Magistratura democratica

La Costituzione italiana come limite alla regressione e spinta al rafforzamento della protezione dello straniero in Europa

di Luca Minniti

Il flusso di vite provenienti da “altrove” è destinato nel tempo a formare, nel vivo del processo di protezione dello straniero, una nuova schiera di giuristi europei tenuti,per obbligo costituzionale e sovranazionale,a dare integrale attuazione al principio di solidarietà e di eguaglianza sostanziale

«... Provare a dipanare i fili di eventi
che a prima vista paiono incomprensibili
nel loro ginepraio di violenza, lutti, oppressione,
che pure determina la vita di tanti»

Alessandro Leogrande, Frontiera, p. 15

1. Un sistema a garanzia di un diritto fondamentale

Questione Giustizia si propone con questo numero di analizzare i molteplici aspetti della tutela multilivello del diritto alla protezione dello straniero. L’insieme dei contributi rivela come il diritto di asilo e della protezione dello straniero sia un “mare agitato”. Come il Mar Mediterraneo, teatro di tragici eventi e di eroici salvataggi, anche il mare del diritto, con le sue tradizionali categorie giuridiche, è sottoposto ad una elevata tensione, che interessa anche il ruolo del giudice e dell’avvocato.

Eppure ci sono delle boe saldamente ancorate, delle coordinate identificabili in primo luogo nei principi e nelle norme di rango costituzionale, internazionale e sovranazionale.

Punto di avvio dell’analisi è la verifica della portata e dell’applicazione attuale dell’art. 10, co. 3, della Costituzione, che colloca il diritto di asilo tra i diritti fondamentali della persona e che risulta essere la norma costituzionale rimasta più a lungo inattuata.

Punto di arrivo è il ruolo che, rispetto al diritto d’asilo costituzionale, ha svolto e potrà svolgere il sistema di asilo europeo, anche valorizzando il contributo della Carta Ue, a partire dagli articoli 18, 19 e 4.

Questi ci sono apparsi i due fuochi della medesima ellisse[1] che circoscrive l’area di operatività del diritto dello straniero che cerca di protezione, in Italia e nella Ue, a causa delle minacce al nucleo essenziale dei propri diritti fondamentali, quei diritti che fondano la sua dignità.

L’esegesi dell’art. 10, co. 3, della Costituzione è tuttora in divenire e siamo certamente ancora lontani da una sua piena attuazione, potendosi rinvenire, nell’evoluzione normativa, nelle scelte amministrative, nelle prassi degli uffici amministrativi e giudiziari, significative zone d’ombra e lacuna di tutela[2].

La disciplina della protezione internazionale e umanitaria si fonda su clausole aperte, necessariamente esposte alla temperie dei conflitti politici, ai drammi sociali, ai contrasti religiosi ed etnici. Clausole aperte alle innumerevoli vicende della violenza umana che, per mano pubblica o privata, travolgono comunità e gruppi sociali, famiglie o singoli individui. Probabilmente nessun diritto soggettivo risulta, come quello di asilo, esser sottoposto ad un tasso tanto elevato di variabilità dei suoi presupposti materiali, nella dinamica concreta dei fatti storici, delle vicende della vita che lo integrano.

La mappa dei conflitti mondiali torna a presentare una intensità tale da interrogare anche i più cinici assertori della utilità della guerra circoscritta. Ne sono conseguite in questi anni epidemie, carestie, trasmigrazioni forzate, conflitti etnici e religiosi, sradicamenti sociali, lotte individuali e collettive per la sopravvivenza. Non è fuori luogo affermare che in nessun altro ambito giuridico le vicende del mondo contemporaneo, (le guerre, le lotte per la libertà e l’eguaglianza, le religioni, i conflitti etnici, le carestie, i colpi di stato, il terrorismo nei Paesi di origine e di destinazione, la violenza di genere), abbiano mai pervaso con cotanta immediatezza e radicalità l’ordinamento ed il sistema giudiziario italiano ed europeo: le loro regole ed i loro principi costitutivi.

