Magistratura democratica

La giustizia tributaria.
Introduzione all’obiettivo

di Antonio Lamorgese

La giurisdizione tributaria ha acquisito un’importanza che non aveva al tempo in cui furono scritte le norme costituzionali sulla giurisdizione: la leva fiscale è il pricipale strumento che consente di acquisire le provviste necessarie a fare fronte ai sempre più numerosi bisogni dei cittadini che, nella tradizione liberale, non si riteneva dovessero fare carico allo Stato.

I Costituenti, dopo avere faticosamente raggiunto un ambiguo compromesso nella definizione dei rapporti tra le giurisdizioni considerate principali (quella ordinaria e quella amministrativo-contabile), non dedicarono molto impegno a questa forma di giurisdizione, considerata minore, e si limitarono a “salvare” le Commissioni esistenti (avverso le cui decisioni era comunque consentito il ricorso al giudice ordinario, quale giudice unico dei diritti, a seguito della soppressione dei Tribunali del contenzioso amministrativo), prevedendone la revisione con legge ordinaria entro un quinquennio (VI disp. trans.), ma questo termine non fu rispettato.  

Si dovette aspettare sino al 1972 (dPR n. 636) per una prima, farraginosa, riforma che realizzò un sistema di doppia tutela dinanzi alle Commissioni e al giudice ordinario (dinanzi alle Corti d’appello in via alternativa alla Commissione centrale, mentre rimaneva ferma la residuale competenza dei Tribunali ordinari in materia di imposte e tasse; seguì, nel 1992 (d.lgs n. 546), un’altra riforma che eliminò il terzo grado di giudizio dinanzi alla Commissione centrale o alla Corte d’appello (restando fermo il ricorso per cassazione); infine, nel 2001, il legislatore (d.lgs n. 448, art. 12) ha attribuito alle Commissioni «tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie», sottraendole ai giudici ordinari, i quali però hanno continuato part time ad occuparsi della materia, quali componenti delle Commissioni (insieme ai magistrati di altre giurisdizioni e ai giudici-professionisti).

Con quest’ultimo intervento il legislatore ha trapiantato nella giurisdizione tributaria l’idea, a quel tempo in voga e attuata dal legislatore (spesso) governativo, di devolvere ai giudici speciali (in particolare a quelli amministrativi) la giurisdizione su “blocchi di materie”, scelta quest’ultima rivelatasi incostituzionale (oltre che sbagliata), ma che con riferimento alla giustizia tributaria si poteva giustificare, in considerazione, comunque, della presenza di giudici ordinari nelle Commissioni tributarie e della ricorribilità delle sentenze in Cassazione. Ciò consente di configurare quel ramo di giurisdizione come para-ordinario, salvando, almeno in apparenza, la tenuta costituzionale del sistema e il (vacillante) principio che vede nel giudice ordinario il giudice unico dei diritti, anche a fronte dell’esercizio del potere impositivo.

Oggi, come si è detto, la giurisdizione tributaria è divenuta una giurisdizione di serie A, con una mole di contenzioso davvero imponente (si pensi che quasi la metà dell’intero contenzioso civile in Cassazione pende presso la sezione tributaria), una parte del quale riguarda questioni di diritto (e non solo) difficili e delicate.

Vi è l’esigenza ineludibile – ancor più impellente rispetto ad altri settori del contenzioso – di prevedere filtri realmente efficaci che impediscano il ricorso al giudice nelle controversie bagatellari (l’esperienza dimostra quanto sia alto il numero di cause nelle quali si discute soltanto se e quando la cartella sia stata notificata correttamente, se l’amministrazione sia incorsa in decadenza nell’esercizio del potere impositivo, ecc.).

Vi è poi la necessità, largamente condivisa, di renderla professionale, al pari delle altre giurisdizioni, nel senso che deve essere somministrata da giudici indipendenti, specializzati, dediti ad essa “a tempo pieno” e soggetti ad una severa giustizia disciplinare: solo così si potrebbero arginare quei fenomeni corruttivi tristemente emersi negli ultimi anni.

Le ricette possibili su come realizzare questo obiettivo sono diverse e, talora, non immuni da spinte corporative.

C’è chi vorrebbe condurre la giustizia tributaria nel porto sicuro e vantaggioso della giurisdizione amministrativa, valorizzando strumentalmente il profilo del controllo sull’esercizio del potere impositivo. C’è chi vorrebbe farne una giurisdizione a sé, separata dalle altre e specializzata nella macro-materia tributaria, prevedendo la ricorribilità delle sentenze presso l’attuale Corte di cassazione o presso una corte di legittimità autonoma. C’è chi ritiene che vi sia solo l’esigenza di assicurare ai giudici delle attuali Commissioni la specializzazione e l’indipendenza propria di qualunque giudice, nell’ambito di una unità (solo) funzionale della giurisdizione, da mantenere di fatto separata organicamente. C’è chi vorrebbe inglobare la giurisdizione tributaria in quella ordinaria, costituendo sezioni specializzate nella materia (come per le altre materie di competenza del giudice ordinario), affidandola ai soli magistrati ordinari o confermando la presenza della componente professionale (non togata).

Le prime tre proposte esprimono una posizione sostanzialmente contraria all’unità della giurisdizione, apparentemente mitigata dall’evocazione dell’ambiguo concetto di unità funzionale della giurisdizione, la quale rimarrebbe organicamente separata in plessi organizzativi separati e non comunicanti tra loro.

La quarta proposta indica la strada più diretta e lineare per l’attuazione del disegno costituzionale dell’unità della giurisdizione sui diritti soggettivi (quali sono quelli implicati dall’esercizio del potere impositivo). In effetti, la giurisdizione può dirsi unica solo se lo è organicamente: se i giudici sono inseriti (dal punto di vista dello status giuridico ed economico) nel medesimo plesso organizzativo istituzionale, sono soggetti alla vigilanza disciplinare del medesimo organo, applicano le medesime norme processuali e, in definitiva, partecipano della medesima cultura della giurisdizione che si nutre non di valori astratti, ma della condivisione del lavoro quotidiano nelle aule di giustizia. Il filo diretto che lega le attuali Commissioni tributarie al Ministero dell’economia è una delle ragioni che impedisce anche la “civilizzazione” del processo tributario e contribuisce a perpetuare la sua perniciosa “specialità”.

È evidente, tuttavia, che l’inglobamento delle attuali Commissioni nei Tribunali ordinari è un’operazione complessa che richiede investimenti importanti, sul piano della formazione dei giudici ed organizzativo; inoltre, si è detto della necessità ineludibile di porre severi filtri all’accesso alla giustizia; il personale di cancelleria, che è alle dipendenze del Ministero dell’economia, potrebbe proficuamente essere trasferito nei ruoli del Ministero della giustizia, con beneficio dell’intera giurisdizione ordinaria.

Un’ultima notazione: andrebbe salvaguardata (in attuazione dell’art. 102, secondo comma, Cost.) la partecipazione dei professionisti, quali giudici non togati, i quali offrono un contributo importante e, forse, insostituibile sul piano delle competenze in un settore che, come sarà evidenziato nell’obiettivo, richiede vaste conoscenze, non solo, di diritto teorico, ma anche di contabilità ed esperienze professionali.