Premessa
La gestione normativa delle politiche migratorie è stata caratterizzata, negli ultimi tre anni, da cambiamenti ripetuti e radicali che hanno riconfigurato il volto del diritto d’asilo nel nostro paese. Si tratta di trasformazioni ampie e strutturali che, per quanto riguarda alcuni specifici profili – si pensi al superamento del sistema Sprar e alla cd. abrogazione della protezione umanitaria – hanno avuto ampio spazio nel dibattito pubblico specializzato.
Altri aspetti, ugualmente rilevanti, che hanno a che fare con le procedure applicate ai cittadini stranieri successivamente all’approdo, sono state prima introdotte e poi sperimentate sottotraccia, in un regime caratterizzato da sostanziale disinteresse mediatico e poca attenzione anche tra gli operatori del settore. Si fa riferimento alle nuove fattispecie di procedure cd. accelerate. Come si avrà modo di evidenziare, si tratta di novità tutt’altro che giuridicamente e politicamente neutre. Le nuove previsioni si situano nella traccia segnata dagli interventi normativi degli ultimi tre anni: definiscono procedure sommarie e restringono i diritti a disposizione dei richiedenti asilo.
Le riflessioni che seguono sono state predisposte al fine di mettere in luce – a partire da un caso concreto che si è avuto modo di affrontare nell’ambito del lavoro di monitoraggio in frontiera – gli aspetti contraddittori e problematici delle nuove previsioni e della loro attuazione. Appare indispensabile fare i conti con le trasformazioni in atto: è in corso una generalizzata contrazione del diritto di asilo e una diffusa precarizzazione delle procedure senza precedenti.
Quanto al merito del tema e alla sua cornice normativa, il dl 113/2018, convertito in l. 132/2018, ha profondamente modificato il sistema delle procedure accelerate per l’esame delle domande di protezione internazionale, introducendo nuove ipotesi di applicazione, ampliando e rafforzando fattispecie già esistenti. Nello specifico, come si vedrà nel dettaglio, sono state introdotte la procedura di frontiera prevedendo, al c.1-ter dell’art. 28-bis del d.lgs 25/2008 (cd. decreto procedure) l’applicazione di una procedura accelerata al richiedente che “presenti la domanda di protezione internazionale direttamente alla frontiera o nelle zone di transito (…) dopo essere stato fermato per aver eluso o tentato di eludere i relativi controlli (…). In tali casi la procedura può essere svolta direttamente alla frontiera o nelle zone di transito”.
Un’altra novità, inserita nell’ambito della conversione in legge del decreto, è rappresentata dall’introduzione dell’art. 2-bis del d.lgs 25/2008 che prevede la possibilità di adottare con decreto interministeriale un elenco di paesi di origine sicuri. Laddove un richiedente asilo provenga da un paese di origine designato come sicuro, la domanda è esaminata in via prioritaria e viene applicata una procedura accelerata ai sensi dell’art. 28-bis del d.lgs 25/2008. Inoltre, la provenienza da un paese sicuro è tra le ipotesi in cui una domanda di asilo può essere considerata manifestamente infondata ai sensi dell’art. 28-ter, c.1, lett. b).
Nel corso delle ultime settimane l’Associazione studi giuridici per l’immigrazione (Asgi), nell’ambito del progetto In Limine, ha monitorato le procedure a cui sono stati sottoposti alcuni cittadini stranieri di nazionalità tunisina soccorsi a largo di Lampedusa durante il drammatico naufragio del 7 ottobre.
Il presente articolo si propone di ricostruire, a partire dall’esperienza vissuta da tali cittadini, i principali profili di illegittimità e le criticità rilevabili nelle prime applicazioni delle nuove ipotesi di procedure accelerate, anche alla luce delle diverse circolari ministeriali emanate.
In seguito alle operazioni di soccorso della notte tra il 6 e il 7 ottobre, i migranti sopravvissuti al naufragio sono stati condotti nel centro hotspot di Lampedusa.
I cittadini stranieri sono stati illegittimamente trattenuti nel centro hotspot per quasi 20 giorni, in una condizione di grave sovraffollamento, senza la possibilità di avere contatti con organizzazioni specializzate che forniscono assistenza legale, senza un efficace orientamento ai diritti, senza alcuna informazione in merito alla propria condizione giuridica e senza supporto psicologico. Solo il 25 ottobre sono stati trasferiti da Lampedusa e condotti alla Questura di Agrigento senza alcuna informazione circa i motivi, le modalità e il luogo di destinazione.