Le ragioni della vita e l’istinto di sopravvivenza degli individui in fuga da tormentate vicende hanno sottoposto e sottopongono ad estrema tensione la capacità degli Stati nazionali e dell’ordinamento Ue di dare una risposta commisurata agli impegni derivanti dalle rispettive carte fondamentali.

Sullo sfondo c’è sempre la drammaticità della posta in gioco, in ogni storia, in ogni processo, in ogni provvedimento. Una posta sempre molto elevata, individuabile nella lotta per la sopravvivenza dignitosa di un uomo o di una donna, spesso di una ragazza o di un ragazzo.

È tale consapevolezza che non può mancare al giurista della protezione internazionale. Per questo nel nostro numero sono analizzate le principali questioni che vengono in rilievo nel sistema ed in particolare nel giudizio di protezione, senza la comprensione delle quali nessuna scelta, sia organizzativa sia sul piano della formazione, può adottarsi consapevolmente. Il perimetro dei contributi è stato delineato tenendo in debito conto che il tema della protezione internazionale se, da una parte, non può essere isolato da quello più generale del trattamento dei cittadini di Paesi terzi, dall’altra deve essere considerato per ciò che effettivamente è: un vero e proprio sistema di tutela dei diritti fondamentali, non assoggettabile a compromessi quantitativi o ad opzioni di realpolitik.

2. Dalla parte della Costituzione

Ancor più che in altri settori dell’ordinamento sottoposti ad intensa attività giudiziaria, il “sistema asilo” presenta ancora incoerenze e lacune attorno ad un nucleo essenziale consolidato che muove dalla disciplina nazionale e giunge alla codificazione europea.

Ma anche se il contributo delle Corti, in primo luogo di quelle europee e della Corte di cassazione, offre una traccia significativa al giudice del merito, questi è sempre costretto a confrontarsi con conflitti, persecuzioni, minacce che si presentano nella realtà con volti sempre nuovi: si pensi ad esempio alle mille forme della violenza di genere perpetrata in contesti culturali in continua evoluzione od involuzione[3].

E questa opera di aggiornamento permanente dei diritti umani e delle minacce verso di essi rivolte deve necessariamente muovere dalla Costituzione (Art. 10, co. 3) in base alla quale «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge».

Una norma e un diritto che funge da bussola nel mare agitato del diritto degli stranieri e che è stato volutamente collocato tra i principi fondamentali della Costituzione, concepiti come indivisibili.

Come è stato ben scritto, «Assumere il punto di vista della Carta costituzionale ci permette di liberare il discorso giuridico sull’asilo – e amplius sull’immigrazione – dalla considerazione di obiettivi e finalità che non possono entrare in alcun modo in una relazione di bilanciamento con i diritti costituzionali dei richiedenti asilo»[4].

Il Costituente, memore della catastrofe determinata dal nazionalismo del regime fascista, operò negli artt. 10 ed 11 della Costituzione una rottura con il recente passato, optando in maniera netta per l’apertura all’ordinamento internazionale e alla protezione universale dei diritti umani, anche tramite l’asilo alle vittime di violazioni dei diritti fondamentali commessi dagli, o non protetti negli, altri Stati sovrani.

La norma segna dunque un’apertura internazionalistica non solo verso gli altri Stati ed il diritto internazionale ma anche verso i diritti umani delle persone, quand’anche violati da altri Stati.

Il Costituente oppone ai nazionalismi autoritari usciti sconfitti dalla II guerra mondiale, con il nitido rigore del lessico costituzionale, l’antichissimo diritto di asilo coniato, come espressione del ius gentium, nell’Europa devastata dalle guerre di religione all’epoca delle prime “guerre civili europee”[5]. E lo ha fatto attribuendo ad esso la funzione di limite della sovranità cosiddetta “esterna” dello Stato, limite al potere di chiudere i propri confini.

