Magistratura democratica
Osservatorio internazionale

Stati Uniti: le armi da fuoco, le stragi e un diritto da Far-West

di Elisabetta Grande
professore ordinario di diritto comparato, Università del Piemonte Orientale
Qual è la fonte del diritto ad armarsi negli Stati Uniti? Un simile diritto è da sempre garantito ai cittadini americani? Quali ne sono i limiti? Esplorare la portata del diritto alle armi in quel Paese e le gravi conseguenze sulla vita e la morte di chi vi vive, significa capire le ragioni delle proteste dei tanti giovani americani per i quali quel diritto rappresenta una minaccia. Significa anche aver consapevolezza di quel che potrebbe accadere da noi qualora allargassimo le maglie della possibilità di armarci, come in base all’ultimo rapporto del Censis molti italiani parrebbero volere

Pochi giorni fa l’ennesima carneficina realizzata con un’arma da fuoco negli Stati Uniti: «Usa, perde a un torneo di videogame e fa una strage: 3 morti e 11 feriti». È questo l’annuncio sui media del 26 agosto 2018, che non fa neppure più notizia.

Leggere i numeri − riportati da Gunviolence.org oppure da Everytownresearch.org − relativi alle morti per arma da fuoco negli Stati Uniti, Paese in cui com’è noto ci sono più armi che abitanti − è un’esperienza traumatica. Per colpa di una pistola, di un fucile o simili, negli Stati Uniti trovano la morte in media 96 persone al giorno, di cui 7 bambini o ragazzi sotto i 19 anni. Nel 2016 quei morti sono stati quasi 39,000 su circa 324 milioni di abitanti e nel 2018 le stragi commesse con un’arma da fuoco (ossia gli assassinii di più di 4 persone, ad esclusione di chi ha sparato) al 31 agosto ammontano a 236: ossia quasi una al giorno!

Si tratta di una realtà (ancora) lontanissima dall’Europa, in cui i morti all’anno per arma da fuoco su un totale di più di 500 milioni di abitanti sono circa 6700 [1] e solo meno del 16% della popolazione europea ne possiede una [2].

In Europa non esiste un diritto ad essere armati; negli Stati Uniti sì. Non è sempre stato così, però. Solo nel 2008, con una decisione che diviene vincolante per tutti gli Stati dell’Unione nel 2010, la Corte suprema degli Stati Uniti, rovesciando la precedente interpretazione del secondo emendamento della Costituzione federale, dichiara costituzionalmente tutelato il diritto dei cittadini americani di possedere un’arma da fuoco. Se la cultura delle armi è da sempre radicata nel dna dell’americano medio, a quella decisione va però certamente ricondotta la pesante responsabilità di avere impedito che, insieme alla riduzione del numero di armi in circolazione, quella cultura potesse mutare. Il diritto riconosciuto a tutti i cittadini di possedere un’arma da fuoco (e, come si vedrà, forse anche di portarla con sé quando escono di casa) significa infatti un alto numero di armi da fuoco in circolazione. Ma se, come pare ormai dimostrato, nei Paesi in cui ci sono più armi da fuoco ci sono anche più morti dovute alle stesse, quella decisione − che il giudice John Paul Stevens, all’epoca dissenziente, continua ancor oggi a ripudiare con veemenza (si veda il suo op-ed sul New York Times del 27 marzo 2018) − è anche responsabile delle troppe vite spezzate che i su menzionati rapporti sugli Stati Uniti ci ricordano.

La pronuncia cui si fa riferimento è District of Columbia v. Heller del 2008, in cui dopo quasi 70 anni la Corte suprema ritorna sull’interpretazione da dare al secondo emendamento della Costituzione federale. Quest’ultimo recita così: «Siccome alla sicurezza di uno Stato libero è necessaria una milizia ben organizzata, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non può essere infranto». Si tratta certamente di un disposto normativo poco chiaro, giacché la milizia e il diritto dei singoli cittadini alle armi sono due concetti non immediatamente conciliabili. Nel 1939, investita della questione del significato da attribuire a quell’emendamento, la Corte suprema aveva risposto che il diritto di possedere e portare armi non ha «alcuna relazione con il mantenimento e l’efficienza di una milizia ben organizzata». Pertanto, una legge che puniva la detenzione di un fucile a canne mozze, come la normativa federale la cui costituzionalità la Corte era stata incaricata di valutare, veniva giudicata come perfettamente legittima. Nel 2008, però, una Corte completamente rinnovata nella sua composizione, in una storica decisione redatta dall’ormai deceduto giudice di origini italiane Antonin Scalia, modifica l’interpretazione precedentemente data e dichiara incostituzionale una legge federale che fin dal 1976 impediva agli abitanti del District of Columbia di detenere una pistola in casa. Da quel momento in poi il secondo emendamento garantirà agli americani un vero e proprio diritto al possesso di un’arma da fuoco a fini di difesa. Ciò anche perché una successiva pronuncia della medesima Corte, Mc Donald v. City of Chicago del 2010, nel dichiarare incostituzionale una legge che dal 1982 puniva in Illinois chiunque detenesse una pistola, qualifica il diritto a possedere un’arma come diritto fondamentale. Il che significa che il corrispondente esercizio deve trovare tutela sull’intero territorio nazionale. È così che oggi né le leggi federali, né quelle statali possono più negare il diritto dei cittadini statunitensi ad armarsi.