1. La formalizzazione della richiesta di protezione e l’applicazione della nuova ipotesi di procedura accelerata di frontiera: i profili di illegittimità
Una volta trasferiti ad Agrigento i cittadini tunisini hanno formalizzato la richiesta di protezione internazionale tramite la compilazione di un apposito modello C/3 introdotto dalle circolari ministeriali del 16 e del 18 ottobre 2019[1], attraverso il quale le autorità indicavano che sarebbe stata applicata la procedura accelerata ai sensi dell’art. 28-bis, commi 1-ter e 1-quater del d.lgs 25/2008, poiché la domanda di protezione internazionale era stata presentata direttamente alla frontiera (così come individuata con decreto del Ministero dell’Interno[2]) a seguito di elusione o del tentativo di elusione dei relativi controlli.
Si tratta del primo tentativo di applicazione, secondo le informazioni in nostro possesso, della procedura di frontiera introdotta dall’art. 9 del cd. Decreto sicurezza dell’ottobre del 2018. La procedura prevede che il richiedente che “presenti la domanda di protezione internazionale direttamente alla frontiera o nelle zone di transito (…) dopo essere stato fermato per avere eluso o tentato di eludere i relativi controlli (…)”, sia ascoltato dalla Commissione competente entro 7 giorni e che la decisione venga adottata entro i successivi 2 giorni. In caso di diniego della protezione, l’impugnazione del provvedimento non ha effetto sospensivo automatico[3].
La norma determina evidentemente una forte compressione delle garanzie previste per i richiedenti asilo: i brevissimi tempi stabiliti per l’audizione non consentono infatti un’adeguata preparazione e un accesso completo alle informazioni relative ai complessi contenuti della protezione internazionale.
L’applicazione di tale procedura nei confronti dei cittadini tunisini in questione appare controversa per molteplici aspetti.
In primo luogo, occorre evidenziare che le citate circolari del Ministero dell’Interno escludono esplicitamente che detta procedura possa applicarsi a “coloro che siano stati recuperati attraverso operazioni di Sar (Search and Rescue) e a coloro che spontaneamente si siano presentati per formalizzare la richiesta di protezione internazionale senza essere stati intercettati dalle Forze di polizia all’atto dello sbarco o, comunque, subito dopo”. Inoltre, si ritiene che con il termine “eludere” debba intendersi l’atto con cui la persona effettua un tentativo strutturato di sottrarsi ai controlli. Appare evidente, pertanto, che a seguito del salvataggio avvenuto tra il 6 e il 7 ottobre, non si sarebbe dovuta applicare la procedura di frontiera.
In secondo luogo, l’attuazione di questa procedura appare ancor più preoccupante in considerazione del grave trauma subito dalle persone scampate al tragico naufragio. Ai sopravvissuti, infatti, in quanto soggetti vulnerabili – così come certificato a seguito di visita condotta da una Ong nel centro hotspot di Lampedusa –, non poteva essere applicata una procedura accelerata in virtù della Direttiva 2013/32/UE[4], cui tra l’altro la stessa circolare del 18 ottobre sembra fare esplicito riferimento[5], che all’art. 24 esclude apertamente la possibilità di applicare qualsivoglia procedura accelerata, compresa quella per provenienza da paese di origine sicuro, ai soggetti portatori di esigenze particolari.
In terzo luogo, vi è un ulteriore aspetto di ambiguità che concerne la temporalità dell’adozione della procedura. Entrambe le circolari, infatti, stabiliscono che la richiesta di protezione internazionale presentata presso le zone di frontiera e di transito debba essere formalizzata dalle Questure competenti al momento dell’identificazione connessa all’ingresso illegale, al fine di garantire le esigenze di celerità imposte dal quadro normativo. Tuttavia, i cittadini stranieri sono stati identificati al loro ingresso nell’hotspot di Lampedusa, circa venti giorni prima dell’avvio della procedura accelerata. Anche per questa circostanza, dunque, la procedura indicata nelle circolari non avrebbe potuto trovare applicazione per tali richiedenti. È altamente probabile, pertanto, che la procedura accelerata in frontiera in questo specifico caso sia stata applicata in maniera del tutto sperimentale.