Ciò fa, il Costituente, collocando il diritto di asilo tra quelli di cui sono titolari tutte le persone[6] e sottraendolo, al contempo, alla discrezionalità amministrativa; riducendo, con l’ausilio del comma secondo dell’art. 10 Cost., il potere amministrativo nella disciplina della condizione giuridica dello straniero che in precedenza, e per lungo tempo anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione, rimase regolato solo dalle prassi e dalle circolari ministeriali.

Di lì a poco anche la Dichiarazione universale dei diritti umani all’art. 14 avrebbe sancito il diritto di ogni individuo di cercare protezione in altri Paesi.

Ma il diritto di asilo è rimasto, in Italia, a lungo sostanzialmente circoscritto in ristretti ambiti, vuoi per ragioni storiche (l’Italia è stata storicamente un Paese di emigrazione e non meta di significativi flussi migratori), vuoi per ragioni politiche (tra le quali primeggia la divisione del mondo in blocchi con le sue ripercussioni interne). La Costituzione è restata così a lungo inattuata, anche dopo la conclusione della Convenzione di Ginevra del 1951, ratificata dall’Italia nel 1954 con efficacia limitata, temporalmente, alle persecuzioni anteriori al 1951 (sino al Protocollo addizionale del 1967) e, sul piano geografico, a quelle avvenute nei Paesi di provenienza europea, attraverso la riserva ritirata solo con il dl n. 416/1989.

Il mutato contesto europeo, con l’adozione del Trattato di Maastricht nel 1992, e la creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, unitamente all’espansione del nuovo diritto internazionale dei diritti umani, ha aperto la strada alla disciplina europea e nazionale del diritto di asilo[7].

All’esito, provvisorio, di questo lungo processo è oggi però divenuto necessario ridefinire il diritto di asilo di fonte costituzionale per due principali ragioni.

La prima è quella per cui i presupposti per il riconoscimento del diritto di asilo, previsti dalla legislazione ordinaria, in gran parte di matrice eurounitaria, appaiono inadeguati e frammentari, talvolta anche incoerenti se non collocati dentro il nitido quadro dell’art. 10 Cost.[8]. Di qui l’individuazione nella Costituzione della fonte dell’obbligo di prevedere la protezione umanitaria a copertura delle minacce rimaste prive di protezione nella disciplina europea o internazionale, come indicano gli interventi ospitati in questo numero[9]. Ed il ruolo propulsivo della protezione umanitaria nell’attuazione del diritto costituzionale di asilo[10].

La seconda si rinviene nella difficoltà dell’Ue di dare piena ed effettiva attuazione ai principi che essa ha sancito nelle proprie fonti, sia primarie sia derivate, con la tendenza ad affermare soluzioni di progressiva chiusura delle porte del continente, ispirate ad un approccio prevalentemente intergovernativo[11].

Abbiamo volutamente scelto di lasciare sullo sfondo di questo numero la questione migratoria nel suo complesso, ed in particolare le politiche di gestione dei flussi migratori, pur consapevoli delle interconnessioni con il nostro tema. Tuttavia, non si può pretermetterne il punto di frizione principale, individuabile nella estrema difficoltà e talvolta nella impossibilità per il potenziale titolare del diritto di asilo di raggiungere il territorio dell’Ue.

È necessario ancora una volta ricordare che ostacolare l’entrata nel territorio dello Stato e della Ue significa sottrarre, in radice, al titolare del diritto di asilo, la possibilità di esercitarlo tramite la domanda di protezione di cui agli art. 10 Cost. e 18 Carta Ue.

