Magistratura democratica

Introduzione.
Le cliniche legali nelle università e negli uffici giudiziari. Realtà e prospettive

di Luca Minniti e Simone Spina

1. Passati da due a circa venti nel giro di pochi anni[1], i corsi di “clinica legale” attivi presso le università italiane costituiscono un modello didattico innovativo ormai largamente diffuso nei dipartimenti di giurisprudenza italiani e, al contempo, un importante strumento d’impegno sociale, tanto per i docenti quanto per i discenti[2].

Sia negli uni che negli altri, infatti, le cliniche legali consentono la maturazione di una coscienza critica nei confronti del sistema giuridico vigente e, in particolare, verso i suoi concreti meccanismi di funzionamento, specie quand’essi involgono soggetti con ridotte capacità economiche e scarse possibilità di accesso alla giustizia.

Ma le cliniche legali rappresentano anche una forma di insegnamento innovativa, vicina all’esperienza didattica dei Paesi anglo-americani e alternativa rispetto ai tradizionali moduli di lezione accademica di tipo frontale, ai quali contrappongono attività di tipo prevalentemente laboratoriale, ove didattica e ricerca si coniugano allo studio e all’analisi dei casi concreti, con impatto diretto su utenti e operatori giuridici, e con incidenza tangibile sulla realtà sociale e, soprattutto, su talune categorie di soggetti deboli.

A questa poliedrica esperienza formativa e di impegno civile è interamente dedicato questo Obiettivo, con i contributi in esso raccolti.

 

2. Sul versante formativo, le cliniche legali sono improntate all’apprendimento esperienziale, con un sensibile scostamento dall’educazione giuridica tradizionale tipica dei sistemi di civil law, ove consolidata è l’idea che la conoscenza del diritto – al pari del ragionamento giuridico – discenda da (e proceda per) astrazioni, e che le decisioni giudiziarie possano essere lette quale esito di sillogismi e ragionamenti deduttivi, che da premesse generali e astratte giungano a conclusioni specifiche e concrete, in esse già ricomprese perché logicamente sottintese.

Nei sistemi di common law – e, in ispecie, in quelli angloamericani – domina invece l’idea che la conoscenza del diritto debba partire da un fatto specifico, e soltanto da questo possa poi progredire nell’individuazione di una regola generale per la soluzione del singolo caso concreto[3].

È chiaro, allora, come alla base dei due sistemi esistano diverse e opposte concezioni del ragionamento giuridico: prevalentemente deduttivo nel civil law, marcatamente induttivo nel common law. Ed è parimenti chiaro come proprio nei sistemi di common law, prima che in quelli di civil law, si siano potuti sviluppare metodi alternativi di insegnamento – come l’insegnamento clinico – incentrati non tanto (e non solo) sullo studio del dato normativo e delle tecniche d’interpretazione giuridica, ma anche (e soprattutto) su altre competenze e abilità, quali l’impiego di operazioni induttive nell’analisi dei singoli casi, e dei metodi d’apprendimento del cd. “problem based learning” (PBL)[4] e del cd. “learning by doing[5].

Ci troviamo di fronte, in definitiva, a un approccio di tipo realista che, senza pretermettere l’aspetto del diritto come “law in the books”, assume, quale orizzonte epistemologico dell’universo giuridico, quello del diritto come “law in action[6].

Il movimento clinico, in altri termini, oppone alla concezione del diritto come «mondo di segni prodotti da atti linguistici espressi da attori istituzionali (legislatori, giudici e amministratori) e di significati ad essi associati da interpreti»[7] una visione pragmatica, che esalta la dimensione politica delle norme, respingendo l’idea della natura puramente tecnica delle decisioni giudiziarie.

 

 3. Il movimento clinico italiano non è, quindi, estraneo a un orizzonte di senso valoriale, dato dall’attenzione tanto ai diritti fondamentali – che segnano il confine di ciò che può e (soprattutto) di ciò che non può esser deciso dalle contingenti e variabili maggioranze politiche[8] – quanto alla circostante realtà sociale, da cui vengono direttamente tratti temi e casi di interesse pubblico o collettivo, poi affrontati nei corsi universitari di clinica legale.

Così, allo spirito di trasformazione delle consolidate e tradizionali tecniche di trasmissione del sapere accademico, le cliniche legali uniscono l’attenzione verso i soggetti svantaggiati, quali sono le persone detenute o gli stranieri richiedenti protezione internazionale.

Proprio a questi ultimi – soggetti qualificati da condizioni di particolare fragilità e ai quali si vuole offrire una difesa o consulenza di qualità, cui essi non avrebbero accesso per le ragioni più disparate, come le peculiari condizioni di svantaggio in cui versano o la mancanza di preparazione da parte dei tradizionali operatori – sono infatti indirizzati i servizi offerti dalle cliniche legali: dalle attività di orientamento ai diritti dei richiedenti protezione internazionale, a quelle di consulenza – tramite stesura e redazione di pareri a tutela dei loro interessi – sino all’attività di collaborazione all’assistenza tecnica degli stessi, in affiancamento ad avvocati coinvolti e inseriti nel progetto clinico-didattico, o di ausilio agli organi decisori – tribunali, in primo luogo, ma non solo.