Le due circolari descrivono le modalità operative per l’applicazione di siffatta procedura accelerata, stabilendo che, a seguito della compilazione del modello C/3, la Questura lo invii, unitamente agli eventuali allegati, alla Commissione territoriale competente la quale, tramite interlocuzione telefonica con la Questura, fissa la data di audizione entro i 7 giorni (ai sensi del c.1-ter), in maniera tale che il richiedente possa essere informato automaticamente della convocazione per l’audizione personale. Tale modalità procedimentale appare contraria alla normativa: l’art. 28, c. 1-bis del d.lgs 25/2008 afferma infatti che è il Presidente della Commissione territoriale, sulla base della documentazione in atti, ad individuare i casi di procedura prioritaria o accelerata.
Contrariamente, nella prassi applicativa della norma individuata dalle due circolari, il ruolo della Commissione territoriale è stato del tutto marginalizzato e limitato ad una risposta telefonica di conferma rispetto a quanto già deciso dalla Questura, e la funzione del ruolo del Presidente della Commissione non è stata neppure menzionata.
2. La controversa applicazione dell’ipotesi di paese di origine designato come sicuro e le circolari “riparative”
Lo stesso giorno delle prime audizioni dei richiedenti asilo in questione, il Ministero dell’Interno, attraverso la Commissione Nazionale per il Diritto di Asilo, ha emanato la circolare n. 8864, avente per oggetto “Lista dei Paesi di origine sicuri ex art. 2-bis d.lgs 25/2008: applicazione delle procedure accelerate ai sensi degli artt. 28, 28 bis e 28 ter.”[6].
La circolare in questione, emanata per “chiarire” i dubbi interpretativi circa l’applicazione delle mal formulate norme relative alle procedure accelerate che riguardano i richiedenti provenienti da paesi di origine sicuri, stabilisce che, data l’incertezza dei termini di tale procedura e in attesa di un intervento risolutivo del legislatore, i termini per l’audizione sono di 7 giorni e 2 per la decisione. Inoltre, la Commissione nazionale ha affermato che in questi casi l’eventuale rigetto della domanda è accompagnato da dichiarazione di manifesta infondatezza[7].
A seguito dell’emanazione di tale circolare, la procedura accelerata applicata ai richiedenti asilo tunisini è mutata in corso d’opera: le autorità hanno convertito l’iniziale procedura di frontiera nella procedura per i richiedenti che provengono da Paesi di origine sicuri[8] di cui all’art. 28-bis, c.1-bis. Nel corso delle audizioni pomeridiane, infatti, per i Tunisini che ancora non erano stati ascoltati, è stata fornita, direttamente dalla Commissione territoriale, l’informativa relativa a tale procedura e l’intervista è stata condotta tenendo conto delle specifiche modalità previste senza che fosse fornita l’informativa rispetto all’eventuale decisione di diniego della domanda e ai rimedi giurisdizionali.
I richiedenti asilo che erano stati ascoltati durante la mattinata secondo la procedura di frontiera sono stati riconvocati per il giorno successivo per essere sottoposti ad un colloquio integrativo contenente le informazioni e le modalità applicabili ai richiedenti che provengono da un Paese di origine sicuri, al pari dei propri concittadini del pomeriggio precedente.
Tale circostanza appare estremamente grave: ai cittadini stranieri sono state infatti fornite informazioni discordanti che hanno contribuito a creare una situazione di estrema confusione, oltre a configurare diverse illegittimità in relazione alle differenze tra le due procedure accelerate in questione.
Tra i profili di illegittimità si rileva dunque il mancato rispetto della garanzia di una informazione completa ed esauriente in merito alla procedura applicata da parte della Questura ai sensi dell’art. 10 del d.lgs 25/2008[9].