Con la conseguenza che le norme, gli atti amministrativi, i comportamenti che chiudono i confini dell’Ue indipendentemente dallo scopo che si prefiggono, violano la Costituzione, nella misura in cui precludono la possibilità di accesso al territorio e, dunque, l’accesso alla tutela del diritto alla protezione dello straniero. Anche da questo punto di vista devono esser giuridicamente valutati gli accordi con la Libia o con altri Stati terzi rivolti ad ostacolare la fuga dei richiedenti asilo verso il nostro Paese ed a favorire il respingimento in mare[12].

Perciò, ancora oggi, di fronte alle proposte di “esternalizzazione” della protezione dello straniero ed alla effettiva costruzione di barriere esterne alla Ue (la Libia con i suoi campi di prigionia[13] o la Turchia come Paese sicuro per il rimpatrio) si rende purtroppo ancora necessario ricordare che il diritto alla protezione implica il diritto al non-refoulement, anche a fronte di ingresso illegale, come necessaria conseguenza del fatto che solo nel Paese di destinazione si può esercitare (e tutelare in giudizio) il diritto che ha per presupposto la minaccia o la persecuzione nello (o per opera dello) Stato di provenienza.

Ma la scelta di separare il tema della protezione dello straniero dal tema delle politiche dell’immigrazione è frutto anche di una ulteriore opzione ermeneutica: il diritto costituzionale alla protezione dello straniero non può esser bilanciato con altre esigenze nazionali quali quelle del contenimento dei flussi migratori. Può esser condizionato nel contenuto della protezione offerta, ad esempio circa la durata della protezione o il livello dei diritti riconosciuti «secondo le condizioni stabilite dalla legge», come recita l’art. 10, c. 3, Cost., ma non nella sua inderogabilità.

In questo ambito di riflessione la norma costituzionale in materia di asilo merita attenta considerazione, anche in funzione ricognitiva di un diritto fondamentale opponibile come controlimite, eventualmente, anche al diritto internazionale od al diritto europeo che dovesse imboccare la strada dell’armonizzazione in pejus delle discipline nazionali[14].

3. Le condizioni per l’esercizio effettivo del diritto alla protezione dello straniero

Se la tutela dell’effettività del diritto alla protezione internazionale ed umanitaria deve nascere prima dell’arrivo dello straniero sul suolo italiano, è il processo, che può essere instaurato dopo la fase amministrativa, che si connota come il vero banco di prova della tenuta del principio costituzionale.

Ed al processo e ai mille volti del diritto ad una efficace garanzia delle facoltà difensive sono dedicati diversi articoli di questo numero monografico della Rivista, convinti che solo all’esito del pieno esercizio di tali prerogative il giudice possa comprendere e dichiarare se il diritto alla protezione sussista o meno.

Con l’ulteriore avvertenza che il completo dispiegarsi delle facoltà difensive non può ritenersi esaurito in un ricorso da predisporre in poche settimane dalla notifica del provvedimento di diniego; perché il difensore può non esser stato in grado di sviscerare la storia del richiedente in un periodo così breve di tempo alla luce dei complessi accertamenti e delle immense difficoltà culturali e di comunicazione con il cliente. La struttura del processo civile di protezione non può non esser concentrata ma non deve esser mai, anche, sbrigativa.

Sul punto è sufficiente richiamare gli articoli che sotto tutti i punti di vista trattano l’argomento, a partire dal nesso tra regole del processo e decisione.

In questo ambito, il terreno più accidentato per il giudice, come anche per il decisore amministrativo, è quello della valutazione della prova: anche se, a questo riguardo, l’ampia trama del ragionamento probatorio tessuta dal legislatore ed integrata dalle Corti prescrive un regime di particolare favore per il richiedente, pur dettando le condizioni di tale beneficio. Non solo come conseguenza del dovere di cooperazione istruttoria in merito alle condizioni del Paese di origine, compito impegnativo e ricco di insidie, ma proprio per il sistema di valutazione della prova che trova nella verifica della veridicità delle circostanze dichiarate, secondo la regola del beneficio del dubbio, lo strumento essenziale che impone al giudice di non lasciare nulla di intentato per agevolare la prova dei presupposti materiali del diritto.

