Magistratura democratica

L’eliminazione delle barriere architettoniche, ambientali e sociali all’integrazione delle persone.
Elementi per un approfondimento e considerazioni minime

di Vincenzo Amato

L’esame dell’evoluzione della disciplina e di alcune delle pronunce della giurisprudenza in tema di eliminazione delle barriere architettoniche consente di affermare che, a distanza di oltre 70 anni dall’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica e di più di mezzo secolo dai primi interventi di normazione, non sono ancora compiutamente attuati i principi di pari dignità ed eguaglianza delle persone con disabilità e non è adeguatamente garantito il loro diritto a una piena integrazione nella vita sociale, inducendo quindi a considerare indispensabile l’individuazione senza ulteriori dilazioni di strumenti di azione e tutela più efficaci.

1. Barriere architettoniche e impedimenti all’esistenza libera e dignitosa

L'espressione “barriera architettonica” entra a far parte del linguaggio comune soltanto a partire dalla seconda metà del secolo scorso.

Nell’unione lessicale il termine “barriera” (dal francese barrière, sbarra, staccionata), per il suo collegamento all’aggettivo “architettonica”, rivela immediatamente l’origine dello sviluppo teorico e pratico del tema, indiscutibilmente legato all’approfondimento, soprattutto nell’ambito delle scienze della progettazione e della trasformazione dell'ambiente, naturale e “costruito” (ingegneria, architettura, urbanistica), della ricerca di nuove regole e di soluzioni progettuali moderne capaci di eliminare o limitare gli impedimenti fisici alle possibilità di spostamento delle persone affette da disabilità.

Da un punto di vista più strettamente giuridico, tuttavia, l’idea di “barriera architettonica”, a prescindere dalla sua diretta portata descrittiva di un impedimento di carattere fisico all’accesso in un determinato luogo, non può non essere immediatamente ricondotta, per un verso, al riconoscimento e alla garanzia costituzionale dei diritti inviolabili dell’individuo, specialmente in quanto affetto da rilevanti limitazioni o minorazioni fisiche (art. 2, prima parte, Cost.) e, per altro verso, all’affermazione della pari dignità sociale e dell’eguaglianza delle persone, senza che le loro condizioni personali possano portare a una loro distinzione e discriminazione (art. 3, primo comma, Cost.).

In questa prospettiva, l’approfondimento delle questioni legate all’eliminazione delle “barriere architettoniche” e l’elaborazione di nuovi canoni culturali -non solo sulla mobilità ma, più in generale, sulla compiuta integrazione delle persone con handicap- esprimono un passaggio, rilevante ma di portata più settoriale, di una indispensabile e più ampia riflessione sul livello di attuazione dei principi fondamentali stabiliti dalla Carta costituzionale riguardanti il richiesto adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà, anche sociale (art. 2, seconda parte, Cost.), e del compito della Repubblica di rimuovere tutti gli ostacoli che, «limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti… all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (art. 3, secondo comma, Cost.).

I principi fondamentali richiamati, sotto altro profilo, sono senz’altro in grado di offrire una prospettiva capace di attualizzare le ulteriori previsioni della Carta costituzionale formalmente e contenutisticamente più condizionate dal dato storico della loro emanazione, imponendo l’aggiornamento, ad esempio, delle disposizioni sul diritto al lavoro di «tutti i cittadini» e sulla promozione delle condizioni che possano renderlo effettivo (art. 4, primo comma, Cost.), con una impostazione non più schematizzata della alternativa tra tutela del lavoro «in tutte le sue forme ed applicazioni» di chi appare «idoneo» e diritto al mantenimento e all’assistenza degli inabili (artt. 35 e 38 Cost.), come anche di quelle sull’apertura «a tutti» dell’istruzione scolastica e sul diritto, correlato al principio, all’istruzione nei «gradi più alti» per gli studenti «capaci e meritevoli» (art. 34 Cost.).

Con riferimento al profilo più strettamente giuridico del tema è inoltre essenziale richiamare l'articolo 21, primo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in cui si fa espresso divieto di qualsiasi tipo di discriminazione fondata, tra le altre condizioni, sulle caratteristiche genetiche, sull'età e sulla disabilità[1].

L'articolo 26, rubricato Inserimento delle persone con disabilità, afferma a sua volta incondizionatamente che «l'Unione riconosce e rispetta il diritto delle persone con disabilità di beneficiare di misure intese a garantirne l'autonomia, l'inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità».

I diritti e le libertà fondamentali previsti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo[2] -tra cui, specificamente, il divieto di discriminazione per qualsiasi «condizione» di cui all’articolo 14- fanno parte a loro volta del diritto dell'Unione europea, in quanto principi generali[3].

La tutela, sempre sul piano convenzionale, è imposta dalla Convenzione delle Nazioni unite sui diritti delle persone con disabilità, firmata a New York il 13 dicembre 2006, ratificata ai sensi della legge 3 marzo 2009, n. 18, che «al fine di consentire alle persone con disabilità di vivere in maniera indipendente e di partecipare pienamente a tutti gli ambiti della vita» obbliga gli Stati Parti ad adottare «misure appropriate per assicurare alle persone con disabilità, su base di eguaglianza con gli altri, l’accesso all’ambiente fisico, ai trasporti, all’informazione e alla comunicazione, compresi i sistemi e le tecnologie di informazione e comunicazione, e ad altre attrezzature e servizi aperti o offerti al pubblico, sia nelle aree urbane che nelle aree rurali»[4].

2. Gli interventi normativi. a) Le iniziali circolari ministeriali

La circolare del Ministero dei lavori pubblici del 20 gennaio 1967, n. 425, in tema di Standards residenziali, all’art. 6, riguardante gli aspetti qualitativi degli standards edilizi e urbanistici, aveva ritenuto «indispensabile richiamare… l'attenzione sull'esigenza di tener conto, sia nelle progettazioni di natura urbanistica, sia particolarmente in quelle di natura edilizia, del problema delle così dette “barriere architettoniche” e cioè degli ostacoli che incontrano individui fisicamente menomati nel muoversi nell'ambito degli spazi urbani e negli edifici: ostacoli costituiti essenzialmente da elementi altimetrici che si incontrano lungo i percorsi (gradini, risalti, dislivelli, scale, ecc.), ovvero da esiguità di passaggi e ristrettezza di ambienti (strettoie, cabine di ascensori, apertura di porte, ecc.)».

In tale pur limitata prospettiva di sollecitazione e di stimolo, «allo scopo di eliminare al massimo tali difficoltà», si era scelto di segnalare l’opportunità che «nelle progettazioni»si evitassero,«per quanto possibile, percorsi che presentino siffatti inconvenienti» e si prevedessero «percorsi appositi, eventualmente in alternativa» capaci di facilitare «il movimento degli spastici o delle persone comunque impedite o minorate».

La circolare del Ministero dei lavori pubblici 19 giugno 1968, n. 4809 (Norme per assicurare l'utilizzazione degli edifici sociali da parte dei minorati fisici e per migliorarne la godibilità generale), viceversa, ha per la prima volta parzialmente regolamentato la materia, quand’anche con disposizioni tecniche di misurata obbligatorietà, attraverso previsioni integrative delle norme già vigenti, «al fine di dar luogo ad una edilizia…, oltreché funzionalmente adatta, anche socialmente ed umanamente aperta».

Nel dichiarato intento di perseguire «la generalizzazione dei vantaggi derivanti dalla eliminazione delle barriere architettoniche», con una importante estensione del campo di applicazione a «tutti gli edifici di uso pubblico», si è significativamente innovato considerando:

a) il settore dell'edilizia sociale, con una potenziale estensione progressiva all'edilizia collettiva, in generale, e all’edilizia residenziale; alle “relazioni” tra queste e le reti di comunicazione; alla pianificazione territoriale, al disegno e all'arredo urbano; ai mezzi di pubblico trasporto;

b) l’applicabilità non solo ai complessi di nuova costruzione e ma anche a quelli già esistenti, nel caso in cui fossero «sottoposti a ristrutturazione»;

c) l’apertura a «soluzioni più avanzate» rispetto a quelle previste normativamente, attraverso il deciso riconoscimento della possibilità di «ulteriori progettazioni e realizzazioni di mezzi ed accorgimenti di più elevato grado di efficienza e contenuto tecnico», quand’anche difformi da quanto normativamente prescritto.

3. (segue) b) Le prime disposizioni di fonte primaria

Il dl 30 gennaio 1971, n. 5 (Provvidenze in favore dei mutilati ed invalidi civili) convertito con legge 30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del dl 30 gennaio 1971, n. 5, e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili) ha introdotto per la prima volta il principio della rimozione obbligata delle barriere architettoniche da tutti gli edifici a carattere pubblico, pur rimandando a successivi provvedimenti le indispensabili norme di attuazione, provvedimenti adottati poi con grandissimo ritardo rispetto al termine annuale stabilito[5].

L’attenzione normativa, con esplicita indicazione del mutamento di prospettiva, si sposta dall’edilizia e dai suoi caratteri (edilizia, come detto, «funzionalmente adatta, anche socialmente ed umanamente aperta») alla tutela della persona, volendo incidere sulle condizioni significativamente sfavorevoli dipendenti dalle minorazioni («per facilitare la vita di relazione dei mutilati e invalidi civili»).

Si è così prevista l’applicabilità dei criteri da stabilirsi in via regolamentare per la eliminazione delle barriere architettoniche a tutti «gli edifici pubblici o aperti al pubblico» e a tutte «le istituzioni scolastiche, prescolastiche o di interesse sociale», da un lato estendendo l’ambito della «nuova edificazione» agli immobili in corso di costruzione, dovendosi apportare «le possibili e conformi varianti agli edifici appaltati», e, dall’altro, imponendo l’adeguamento degli edifici «già costruiti».

Gli ulteriori punti di speciale rilievo dell’intervento legislativo sono indubitabilmente da ravvisare:

  • nell’introduzione del principio dell’accessibilità dei servizi di mobilità, prevedendosi: «i servizi di trasporto pubblico ed in particolare i tram e le metropolitane dovranno essere accessibili agli invalidi non deambulanti»;
  • nell’affermazione, per la prima volta, dell’illiceità di divieti di accesso a persone disabili, all’epoca ancora molto diffusi («in nessun luogo pubblico o aperto al pubblico può essere vietato l'accesso ai minorati»);
  • nella previsione dell’obbligo, «in tutti i luoghi» da edificare destinati allo svolgimento di «pubbliche manifestazioni o spettacoli», di creare appositi spazi da destinare «agli invalidi in carrozzella»;
  • nella previsione di criteri di precedenza agli invalidi con difficoltà di deambulazione, su richiesta, nell’assegnazione degli alloggi situati ai piani terreni dei caseggiati dell'edilizia economica e popolare.