L’assenza di informazioni risulta ancora più grave se si considera che nel caso di richiedente asilo proveniente da paese di origine sicuro, il richiedente protezione è tenuto a invocare i gravi motivi per i quali il paese di origine non è da ritenersi sicuro in relazione alla sua situazione individuale[10]. Sussiste in tale circostanza un onere della prova aggiuntivo ricadente anche sulla Commissione territoriale che è tenuta a collaborare al fine di far emergere l’esigenza di protezione. Tuttavia si ritiene che a una corretta lettura la nuova normativa non preveda una inversione dell’onere della prova come sostenuto nella circolare della Commissione nazionale del 31 ottobre di cui si dirà a breve. Infine, nel caso in esame, l’informativa è stata fornita direttamente dalla Commissione territoriale al momento dell’audizione, e non è dato sapere se per questo tipo di procedura il Presidente si sia espresso in merito, trattandosi anche in questo caso di procedura accelerata. Sembrerebbe che nell’applicazione delle due procedure ai casi da noi esaminati, le autorità abbiano modificato gli iter seguiti in base alle indicazioni che in quei giorni venivano emanate dal Ministero attraverso le circolari citate.
Per entrambe le procedure, inoltre, non è stata svolta l’informativa relativa alla fase giurisdizionale del procedimento: le due diverse ipotesi di procedura accelerata, infatti, hanno termini di impugnazione differenti: 30 giorni dalla notifica in caso di diniego di domanda adottata con procedura di frontiera e 15 giorni nei casi di diniego della domanda del richiedente proveniente da Paese di origine sicuro in quanto manifestamente infondata. In entrambe le ipotesi, l’impugnazione del diniego non ha effetto sospensivo automatico.
Il 31 ottobre la Commissione Nazionale ha emanato un’ulteriore circolare (n. 9004)[11], con la quale ha specificato che tale procedura si sarebbe applicata su tutto il territorio nazionale a tutti i richiedenti provenienti da paesi di origine sicuri, mentre la procedura di frontiera avrebbe trovato applicazione soltanto nell’ipotesi in cui i richiedenti (non provenienti da paesi di origine sicuri) eludono o tentano di eludere i controlli in frontiera. Differenziazione specificata ulteriormente nella circolare del 20 novembre n. 400/C/2019 del Ministero dell’Interno[12], in cui si richiama esplicitamente la circolare del 16 ottobre chiarendo a posteriori che quando il richiedente, seppure soccorso in una operazione Sar, proviene da un Paese di origine sicuro, sarà sottoposto a procedura accelerata in ragione della sua provenienza.
Si evidenzia inoltre che, secondo quanto previsto dalla circolare della Commissione nazionale del 31 ottobre, l’applicazione della procedura accelerata per i Paesi di origine sicuri investe le domande di asilo formalizzate successivamente alla data di emanazione della circolare in oggetto, e non anche ai richiedenti in questione, perché essi hanno formalizzato la domanda di asilo il 25 ottobre.
3. La notifica del diniego per manifesta infondatezza e l’illegittima privazione della libertà personale
A seguito delle audizioni personali (doppie per alcuni), il 2 novembre i richiedenti asilo tunisini sono stati quindi convocati in Questura, dove gli è stato notificato un diniego della richiesta di protezione internazionale per manifesta infondatezza[13], come previsto dalla circolare della Commissione nazionale del 31 ottobre, sebbene il rigetto sia motivato nel merito e non esclusivamente dalla mancata invocazione/dimostrazione dei gravi motivi per non ritenere sicuro il paese di origine. Inoltre, contestualmente sono stati notificati dei decreti di espulsione prefettizia e l’ordine di trattenimento nel Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Caltanissetta.
I decreti di espulsione e i conseguenti ordini di trattenimento sono stati emessi in chiara violazione dell’art. 32, c. 4 del d.lgs 25/2008: infatti soltanto alla scadenza del termine per l’impugnazione delle pronunce di rigetto, anche di manifesta infondatezza, il richiedente ha l’obbligo di lasciare il territorio nazionale e non al momento della notifica del rigetto. Tale principio è stato affermato chiaramente dalla Cassazione nell’ordinanza n. 13891 del 25 maggio 2019.
Il 4 novembre i richiedenti asilo si sono presentati all’udienza di convalida di fronte al giudice di pace (Gdp). L’avvocato ha eccepito l’inespellibilità dei cittadini stranieri non essendo decorso il termine di quindici giorni per la presentazione del ricorso.