E sotto questo profilo occorre porre estrema attenzione al fatto che, nei provvedimenti amministrativi o giurisdizionali, si corre talvolta il rischio di impiegare in modo maldestro il giudizio di verosimiglianza logica, troppo esposto, nella comunicazione interculturale, al vizio di mancata comprensione del contesto individuale e sociale di origine. Così come si corre facilmente il rischio di negare veridicità a racconti per incoerenze o piccole incongruenze su aspetti marginali non rilevanti ai fini del giudizio che, è bene ricordarlo, ha per scopo l’accertamento dei fatti e non la valutazione dell’attendibilità del richiedente che solo al primo è finalizzata.

Perciò riteniamo che senza la diretta audizione del richiedente da parte del giudice resti molto elevato il rischio non solo del mancato riconoscimento dei presupposti della protezione di derivazione europea ed internazionale, ma anche di quelli che integrano le “fattispecie aperte” della protezione umanitaria[15] e della tratta di esseri umani[16].

Le spesso drammatiche vicende sottese alla protezione degli stranieri si affiancano, nelle nostre aule, alle vicende ordinarie della vita nazionale, ai piccoli e grandi drammi che i giudici sono abituati a conoscere e giudicare.

La giustapposizione appare talvolta irreale. Lo stesso fascicolo, la stessa udienza, la stessa aula, la stessa agenda possono contenere una controversia per una canna fumaria o quella per la trattazione di una domanda di protezione di un od una richiedente asilo ripetutamente sottoposto o sottoposta a trattamenti inumani di inaudibile ferocia.

La distinzione si impone al giudice, ma la distinzione non può e non deve assumere il significato di separazione.

La necessaria specializzazione del giudice della protezione, la sua nuova e diversa professionalità[17], se ben coltivate, possono contribuire ad alimentare una diversa cultura della giurisdizione nel suo complesso; un approccio antiformalistico e non cartolare, un ascolto dialogico e cooperativo nel processo di costruzione della decisione[18]. Finalità già perseguite dalle migliori prassi della giurisdizione civile ma che, da una parte, trovano sede elettiva nel sistema della protezione internazionale e, dall’altra, possono e devono essere ridefinite alla luce delle peculiarità di tale sistema contribuendo ad accrescere la salute della giurisdizione civile nel suo complesso.

Al contrario, le enormi difficoltà del sistema giudiziario, ma anche del contesto sociale e politico, determinano il rischio elevato di una scelta di separazione della protezione internazionale dal resto della giurisdizione civile.

È un rischio che porta con sé quello della risposta routinaria e formalistica, sospinta verso la massificazione seriale delle decisioni indotta da ritmi incompatibili con la qualità della istruttoria e della decisione che deve esser invece individualizzata secondo i rigorosi canoni prescritti dalla giurisprudenza della Corte di cassazione[19].

Il giudizio di protezione internazionale è una porta attraverso la quale la sofferenza entra, come mai sino ad oggi è avvenuto con tanta frequenza e scioccante intensità, nelle aule di giustizia. Il dolore ed il terrore ma anche la capacità di resistenza, la voglia di vivere, il desiderio di riscatto attendono nei corridoi dei palazzi di giustizia, aspettano di esser raccontati ad un giudice, ascoltati da un giudice, dopo esser stati, ancor prima, valutati da un organo decisionale amministrativo.

Non c’è nulla di compassionevole nel ricordare questi dati obiettivi. Nessun ricatto morale.

Vogliamo al contrario porre l’attenzione del lettore sul fatto che non è affatto agevole, per un giudice tenuto ad ascoltare centinaia di vicende umane ogni anno, sottrarre il proprio inconscio all’attivarsi di un meccanismo psicologico di autodifesa, di evitamento.