La disciplina attuativa, nello stabilire specifici standards dimensionali e caratteri dimensionali delle strutture e degli impianti, ha inteso poi estendere l’obbligo di adeguamento agli edifici già esistenti, anche se non ristrutturati, apportando tutte le possibili e conformi varianti.

È opportuno sottolineare, da ultimo, che il dettato legislativo, e in particolare l’art. 28, pur in un’ottica ancora ristretta alla scuola dell’obbligo e ai «corsi di addestramento professionale finanziati dallo Stato», oltre che alle istituzioni prescolastiche e ai doposcuola, ha infine scelto di provvedere al fine di assicurare maggiormente la frequenza dei «mutilati e invalidi civili... non... autosufficienti», imponendo:

a) «il trasporto gratuito dalla propria abitazione alla sede della scuola o del corso e viceversa, a carico dei patronati scolastici o dei consorzi dei patronati scolastici o degli enti gestori dei corsi»;

b) «l'accesso alla scuola mediante adatti accorgimenti per il superamento e la eliminazione delle barriere architettoniche che ne impediscono la frequenza»;

c) per la prima volta, «l'assistenza durante gli orari scolastici degli invalidi più gravi».

La nuova attenzione rivolta all’inserimento scolastico delle persone affette da minorazioni, a quel punto non soltanto fisiche ma anche psichiche, è evidenziata da due distinte previsioni legali.

Si è innanzitutto programmato che «l’istruzione dell'obbligo» dovesse avvenire di regola nelle classi «normali» della scuola pubblica, rendendo eccezionale («salvi i casi in cui i soggetti siano affetti da gravi deficienze intellettive o da menomazioni fisiche di tale gravità da impedire o rendere molto difficoltoso l'apprendimento o l'inserimento nelle predette classi normali») l’inserimento nelle cc.dd classi differenziali per gli «scolari tardivi», i «fanciulli anormali» e gli alunni autori di «atti di permanente indisciplina… tali da lasciare il dubbio che possano derivare da anormalità psichiche»[6].

Il legislatore, in secondo luogo, ha programmaticamente esplicitato l’intenzione di agevolare («Sarà facilitata…») la frequenza delle persone con minorazioni alle scuole medie superiori e universitarie, concedibile in via del tutto discrezionale, con una disposizione all’epoca innovativa dell’esistente ma comunque ancora inadeguata e confliggente con le disposizioni della Costituzione[7].

4. (segue) c) Il rafforzamento delle disposizioni in tema di eliminazione delle “barriere architettoniche”

Se è vero che gli interventi legislativi e regolamentari avevano già fissato irrinunciabili principi e stabilito importanti disposizioni, prima di allora inesistenti, facendo convenientemente indirizzare l’attenzione degli interpreti e degli operatori dai criteri tecnici di pianificazione urbanistica e della progettazione alla tutela delle persone e del diritto al loro inserimento nella scuola, nel mondo del lavoro e, in generale, nella società, è presto emersa la necessità di un rafforzamento e di un’estensione significativa degli obblighi in tema di eliminazione delle “barriere architettoniche”.

La legge 28 febbraio 1986, n. 41 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, legge finanziaria 1986), tra le «disposizioni diverse», all’articolo 32, ha così inserito:

  • il divieto di approvazione di progetti di costruzione o ristrutturazione di opere pubbliche non conformi alle disposizioni del dPR 27 aprile 1978, n. 384, il quale aveva comunque già esteso, come indicato, l’obbligo di intervento a tutti gli edifici già esistenti, anche se non ristrutturati, ai quali avrebbero in ogni caso dovuto «essere apportate le possibili e conformi varianti»;
  • il divieto di erogazione, da parte dello Stato o di altri Enti pubblici, di contributi o agevolazioni per la realizzazione di progetti in contrasto con le norme di cui al medesimo decreto;
  • l’obbligo finanziariamente sostenuto e agevolato delle pubbliche amministrazioni, per gli edifici pubblici già esistenti non ancora adeguati alle prescrizioni, di adottare «piani di eliminazione delle barriere architettoniche» nel termine di un anno, con nomina da parte delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano, per gli interventi di competenza dei comuni e delle province, trascorso inutilmente il termine, di un commissario per l'adozione dei piani medesimi.

La legge 9 gennaio 1989, n. 13 (Disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati), ha successivamente esteso l’osservanza di prescrizioni tecniche necessarie a garantire l'accessibilità, l'adattabilità e la visitabilità degli immobili a tutti i progetti relativi alla costruzione di nuovi edifici o alla loro intera ristrutturazione, con una estensione generalizzata, quindi, all’edilizia privata e pubblica, dovendosi «comunque prevedere» (art. 1):

  1. accorgimenti tecnici idonei alla installazione di meccanismi per l'accesso ai piani superiori, ivi compresi i servoscala;
  2. idonei accessi alle parti comuni degli edifici e alle singole unità immobiliari;
  3. almeno un accesso in piano, rampe prive di gradini o idonei mezzi di sollevamento;
  4. l'installazione, nel caso di immobili con più di tre livelli fuori terra, di un ascensore per ogni scala principale raggiungibile mediante rampe prive di gradini.

Si è fatto obbligo, inoltre, di allegare al progetto la dichiarazione di un professionista abilitato attestante la conformità degli elaborati alle disposizioni tecniche adottate in via regolamentare.

Nell’ambito dei rapporti civilistici, inoltre, si sono tra l’altro stabiliti:

  • la riduzione dei quorum deliberativi delle deliberazioni aventi per oggetto le innovazioni da attuare negli edifici privati dirette alla eliminazione delle barriere architettoniche, alla realizzazione di percorsi attrezzati e alla installazione di dispositivi di segnalazione atti a favorire la mobilità dei ciechi all'interno degli edifici privati, con applicazione delle maggioranze previste dall'articolo 1136, secondo e terzo comma, cc;
  • in caso di diniego o inerzia del condominio, decorsi tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, il diritto dei portatori di handicap di installare, a proprie spese, servoscala e strutture mobili e facilmente rimovibili, oltre che di modificare l'ampiezza delle porte d'accesso, al fine di rendere più agevole l'accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages, pur restando fermo quanto disposto dagli articoli 1120, secondo comma, e 1121, terzo comma, cc;
  • deroghe alle norme sulle distanze previste dai regolamenti edilizi, anche per i cortili e le chiostrine interni ai fabbricati o comuni o di uso comune a più fabbricati, fatto salvo l'obbligo di rispetto delle distanze di cui agli articoli 873 e 907 cc «nell'ipotesi in cui tra le opere da realizzare e i fabbricati alieni non sia interposto alcuno spazio o alcuna area di proprietà o di uso comune».

La nuova regolamentazione tecnica attuativa, per la cui emanazione era stato previsto il termine di tre mesi dall'entrata in vigore della legge, è intervenuta con dm 14 giugno 1989, n. 236 (Prescrizioni tecniche necessarie a garantire l'accessibilità, l'adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata, ai fini del superamento e dell'eliminazione delle barriere architettoniche), secondo cui innanzitutto, per barriere architettoniche, si devono intendere non soltanto gli impedimenti di carattere assoluto ma, più in generale:

  1. gli ostacoli fisici «fonte di disagio per la mobilità di chiunque», oltre che naturalmente di coloro che, per qualsiasi causa, hanno una capacità motoria ridotta o impedita in forma permanente ma anche temporanea;
  2. gli ostacoli che limitano o impediscono a chiunque la «comoda e sicura utilizzazione» di parti, attrezzature o componenti;
  3. la mancanza di accorgimenti e segnalazioni tali da permettere l'orientamento e la riconoscibilità dei luoghi e delle fonti di pericolo per chiunque e, in particolare, per i non vedenti, per gli ipovedenti e per i sordi.

Si è quindi evidenziato il passaggio da un’edilizia accessibile ai disabili a una edilizia sicura e agevole per qualunque potenziale fruitore, indipendentemente dall’esistenza di vere e proprie patologie e minorazioni.

Nell’ambito della progettazione degli edifici si sono quindi imposti tre distinti e gradati livelli della qualità edilizia, caratterizzati da diverse prestazioni e, specificamente:

  • l’accessibilità, da intendersi come «la possibilità, anche per persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale, di raggiungere l'edificio e le sue singole unità immobiliari e ambientali, di entrarvi agevolmente e di fruirne spazi e attrezzature in condizioni di adeguata sicurezza e autonomia»;
  • la visitabilità, cioè la possibilità, anche da parte di persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale, di accedere agli spazi di relazione e ad almeno un servizio igienico di ogni unità immobiliare, intendendosi come spazi di relazione gli spazi di soggiorno o pranzo dell'alloggio e quelli dei luoghi di lavoro, servizio e incontro, nei quali la persona entra in rapporto con la funzione in essi svolta;
  • la adattabilità, vale a dire la possibilità di modificare ulteriormente nel tempo lo spazio costruito con costi limitati, allo scopo di renderlo in futuro completamente e agevolmente fruibile anche da parte di persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale.

Una volta definiti i tre livelli di qualità edilizia, il decreto ha stabilito con precisione in quali termini gli edifici e le loro articolazioni (ad esempio spazi esterni, parti comuni degli edifici, ambienti destinati ad attività sociali, sale e luoghi per riunioni, spettacoli e ristorazione, strutture ricettive, luoghi per il culto, abitazioni etc.) devono essere accessibili, visitabili o adattabili.

Ancora una volta si è scelto di mettere in evidenza che le misure prescritte, per quanto obbligatorie, avrebbero potuto sempre essere disattese attraverso proposte di soluzioni progettuali alternative, purché egualmente o più efficacemente in grado di soddisfare le prestazioni attese.

