione assistita in presenza di figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti, introdotta con la legge di conversione, dovrebbe produrre una ben più significativa deflazione del carico giudiziario, che potrebbe astrattamente salire fino al 100%.

Le norme di specifico interesse sono rappresentate dagli artt. 6 e 12: delle citate disposizioni, la prima è entrata in vigore il giorno successivo alla pubblicazione del decreto legge (quindi il 13 settembre 2014) per quanto attiene alla negoziazione assistita in assenza di figli minorenni e maggiorenni economicamente non autosufficienti ed il giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione (quindi l’11/11/2014) per quanto attiene alla negoziazione assistita in presenza di figli minorenni e maggiorenni economicamente non autosufficienti, mentre la seconda è divenuta operativa il trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione (quindi l’11/12/2014).

3.- La procedura di negoziazione assistita deve essere preceduta dalla conclusione, in forma scritta, di un’apposita convenzione tra le parti che deve essere stipulata con l’assistenza degli avvocati, i quali certificano l’autografia delle sottoscrizioni apposte alla convenzione sotto la propria responsabilità professionale (comma 6), e può essere stipulata anche aderendo alla proposta (invito) della controparte (come può dedursi dalla disciplina dell’art. 4).

Condizione di regolarità dell’accordo è che esso contenga l’attestazione che gli avvocati hanno tentato di conciliare (rectius, riconciliare) le parti, le hanno informate della possibilità di esperire la mediazione familiare nonché dell’importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori(v. art. 6 co 3 , 2° parte).

4.- Nel testo originario del decreto legge la negoziazione assistita in assenza di figli minorenni e maggiorenni economicamente non autosufficienti era rimessa alla libera volontà negoziale delle parti perché non era sottoposta a vincoli o controlli di sorta, e ciò al fine di realizzare nella massima ampiezza il disegno deflattivo del legislatore.

E tuttavia, poiché tale novità normativa era sostanzialmente eversiva rispetto ai principi generali che regolano l'indisponibilità dei diritti soggettivi nell'ambito del diritto di famiglia, con la legge di conversione è stata introdotta la necessità della trasmissione dell’accordo al Pubblico Ministero, organo pubblico che già nel sistema previgente era chiamato ad intervenire nelle cause separative e divorzili ex art. 70 c.p.c.

Si tratta di una forma di controllo pubblico che, limitando la libertà negoziale delle parti, per un verso risulta difficilmente giustificabile sia sul piano dei principi che nel contesto dello stesso meccanismo delineato dal legislatore, e per l'altro rischia di minare profondamente l’efficacia deflattiva dell’istituto.

Difatti, affinché l’accordo concluso possa spiegare i suoi effetti ed essere trascritto nei registri dello stato civile, è previsto che esso venga trasmesso entro 10 giorni al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente il quale, ove non ravvisi irregolarità, appone un nullaosta; soltanto in seguito a tale nullaosta sarà possibile procedere ai successivi adempimenti, ovvero alla obbligatoria trasmissione“…entro il termine di 10 giorni, all'ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu trascritto, di copia, autenticata dallo stesso, dell'accordo munito delle certificazioni” relative all’autografia delle sottoscrizioni ed alla conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico.

Dunque, se non vi sono figli minori o maggiorenni non autosufficienti, unica condizione affinché il P.M. apponga il nulla osta é che l’accordo non presenti irregolarità; altrimenti le parti, avvisate del diniego, dovranno regolarizzarlo nel senso innanzi indicato.

4.1.- Tale procedura presenta una serie di rilevanti profili di criticità che hanno indotto i primi commentatori del nuovo testo normativo a definire (fondatamente) il meccanismo di controllo dell’accordo tra le parti“irragionevole”, specie ove si consideri che tale forma di negoziazione assistita era praticabile soltanto in assenza di figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti.

Il primo profilo di criticità riguarda la mancata previsione sia di un termine entro il quale il Pubblico Ministero – al quale si richiede di ridisegnare la struttura interna dell’Ufficio per far fronte alle nuove incombenze che la legislazione pone sia sotto il profilo dell’organizzazione interna sia sotto quello dell’affinamento delle competenze più squisitamente civilistiche - è chiamato ad esprimere il suo nulla osta, sia di meccanismi sostitutivi rispetto alla sua possibile inerzia, con la conseguenza che i tempi di definizione della procedura risultano incerti e rimessi alla sensibilità e prontezza del P.M., con il rischio di evidenti disagi per le parti che, invece, devono poter contare su tempi di definizione del procedimento tendenzialmente predefiniti.

