Magistratura democratica

Recuperare la fiducia e non rincorrere il consenso

di Franco Ippolito

Tracciare l’esatta distinzione tra consenso e fiducia, nella società democratica e nello Stato costituzionale di diritto, è esigenza essenziale per la magistratura. Per un pieno recupero della fiducia è necessario rifuggire dalla ricerca del consenso e concorrere alla formazione di una opinione pubblica fondata sulla corretta informazione e comunicazione, sull’esercizio della critica razionale e ragionata, sul rispetto degli altri.

1. Qualche giorno fa[1], Gerardo Villanacci, in un articolo sul Corriere della Sera, opportunamente avvertiva che «il concetto di fiducia è diverso da quello di consenso […] per quanto frequentemente utilizzati l’uno quale sinonimo dell’altro». Al di là di ogni analisi psicologica, filosofica o sociologica[2], è sufficiente considerare che mentre tutti i sondaggi rilevano che il Governo in carica e i partiti che lo costituiscono godono del consenso del 60% degli elettori, il recentissimo XXI Rapporto su Gli Italiani e lo Stato, curato da Demos[3],  misura nel 5% la fiducia nei partiti politici.

Tracciare l’esatta distinzione tra consenso e fiducia non è un vezzo linguistico o una pedanteria concettuale, ma è una fondamentale esigenza politico-culturale, che non dovrebbe essere trascurata da chi è consapevole del carattere effimero del consenso, in gran parte determinato da fattori emotivi irrazionali (simpatia/antipatia, fascino del nuovo, risentimenti e rancori, paure dell’ignoto …) del tutto momentanei, cangianti e potenzialmente evanescenti.

Ciò è tanto più necessario oggi, con l’informazione superficialmente e acriticamente basata sulla televisione d’intrattenimento, sui social-media e su internet, con la prevalente tendenza degli utenti a condividere le notizie che confermano le proprie convinzioni; e tanto più in Italia, Paese in cui – come risulta da uno studio di agosto 2018 della sezione inglese dell’istituto di ricerca Ipsos  – è allarmante la distanza  tra percezione e realtà effettiva quali la criminalità e l’immigrazione[4], e bassissima la percentuale di laureati nella fascia di popolazione attiva.

Interessante e significativo è il commento di Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos Italia: «non è un caso che a guidare la classifica della distorsione percettiva siano Italia e Stati Uniti. Due Paesi in cui è in atto il cambiamento più profondo nel rapporto tra elettori ed eletti, con questi ultimi ad inseguire l’opinione pubblica e a cavalcarne le paure»[5].

 

2. Nella cultura progressista, l’espressione “opinione pubblica” è stata utilizzata, fin dalle sue origini, in senso assiologicamente positivo. Con essa, dalla filosofia di Kant a quella di Habermas, si fa riferimento all’insieme degli attori che partecipano al dibattito e al discorso pubblico, quale elemento essenziale per una democrazia fondata sulla pari dignità delle persone, sulla libera manifestazione del pensiero, sulla più ampia di libertà di critica, che può investire ogni ambito – e in particolare quello attinente all’esercizio del potere, pubblico o privato, politico o istituzionale – senza mettere tuttavia in dubbio la pari legittimità degli interlocutori ad esprimere il proprio punto di vista su ogni tema socialmente, politicamente o istituzionalmente rilevante.

La fecondità del discorso pubblico e la piena legittimazione di ciascuno a concorrere alla sua formazione derivano dalla condizione e dalla qualità di attore consapevole dei molteplici problemi della polis e dalla capacità di affrontarli a partire da elementi di fatto verificati o verificabili, di esaminarli con metodo razionale e logica argomentativa, mantenendo la (almeno tendenziale) adeguatezza degli strumenti utilizzati rispetto ai fini proposti o desiderati.

Ovviamente ci sono ambiti in cui non basta la consapevolezza del cittadino attivo e critico, ma occorre anche una specifica competenza tecnica o scientifica, non inquinata da influenze politiche o da interessi economici. Per fare un esempio, esaminare gli effetti del riscaldamento del globo terrestre e dei fattori anche umani che determinano lo scioglimento dei ghiacciai e la desertificazione dell’Africa non è la stessa cosa che discutere sull’opportunità o meno di svolgere in lingua inglese le attività accademiche nelle università italiane.