In questo senso, in maniera complementare è stata sollevata come ulteriore argomentazione l’incompetenza del Gdp in merito alla convalida del trattenimento, essendo chiara la competenza delle sezioni specializzate del tribunale ordinario ai sensi dell’art. 3, lett. c), del dl 13/2017. Non potendosi dubitare della qualifica degli stessi quali richiedenti asilo[14], essendo tali fino a che non sia adottata una decisione definitiva.
Il Gdp il 5 novembre ha emesso le ordinanze in cui riconosce la propria incompetenza in merito alla convalida del trattenimento.
È stata quindi inviata dall’avvocato istanza di immediata liberazione dei suoi assistiti essendo decorso il termine per la comunicazione del provvedimento all’autorità giudiziaria competente alla eventuale convalida, nello specifico quarantotto ore, ai sensi dell’art. 13 c. 3, della Costituzione. Le persone sono tornate in libertà la sera del 5 novembre.
4. La proposizione del ricorso giurisdizionale: strategie di intervento giuridico
Nel ricorso avverso il provvedimento di rigetto per manifesta infondatezza, l’avvocato ha inoltrato contestuale richiesta di istanza cautelare per sospendere gli effetti del provvedimento impugnato[15]. Nello specifico, alla luce dei differenti profili di illegittimità precedentemente evidenziati che hanno caratterizzato l’applicazione delle procedure anche come conseguenza della non prevedibilità e chiarezza della lettera della norma, è stato sostenuto il rispetto delle garanzie previste dalla procedura ordinaria tra cui l’effetto sospensivo immediato dei provvedimenti impugnati e in via subordinata la sospensione ai fini di una completa istruttoria.
Il 21 novembre la sezione specializzata per la protezione internazionale del Tribunale di Palermo ha accolto l’istanza cautelare proposta da uno dei richiedenti asilo e, pertanto, riconoscendo al richiedente il diritto di restare sul territorio nazionale fino a che il giudice non si pronunci sul merito del ricorso. Il giudice, pur non pronunciandosi in merito ai profili di illegittimità sollevati in riferimento alle procedure applicate, ha ritenuto fondato il ricorso sotto il profilo del periculum in mora, attribuendo inoltre credibilità ai motivi umanitari ostativi al rimpatrio e valore al processo di integrazione nel contempo avviato in Italia.
Considerazioni conclusive
In conclusione, in relazione alla vicenda in questione si può affermare che il combinato delle nuove norme in materia di procedure accelerate e di frontiera sia stato applicato in maniera estremamente confusionaria, a discapito del rispetto dei diritti garantiti ai cittadini stranieri. Questa confusione ha configurato un pregiudizio non solo nei confronti dei richiedenti asilo, ma anche delle amministrazioni coinvolte: nell’arco di un mese, come abbiamo avuto modo di osservare, il Ministero dell’Interno, attraverso sue diverse diramazioni, ha emanato ben cinque circolari per provare a chiarire la corretta applicazione delle procedure accelerate ad un anno di distanza dall’entrata in vigore della legge che le ha istituite. Tutto ciò dimostra come le amministrazioni, nel tentativo di applicare l’infelice normativa con la quale sono disciplinate le tali procedure, hanno leso in più occasioni i diritti dei richiedenti asilo. I fatti di Agrigento appaiono, da questa prospettiva, il risultato di un banco di prova sperimentale per l’applicazione delle procedure accelerate, con i richiedenti asilo tunisini nel ruolo di “cavie”.
La vicenda appena descritta appare poi ancora più grave e preoccupante considerando che i richiedenti tunisini sono stati sottoposti a una privazione della libertà personale illegittima. Il quadro che ne emerge risulta quindi intollerabile per uno Stato di diritto.
Accanto alle considerazioni che hanno a che fare con la specifica vicenda trattata, i fatti narrati restituiscono l’idea di quanto le procedure applicate ai cittadini stranieri siano spesso difformi rispetto a quanto codificato.
Appare indispensabile monitorare dettagliatamente e in maniera diffusa cosa accade nel momento applicativo del diritto degli stranieri. Se spesso le prassi delle amministrazioni configurano violazioni eclatanti e sistematiche, il puntuale intervento degli operatori del diritto può essere fondamentale, dal punto di vista della tutela dei singoli cittadini stranieri e, più in generale, del contrasto alle illegittimità sistemiche.