In secondo luogo, l’irragionevolezza risulta ancor più evidente ove si consideri che un’analoga previsione non è stata contemplata dall’art. 12 che disciplina gli accordi di separazione o divorzio conclusi in presenza del sindaco (c.d. “separazione o divorzio fai da te”); la norma, infatti, non attribuisce a tale organo pubblico alcun potere di controllo sull'accordo delle parti, dovendosi egli limitare semplicemente a ricevere le dichiarazioni dei coniugi (v. l’art. 12 co 3°): ciò determina un’ingiustificata differenza di disciplina rispetto alla procedura di negoziazione assistita - che a causa del controllo del P.M. risulta inevitabilmente più lunga -, ancora più marcata se si pensa che l’assenza di controllo nella procedura di separazione o divorzio c.d.“fai da te”può rivelarsi particolarmente rischiosa per le parti in quanto mentre nel caso di negoziazione assistita è sempre necessaria la presenza di almeno un avvocato per parte, davanti al sindaco, invece, l’accordo di separazione o divorzio può essere concluso anche senza le garanzie dell’assistenza tecnica del difensore, che è meramente facoltativa.

In disparte tali aspetti, tuttavia, il maggiore dato di criticità riguarda la mancanza della previsione di garanzie a tutela dei figli maggiorenni che i genitori, di comune accordo e contrariamente al vero, abbiano dichiarato essere economicamente autosufficienti.

Il primo quesito da porsi é il P.M. possa avvalersi ufficiosamente dei propri poteri istruttori per verificare se i figli maggiorenni della coppia siano effettivamente autosufficienti o meno.

A una prima lettura, la norma sembrerebbe attribuire al P.M. un controllo solo di natura formale sulla regolarità dell'accordo (nel senso innanzi indicato) e non anche di natura sostanziale circa la presenza delle condizioni per azionare la procedura di negoziazione assistita.

Ed allora, ove il P.M. abbia emesso il nulla osta sul presupposto, falso ma da lui ignorato, dell’autosufficienza economica del figlio maggiorenne della coppia, potrà costui agire giudizialmente per l'annullamento dell'accordo ed in che forma?

Esclusa la possibilità che egli possa intervenire non essendo parte necessaria della procedura, dovrebbe ammettersi la possibilità che agisca giudizialmente per far valere nei confronti di uno o di entrambi i genitori il suo diritto al mantenimento; oppure è possibile riconoscergli un autonomo potere di intervento nel corso della procedura finalizzato a chiedere al P.M. di non emettere il nulla osta, rappresentando (e documentando) a tale organo la propria condizione di non autosufficienza economica?

5.- Il ricorso alla negoziazione assistita anche in presenza di figli minorenni, portatori di handicap gravi o maggiorenni non autosufficienti, come già detto innanzi, è stato introdotto solo con le modifiche apportate al decreto legge in sede di conversione.

L’art. 6, co 2°, 2° cpv., stabilisce che l'accordo che le parti abbiano eventualmente raggiunto deve essere trasmesso entro il termine di dieci giorni al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente, il quale, quando valuta che l'accordo risponde all'interesse dei figli, lo autorizza.

Se, invece, ritiene che l’accordo non sia conforme all’interesse dei figli lo trasmette entro cinque giorni al Presidente del Tribunale che fissa, entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti dinanzi a sé e provvede senza ritardo, dando così inizio al processo contenzioso.

5.1.- Il primo quesito che si pone di fronte al dettato normativo è se l'autorizzazione del Procuratore della Repubblica debba essere subordinata alla rispondenza dell'accordo all'interesse soltanto dei figli minorenni o anche a quello dei maggiorenni non autosufficienti?