5. (segue) d) Interventi di inquadramento e di integrazione

La legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), tra le disposizioni per l'integrazione delle persone con disabilità, tratta anche i temi connessi alle barriere architettoniche e, ancora una volta, conferma l’imposizione dell’obbligo di eliminazione «o superamento» delle barriere architettoniche in «tutte le opere edilizie riguardanti edifici pubblici e privati aperti al pubblico… suscettibili di limitare l'accessibilità e la visitabilità».

In tale logica, per gli edifici soggetti ai vincoli d'interesse artistico e storico, nell’ipotesi di impossibilità di concessione delle autorizzazioni previste, si è data la generale possibilità (“può”) di realizzare interventi adeguati, quand’anche con “opere provvisionali”.

Si è inoltre confermato l’obbligo di fornire, accanto alla documentazione grafica, una dichiarazione di conformità alla normativa vigente in materia di accessibilità e di superamento delle barriere architettoniche e si è prevista, all’atto del rilascio del certificato di agibilità e di abitabilità, la possibilità di richiedere al proprietario dell'immobile o all'intestatario della concessione una dichiarazione resa sotto forma di perizia giurata, redatta da un tecnico abilitato.

Di particolare significato è la previsione dell’obbligo di dichiarare inabitabili e inagibili «tutte le opere realizzate negli edifici pubblici e privati aperti al pubblico in difformità dalle disposizioni vigenti in materia di accessibilità e di eliminazione delle barriere architettoniche, nelle quali le difformità siano tali da rendere impossibile l'utilizzazione dell'opera da parte delle persone handicappate», oltre che, con una scelta particolarmente innovativa, la generalizzata diretta responsabilità del progettista, del direttore dei lavori, del responsabile tecnico degli accertamenti per l'agibilità o l'abitabilità e del collaudatore, «ciascuno per la propria competenza».

La legge quadro ha quindi imposto l'accessibilità per tutti gli utenti disabili degli impianti sportivi e la visitabilità delle attrezzature autostradali e degli impianti di balneazione, pena la revoca delle concessioni (art. 23).

Il dPR 24 luglio 1996, n. 503 (Regolamento recante norme per l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici, spazi e servizi pubblici), viene emanato per l’esigenza di “aggiornare” le disposizioni di cui al dPR 27 aprile 1978, n. 384, attuazione dell'articolo 27 della legge 30 marzo 1971, n. 118, tenuto conto della entrata in vigore della disciplina quadro sull'handicap, con il richiamo delle definizioni di barriera architettonica di cui al dm 14 giugno 1989, n. 236, prevedendo come campo di applicazione innanzitutto gli edifici e gli spazi pubblici e imponendo per quelli esistenti l'obbligo di apportare accorgimenti tali da migliorarne la fruibilità sulla base delle norme introdotte.

Il decreto introduce precise disposizioni riguardanti le aree edificabili, le opere di urbanizzazione e le opere di arredo urbano, oltre che la necessaria accessibilità degli spazi pubblici ai portatori di handicap, e soprattutto impone l'unificazione degli standards dell’edilizia pubblica e di quella privata (art. 13, primo comma: «Le norme del presente regolamento sono riferite alle generalità dei tipi edilizi»).

Si prevede l’ammissibilità di deroghe, negli edifici esistenti, solo ed esclusivamente «in caso di dimostrata impossibilità tecnica connessa agli elementi strutturali o impiantistici», ovvero, in ipotesi di vincolo per i beni d'interesse artistico e storico, «nel caso in cui le opere di adeguamento costituiscono pregiudizio per valori storici ed estetici del bene tutelato», dovendosi in tal caso intervenire -con la obbligatoria specificazione della natura e della serietà del pregiudizio- con «opere provvisionali ovvero, in subordine, con attrezzature d'ausilio e apparecchiature mobili non stabilmente ancorate alle strutture edilizie»[8].

Si conferma ancora una volta la possibilità di soluzioni alternative alle prescrizioni, se funzionalmente capaci di assicurare meglio l’interesse all’eliminazione degli ostacoli.

Si interviene, da ultimo, in modo analitico, anche sui servizi speciali di pubblica utilità e, più precisamente, sui servizi di tranvia, filovia, linee automobilistiche, metropolitane (art. 24); su treni, stazioni, ferrovie (art. 25); sui servizi di navigazione marittima e sulle navi nazionali (art. 26); sui servizi di navigazione interna (art. 27); sulle aerostazioni (art. 28); sui servizi per i viaggiatori (art. 29); sugli impianti telefonici pubblici (art. 31).

Per l’inserimento nell’ambito dell’attività edilizia libera e per disposizioni semplificative di molteplici interventi volti all'eliminazione di barriere architettoniche si vedano il dPR 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), e, recentemente, il dPR 13 febbraio 2017, n. 31 (Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata) e il decreto 2 marzo 2018 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (Approvazione del glossario contenente l’elenco non esaustivo delle principali opere edilizie realizzabili in regime di attività edilizia libera, ai sensi dell’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 222).

La legge 12 marzo 1999, n. 68 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili), con il dPR 10 ottobre 2000, n. 333 (Regolamento di esecuzione per l'attuazione della legge 12 marzo 1999, n. 68 recante norme per il diritto al lavoro dei disabili), riveste a sua volta speciale rilievo in quanto, oltre a prevedere e disciplinare il sistema di assunzioni obbligatorie, da un lato vieta al datore di lavoro di chiedere al disabile una prestazione non compatibile con le sue minorazioni e, dall'altro, prevede l'istituzione di fondi regionali per l'occupazione dei disabili e l'erogazione di «contributi per il rimborso forfetario parziale delle spese necessarie all'adozione di accomodamenti ragionevoli in favore dei lavoratori con riduzione della capacità lavorativa superiore al 50 per cento, incluso l'apprestamento di tecnologie di telelavoro o la rimozione delle barriere architettoniche che limitano in qualsiasi modo l'integrazione lavorativa della persona con disabilità...».

La legge 11 dicembre 2012, n. 220 (Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici), intervenendo sul testo degli articoli 1120 e 1136 cc, ha infine stabilito gli attuali nuovi quorum deliberativi per le decisioni dell’assemblea, innalzando significativamente, rispetto a quanto in precedenza previsto dalla legge 9 gennaio 1989, n. 13, la soglia per l’adozione delle delibere di approvazione degli interventi di abbattimento delle barriere architettoniche.

Tale scelta legislativa, in vistosa controtendenza rispetto al passato, pur non segnando una vera e propria battuta d’arresto alla spinta verso l’eliminazione degli impedimenti alla piena integrazione delle persone disabili, è senza dubbio causa di maggiori difficoltà per coloro che, nelle dinamiche condominiali, intendono sostenere la realizzazione di opere a favore di chi abbia capacità fisica ridotta o impedita.

6. Elementi indispensabili alla delimitazione dell'argomento e all'indagine sulle forme di protezione

Il richiamo dei numerosi interventi normativi succedutisi sul tema delle barriere architettoniche, per quanto necessariamente parziale e, quindi, volutamente selettivo, consente di procedere all'individuazione dei riferimenti fondamentali all'approfondimento dell'argomento.

Come si è già messo in evidenza, il tema delle “barriere architettoniche” si è ormai da tempo opportunamente disancorato dalla definizione delle tipologie dei diversi ed innumerevoli ostacoli fisici e dalla successiva individuazione di regole tecniche per la loro eliminazione, per giungere all'affermazione ormai non più contraddetta dell'esistenza di un diritto inderogabile costituzionalmente garantito della persona all'integrazione piena nella società, indipendentemente dalle sue condizioni personali e fisiche.

Sotto altro profilo, l'evoluzione della disciplina consente di sottolineare che la materia prescinde ormai dal riferimento a categorie speciali – come quelle iniziali dei mutilati e degli invalidi, come anche quelle dei ciechi e dei sordi – per giungere alla considerazione – come è ovvio, differenziata nelle forme e nell'intensità – di chiunque possa trovarsi in difficoltà nei movimenti e negli spostamenti, come anche nello svolgere attività di qualsiasi natura, quand'anche semplicemente ludiche, sino ad arrivare a considerare in termini ancora più generali l'esigenza di protezione dell'incolumità delle persone, anche non «fisicamente menomate».

Si è infatti rimarcato e può dirsi che rappresenti un dato acquisito che l’abbattimento delle barriere deve riguardare la cd “utenza ampliata” e, quindi, non soltanto un numero ristretto di persone distinte per categorie di disabilità di tipo selettivo, e che sussiste viceversa l’esigenza di considerare unitariamente e integrare la generalità delle persone, attraverso normative, interventi pubblici e progettazioni di qualità non ingiustificatamente penalizzanti per alcuni gruppi o individui

La trasformazione della prospettiva, per questa ragione, consente di considerare i diversi profili connessi al tema delle età e, quindi, di considerare come le difficoltà e gli impedimenti possano essere indipendenti da condizioni di vera e propria malattia o handicap e derivare, più semplicemente, dalle condizioni ricorrenti della vita, connesse ad esempio, da un lato, all'infanzia e all'adolescenza e, dall'altro, all'età avanzata e alla vecchiaia, oppure condizioni fisiche personali, ad esempio la statura, il sovrappeso e l'obesità.

Il concetto allargato di “barriera”, comprensivo non soltanto degli impedimenti e delle limitazioni alle disabilità motorie, ma anche di quelli a disabilità diverse come quelle sensoriali di tipo uditivo e visivo, consente un'ulteriore estensione, finalizzata a considerare e imporre interventi più articolati come l'imposizione di segnali luminosi e acustici, di tasti in rilievo con simboli in Braille in semafori, ascensori ed elevatori, di barre a rilievo su pavimenti e scale per l'indicazione dei percorsi etc.

Sotto un altro ed egualmente considerevole aspetto, la disciplina in tema di barriere architettoniche, grazie al già richiamato collegamento ai diritti fondamentali della persona, può dirsi indifferente ad una tassativa delimitazione dei luoghi e degli interventi di adeguamento, indipendentemente dalle incertezze del riconoscimento legislativo che, sia pure con lentezza e talvolta solo parzialmente, ha progressivamente esteso la tutela[9].

La tutela, pertanto – anche in questo caso con i necessari adattamenti, vale a dire con l'intelligente apprezzamento delle diversità delle situazioni e delle opere richieste –, si deve estendere dai luoghi pubblici e dall'ambiente urbano ai luoghi privati e aperti al pubblico, a tutte le istituzioni scolastiche e agli ambienti di lavoro, ai luoghi religiosi, alle proprietà private, comuni e condominiali, e in generale alla casa e agli alloggi, indipendentemente dal regime giuridico dell'eventuale diritto di godimento.