Ma avere il diritto di possedere un’arma da fuoco significa anche avere il diritto di andare in giro con quell’arma, magari mettendola in bella mostra? O quello di comprare e detenere financo un fucile d’assalto? Significa pure non poter precludere l’uso della stessa ai bambini o la possibilità di acquistarla ai diciottenni o ai pregiudicati? O ancora non poter stabilire controlli stringenti su chi le acquista?

Dopo le ultime stragi che hanno insanguinato gli Stati Uniti, in particolare dopo l’eccidio della scuola superiore di Parkland, in Florida, nel giorno di San Valentino di quest’anno, queste domande si sono fatte pressanti e le richieste di un giro di vite alla proliferazione delle armi, urlate in piazza dai tanti giovani che vedono le loro vite messe in pericolo da un diritto troppo permissivo e certamente molto funzionale agli interessi della National rifle association (che fra l’altro aveva sostenuto con forza la decisione del 2008), hanno per la prima volta raggiunto una notevole risonanza mediatica.

Le richieste dei ragazzi che protestano sono rivolte ai legislatori, tanto federale che statali, affinché limitino il più possibile quel diritto alle armi che nel 2008 la Corte Suprema ha voluto riconoscere agli americani. Sono però rivolte anche ai giudici, affinché accolgano come costituzionalmente legittime le eventuali legislazioni restrittive di quel diritto. Che tanto gli uni quanto le altre stiano andando nella direzione opposta rispetto a quella auspicata dai quei giovani trova però più di una testimonianza. 

Da un canto, infatti, negli ultimi anni si è assistito a un’ondata di leggi degli Stati dell’Unione volte a concedere con sempre maggiore generosità ai propri cittadini la possibilità di girare armati, a volte addirittura senza necessità di un porto d’arma o di superare basilari test di sicurezza. D’altro canto, a differenza di qualche tempo fa, in moltissimi Stati le cosiddette open carry laws consentono a chi ha il permesso di portare armi, e a volte perfino a chi non ce l’ha, di andare in giro tenendo in bella mostra pistole e fucili (perfino d’assalto) nei ristoranti, nelle biblioteche, nelle chiese, nelle scuole o nei parchi. Sovente è poi fatto obbligo agli esercizi commerciali, come accade in Texas, di far entrare chiunque sia visibilmente armato a meno di non mettere degli enormi cartelli su ogni ingresso che segnalino la volontà contraria. Così sempre più spesso può accadere che chi sta sorseggiando un caffè in un bar, leggendo un libro in biblioteca, gustando il piacere di fare una passeggiata nel parco pubblico o facendo un acquisto in un centro commerciale, si trovi affiancato, con suo serio sgomento, da un moderno cow-boy con una pistola nella fondina!

In almeno venti Stati è inoltre consentito di ottenere il porto d’armi anche a pregiudicati per reati violenti e mentre l’età minima per acquistare un’arma varia dai 21 ai 18 anni, recentemente in Iowa il parlamento ha approvato una legge che consente ai bambini sotto i 14 anni di possedere e usare «una pistola, un revolver o delle munizioni» sotto la supervisione di un genitore che sia almeno diciottenne. I proponenti di quella legge hanno chiarito quanto importante sia prendere dimestichezza fin da piccoli con le armi, per modo da non arrivare impreparati al loro uso all’età adulta! La pubblicità di fucili o pistole rosa per le bambine va così particolarmente di moda.

Se un legislatore volesse, potrebbe limitare seriamente il porto d’arma? O vietare l’acquisto o il possesso di armi ai pregiudicati? O impedire l’uso dei fucili e delle pistole ai bambini? Quali sono in sostanza i confini del diritto di armarsi? Sul punto la risposta delle Corti inferiori è stata quantomeno contraddittoria e la Corte suprema ha per il momento evitato di pronunciarsi.