Passa anche attraverso l’esame di questo delicato profilo umano e professionale la difesa della rilevanza istruttoria dell’audizione del richiedente, della sua presenza personale in udienza, della sua difficile ma necessaria comunicazione diretta con il giudice[20].

Dobbiamo però esser consci anche del fatto che le stesse difficoltà e lo stesso contesto possono determinare il rischio opposto, essendo il giudice consapevole che, nella pratica impossibilità di ingresso per motivi di lavoro, il negare la protezione allo straniero che risulta non averne diritto significa precludere, ostacolare o rendere molto più complesso per il migrante cercare di migliorare le proprie condizioni di vita.

Un doppio rischio, ancorché asimmetrico: da una parte, il pericolo di una erronea negazione di un diritto fondamentale; dall’altra, l’erroneo addebito allo Stato del costo economico dell’accoglienza e dell’integrazione, come conseguenza di un possibile abuso del diritto alla protezione.

Un doppio rischio di errore che condiziona il corretto esercizio della giurisdizione sulla protezione internazionale.

È questa la realtà che la giustizia civile è oggi chiamata ad affrontare, in primo luogo sul piano scientifico, culturale e formativo, ma anche sul piano organizzativo, della distribuzione delle risorse e della selezione delle priorità.

Le sezioni specializzate stanno muovendo i primi passi ma si vedono già diversificare le prime prassi organizzative e giurisprudenziali, foriere di possibili ingiustificate differenziazioni, anche degli esiti giudiziari[21].

Si consideri, infatti, che l’analisi statistica delle decisioni dimostra che la maggioranza delle domande trova accoglimento all’esito delle diverse fasi del processo decisorio (sommando gli accoglimenti amministrativi e quelli giudiziari)[22]. Il che vuol dire che una significativa maggioranza dei richiedenti si è vista in questi anni e si vede ancora oggi riconosciuto il diritto alla protezione in via amministrativa o dalle Corti.

Ed il numero di provvedimenti di protezione umanitaria, assai meno elevato di quanto normalmente si ritiene, rappresenta il divario tra il diritto di asilo costituzionale e l’asilo internazionale ed europeo[23].

Non è dunque corretto porsi la domanda se questo divario possa esser colmato elevando lo standard della protezione in Europa verso il livello più elevato[24]?

E non è corretto chiedersi perciò se l’Italia possa impegnarsi nel chiedere all’Europa di dare attuazione alla sua Carta dei diritti fondamentali portando la soglia di protezione ad un livello analogo a quello della nostra Costituzione?

Non è forse questo un obbligo, discendente dalla norma contenuta nell’intero art. 10 Cost. che vede l’Italia contribuire alla produzione del diritto sovranazionale, anche europeo, secondo il proprio progetto costituzionale, il quale fonda, unitamente agli ordinamenti degli altri Stati membri, le tradizioni costituzionali comuni in forza dell’art. 6, par. 3, del Tue[25]?

Può sembrare una considerazione irrealistica se si pensa al breve periodo ed al conflitto politico che attraversa, anche al loro interno, i diversi Paesi europei con i conseguenti rischi di arretramento e chiusura.

E tuttavia la nostra riflessione giuridica deve riconoscere e saper evitare il pericolo insito in una visione di corto raggio spingendo i giuristi ad interrogarsi sulla tendenza a rendere la giurisdizione, in particolare in materia di principi fondamentali, dipendente dalle intermittenti contingenze politiche.

Il dato oggettivo evidenzia come la maggioranza dei migranti che accede al sistema di accoglienza per i richiedenti asilo vede riconosciuto il proprio diritto di protezione, al contrario di quanto spesso viene affermato dalla pubblicistica corrente.

Ed ancor inferiore risulta il numero dei dinieghi disposti per ragioni di merito, se si tiene in debito conto dei mancati riconoscimenti subiti da molti che, per mille ragioni tra le quali in primis la durata del procedimento amministrativo e giudiziario, abbandonano il processo e vedono respinte, sostanzialmente perché non coltivate sul piano probatorio, le proprie richieste[26].