Nella stessa prospettiva concettuale, il diritto alla mobilità e alla protezione dell'incolumità non può che comprendere la facilitazione in ogni situazione:

  • dello spostamento diretto e, quindi, della fruizione in condizioni di piena protezione dell'incolumità, degli ingressi e dei varchi in uscita, con percorsi senza ostacoli e senza impedimento, ovvero agevolati attraverso ascensori, elevatori, appoggi, sostegni, sedute etc.;
  • dell'accesso per quanto possibile incondizionato ai sistemi di trasporto, con l'adeguamento indispensabile dei mezzi di spostamento e delle infrastrutture aeroportuali, portuali e ferroviarie[10];
  • della massima accessibilità, visitabilità e adattabilità di tutti gli ambienti e di tutti i luoghi in rapporto alle più diverse necessità, attività e occupazioni (anche per quanto riguarda le esigenze differenziate, come ad esempio quelle di terapie e di natura igienica) quali:
    1. lo studio e il lavoro, non soltanto attraverso la rimozione delle barriere limitative dell’integrazione del disabile, ma anche con l'apprestamento di nuove tecnologie, come ad esempio il telelavoro;
    2. le normali occupazioni di vita e lo svago, tra cui la fruizione dei siti turistici e delle strutture ricettive (tra cui alberghi e attività di agriturismo e di ittiturismo)[11], delle installazioni balneari e delle concessioni demaniali delle aree protette, dei luoghi di spettacolo, degli impianti e delle attività sportive (se del caso attraverso la formazione e la presenza di istruttori specializzati nel sostegno alle persone disabili), dei luoghi di interesse culturale[12] etc.;
    3. la fruizione di adeguati controlli sulla salute e di cure di natura sanitaria in ospedali, case di cura e strutture sanitarie.

Il concetto fondamentale, in definitiva, appare finalmente quello della pienezza del diritto all'inclusione sociale, cioè dell'impegno comune verso l'inserimento di ogni individuo all'interno della società, indipendentemente dalla presenza di elementi limitanti di qualsiasi causa, natura e dimensione[13].

7. Le tipologie della tutela civilistica. a) La tutela aquiliana

In considerazione delle finalità e dei contenuti della presente sintesi non è questa la sede per richiamare, anche solo brevemente, le questioni sottese, nell'ambito del riconoscimento e della tutela di rango sovraordinato dei diritti inviolabili della persona umana, alla configurabilità di un unico diritto della personalità, o di tanti diritti della persona quanti possano essere individuati dal legislatore o in sede interpretativa e giurisdizionale, attraverso la trasposizione dei valori fondanti l’ordinamento nelle relazioni tra privati e tra singoli e Pubblica amministrazione.

La tutela del diritto, o dei diritti, di fronte a condotte attive o omissive all'origine di ostacoli a una vita “senza barriere” – e, in definitiva, a un’esistenza libera e dignitosa[14] – è in ogni caso costantemente ricondotta all’ambito dell’atipicità dei fatti illeciti ex articolo 2043 cc.

La persona lesa può agire, secondo le regole generali, per il risarcimento del danno e, ai fini dell'accoglimento della azione risarcitoria, è tenuta a dimostrare i requisiti oggettivi e soggettivi dell'illecito aquiliano e, quindi, sia l'esistenza di un pregiudizio effettivo qualificabile come ingiusto, sia la riconducibilità del danno, sotto il profilo eziologico, a una condotta intenzionale o quanto meno colposa dell'agente, in quest'ultimo caso nelle diverse declinazioni della colpa, anche soltanto lieve, generica e specifica.

L’interessato, inoltre, può senz'altro agire affinché, accertata l'illiceità della condotta dell'agente, questo sia condannato a far cessare il fatto anche solo potenzialmente lesivo, ad esempio perché non ancora all'origine di un concreto pregiudizio, e in tal caso ai fini l'inibitoria è sufficiente che si dimostri la semplice attendibile possibilità che dalla condotta illecita gli derivi pregiudizio, il quale può essere, quindi, meramente potenziale ovvero di ordine soltanto morale.

La natura della situazione soggettiva azionata, in quanto afferente ai diritti inviolabili della persona, costituzionalmente garantiti, per affermazione ormai consolidata, implica che in caso di lesione sorga in capo al soggetto offeso il diritto al risarcimento del danno anche non patrimoniale, a prescindere dalla circostanza che il fatto lesivo integri o meno un reato, sicché ai fini risarcitori è irrilevante che sussistano gli elementi costitutivi di fattispecie incriminatrici e sia applicabile l'articolo 185 cp.

L'articolo 2059 cc, si è da tempo evidenziato nella giurisprudenza della stessa Suprema Corte, secondo una lettura costituzionalmente orientata, non disciplina un'autonoma fattispecie di illecito, produttiva di danno non patrimoniale, distinta da quella prevista dall'articolo 2043 cc, ma regola i limiti e le condizioni di risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali, che deve essere piena in caso di lesione di diritti costituzionali inviolabili, ferma la regola secondo cui la lesione deve essere apprezzabile e le conseguenze dannose non inconsistenti[15].

Sotto altro profilo, avuto ancora una volta riguardo al livello di protezione assicurato alla situazione soggettiva in esame, deve essere incondizionatamente riconosciuta l'ammissibilità di una tutela cautelare d'urgenza ai sensi dell'articolo 700 cpc, atteso che, una volta ritenuto sussistente il requisito necessario rappresentato dalla probabile fondatezza della pretesa fatta valere, o fumus boni iuris, impedire il verificarsi del pregiudizio o il suo aggravamento risponde alle esigenze di effettività della tutela giurisdizionale, tanto più di fronte a diritti costituzionalmente garantiti, atteso che la tutela di merito rischierebbe di essere vanificata, o grandemente pregiudicata, perché nel momento della sua operatività l'avente diritto avrebbe già subito, in mancanza di una tutela tempestiva, perdite irrimediabili sotto il profilo del tenore e della qualità della vita; perché la persona, continuando a subire le limitazioni alla propria esistenza, potrebbe vedere la sua salute autonomamente esposta a rischi; perché infine l’affermazione astratta della possibilità di un risarcimento per equivalente potrebbe a sua volta implicare il pericolo di non adeguata riparazione della situazione soggettiva lesa, considerata la problematicità di una compiuta rappresentazione nella causa di merito di tutti i potenziali profili di pregiudizio e, quindi, le incertezze di una affidabile commisurazione.

Infine, è opportuno richiamare l'affermazione altrettanto consolidata secondo cui l'inosservanza da parte della pubblica amministrazione, nella gestione dei beni che le appartengono e nelle attività svolte, dei comuni canoni di diligenza, prudenza e perizia, come anche delle regole tecniche, può sicuramente essere denunciata dal privato sia quando abbia per oggetto la richiesta del risarcimento di un danno già venuto a esistenza, sia quando tenda a conseguire la condanna a un facere, volta a impedire che il pregiudizio intervenga, in quanto tale domanda non investe scelte e atti autoritativi dell'amministrazione, ma un'attività soggetta al rispetto del principio del neminem laedere.

Si è peraltro affermato che il giudizio, relativo al servizio di sostegno scolastico a favore di minori diversamente abili, ai sensi dell'articolo 33 d.lgs 31 marzo 1998, n. 80, e successive modificazioni, come inciso dalla sentenza n. 204 del 2004 della Corte costituzionale e finalizzato alla condanna di un comune all'esecuzione di interventi edilizi di tipo strutturale per l'eliminazione delle barriere architettoniche impeditive dell'accesso a locali pubblici, appartenendo la controversia al novero di quelle «aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell'uso del territorio», che a norma dell'articolo 133, comma 1, lettera f), d.lgs 2 luglio 2010, n. 104, sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, rientra nella giurisdizione del medesimo giudice amministrativo (Cass. civ., Sezioni unite, ord. 19 luglio 2013, n. 17664).

8. (segue) b) La tutela nel sistema dei diritti reali, con particolare riguardo alla comunione e al condominio

In materia di servitù la Corte costituzionale, con sentenza 10 maggio 1999, n. 167, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell'art. 1052, secondo comma, cc, nella parte in cui non prevedeva che il passaggio coattivo a favore di fondo non intercluso potesse essere concesso dall'autorità giudiziaria in relazione alle esigenze di accessibilità della casa di abitazione da persone affette da disabilità, oltre a quelle produttivistiche dell'agricoltura e dell'industria, perché in diretto contrasto con le previsioni di cui agli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione, evidenziando «come debba ritenersi ormai superata la concezione di una radicale irrecuperabilità dei portatori di handicap e come la socializzazione debba essere considerata un elemento essenziale per la salute di tali soggetti sì da assumere una funzione sostanzialmente terapeutica assimilabile alle pratiche di cura e riabilitazione»[16].

In tema di comunione, l'art. 1102, primo comma, cc, nel regolare l'uso della cosa comune, riprendendo quanto stabilito dall'art. 675 del codice civile del 1865, stabilisce che «ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto», prevedendo tuttavia sin da allora, in modo innovativo, che «a tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa», prima di allora impossibili senza il consenso degli altri, «ancorché le pretenda vantaggiose a tutti» (art. 677 cc 1865)[17].

La giurisprudenza in tema di condominio degli edifici, a sua volta, aveva distinto già da diverso tempo prima dell'entrata in vigore delle già richiamate modifiche legislative apportate dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220, le “innovazioni” contemplate dall'articolo 1120 cc, per le quali era indispensabile il consenso della maggioranza dei condomini, costituite dalle opere di trasformazione della cosa comune incidenti sulla sua “essenza” e tali da alterarne la originaria funzione e destinazione, e le “modificazioni” che, ai sensi dell'articolo 1102 cc, ciascun condomino aveva facoltà di apportare alla cosa comune, che, senza alterarne la consistenza e la destinazione e senza pregiudicare i concorrenti diritti di uso o di godimento degli altri condomini, erano rivolte alla migliore e più conveniente utilizzazione della cosa stessa.