Oggi, invece, accade sempre più frequentemente che nella rete informatica e nei programmi televisivi circolino affermazioni non verificate e non verificabili, prive di qualsiasi fondamento (come, ad es., l’irrilevanza dell’uso del carbone sull’innalzamento della temperatura) o addirittura demenziali (come quelle di coloro che sostengono che la terra è piatta). Ciò che risulta più preoccupante è che esse vengano apprezzate da numerosissimi utenti che esprimono la loro passiva condivisione di assenso e consenso, mescolando indistintamente fatti, opinioni e fake news.

Allarme maggiore per la vita democratica e sociale si ha quando quelle affermazioni hanno origine o comunque provengono da soggetti che detengono notorietà o potere (dal presidente degli Stati Uniti al ministro dell’Interno del Governo italiano), che utilizzano, a fini politici, timori, paure, risentimenti e rancori diffusi. Accade inevitabilmente che centinaia di migliaia di acritici followers ne amplifichino la diffusione con rilancio di opinioni o notizie suggestive, così determinando un generale clima “politico-culturale” in cui sembra destinato all’insuccesso ogni sforzo di riportare la discussione alla verifica dei fatti (dalla percentuale di migranti residenti in Italia, al numero degli omicidi commessi annualmente, ai procedimenti penali per eccesso di legittima difesa). Si tratta di un clima determinato dagli umori e dalle emozioni circolanti nella società, che in questi anni si addensano nella cosiddetta “antipolitica” (certamente anche frutto delle delusioni di promesse e aspettative create da partiti precedentemente al potere) sapientemente cavalcata da politici vecchi e nuovi, capaci di utilizzare e alimentare gli umori di massa a fini di conquista o di rafforzamento del potere.

La storia tragica del ‘900 è ricca di insegnamenti sui pericoli che corrono la democrazia e lo Stato di diritto per l’attività spregiudicata di classi dirigenti che, a fine di consenso politico, inseguono, guidano e alimentano una maggioranza di persone orientate da suggestioni ed emozioni, intimando il silenzio a chiunque (magistrato, giornalista, economista, sociologo ...) critica o dissente dalle opinioni dominanti perché confortate dal consenso elettorale.

Va perciò condivisa la sollecitazione a non confondere l’opinione pubblica di derivazione illuministica da questo indistinto aggregato[6], prodotto dall’insieme di acritici e passivi utenti di televisione e di rete, pronti ad accettare per vera un’opinione per il solo fatto che viene ripetuta e diffusa. Proprio il carattere passivo e irriflesso della acritica ricezione di questa massa di notizie ne rivela il carattere di deteriore “senso comune volgare”, a cui Gramsci ha dedicato tanti passaggi nei Quaderni del carcere, evidenziandone il contrasto persino con il buon senso[7] e la necessità di un forte impegno culturale per disgregarlo e superarlo.

 

3. Come contrastare il senso comune esistente attorno al complesso di questioni relative all’attività giudiziaria (separazione dei poteri e delle funzioni, ruolo della giurisdizione, promozione e tutela dei diritti, controllo di liceità dell’esercizio di ogni potere, efficienza del servizio, professionalità dei magistrati e degli avvocati, diritto di critica all’azione e ai provvedimenti giudiziari ...) che non sono riducibili a slogan e battute polemiche o propagandistiche, è problema certamente complicato e difficile, reso più acuto dalla tendenza di parte del sistema politico a negare a chi esercita funzioni non elettive la legittimazione alla comunicazione e al confronto pubblico e, persino, all’esercizio delle doverose funzioni istituzionali di controllo sull’esercizio del potere amministrativo (dal rifiuto di far sbarcare sulle coste italiane migranti e profughi salvati in mare allo smantellamento dei centri di accoglienza dei migranti).

Nei momenti difficili – e questo lo è davvero non soltanto per la giurisdizione, ma per la democrazia costituzionale del Paese – è più che mai necessaria un’assunzione di responsabilità da parte di chi ha un ruolo istituzionale e, più in generale, di tutti coloro che esercitano funzioni fuori dal circuito della maggioranza politica e che fondano il senso del proprio agire sull’etica e le regole della professione, della scienza e delle istituzioni di garanzia, che non trovano nel consenso la propria fonte di legittimazione.

Per quanto riguarda i magistrati ciò richiede una accresciuta consapevolezza politica, ossia la doverosa capacità di cogliere compiutamente la dimensione istituzionale della propria funzione e di quella dell’intera giurisdizione, al fine di svolgere i compiti che nella attuale situazione sono ancor più rilevanti per la tenuta dello Stato costituzionale di diritto e per la salvaguardia della vita e della dignità di ogni persona: a) la tutela effettiva dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, dalla Carta dell’Unione europea e dal diritto internazionale, utilizzando tutti gli strumenti consentiti dall’ordinamento per infrenare gli spiriti selvaggi, xenofobi e razzisti espressi dalle pulsioni sovraniste e nazionalistiche; b) l’efficace controllo sulla liceità e legalità dell’esercizio dei poteri pubblici e privati, resistendo ai tentativi di intimidazioni autoritarie e senza cedimenti al senso comune.