La lettera della norma, che parla indistintamente di “figli”, induce a ritenere che l'autorizzazione debba essere negata - con consequenziale trasmissione degli atti al Presidente del Tribunale - anche nel caso in cui il P.M. valuti l'accordo come non conforme all'interesse dei figli maggiorenni non ancora economicamente indipendenti; del resto solo un’interpretazione siffatta realizzerebbe una effettiva tutela della prole, specie in considerazione del fatto che la crisi economica e le sempre maggiori difficoltà di reperire lavoro esigono una particolare attenzione dell’interprete verso la tutela dei figli anche dopo la maggiore età, quanto meno nel caso in cui il mancato raggiungimento dell’autosufficienza non sia imputabile a fatto del figlio che sia stato messo dai genitori nelle condizioni di rendersi indipendente.

Altro problema delicato, sostanzialmente speculare a quello evidenziato innanzi, é individuare quale tipo di tutela possa riconoscersi ai figli maggiorenni ma non autonomi economicamente nel caso in cui i genitori raggiungano un accordo - e lo sottopongano al P. M. per l’autorizzazione - il cui contenuto essi non condividano (perché, ad es., non prevede il loro diritto al mantenimento o ne prevede uno di importo non consono alle loro esigenze di vita).

Anche in questo caso occorre chiedersi se esiste un potere istruttorio officioso del P.M. finalizzato a verificare se l'accordo corrisponde effettivamente all'interesse dei figli maggiorenni da esperire prima di emettere l’autorizzazione, eventualmente disponendone la previa audizione.

Altro quesito é se i figli maggiorenni non economicamente autosufficienti i quali si sentano lesi nel loro diritto a godere di un contributo al mantenimento dall'accordo raggiunto dai loro genitori possano intervenire nella procedura per impedire il rilascio dell'autorizzazione ovvero ancora se, emessa l'autorizzazione dal P.M., essi siano legittimati ad impugnare l'atto frutto della negoziazione assistita, visto che a seguito dell'autorizzazione l'accordo viene direttamente trasmesso all'ufficiale dello stato civile per la annotazione nei registri di matrimonio o negli atti di nascita.

Si tratta di aspetti critici che la norma non consente di risolvere agevolmente, almeno allo stato, e che solo l'esperienza della applicazione della normativa in questione nella pratica quotidiana potrà aiutare a dirimere.

6.- L’accordo raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti di separazione personale, di divorzio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio; quindi non occorrerà richiedere al Tribunale l’omologa (in caso di accordo di separazione), la sentenza (in caso di accordo di divorzio) o il decreto (in caso di accordo sulla modifica).

La data dalla quale decorrono gli effetti degli accordi è quella “certificata” negli accordi stessi.

Gli avvocati delle parti devono trasmettere copia dell’accordo munito della autentica delle firme e della certificazione di conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico, entro il termine di dieci giorni, all’ufficiale dello stato civile del Comune in cui è stato celebrato il matrimonio, cioè quello in cui il matrimonio è stato iscritto (se celebrato in forma civile) o trascritto (se celebrato in forma religiosa o da non residenti).

L’ufficiale dello stato civile, deve procedere alla registrazione dei provvedimenti di cui trattasi ed alla conseguente annotazione a margine dell’atto di matrimonio (ex art. 69 Ordinamento di stato civile) e di nascita di entrambi i coniugi (ex art. 49 Ordinamento di stato civile) ed alla comunicazione all’anagrafe per i conseguenti aggiornamenti (art. 63 Ordinamento di stato civile); all’avvocato che vìola l’obbligo di trasmissione entro dieci giorni è applicata la sanzione amministrativa pecuniaria da € 2.000 ad € 10.000, alla cui irrogazione provvede il Comune nel quale l’ufficiale di stato civile effettua le annotazioni (v. art. 6 co 3°, 3° cpv., e co 4°).

7.- La nuova normativa non riconosce ai genitori la possibilità di ricorrere alla negoziazione assistita per accordarsi sull’affidamento ed il mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio.

Non è facile comprendere le ragioni di tale esclusione ed in particolare se sia imputabile a inconsapevole o voluta dimenticanza.

Eppure il progetto di legge Contento-Paniz n. 4376 del 25 maggio 2011 prevedeva che anche gli accordi per l’affidamento ed il mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio potessero essere oggetto di negoziazione assistita, al pari di quelli relativi alla separazione e al divorzio di coniugi aventi figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti; l’accodo raggiunto andava trasmesso al Tribunale il quale avrebbe potuto omologarlo senza nemmeno convocare le parti.