E si era spesso precisato, almeno in linea di principio, che il venir meno della possibilità di utilizzazione di parti comuni dell'edificio in modo identico a quanto avvenuto in origine non contrastava necessariamente con la previsione di cui all'articolo 1120, secondo comma, cc, perché a una modalità di godimento se ne poteva legittimamente offrire una diversa, ma di contenuto migliore, come ad esempio nel caso dell'installazione di un ascensore in uno spazio dell'androne, in corrispondenza con l'area centrale del vano scala[18].

I limiti alle “innovazioni” e alle “modificazioni”, oltre quelli rappresentati dalla compromissione della stabilità e della sicurezza del fabbricato, e della alterazione del decoro architettonico di esso, erano comunque quelli della preclusione o diminuzione, per alcuno dei condomini, dell'uso e del godimento di talune parti dell'edificio, interpretati in genere con estrema rigidità, indicando che l'assemblea condominiale non poteva, a maggioranza, ledere i diritti dei singoli condomini – come anche di uno o alcuni di essi – sulle porzioni dell'edificio, con conseguente nullità delle relative deliberazioni, suscettibile di essere fatta valere in ogni tempo da chiunque dimostri di averne interesse, ivi compreso il condomino che avesse precedentemente espresso voto favorevole[19].

Rispetto a letture estremamente rigorose e persino formali ripetutamente date dalla giurisprudenza, non soltanto di merito[20], la Suprema corte ha in seguito decisamente affermato che, nella valutazione dei limiti alle innovazioni e alle modificazioni occorre tenere conto del «principio di solidarietà condominiale», evitando che la intransigente osservanza dei limiti non risulti nel caso concreto irragionevole, dovendosi considerare l'esigenza di un contemperamento dei vari interessi al fine dell'ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali, tanto più nel coinvolgimento dei diritti fondamentali dei disabili[21].

Nell'identificazione del limite all'immutazione della cosa comune, disciplinato dall'articolo 1120, secondo comma, cc, il concetto di inservibilità della stessa «non può consistere nel semplice disagio subito rispetto alla sua normale utilizzazione – coessenziale al concetto di innovazione – ma è costituito dalla concreta inutilizzabilità della res communis secondo la sua naturale fruibilità», e «si può tener conto di specificità – che possono costituire ulteriore limite alla tollerabilità della compressione del diritto del singolo condomino – solo se queste costituiscano una inevitabile e costante caratteristica di utilizzo»[22].

La legittimità della deliberazione dell'assemblea condominiale, come anche dell'intervento eseguito dal singolo condomino in caso di inerzia o rifiuto dell'assemblea, non può essere esclusa dal fatto che gli interventi da realizzare o eseguiti non soddisfino del tutto le prescrizioni in tema di eliminazione delle barriere architettoniche, purché gli stessi risultino idonei, anche se non ad eliminare del tutto, quantomeno ad attenuare sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione[23].

Deve richiamarsi, infine, l'affermazione secondo cui «la finalità pubblicistica sottesa alla normativa in tema di eliminazione delle barriere architettoniche, espressione a sua volta del principio di solidarietà, che consente di ritenere irrilevante, ai fini della installazione di dispositivi inamovibili di accesso negli edifici, l'esistenza di condomini disabili..., impedisce di configurare il diritto al mantenimento e all'uso dei dispositivi cosiddetti provvisori, ove già installati, come diritto personale ed intrasmissibile del condomino disabile, che si estingue con la morte dello stesso», atteso che la normativa in materia di eliminazione delle barriere architettoniche persegue, attraverso la tutela dell'interesse particolare dell'invalido, un interesse generale alla accessibilità agli edifici[24].

Con riguardo al problema del rapporto tra innovazione e proprietà dei singoli condomini si è osservato che l'installazione di un ascensore, al fine dell'eliminazione delle barriere architettoniche, realizzata da un condomino su parte di un cortile e di un muro comuni, deve considerarsi indispensabile ai fini dell'accessibilità dell'edificio e della reale abitabilità dell'appartamento e rientra, pertanto, nei poteri spettanti ai singoli condomini ai sensi dell'articolo 1102 cc, senza che, ove siano rispettati i limiti di uso delle cose comuni stabiliti da tale norma, rilevi la disciplina dettata dall'articolo 907 cc sulla distanza delle costruzioni dalle vedute, neppure per effetto del richiamo operato nell'articolo 3, secondo comma, legge 9 gennaio 1989, n. 13, non trovando detta disposizione applicazione in ambito condominiale[25].

9. (segue) c) Le protezioni nel sistema contrattuale[26]

Il regolamento di condominio, qualora non si limiti a disciplinare l'uso e le modalità di godimento delle cose comuni, la ripartizione delle spese e la tutela dell'edificio in conformità dei diritti spettanti ai singoli condomini, e non resti nell'ambito dell'organizzazione della vita interna del condominio ma disponga, incidendo sui diritti dei singoli, necessita del consenso unanime di tutti i partecipanti e ha natura contrattuale.

I divieti del regolamento contrattuale ulteriori rispetto ai limiti stabiliti dall’articolo 1102 cc, tuttavia, sono stati ritenuti recessivi rispetto all’ipotesi di realizzazione di opere, quali l’ampliamento delle scale e l’adeguamento dell’ascensore, indispensabili ai fini di una effettiva abitabilità dell’immobile, intesa nel senso di una condizione abitativa che rispetti l’evoluzione delle esigenze generali dei condomini, o di chi comunque utilizza il condominio, e il rispetto del benessere abitativo e di piena utilizzazione della propria abitazione, dovendo ritenersi che le disposizioni in materia di eliminazione di barriere architettoniche costituiscono norme imperative ed inderogabili, direttamente attuative degli articoli 32 e 42 della Costituzione[27].

È affermazione consolidata nella giurisprudenza che, al momento di concludere un contratto di locazione di un immobile destinato a un determinato uso, gravi sul conduttore l’onere di verificare che le caratteristiche del bene siano adeguate a quanto necessario per la fruizione e per lo svolgimento dell’attività prevista, nonché a quanto necessario per ottenere le necessarie autorizzazioni di natura amministrativa.

Si è conseguentemente enunciato il principio secondo cui, salve precise dichiarazioni e garanzie del locatore, nonostante la disciplina sulla rimozione delle barriere architettoniche abbia carattere cogente, la locazione di un immobile non conforme alla normativa non è vietata, né sottoposta alla condizione legale del previo adeguamento da parte del locatore, difettando una espressa previsione in tal senso da parte del legislatore e atteso che il requisito della liceità dell'oggetto previsto dall'articolo 1346 cc è da riferire alla prestazione, ovvero al contenuto del negozio, e non al bene in sé[28].

Le parti sono evidentemente libere, nell’ambito dei principi generali in tema di autonomia contrattuale, di disporre negozialmente in merito alle modificazioni eventualmente necessarie alla individuazione della parte su cui deve ricadere il relativo onere economico.

In tema di locazione abitativa, qualora il conduttore abbia necessità, nel corso del rapporto, per poter adeguatamente fruire dell'immobile, di modifiche e innovazioni di modesta entità della cosa finalizzate all’abbattimento di impedimenti e barriere, dovrebbe essere possibile ritenere:

  • l’ammissibilità di interventi a spese del conduttore per applicabilità dell’articolo 1374 cc (Integrazione del contratto), secondo cui «il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l'equità»;
  • anche in questo caso, la recessività dei divieti di origine negoziale rispetto alla disciplina imperativa ricavabile dal complesso delle disposizioni in materia di abbattimento delle barriere architettoniche e, soprattutto, al loro fondamento costituzionale.

La necessità sopravvenuta di innovazioni significative, se non consentite, può invece legittimare il conduttore a ricorrere, prima ancora che agli ordinari rimedi risolutori, al recesso, atteso che, indipendentemente dalle previsioni contrattuali, il conduttore, qualora ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto, con il preavviso nel termine di cui all’articolo 4 legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani).

In talune ipotesi, indipendentemente dalla natura della locazione, potrebbe ipotizzarsi il ricorso alla fattispecie della cd. “presupposizione” (o condizione inespressa), atteso che dal contenuto del contratto sarebbe possibile evincere l'esistenza di una situazione di fatto -il normale godimento pieno e diretto da parte del conduttore, dei congiunti e dei familiari-, non espressamente enunciata in sede di stipulazione ma senz’altro considerata quale presupposto imprescindibile della volontà negoziale, sempre che il successivo venir meno dipenda da circostanze non imputabili.

Sicuramente più complessa e articolata è la questione, non suscettibile di analisi compiuta nell’economia delle presenti note, dei rimedi praticabili in caso di fattispecie traslative a formazione progressiva, e specificamente della possibilità di risoluzione del contratto preliminare di compravendita di bene immobile se, nel tempo intercorso fra la conclusione del preliminare e la sua esecuzione, si verificano avvenimenti straordinari ed imprevedibili, come appunto il sopravvenire di disabilità.

10 (segue) d) Attività di impresa e protezioni del lavoratore disabile

Nell’indicazione dei diversi livelli e strumenti di protezione in materia, è di indubbio interesse l’orientamento della Suprema Corte in tema di rapporto tra libertà di iniziativa economica e tutela dei diritti fondamentali della persona.

L’articolo 3, comma 3 bis, d.lgs 9 luglio 2003, n. 216 (Attuazione della direttiva 2000/78/Ce per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro) come inserito dall’articolo 9, comma 4-ter, dl 28 giugno 2013, n. 76, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 99, al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità, obbliga i datori di lavoro pubblici e privati ad adottare “accomodamenti ragionevoli”, come definiti dalla Convenzione delle Nazioni unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata ai sensi della legge 3 marzo 2009, n. 18, nei luoghi di lavoro, per garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori».

Il giudice di legittimità, in relazione a fattispecie sottratte ratione temporis all’applicazione della disposizione, ha altresì affermato –  anche con una recentissimo arresto – che non può considerarsi violato l’articolo 41 della Costituzione nel dichiarare l’illegittimità del licenziamento di un lavoratore intimato per sopravvenuta inidoneità fisica alle mansioni assegnate, se il datore di lavoro non abbia previamente accertato la possibilità di adibire il lavoratore medesimo a mansioni diverse e di pari livello, attraverso i necessari adattamenti organizzativi, senza pregiudizio per gli altri lavoratori ed evitando alterazioni dell'organigramma aziendale[29].