[1] Si vedano le Circolari del Ministero dell’Interno Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione n. 8560 del 16 ottobre 2019, reperibile in www.asgi.it/wp-content/uploads/2019/11/Circolare-DLCI-procedure-di-frontiera-16.10.19.pdf, e Dipartimento di Pubblica Sicurezza, Direzione Centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle Frontiere n. 400/C/II Div. del 18 ottobre 2019, reperibile in www.asgi.it/wp-content/uploads/2019/11/CIRCOLARE-PS-18-10-19-zone-di-frontiera-e-modello-c3.pdf.
[2] Si veda www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2019/09/07/19A05525/sg.
[3] Secondo quanto previsto dall’art. 35-bis, c. 3, lett. d), del d.lgs 25/2008.
[4] Art. 24, par. 3 della direttiva 2013/32/UE.
[5] La circolare del 18.10.2019 afferma che “Stante l’espresso divieto normativo, dall’applicazione dell’istituto in parola (procedura di frontiera) sono evidentemente esclusi i minori stranieri non accompagnati ed i soggetti vulnerabili a cui devono essere garantite le specifiche procedure.” Il “divieto normativo” cui fa riferimento la circolare deve essere per forza di cose quello previsto dall’art. 24, par. 3 della direttiva 2013/32/UE, dato che all’interno del d.lgs 25/2008 non sono state previste dal legislatore interno esclusioni per l’applicazione di procedure accelerate e di frontiera per i richiedenti che necessitano di garanzie procedurali particolari.
[6] Reperibile in www.asgi.it/wp-content/uploads/2019/11/28.10.2019-PROTOCOLLATACircolare-applicativa-paesi-sicuri-28-ott-2019-PDF-1.pdf.
[7] Secondo quanto previsto dall’art. 28-ter del d.lgs 25/2008.
[8] Si rammenta che a seguito dell’adozione del D.M.A.E. del 4 ottobre 2019 che introduce un elenco di “Paesi di origine sicuri”, in attuazione dell’art. 2-bis del d.lgs 25/2008, sono considerati Paesi di origine sicuri: Albania, Algeria, Bosnia, Capo Verde, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Senegal, Serbia, Tunisia e Ucraina. Per un commento si veda Venturi F., L’istituto dei “Paesi di origine sicuri” e il decreto attuativo del 4 ottobre 2019: una “storia sbagliata”, in Diritti senza confini, 18 novembre 2019, reperibile in www.questionegiustizia.it/articolo/l-istituto-dei-paesi-di-origine-sicuri-e-il-decreto-attuativo-del-4-ottobre-2019-una-storia-sbagliata_18-11-2019.php.
[9] Al comma1, così come modificato, si precisa che all’atto della formalizzazione della domanda l’ufficio di polizia informi il richiedente che, laddove provenga da un paese di origine designato come sicuro, la domanda può essere rigettata ai sensi dell’art. 9, c.2-bis del d.lgs 25/2008.
Inoltre, al comma 2, lett. d-bis), anch’esso modificato, è previsto che “La Commissione nazionale redige, secondo le modalità definite nel regolamento da adottare ai sensi dell’articolo 38 un opuscolo informativo che illustra: (…)
d-bis) l’elenco dei Paesi designati di origine sicuri ai sensi dell’articolo 2-bis” (…)
[10] Si vedano a tal proposito gli artt. 2 bis e 9 D.Lgs. 25/2008.
[11] Si v. www.asgi.it/wp-content/uploads/2019/11/PROTCircolare-procedura-accelerataPaesi-sicuri.pdf.
[12] Reperibile in www.asgi.it/wp-content/uploads/2019/11/NUOVA-CIRCOLARE-PAESI-SICURI-C3-INFORMATIVA-20.11.19-dps.pdf.
[13] Ai sensi dell’art. 28-ter, c. 1, lett. b) del d.lgs 25/2008.
[14] In riferimento a ciò si veda quanto previsto dall’art. 2, c. 1, lett. c) del d.lgs 25/2008.
[15] Ai sensi dell’art. 35-bis, cc. 3 e 4 del d.lgs n. 25/2008.
[**]
Per progetto In Limine di Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione): Annapaola Ammirati, Adelaide Massimi, Francesco Ferri, Thomas Santangelo.
Per A Buon Diritto Onlus: Francesco Portoghese.