La ormai piena equiparazione dei figli nati fuori dal matrimonio a quelli nati in costanza di matrimonio, sancita dalla legge 10/12/2012 n. 219, avrebbe dovuto consigliare il legislatore a disciplinare nel nuovo testo normativo in commento anche gli accordi riguardanti i figli nati fuori dal matrimonio, tanto più che nei procedimenti che li riguardano la Corte Costituzionale ha imposto la necessità dell’intervento del P.M. (v. Corte Cost., sentenza 25 giugno 1996 n. 214).

Anche in tali casi si sarebbe potuto stabilire che l’accordo raggiunto tra le parti fosse trasmesso al Procuratore della Repubblica con lo stesso meccanismo previsto per la negoziazione assistita in tema di separazione e divorzio; con l’unica, ovvia differenza che l’accordo autorizzato non avrebbe dovuto essere trasmesso all’ufficio dello stato civile, al quale il relativo ordinamento non attribuisce alcuna incombenza in tema di annotazioni, trascrizioni o iscrizioni relative a coppie non sposate, almeno fino a quando non venga istituito un registro delle unioni civili.

Poiché allo stato attuale della legislazione l’accordo con il quale i genitori non coniugati intendono regolamentare l’affidamento e/o il mantenimento dei loro figli (minori o maggiorenni non autosufficienti) può acquistare forza di titolo esecutivo solo se venga recepito in un decreto del Tribunale, non resta che augurarsi che il legislatore colmi quanto prima la carenza e, richiamata la ratio essenzialmente deflattiva del nuovo istituto, integri la normativa vigente con una specifica disposizione ad hoc che ammetta la negoziazione assistita anche per la regolamentazione consensuale dell’affidamento e del mantenimento dei figli delle coppie in crisi non coniugate.

8.- Un accordo di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio nonché per la modificazione delle condizioni di separazione o di divorzio può essere perfezionato anche attraverso separate dichiarazioni dei coniugi rese innanzi al sindaco, nella sua qualità di ufficiale dello stato civile.

Il ricorso all’istituto, nel quale l'assistenza degli avvocati é meramente facoltativa, è ammesso, pur in difetto di espressa previsione della legge, alle condizioni e nel rispetto dei limiti temporali previsti dalla legislazione in materia ed è precluso in presenza di figli minorenni, incapaci o portatori di handicap gravi ovvero non autosufficienti economicamente; inoltre con esso non possono essere conclusi patti di trasferimento patrimoniale (v. art. 12, co 3°).

Ricevute le dichiarazioni, l’accordo viene immediatamente compilato dallo stesso sindaco e produce gli effetti dei provvedimenti giudiziari che concludono i procedimenti aventi il medesimo oggetto, senza bisogno di omologazione giudiziale, e in base ad esso verranno effettuate le dovute annotazioni negli atti di matrimonio.

In sede di conversione è stata inserita una misura di cautela, prevedendo che, “Nei soli casi di separazione personale, ovvero di cessazione degli effetti civili del matrimonio o di scioglimento del matrimonio secondo condizioni concordate”.

Dunque solo in questi casi - e non quando le parti intendano concordare sulla modifica delle condizioni di separazione di divorzio - l'ufficiale dello stato civile dovrà invitare i coniugi a comparire nuovamente di fronte a sé non prima di trenta giorni dalla ricezione per la conferma dell'accordo e, nel caso in cui essi non si presentino, la loro mancata comparizione equivale a mancata conferma dell'accordo.

Non è facile prevedere quale tipo di impatto una siffatta normativa produrrà sui carichi dei procedimenti di separazione e di divorzio né quali incognite potrà riservare alle parti un accordo preso senza la presenza degli avvocati, la cui assistenza, come già detto innanzi, é meramente facoltativa.

Occorre soltanto sperare che tutti gli operatori del diritto si predispongano benevolmente verso una siffatta forma di negoziazione ed incoraggino il ricorso all'istituto, superando le inevitabili ritrosie ricollegabili ad antiche posizioni di potere/controllo, al fine di rendere sempre più ampio anche in questa materia lo spazio di operatività dell'autonomia negoziale privata.

 

04/02/2015
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