La scelta interpretativa trova il suo fondamento, infatti, anche nel doveroso bilanciamento tra i valori dell'ordinamento interno, dotati di pari rilievo costituzionale, nella comparazione tra l’articolo 41 della Costituzione, secondo cui l’iniziativa economica privata, pur libera, non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, e gli articoli 4, 35 e 36 della Costituzione.

La significatività dell’impostazione ermeneutica deve essere individuata nell’affermazione della doverosa interdizione di condotte che abbiano come portato quello di ostacolare la piena ed effettiva partecipazione alla vita, su base di uguaglianza con gli altri, di chi si trovi in una condizione di handicap per la presenza di limitazioni risultanti da menomazioni fisiche, mentali o psichiche.

Devono richiamarsi infine, in proposito, la legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, legge di stabilità 2015), che ha attribuito all’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro le competenze in materia di reinserimento e di integrazione lavorativa delle persone con disabilità da lavoro, da realizzare con progetti personalizzati mirati alla conservazione del posto di lavoro o alla ricerca di nuova occupazione, con interventi formativi di riqualificazione professionale, con progetti per il superamento e per l'abbattimento delle barriere architettoniche sui luoghi di lavoro, con interventi di adeguamento e di adattamento delle postazioni di lavoro, nonché la Determinazione 11 luglio 2016, n. 258 dell’Inail (Regolamento per il reinserimento e l'integrazione lavorativa delle persone con disabilità da lavoro, in attuazione dell'articolo 1, comma 166, legge 23 dicembre 2014, n. 190).

11. (segue) e) La repressione delle forme discriminazione

Con la legge 1 marzo 2006, n.67 (Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni), richiamando espressamente l'articolo 3 della Costituzione e il diritto all'eguaglianza, si è inteso promuovere «la piena attuazione del principio di parità di trattamento e delle pari opportunità nei confronti delle persone con disabilità... al fine di garantire alle stesse il pieno godimento dei loro diritti civili, politici, economici e sociali» (art. 1, primo comma, Finalità e ambito di applicazione)[30].

Viene innanzitutto data una nozione precisa di discriminazione, definendo:

  • discriminazione diretta il trattamento, «per motivi connessi alla disabilità», meno favorevole rispetto a quello assicurato (anche in via condizionale) a una persona non disabile in situazione analoga;
  • discriminazione indiretta la situazione in cui «una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone».

Vengono infine considerate discriminazioni, con una equiparazione incondizionata, «le molestie e quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi connessi alla disabilità, che violano la dignità e la libertà di una persona con disabilità, ovvero creano un clima di intimidazione, di umiliazione e di ostilità nei suoi confronti».

Sul piano processuale, a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs 1 settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), le controversie sono regolate dal rito sommario di cognizione e, quindi, omessa ogni formalità di rito non essenziale alla tutela del contraddittorio, con le seguenti peculiarità:

  • è competente il tribunale del luogo in cui il ricorrente che assume di essere discriminato ha il domicilio;
  • nel giudizio di primo grado le parti possono stare in giudizio personalmente;
  • la legittimazione è riconosciuta anche alle associazioni e agli enti riconosciuti come rappresentativi, su delega in rappresentanza delle persone discriminate o direttamente, in proprio, in caso di discriminazioni di carattere collettivo, e alle stesse associazioni ed enti è consentito l'intervento nei giudizi instaurati e il ricorso in sede di giurisdizione amministrativa per l'annullamento di atti lesivi degli interessi delle persone stesse;
  • il ricorrente può limitarsi a fornire “elementi di fatto”, desunti anche da dati di carattere statistico (relativi anche alle assunzioni, ai regimi contributivi, all'assegnazione delle mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera e ai licenziamenti dell'azienda interessata), dai quali si può presumere l'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori, con una inversione dell'onere della prova di cui all'articolo 2697 cc, spettando al convenuto l'onere di provare l'insussistenza della discriminazione;
  • i poteri del giudice sono significativamente ampliati, essendogli consentito non semplicemente di condannare il responsabile della discriminazione al risarcimento del danno, anche non patrimoniale, e di “ordinare la” (o, più propriamente, condannare l'autore della condotta illecita alla) cessazione del comportamento, della condotta o dell'atto discriminatorio pregiudizievole, ma soprattutto:
    1. adottare, anche nei confronti della pubblica amministrazione, ogni altro provvedimento idoneo a rimuoverne gli effetti;
    2. al fine di impedire la ripetizione della discriminazione, ordinare di adottare, entro il termine fissato nel provvedimento, un piano di rimozione delle discriminazioni accertate, sentito l'ente collettivo ricorrente nei casi di comportamento discriminatorio di carattere collettivo.
    3. In relazione al profilo risarcitorio, ma con disposizioni capaci di integrare un sistema di norme aventi efficacia preventiva generale e speciale, capaci di indurre maggiormente alla definizione conciliativa delle liti, si consente al giudice di considerare, in sede di liquidazione del danno, se l'atto o il comportamento discriminatorio costituiscono ritorsione ad una precedente azione giudiziale o un'ingiusta reazione ad una precedente attivazione del soggetto leso volta ad ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento.

In caso di accertata discriminazione, infine, il giudice può, anche d'ufficio, ordinare la pubblicazione del provvedimento, per una sola volta e a spese del convenuto, su un quotidiano di tiratura nazionale.

Considerazioni conclusive

I richiami sin qui raccolti consentono di concentrare l’attenzione, nelle valutazioni finali, su tre distinti profili, riguardanti la non integrale attuazione dei principi costituzionali e della disciplina legale in materia, le ricorrenti indecisioni della giurisprudenza, a diversi livelli, nello svolgere compiutamente il ruolo di garanzia e tutela effettiva dei diritti e, de iure condendo, l’urgenza di introdurre a livello legislativo strumenti più efficaci di azione e garanzia.

La mancata integrale attuazione delle norme costituzionali e della disciplina legale emerge indiscutibilmente a livello fattuale e nella quotidianità, in cui frequentemente è possibile riscontrare la distanza, spesso notevole, tra l’affermazione di principi avanzati e realtà in cui l’integrazione delle persone con disabilità non solo non è ancora soddisfacente, ma ripetutamente produce casi di vera e propria esclusione.

Non possono non essere denunciati, avuto riguardo alla limitata efficacia della disciplina vigente, la frammentazione della normativa e la complessiva inadeguatezza degli interventi, spesso dipendente dalla crisi dell’equilibrio finanziario dei conti pubblici, la mancanza di verifiche strutturate relativamente ai risultati ottenuti e di controlli diffusi e qualitativamente elevati da parte delle molte amministrazioni competenti, l’assenza quindi di una unitaria governance nella pianificazione della rimozione delle barriere architettoniche e, parallelamente, la difficoltà di individuare precisamente le responsabilità di ciascun soggetto pubblico.

Non può negarsi, inoltre, l’invecchiamento evidente della disciplina del codice civile in materia di diritti reali, di comunione e condominio, e l’ormai ingiustificata mancanza di una ragionevole regolamentazione del potenziale conflitto tra diritti delle persone e diritto di proprietà, in conformità ai principi costituzionali.

In questa prospettiva, può essere sicuramente condivisibile la proposta di una regolamentazione unitaria che ponga rimedio alla «frammentazione della normativa relativa alle prescrizioni tecniche per il superamento delle barriere architettoniche…, contenuta attualmente in diversi provvedimenti di differente rango normativo approvati nell’arco degli ultimi trent’anni»[31].

Il rischio forse maggiore è però quello di un sostanziale arretramento, con le attenzioni della politica, delle amministrazioni, dei diversi interessati e degli stessi giuristi rivolte, così come inizialmente avvenuto, all’insieme delle “regole tecniche” da applicare alle innumerevoli situazioni piuttosto che, a monte, alla violazione o meno del diritto al pieno sviluppo e alla integrazione sociale di ogni individuo e alle  scelte da operare, nella indispensabile comparazione di diritti e interessi tra loro potenzialmente confliggenti e nel doveroso giudizio di prevalenza.

In merito alla frequenti incertezze applicative della disciplina attualmente vigente e quindi, nella stessa irrisolutezza della giurisprudenza nello svolgimento del suo ruolo di garanzia e tutela effettiva dei diritti[32], è sufficiente mettere a confronto due arresti della Corte costituzionale.

Il Giudice delle leggi ha da tempo evidenziato come qualsiasi norma che impedisca o ostacoli l’accessibilità e, quale riflesso necessario, la socializzazione dei portatori di handicap, comporti anche una lesione del loro fondamentale diritto alla salute e che la possibilità di agevole accesso agli immobili, anche da parte di persone con ridotta capacità motoria, può essere considerato un requisito oggettivo essenziale di un immobile, a prescindere dalla concreta appartenenza a soggetti portatori di handicap, non potendo trovare ostacolo la tutela nella garanzia accordata al diritto di proprietà dall'articolo 42 della Costituzione, dovendo gli oneri imposti agli altrui diritti «senz'altro ricomprendersi tra quei limiti della proprietà privata determinati dalla legge, ai sensi della citata norma costituzionale, allo scopo di assicurarne la funzione sociale»[33].

La stessa Corte è stata in seguito chiamata a valutare la legittimità delle disposizioni vigenti che, limitandosi a prevedere che in tutti i luoghi di svolgimento pubbliche manifestazioni o spettacoli deve essere riservato uno spazio agli invalidi in carrozzella, non stabilivano che dovesse essere garantito, a favore dei disabili, per quanto possibile, lo stesso livello qualitativo dei servizi erogati in favore delle altre persone.

La questione è stata in quest’ultimo caso dichiarata inammissibile, ritenendosi che il remittente avesse chiesto, in sostanza, un’integrazione del contenuto precettivo della normativa[34], mentre ben avrebbe potuto giudicarsi, secondo canoni di ordinaria ponderatezza, o che la questione fosse inammissibile in quanto il medesimo contenuto precettivo avrebbe dovuto essere ricavato direttamente dal giudice in via interpretativa, alla luce dei principi sovraordinati, o che la questione fosse fondata, qualora le norme di legge ordinaria e quelle attuative avessero forzatamente consentito arbitrari trattamenti discriminatori delle persone disabili attraverso, come nel caso denunciato, l’ingiustificata collocazione delle carrozzine «a distanza di soli quattro metri dallo schermo», benché vi fossero soluzioni alternative.