In questa direzione vanno condivise le ripetute dichiarazioni del Presidente della Repubblica Mattarella che, mentre riafferma come necessarie e doverose «la credibilità e la trasparenza» dell’azione della magistratura, «che possono essere rafforzate anche da un’adeguata comunicazione istituzionale», non perde occasione per ricordare che «l’attenzione e la sensibilità agli effetti della comunicazione non significa […] orientare le decisioni giudiziarie secondo le pressioni mediatiche né, tanto meno, pensare di dover difendere pubblicamente le decisioni assunte. La magistratura, infatti, non deve rispondere alle opinioni correnti perché è soggetta soltanto alla legge»[8].

Il consenso popolare – come sottolinea Luigi Ferrajoli – mentre è la fonte di legittimazione democratica delle funzioni politiche di Governo, sebbene «nei limiti e con i vincoli stabiliti dalle Costituzioni», non lo è affatto della giurisdizione e dei giudici, che trovano, invece, specifici fondamenti nel carattere «tendenzialmente cognitivo» della giurisdizione e nel suo ruolo di garanzia[9]. «Proprio perché risiede nella garanzia dell’imparziale accertamento del vero, la legittimità del giudizio non può dipendere dal consenso della maggioranza», che non può e non deve incidere sui diritti e sulle libertà della persona coinvolta in giudizio. È bene tenere a mente ciò che scrisse Tocqueville: «quando sento la mano del potere che mi preme sul collo, poco m'importa di sapere chi è che mi opprime; e non sono maggiormente disposto a chinare la testa sotto il giogo per il solo fatto che questo mi viene porto da milioni di braccia»[10].

Tale avvertenza deve indurre a contrastare sia gli attacchi sommari e delegittimanti verso la giurisdizione, sia le manifestazioni di sostegno di piazza dell’attività giudiziaria. La dirigenza dell’Associazione nazionale magistrati, ai tempi di Mani Pulite, sostenuta dalla stragrande maggioranza dei mass-media e delle associazioni di cittadini, non nascose i rischi e i pericoli insiti in tali manifestazioni.

«Gli applausi e le manifestazioni popolari attorno al palazzo di giustizia milanese  – si disse nella relazione conclusiva dei lavori del congresso di Milano-Como – sono espressione di una legittima pretesa dei cittadini che la legge valga davvero per tutti. Ma sono la spia di un pericolo. Innanzitutto di un eccesso di aspettative nell’intervento giudiziario, destinate a rimanere in parte inevitabilmente deluse. In secondo luogo, sono l’espressione di una spinta ansiosa al raggiungimento di “risultati”, con rischio di torsione dello strumento giudiziario, giacché la giurisdizione non deve essere una istituzione di scopo»[11].

Nessuna compiacenza, dunque, per manifestazioni popolari o mediatiche di assenso, tanto più che la tensione verso il pieno recupero di fiducia nella giurisdizione non coincide con la ricerca del consenso verso singoli atti del pubblico ministero o singole decisioni del giudice e, tanto meno, con l’allineamento al senso comune. Il metro di valutazione di una decisione giurisdizionale, infatti, non è il plauso dei mezzi di informazione o il consenso dei più, ma il fondamento giuridico su cui essa riposa e la solidità e persuasività della sua motivazione.

Dovere del giudice indipendente, come ha efficacemente sintetizzato Ferrajoli, è quello «di assolvere sulla base degli atti, quando tutti invocano la condanna, e di condannare quando tutti reclamano l'assoluzione, preoccupandosi non già del consenso della pubblica opinione ma solo della fiducia delle parti nella sua imparzialità e nella sua onestà intellettuale».

Se il consenso non ha alcun rilievo per la legittimazione sociale della giurisdizione, nessuna giustificazione può trovare la ricerca del consenso, che anzi sovente produce fondate critiche e polemiche che concorrono alla delegittimazione della funzione giudiziaria.