Appare anche evidente, alla luce del tasso non esiguo degli appelli dei richiedenti accolti dalle Corti[27], il rischio che l’abolizione del secondo grado di merito[28] possa produrre una riduzione della percentuale di accoglimento e, dunque, di riconoscimenti.

L’analisi dei dati conferma che le Commissioni amministrative[29] e le Corti italiane stanno facendo molto per la tutela dei diritti dei richiedenti protezione, con competenza, serietà e convinzione, malgrado le condizioni di lavoro siano particolarmente difficili[30]. Ciò soprattutto se consideriamo i carenti strumenti a disposizione degli uffici giudiziari, privi di contributi professionali essenziali sul piano linguistico, sul piano della mediazione culturale, dell’analisi antropologica, della comprensione psicologica[31].

Il meritorio impegno della Scuola superiore della magistratura, in collaborazione con Easo (l’Ufficio europeo per il sostegno all’asilo) ha contribuito sensibilmente alla crescita della cultura della protezione dello straniero, unitamente alla creazione di luoghi informali di autoformazione interprofessionali[32].

Il numero della Rivista ambisce dunque non solo a segnalare le zone d’ombra, le difficoltà, gli abbassamenti di tensione, ma anche a mettere in luce questo dato positivo, che ci appare inconfutabile e che merita di essere valorizzato, soprattutto alla luce delle tendenze culturali che attraversano la società.

Conclusioni

Il diritto della protezione dello straniero non è un diritto speciale ma solo uno speciale ambito dove la giurisdizione, per obbligo costituzionale e sovranazionale, è tenuta a dare integrale attuazione al principio di solidarietà e di eguaglianza sostanziale.

Il flusso di coscienze, il flusso di storie, il flusso di vite provenienti da “altrove” è destinato nel tempo a formare, nel vivo del processo di protezione dello straniero, una nuova schiera di giuristi europei impegnati a tentare «di dipanare i fili di eventi che a prima vista paiono incomprensibili nel loro ginepraio di violenza, lutti, oppressione, che pure determina la vita di tanti»[33].

Anche se non è certamente possibile trarre un bilancio di questa inedita, ma prevedibilmente lunga, esperienza giuridica e giudiziaria, è assai probabile che la giurisdizione civile europea in questo percorso consoliderà valori, principi e diritti, svilupperà prassi, strumenti e modelli organizzativi, che condizioneranno la sua identità ben oltre l’ambito della protezione degli stranieri.

[1] Prendendo in prestito la metafora di M. Fioravanti da ultimo in «Art. 2 Costituzione italiana». Carocci, Roma, 2018.

[2] Si leggano in particolare ma non solo, gli articoli di M.G. Giammarinaro, A. Sciurba, M. Veglio in questo numero della Rivista.

[3] Sulla protezione di genere si legga E. Rigo su questo numero della Rivista.

[4] Maria Antonella Gliatta, in La garanzia costituzionale del diritto di asilo e il sistema di tutela europeo dei richiedenti protezione internazionale: quando l’integrazione non funziona, in www.federalismi.it, Focus Human Rights, dic. 2017.

[5] Ugo Grozio, (De Iure Belli ac pacis , 1625)

[6] Si tratta di un frammento importante del principio di anteriorità dei diritti inviolabili dell’uomo allo Stato, che prende le mosse dalla riflessione, in Assemblea Costituente, di Giorgio La Pira, e portata a termine nell’attuale articolo 2 della Costituzione grazie ai contributi di Dossetti, Togliatti e Basso, come ricostruisce P. Costa, in Art. 10 Costituzione italiana, Carocci, Roma, 2018, pp. 66 ss.