In questo quadro, non proprio rassicurante, deve ravvisarsi l’urgenza di introdurre a livello legislativo strumenti più efficaci di azione e garanzia, di natura sostanziale e processuali, quali:

  • l’affermazione del diritto all’eliminazione delle “barriere architettoniche” di qualsiasi genere nei luoghi, pubblici e privati, ai quali chiunque può liberamente accedere, con l’obbligo dell’eliminazione a carico di chi ne sia titolare o ne consenta la fruizione, sia esso un soggetto pubblico o privato;
  • la qualificazione come illecita di qualsiasi condotta, attiva od omissiva che si sostanzi in un ingiustificato e non ovviabile impedimento all’accessibilità dei soggetti portatori di disabilità, sia che si presenti come un divieto esplicito e formale, sia che si presenti come una interdizione di fatto;
  • la previsione, in caso di mancata eliminazione delle “barriere architettoniche” o di mancata adozione di adeguate misure dirette a diminuire le limitazioni alle persone con disabilità, sempre che tecnicamente possibili, della revoca dell’agibilità di qualsiasi immobile, quand’anche già ottenuta;
  • la imposizione, nell’ambito dei rapporti di condominio, su richiesta di qualsiasi partecipante, dell’obbligo di effettuare a carico di tutti i condomini, i lavori necessari all’eliminazione totale delle barriere architettoniche o, se impossibile, al contenimento delle limitazioni, secondo logiche del tutto coerenti con le norme a protezione del diritto alla vita e alla salute in tema di stabilità e sicurezza delle strutture, di adeguamento degli impianti elettrici, di riscaldamento e condizionamento, di protezione dai rischi connessi agli incendi e all’esposizione a materiali pericolosi, a fumi e a gas etc.;
  • l’affermazione della giurisdizione unica, in particolare di quella ordinaria, e l’approntamento di un unico modello processuale – se del caso conformato a quello attualmente previsto per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni –, per la tutela di qualsiasi pretesa riconducibile ai diritti della persona con disabilità, quand’anche non necessariamente vittima di atti discriminatori, diretti o indiretti;
  • l’attribuzione al giudice del potere di adottare misure di coercizione indiretta anche più incisive rispetto a quelle ordinarie, capaci di indurre alla definizione alternativa delle liti e, in ogni caso, all’esecuzione senza ritardo delle decisioni.

Soltanto l’adozione di scelte legislative radicalmente innovative che siano capaci di assicurare reale efficacia all’affermazione dei principi di pari dignità sociale e di eguaglianza delle persone, indipendentemente dalle loro condizioni personali di disabilità, potrà consentire un cambiamento radicale in senso favorevole, senza dover di anno in anno celebrare, con modalità convenzionali e stereotipate, la «Giornata nazionale per l'abbattimento delle barriere architettoniche» istituita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 febbraio 2003.

[1] I diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, la cui versione consolidata è pubblicata in GU C 202 del 7 giugno 2016, pp. 389 ss., fanno parte integrante del diritto dell’Unione ai sensi dell’art. 6 del Trattato sull'Unione europea, in quanto la Carta «ha lo stesso valore giuridico dei Trattati». I principi richiamati erano già enunciati negli artt. II-81, primo comma, e II-86 del «Trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa», presentato il 18 luglio 2003 a Roma e lì firmato il l 29 ottobre 2004, il cui iter di ratifica non si è mai concluso.

[2] L. 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952).

[3] Così ancora l’art. 6, c. 3, del Trattato sull'Unione europea, Si veda, in generale e per i richiami al tema, A. Guazzarotti, I diritti sociali nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, in Riv. trim. dir. pubbl., 2013, p. 9.

[4] La disposizione prevede inoltre: «Queste misure, che includono l’identificazione e l’eliminazione di ostacoli e barriere all’accessibilità, si applicheranno, tra l’altro: a) edifici, strade, trasporti e altre attrezzature interne ed esterne agli edifici, compresi scuole, alloggi, strutture sanitarie e luoghi di lavoro; b) servizi di informazione, comunicazione e altri, compresi i servizi elettronici e quelli di emergenza». L’obbligo di prendere appropriate misure ha per obiettivi specifici: «a) sviluppare, promulgare e monitorare l’applicazione degli standard minimi e delle linee guida per l’accessibilità delle strutture e dei servizi aperti o offerti al pubblico; b) assicurare che gli enti privati, i quali forniscono strutture e servizi che sono aperti o offerti al pubblico, tengano conto di tutti gli aspetti dell’accessibilità per le persone con disabilità; c) fornire a tutti coloro che siano interessati alle questioni dell’accessibilità una formazione concernente i problemi di accesso con i quali si confrontano le persone con disabilità; d) dotare le strutture e gli edifici aperti al pubblico di segnali in caratteri Braille e in formati facilmente leggibili e comprensibili; e) mettere a disposizione forme di aiuto da parte di persone o di animali addestrati e servizi di mediazione, specialmente di guide, di lettori e interpreti professionisti esperti nel linguaggio dei segni allo scopo di agevolare l’accessibilità a edifici e ad altre strutture aperte al pubblico; f) promuovere altre appropriate forme di assistenza e di sostegno a persone con disabilità per assicurare il loro accesso alle informazioni; g) promuovere l’accesso per le persone con disabilità alle nuove tecnologie ed ai sistemi di informazione e comunicazione, compreso Internet; h) promuovere la progettazione, lo sviluppo, la produzione e la distribuzione di tecnologie e sistemi accessibili di informazione e comunicazioni sin dalle primissime fasi, in modo che tali tecnologie e sistemi divengano accessibili al minor costo». Si veda A. De Amicis , La l. 3 marzo 2009, n. 18 di ratifica della convenzione delle Nazioni unite sui diritti delle persone con disabilità: i principi e le procedure, in Giur. merito, 2009, p. 2375.

[5] Si veda, a questo proposito, il dPR 27 aprile 1978, n. 384 (Regolamento di attuazione dell'art. 27 della l. 30 marzo 1971, n. 118, a favore dei mutilati e invalidi civili, in materia di barriere architettoniche e trasporti pubblici).

[6] Si vedano, a proposito di tali classi, già il Rd 15 aprile 1926, n. 718 (Approvazione del regolamento per l'esecuzione della l. 10 dicembre 1925, n. 2277 sulla protezione e l'assistenza della maternità e dell'infanzia); il Rd 5 febbraio 1928, n. 577 (Approvazione del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche emanate in virtù dell'art. 1, n. 3, della l. 31 gennaio 1926, n. 100, sull'istruzione elementare, post-elementare e sulle opere di integrazione); Rd 26 aprile 1928, n. 1297 (Approvazione del regolamento generale sui servizi dell'istruzione elementare). La l. 31 dicembre 1962, n. 1859 (Istituzione e ordinamento della scuola media statale), contemplava successivamente le classi differenziali per gli "alunni disadattati scolastici", mentre la l. 18 marzo 1968, n. 444 (Ordinamento della scuola materna statale), istituiva sezioni e, per i casi più gravi, scuole speciali per i bambini da tre a cinque anni affetti da disturbi dell'intelligenza o del comportamento o da menomazioni fisiche o sensoriali.

[7] La Corte costituzionale, con sentenza 3 giugno 1987, n. 215, ha per questo dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui, in riferimento ai soggetti portatori di handicap, indicava «Sarà facilitata…», anziché disporre «È assicurata…» la frequenza alle scuole medie superiori, evidenziando: «assumere che il riferimento ai "capaci e meritevoli" contenuto nel terzo comma dell'art. 34 Cost. comporti l'esclusione dall'istruzione superiore degli handicappati in quanto "incapaci" equivarrebbe a postulare come dato insormontabile una disuguaglianza di fatto rispetto alla quale è invece doveroso apprestare gli strumenti idonei a rimuoverla, tra i quali è appunto fondamentale… l'effettivo inserimento di tali soggetti nella scuola. Per costoro, d'altra parte, capacità e merito vanno valutati secondo parametri peculiari, adeguati alle rispettive situazioni di minorazione... Inoltre, se l'obiettivo è quello di garantire per tutti il pieno sviluppo della persona e se, dunque, compito della Repubblica è apprestare i mezzi per raggiungerlo, non v'ha dubbio che alle condizioni di minorazione che tale sviluppo ostacolano debba prestarsi speciale attenzione e che in quest'ottica vadano individuati i compiti della scuola quale fondamentale istituzione deputata a tal fine». Il diritto all’educazione e all'istruzione nelle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e nelle istituzioni universitarie, e quello all’inserimento e all’integrazione, sono stati definitivamente fissati dalla l. 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate).

[8] Recentemente Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 ottobre 2017, n. 4824, secondo cui gli interventi volti ad eliminare le barriere architettoniche, ovvero quelli volti a migliorare le condizioni di vita delle persone svantaggiate, si possono effettuare anche su beni sottoposti a vincolo come beni culturali, e la relativa autorizzazione «può essere negata solo ove non sia possibile realizzare le opere senza serio pregiudizio del bene tutelato», precisandosi appunto che «il diniego deve essere motivato con la specificazione della natura e della serietà del pregiudizio, della sua rilevanza in rapporto al complesso in cui l'opera si colloca e con riferimento a tutte le alternative eventualmente prospettate dall'interessato». Sul “delicato compito” dell’amministrazione di valutare la rilevanza del pregiudizio che il bene tutelato potrebbe subire per effetto dell'intervento edilizio progettato al fine di eliminare le barriere architettoniche M. Bombi, Tutela beni ambientali ed handicap, in Diritto & Giustizia, 2016, p. 80.

[9] Sul tema specifico del rapporto tra detenzione e barriere architettoniche anche G. Santalucia, Carcere e custodia cautelare, in Cass. pen., 2012, pp. 2370 ss., cui si rinvia per ulteriori riferimenti.

[10] Con riferimento all’applicazione del principio si richiama, ad esempio, nell’ambito della progettazione delle infrastrutture aeroportuali, l’art. 702 c. nav., come sostituito dall'art. 3, comma 13, d.lgs. 9 maggio 2005, n. 96, secondo cui, ferma restando la normativa generale applicabile alla realizzazione di opere pubbliche, attribuisce all’Enac l'approvazione dei progetti di costruzione, di ampliamento, di ristrutturazione, di manutenzione straordinaria e di adeguamento delle infrastrutture aeroportuali, anche al fine di eliminare le barriere architettoniche per gli utenti a ridotta mobilità.