Gravemente inopportuna, e talora anche disciplinarmente rilevante, è la ricerca di consenso da parte di taluni magistrati, a mezzo di “conferenze monologanti” o “comunicati stampa”, orientati in senso accusatorio (come è recentemente accaduto) o anche  interventi pubblici sui social-media, sulla stampa o in televisione, a sostegno all’attività giudiziaria intrapresa o della decisioni assunte, tanto più che tali condotte violano l’elementare regola deontologica secondo cui tutti possono parlare dei procedimenti giudiziari e delle sentenze, ad eccezione dei magistrati che se ne occupano o che li hanno svolti. «Senza mediazione, la comunicazione è soprattutto propaganda», ha recentemente affermato un esperto in mezzi di comunicazione di massa[12] e i magistrati devono rifuggire dalla propaganda, sia pure esercitata con le intenzioni di sostenere l’attività giudiziaria.

Certamente non si può ignorare né sottovalutare che la sintonia con le emozioni e le “opinioni correnti” può essere anche strumentalmente attuata e utilizzata, da parte di talune forze politiche, per la messa in atto di una sofisticata strategia di discredito della magistratura e di limitazione delle funzioni della giurisdizione, con ulteriori possibili effetti di delegittimazione che si producono nel senso comune.

Tuttavia non è di alcuna utilità reagire, come troppo spesso è avvenuto, con chiusure di difesa corporativa della magistratura o peggio ancora, come pure è accaduto da parte di autorevoli esponenti del mondo giudiziario corteggiati dalle televisioni, con generici e indifferenziati attacchi, cedendo alla tentazione di delegittimare il mondo politico in riconvenzionale, finendo così per concorrere ad alimentare o rafforzare rancorosi sentimenti che nutrono la cosiddetta “antipolitica”, che quasi sempre annuncia e prepara esiti autoritari.

Occorre invece – da parte dei singoli magistrati – esercitare con maggiore rigore, impegno e trasparenza le proprie funzioni; da parte dell’associazionismo giudiziario e delle istituzioni dell’autogoverno, agire a difesa dell’indipendente esercizio della funzione svolto correttamente dagli uffici giudiziari e dai singoli magistrati, rendendone edotta la pubblica opinione, tanto più quando la giurisdizione è sottoposta a pressioni e reazioni emotive. Mentre va ribadita la fecondità democratica del principio della critica argomentata e consapevole ai provvedimenti e all’attività giudiziaria, è infatti necessario rifuggire da ogni acquiescenza a stati d’animo collettivi, spontanei o alimentati.

 

4. Se è doveroso respingere le sirene del consenso, sia di popolo sia di potere, essenziale per la giurisdizione e per la magistratura è, invece, operare per accrescere la fiducia dei cittadini[13], e in particolare quella delle parti coinvolte nel procedimento giudiziario, «fiducia nell'imparzialità di giudizio dei giudici, fiducia nella loro onestà e nel loro rigore intellettuale e morale, fiducia nella loro competenza tecnica e nella loro capacità di giudizio»[14].

La cultura psicologica ci avverte che per dare fiducia agli altri, istituzioni comprese, occorre avere fiducia in sé stessi e che le espressioni diffuse di rancore, rabbia, xenofobia e razzismo sono chiari sintomi di una collettività impaurita e senza fiducia nelle proprie capacità e possibilità di disegnare un futuro diverso da quello proposto da chi alza muri, chiude porti o invoca blocchi navali per “respingere le invasioni degli stranieri”. Ma sappiamo anche che la fiducia cresce se aumenta la credibilità dell’istituzione giudiziaria nella realizzazione dei compiti previsti dalla Costituzione e dall’ordinamento giuridico. È esattamente quello che devono fare i magistrati, unitamente all’associazionismo giudiziario e agli organi di autogoverno: puntare al pieno recupero della fiducia da parte della collettività e delle persone che si rivolgono ai giudici.

Tale recupero implica e richiede l’accresciuta consapevolezza del ruolo di garanzia costituzionale della giurisdizione e la correlata accettazione delle responsabilità che esso comporta, la qualificazione e la competenza tecnica e professionale dei singoli, il perseguimento effettivo della ragionevole durata dei processi, la convinta ricerca d’intesa con l’avvocatura e le associazioni forensi sul rilancio di un servizio giudiziario efficiente e affidabile, ma anche un costume di serietà, sobrietà e razionalità nella partecipazione al dibattito pubblico, tale da far crescere la credibilità dei singoli e dell’intera istituzione.

Importante, in questa prospettiva, è una strategia di comunicazione efficace a tutti i livelli: dalla chiarezza delle motivazioni con presa in carico delle posizioni di tutte le parti, alle informazioni comprensibili sulle più rilevanti decisioni in attesa delle motivazioni, alle deliberazioni degli organi di autogoverno.