Circa il diritto di portare con sé – in bella vista o meno − un’arma da fuoco, nel 2012 il giudice Richard Posner, scrivendo l’opinione per la maggioranza del settimo Circuito federale, interpreta il secondo emendamento nel senso che il diritto di difendersi armati va oltre l’ipotesi di chi si trovi a casa propria. Da qui la dichiarazione di incostituzionalità di una legge dell’Illinois, che restringeva la possibilità di ottenere il porto d’armi a coloro che lo richiedessero per particolari e dimostrabili motivi. Di opposto parere è, nel 2017, la Corte del nono circuito che, per la penna di maggioranza di Willy Fletcher, mantiene invece in vigore una legge analoga approvata in California. Nonostante il contrasto interpretativo delle due corti d’appello federali, la Corte suprema non si è ancora voluta pronunciare, lasciando in ombra la reale estensione del diritto di difesa armata. Ugualmente non si è pronunciata rispetto alla decisione di una Corte inferiore (il terzo circuito) − la cui interpretazione fa quindi per il momento stato − che ha dichiarato incostituzionale il divieto della Pennsylvania per i pregiudicati di un reato in astratto grave, punito però lievemente, di possedere un’arma da fuoco.

I ragazzi americani che hanno cominciato a protestare contro un diritto ad armarsi che dà priorità al desiderio di giocare ai cow-boys rispetto alle vite dei tanti, troppi, di loro che di quel gioco diventano vittime, hanno ancora una lunga strada da percorrere. E se non riusciranno a far cancellare il secondo emendamento, la loro speranza è che almeno la sua interpretazione venga decisamente ristretta.



[*] In copertina un fotogramma del film Elephant di Gus Van Sant (2003)

[1] Vds. https://www.flemishpeaceinstitute.eu

[2] In Italia la stima è anche inferiore, giacché si calcolano dai 7 ai 10 milioni gli italiani armati: così Gunpolicy.org

 
12/09/2018
Altri articoli di Elisabetta Grande
Se ti piace questo articolo e trovi interessante la nostra rivista, iscriviti alla newsletter per ricevere gli aggiornamenti sulle nuove pubblicazioni.
Le recenti sentenze della Corte Suprema statunitense su armi, aborto e clima: una sfida alla sua sopravvivenza?

Un'analisi di tre recentissime e controverse pronunce della Corte Suprema statunitense, destinate ad alimentare a lungo un dibattito profondo

12/07/2022
Per il rilancio del costituzionalismo

Riflessioni a partire da Diritto o barbarie. Il costituzionalismo moderno al bivio di Gaetano Azzariti (Laterza 2021)

18/12/2021
Il populismo al Governo ha un’intrinseca vocazione anticostituzionale che gli proviene dall’assunzione, come unica fonte di legittimazione del sistema politico, della volontà popolare indebitamente identificata con la volontà del ceto politico investito dal voto
22/03/2019
I fondamenti del costituzionalismo alla prova del caso Diciotti: il sindacato sulle decisioni parlamentari e il punto di equilibrio fra poteri
Il caso Diciotti mette alla prova il costituzionalismo stesso, ovvero la civiltà giuridica costruita dopo le tragedie della prima metà del secolo. La valutazione del Senato è esente da vincoli giuridici o, in caso di rigetto dell’autorizzazione a procedere, ci sarà “un giudice a Berlino”?
14/03/2019
I giudici nella stagione del populismo
Non ci sarà retorica populista che possa far dimenticare ai magistrati italiani che nelle aule di tribunale il giudice ed il pubblico ministero affrontano “casi” e giudicano “persone”, senza che vi sia spazio né per “amici del popolo” sottratti al giudizio in virtù del consenso popolare né per “nemici del popolo” oggetto di aprioristiche condanne popolari
01/03/2019
La tutela del dibattito politico al di là delle immunità
Con il ricorso all'articolo 18 Cedu la Corte di Strasburgo ha dato tutela al turco Demirtaş ed al russo Navalny, i principali oppositori ai confini orientali dell’Europa. La condanna di processi “a fine mascherato” evidenzia che la libertà del dibattito politico è il cuore della società democratica
20/02/2019
Ma come fanno gli operai...
Il volume di Loris Campetti (Manni Editori, 2018) si interroga sull’attuale situazione esistenziale degli appartenenti ad una classe sociale che aveva ricoperto negli anni '60 e '70 un ruolo sociale centrale
19/01/2019
Contro il malessere democratico, l’Italia ha bisogno del rugby. Il sogno di Giuseppe D’Avanzo
In gran parte del mondo la democrazia non gode di buona salute e l’Italia non sembra da meno. I sintomi del malessere democratico risalgono ad almeno un decennio e D’Avanzo li aveva individuati. Come il rimedio per curarli
03/12/2018