[7] V. Onida, Lo statuto costituzionale del non cittadino, relazione d'apertura del Congresso dei costituzionalisti, Cagliari, ottobre 2009, pubblicata in Diritto e Società, 2010.

[8] M. Benvenuti in questo numero della Rivista.

[9] In questo numero della Rivista: M. Acierno e P. Morozzo della Rocca, ma anche E. Rigo.

[10] Con l’espressione di diritto costituzionale di asilo si intende l’assetto complessivo del diritto di asilo desumibile dagli artt. 2, 10, co.3, e 117 Cost.

[11] C. Favilli in questo numero della Rivista, parr. 3 s.

[12] Del tema degli accordi con la Libia e del cd. reato di solidarietà si occupano in questo numero della Rivista U. Vassallo Paleologo e L. Masera.

[13] Si leggano tra gli altri in questo numero della Rivista G. Battarino, U. Vassallo Paleologo, L. Masera.

[14] Sul punto M. Benvenuti, par. 5, in questo numero della Rivista.

[15] In questo senso M. Acierno, par. 4, in questo numero della Rivista.

[16] Si vedano in particolare, in questo numero della Rivista, gli articolo di E. Santoro e di M.G. Giammarinaro sulle interrelazioni ed il difficile coordinamento tra protezione sociale e protezione giudiziale delle vittime di tratta.

[17] Sul ruolo del giudice della protezione si legga, in questo numero della Rivista, in particolare M. Flamini.

[18] Sul punto in questo numero della Rivista L. Breggia.

[19] In questo numero della Rivista: M. Acierno, par. 4, L. Breggia, par. 1; ed inoltre C. Favilli in La protezione umanitaria per motivi di integrazione sociale. Prime riflessioni a margine della sentenza della Corte di cassazione n. 4455/2018, in questa Rivista on line, www.questionegiustizia.it/articolo/la-protezione-umanitaria-per-motivi-di-integrazion_14-03-2018.php.

[20] L. Breggia, par. 4, in questo numero della Rivista.

[21] Profili sui quali si soffermano A.D. De Santis e L. Breggia in questo numero della Rivista.

[22] Si veda la figura 9, relativa agli esiti delle decisioni delle Commissioni e la tabella 6, relativa agli esiti delle decisioni dei Tribunali nel 2017, in M. Giovannetti in questo numero della Rivista; si tenga conto che il 2017 è certamente un anno di bassi accoglimenti perché i giudizi, necessariamente ex nunc , hanno risentito rispetto agli anni precedenti, delle parzialmente mutate, in meglio, condizioni di Gambia, di parte del Mali, del Casamance senegalese, per certi limitati aspetti anche nel Punjab pakistano.

[23] Si vedano, in questo numero della Rivista, i dati riportati e analizzati nella figura 7 da M. Giovannetti.

[24] Sul tema, in questo numero della Rivista, C. Favilli.

[25] Art. 6 (3) Tue secondo il quale «I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali».

[26] Ad esempio abbandonando i Centri di accoglienza e mancando di comparire all’udienza di audizione.

[27] Si veda in M. Giovannetti, in questo numero della Rivista, la tabella n.5.

[28] Che prima o poi verosimilmente sarà sottoposta al vaglio della Corte costituzionale.

[29] Sul ruolo delle quali si legga il prezioso contributo di F. Gallo, in questo numero della Rivista.

[30] La sofferenza dell’attività delle Commissioni è rappresentato nella figura 4 in M. Giovannetti, in questo numero della Rivista.

[31] L. Breggia, in questo numero della Rivista, par. 8 sulla composizione delle Sezioni migranti.

[32] Come la peculiari esperienze interprofessionali della mailing list Malta 2013 o l’affacciarsi al tema movimento degli Osservatori sulla giustizia civile che dedicheranno una sessione dell’Assemblea nazionale del 2018 al tema in esame.

[33] Alessandro Leogrande, Frontiera, Feltrinelli, 2015, p. 15.