In questo quadro, anche gli atti di informazione e di comunicazione e gli interventi nel discorso pubblico degli organismi associativi e dei singoli magistrati possono efficacemente contribuire al recupero di credibilità e di fiducia se, nell’esprimere le proprie ragioni e nel darsi carico delle ragioni degli altri e dell’interesse generale, recano quel contributo di razionalità e di equilibrio che la collettività si aspetta da chi è investito di delicate funzioni istituzionali. 

È in tal modo che si rilancia l’efficacia e l’incidenza dell’opinione pubblica «fondata sull’argomentazione razionale, la libera circolazione delle conoscenze, la democrazia e il rispetto dell’altro»[15], alla cui formazione i magistrati, le loro associazioni, gli uffici giudiziari, il complesso degli apparati istituzionali di giustizia hanno il dovere di partecipare per contribuite alla corretta informazione, alla compiuta conoscenza, alla razionalità del dibattito pubblico, al rispetto di tutti gli interlocutori. Rispetto che implica fiducia nella fecondità del dialogo e del confronto, ma anche fiducia nella capacità di tutti gli attori democratici di farsi convincere o di convincere ovvero, il più delle volte, di accogliere una mediazione alta, che aiuti ciascuno e tutti a superare contrapposizioni paralizzanti per fare insieme un passo avanti. È l’impegno che può e deve proporsi la magistratura per contribuire alla tenuta democratica del Paese e al recupero di cultura e civiltà di cui la società necessita.

[1] G. Villanacci, Fiducia e consenso non sono sinonimi in Corriere della Sera, 3 gennaio 2019.

[2] Per la copiosa dottrina in argomento, ci limitiamo a rinviare al fascicolo n. 42/2009 della rivista Parolechiave, dedicato alla Fiducia, ove si trovano i riferimenti bibliografici essenziali, www.fondazionebasso.it/2015/pubblicazioni/parolechiave/422009-fiducia/.

[3] La Repubblica, 24 dicembre 2018.

[4] Sui temi dell’immigrazione, anche secondo una recente analisi dell’Istituto Cattaneo, l’Italia è il Paese dell’Unione europea con la percezione più distorta: il 73%  degli italiani – a fronte di un 7% di immigrati presenti nel paese – ritiene che si tratti del 25 per cento della popolazione complessiva, con uno scarto tra opinioni e fatti di ben il 18%!

[5] In www.tpi.it/2018/09/24/sondaggi-percezione-italia.

[6] Cfr. R. Parascandolo, Internet: opinione di massa ed economia del gratis, relazione al convegno “Quarto potere” del 23 gennaio 2019, organizzato dalla Fondazione Basso e da Filosofia in movimento, in www.fondazionebasso.it.

[7] Contrasto già evidenziato da Alessandro Manzoni (I Promessi Sposi, cap. XXXII) a proposito della difficoltà di contrastare le credenze popolari sugli untori: «il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune».

[8] Intervento del Presidente della Repubblica alla cerimonia di commiato dei componenti il Consiglio Superiore della magistratura uscente e di presentazione dei nuovi, 25-9-2018.

[9] Sulle differenti fonti di legittimazione della giurisdizione e della legislazione è indispensabile rinviare, con invito alla lettura, al saggio di L. Ferrajoli. Giurisdizione e consenso, in questa Rivista, edizione cartacea, Franco Angeli, Milano, n. 4/2009. Da questo saggio sono le citazioni virgolettate che seguono.

[10] A. de Tocqueville, in La democrazia in America, (1840), libro 2, parte 1, capitolo 2.

[11]In La Magistratura, Bollettino, Speciale Congresso/assemblea, n. 2 aprile-giugno 1993, pp. 18-20, nonché in E. Bruti Liberati, Magistratura e società nell’Italia Repubblicana, Laterza, 2018, pp. 266-7.

[12] C. Giua, Senza mediazione la comunicazione è soprattutto propaganda, relazione al convegno “Quarto potere” del 23 gennaio 2019, organizzato dalla Fondazione Basso e da Filosofia in movimento, in www.fondazionebasso.it.

[13] Risulta dal citato Rapporto su “Gli Italiani e lo Stato”, curato da Demos per La Repubblica, che la fiducia degli intervistati verso la magistratura si attesta sul 42% (+5 rispetto al 2008 e al 2017).

[14]L. Ferrajoli, Giurisdizione e… cit.

[15] R. Parascandolo, Internet: opinione..., cit.