[11] Si veda, ad esempio, la l. 20 febbraio 2006, n. 96 (Disciplina dell'agriturismo), che all'art. 5 ha imposto per gli edifici e i manufatti destinati all'esercizio dell'attività agrituristica la conformità alle norme vigenti in materia di accessibilità e di superamento delle barriere architettoniche, assicurata quanto meno con opere provvisionali.

[12] Si richiama, tra gli altri, il decreto del Ministero per i beni e le attività culturali 28 marzo 2008 (Linee guida per il superamento delle barriere architettoniche nei luoghi di interesse culturale).

[13] Per un inquadramento generale P. Cendon, Le attività realizzatrici della persona, in Resp. civ. e prev., 2011, p. 2412. Sulla tutela dei cd soggetti deboli. e la diretta applicabilità delle disposizioni costituzionali ai rapporti privati M. Manetti, La libertà eguale nella costituzione italiana, in Riv. trim. dir. pubbl., 2009, p. 635.

[14] Sulla riconducibilità dei pregiudizi alla figura del danno esistenziale G. Giusti, La permanente importanza della figura del danno esistenziale, in Giur. merito, 2006, p. 2354.

[15] Sul tema, P. Virgadamo, La tutela risarcitoria del danno non patrimoniale patito dai disabili: dalle barriere architettoniche alla l. n. 67 del 2006, in Giust. civ., 2007, p. 263.

[16] Si vedano P. Vitucci, Il passaggio coattivo e le persone handicappate, in Giur. cost., 1999, p. 1615, e, criticamente, F. Gazzoni, Disabili e tutela reale, in Riv. not., 1999, p. 978. Su costituzione di servitù coattiva e handicap anche M. Costanza, Nota a Corte di cassazione, 3 agosto 2012, n. 14103, in Giust. civ., 2013, p. 121. Recentemente G. Musolino, Servitù prediali ed esigenze soggettive dei proprietari dei fondi dominante e servente, in Rivista del notariato, 2016, p. 501, che sottolinea come le norme sull'eliminazione delle barriere architettoniche pongano l'accesso agevole agli immobili per persone con ridotta capacità motoria come requisito oggettivo ed essenziale degli edifici privati di nuova costruzione, a prescindere dalla loro concreta appartenenza a soggetti portatori di handicap. Sul tema dell’ammissibilità della tutela urgente di diritti oggetto di azioni costitutive e della anticipazione cautelare degli effetti della sentenza costitutiva di servitù coattiva N. Cosentino, Tutela cautelare d'urgenza, azioni costitutive e rilevanza della condotta del ricorrente, in Giur. merito, 2012, p. 2359.

[17] Nella relazione al codice, al par. 518, si chiariva che l'innovazione legislativa era stata decisa, «seguendo il largo indirizzo tracciato dalla giurisprudenza” al fine di consentire “al singolo partecipante di trarre dalla cosa la migliore utilizzazione possibile».

[18] Sulla possibilità di configurare «una atipica servitù coattiva per l’abbattimento delle barriere architettoniche in edificio condominiale» F.G. Viterbo, Sulla legalità costituzionale dei limiti alle innovazioni dirette all’abbattimento delle barriere architettoniche in un edificio condominiale, in www.judicium.it/sulla-legalita-costituzionale-dei-limiti-alle-innovazioni-dirette-allabbattimento-delle-barriere-architettoniche-un-edificio-condominiale/, 26 marzo 2018.

[19] Cass. civ., Sez. II, 24 luglio 2012, n. 12930, in Archivio locazioni e condominio, 2013, p. 34, con nota di M. De Tilla, Delibera condominiale e installazione dell'ascensore.

[20] Si veda Cass. civ., Sez. II, 25 giugno 1994, n. 6109, in Nuova giur. civ. comm., 1995, 1, p. 649, con nota di E. Ditta, Ancora sul problema dell'ambito di applicazione della legge 13 gennaio 1989, n. 13, sull'eliminazione delle barriere architettoniche; in Foro it., 1995 I, p. 3285, con nota di A. Mirenda; in Giust. civ., 1995, 1, p. 167, con nota di M. De Tilla, Installazione dell'ascensore nel condominio e norme dirette a favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche, con riguardo all'installazione di un ascensore nel vano scala condominiale, per i “sensibili effetti pregiudizievoli” per la proprietà dell'appartamento esistente al piano terra, atteso che le opere interne al vano scala avrebbero ridotto della metà la luminosità del vano condominiale, proprio davanti alla porta d'ingresso dell'appartamento, «attentando anche alla salubrità e alla gradevolezza del luogo»; quelle esterne avrebbero creato un ingombro esterno, costituito dalla torre dell'ascensore, sporgente m. 1,10 e distante solo 40 cm. da uno dei lati della finestra del locale destinato a servizi igienici del medesimo appartamento, con una conseguente riduzione di luminosità del 25-30% del locale.

[21] Cass. civ., Sez. II, 25 ottobre 2012, n. 18334, in Giur. it., 2013, p. 294, con nota G. Tucci. Si vedano, in argomento, rinviando per ulteriori riferimenti, E. Valentino, L'eliminazione delle barriere architettoniche e il principio di solidarietà condominiale, in Diritto & Giustizia, 2018, p. 3; G. Milizia, Se non c'è pregiudizio per l'edificio soggetto a vincolo non si può negare l'ascensore all'anziana, in Diritto & Giustizia, 2017, p. 17; E. Valentino, Barriere architettoniche da eliminare anche se nel condominio non risiedono persone disabili, in Diritto & Giustizia, 2017, p. 4; G. Milizia, La sicurezza dei condomini prevale sull'abbattimento delle barriere architettoniche, in Diritto & Giustizia, 2017, p. 12.

[22] Così ancora Cass. civ., Sez. II, 25 ottobre 2012, n. 18334, cui si rinvia per ulteriori riferimenti, la quale ha specificato che, nella valutazione delle conseguenze della innovazione, anche in tema di sicurezza, ai fini del decidere sulla ammissibilità della stessa, si debba dare importanza preminente all'abbattimento della barriere architettoniche; nello stesso senso, più recentemente, Cass. civ., Sez. VI-2, ord. 9 marzo 2017, n. 6129, con riguardo al diritto di installare un ascensore occupando una parte del sedime del giardino comune, a ridosso della facciata in cui si trovava il portone d'ingresso del fabbricato condominiale; Cass. civ., Sez. II, 28 marzo 2017, n. 7938, in Giur. it., 2018, I, p. 69, con nota G. Sicchiero, Dalla solidarietà costituzionale alla solidarietà condominiale; da ultimo, applicando i principi nel dominio delle azioni a difesa del possesso, Cass. civ., sez. II, 12 aprile 2018, n. 9101, in Diritto & Giustizia, 2018, 16 aprile, con nota di E. Valentino, L'eliminazione delle barriere architettoniche e il principio di solidarietà condominiale. Cass. civ., Sez. II, 5 agosto 2015, n. 16486, in Archivio delle locazioni, 2016,p. 182, con nota De Tilla.

[23] In questo senso ancora Cass. civ., Sez. VI-2, ord. 9 marzo 2017, n. 6129; Cass. civ., Sez. VI-2, ord. 26 luglio 2013, n. 18147.

[24] Cass. civ., Sez. II, 26 febbraio 2016, n. 3858.

[25] Cass. civ., Sez. II, 3 agosto 2012, n. 14096, in Vita notarile, 2013, p. 203, con nota di R. Triola.

[26] Sull’argomento in generale e per la discriminazione contrattuale come esclusione o restrizione dell'accesso a beni o servizi, idonea a produrre «tre effetti notevolmente indesiderabili», e cioè «la lesione della libertà contrattuale del soggetto passivo, la neutralizzazione di un'opportunità di arricchimento individuale (in quanto può impedire la conclusione di un contratto o alterare l'equilibrio sinallagmatico) e soprattutto la manipolazione del corretto funzionamento del mercato, tramite la riduzione dei traffici e la falsificazione del meccanismo di formazione dei prezzi di beni e servizi», M. Ciancimino, La discriminazione contrattuale: profili rilevanti per la tutela della persona. Note a margine di un recente dibattito dottrinale, in Diritto di famiglia e delle persone, 2018, pp. 667 ss., cui si rinvia per ulteriori e ampi riferimenti.

[27] Ancora Cass. civ., Sez. II, 28 marzo 2017, n. 7938.

[28] Cass. civ., Sez. III, 15 dicembre 2003, n. 19190, in Archivio locazioni e condominio, 2004, p. 162.

[29] Cass. civ., Sez. l., 19 marzo 2018, n. 6798, cui si rinvia per ulteriori riferimenti.

[30] Sui presupposti dell'applicabilità della disciplina Cass. civ., Sez. III, 23 settembre 2016, n. 18762, secondo cui la situazione di inaccessibilità a luogo privato aperto al pubblico (nella specie, un locale adibito all'utilizzazione di un bancomat), dovuta alla presenza di una barriera architettonica, legittima la persona disabile a ricorrere, anche che nei confronti di privati, alla tutela antidiscriminatoria. Si veda anche K. Mascia, Anche la persona affetta da disabilità deve poter accedere agevolmente al servizio di bancomat, in Diritto & Giustizia, 2016, p. 5.

[31] Camera dei deputati, proposta di legge n. 391 d’iniziativa dei deputati Braga, Berlinghieri, Enrico Borghi, Cantini, Carnevali, Marco Di Maio, Ermini, Fiano, Fragomeli, Gadda, Giachetti, Gribaudo, Morani, Moretto, Morgoni, Pagani, Paita, Pezzopane, Rizzo Nervo, Serracchiani, Ungaro, Zan, Zardini, Disposizioni per il coordinamento della disciplina in materia di abbattimento delle barriere architettoniche, presentata il 27 marzo 2018. V. in questo stesso obiettivo, C.Braga, Una normativa quadro costituzionalmente orientata per il superamento delle barriere architettoniche.

[32] Per un’utile, anche se non recentissima rassegna, Per un’utile rassegna G. Ferrari, Superamento ed eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati e pubblici aperti al pubblico nella giurisprudenza del giudice delle leggi, amministrativo e ordinario, in Giur. merito, 2012, p. 1410.

[33] In questi termini la già citata Corte costituzionale, 10 maggio 1999, n. 167.

[34] Corte cost., 4 luglio 2008, n. 251.