L’attività delle cliniche legali, inoltre, spesso è in grado di produrre – tramite progetti di cd. “public interest strategic litigation”, ossia di cd. “contenzioso strategico” – veri e propri cambiamenti negli orientamenti giurisprudenziali e nelle prassi amministrative (in specie, in quelle delle commissioni territoriali), svolgendo così un ruolo importante nella trasformazione in senso solidaristico della società.

Non è infrequente, infatti, che nei corsi clinico-legali vengano seguiti casi giudiziari ove emergono questioni e problemi cruciali per l’ampliamento delle tutele giudiziarie, con il precipuo fine di stimolare l’intervento dei tribunali e, al contempo, di contribuire «al rafforzamento e all’espansione dell’educazione alla giustizia in generale e alla giustizia sociale in particolare»[9].

Un’educazione alla giustizia che fa dell’insegnamento clinico uno strumento formativamente utile e culturalmente fecondo, soprattutto per gli studenti di giurisprudenza, i quali ultimi – secondo la felice sintesi metodologica tracciata da Frank Bloch e Madhava Menon – sono con esso preparati «a comprendere e assimilare le proprie responsabilità in quanto membri di una professione di interesse pubblico, volta all’amministrazione della giustizia, alla riforma della legge, a rendere equa la distribuzione dei servizi giuridici nella società, alla protezione dei diritti individuali e degli interessi pubblici, nonché ad affermare gli elementi fondamentali della propria professionalità»[10].

 

4. Un’educazione alla giustizia cui questo Obiettivo aspira concretamente a contribuire, offrendo distinte rappresentazioni delle varie realtà clinico-legali presenti in Italia e diverse visioni dell’esperienza formativa che in esse può essere coltivata.

Un’esperienza formativa che merita di essere valorizzata, anche per gli spazi di riflessione che può aprire e per i temi dibattito che può offrire.

L’integrazione tra sapere teorico e conoscenza esperienziale – fertile terreno arato dalle cliniche legali – non può non indurre, infatti, a una riflessione sulle prospettive della formazione del giurista, anche alla luce del calo degli iscritti ai corsi di giurisprudenza e della funzione, propria delle cliniche legali, di avvicinare i giovani, anche culturalmente, allo studio del diritto e all’attività giurisdizionale.

Per altro verso, l’esperienza clinica offre inoltre l’occasione per riaprire il dibattito su temi non certo nuovi, quali quelli delle diverse tipologie di collaborazione formativa presenti negli uffici giudiziari (stage universitari, tirocini formativi vari, anche sostitutivi della pratica forense), e che ben possono essere affrontati anche nell’ottica del necessario apprendimento esperienziale di quanti hanno deciso di intraprende tali percorsi.

Ci auguriamo, dunque, che i contributi raccolti in questo Obiettivo, in uno con le diverse rappresentazioni dell’insegnamento clinico italiano in essi descritte, possano essere di stimolo al dibattito e alla riflessione sui temi della formazione del giurista, nel mondo accademico e in quello giudiziario.

[1] M.R. Marella ed E. Rigo, Le cliniche legali, i beni comuni e la globalizzazione dei modelli di accesso alla giustizia e di lawyering, in Rivista critica del diritto privato, n. 4/2015, p. 539.

[2] Di recente, è stata costituita una rete di cliniche legali in materia di diritto degli stranieri per opera dell’Accademia di diritto e migrazioni (ADiM).

[3] Sulla nascita e lo sviluppo del common law inglese, cfr. U. Mattei, Il diritto anglo-americano, Utet, Torino, 1992, pp. 19 ss.

[4] Sul punto, si veda C. Amato, Il modello clinico bresciano, in A. Maestroni – P. Brambilla – M. Carrer (a cura di), Teorie e pratiche nelle cliniche legali, Giappichelli, Torino, 2018, p. 147.

[5] Vds. A. Maestroni, I progetti e l’esperienza clinico legale, in A. Maestroni – P. Brambilla – M. Carrer (a cura di), Teorie, op. ult. cit., p. 103, nonché C.M. Alaimo – E. Consiglio – M. Romano – A. Sciurba, La clinica legale per i diritti umani dell’Università di Palermo, ivi, p. 167.

[6] La classica distinzione tra “law in books” e “law in action” viene comunemente fatta risalire a R. Pound, Law in Books and Law in Action, in American Law Review, 1910, p. 12. Tuttavia, come ha rilevato G. Tarello, Il realismo giuridico americano, Giuffrè, Milano, 1962, p. 114, essa fu formulata due anni prima da A.F. Bentley, The Process of Government, Principia Press, Evanston (IL), 1949, pp. 294-297 e 165-172 (ristampa della prima edizione, University of Chicago Press, Chicago, 1908).

[7] L. Ferrajoli, La cultura giuridica nell’Italia del Novecento, Laterza, Roma-Bari, 1999, p. 92.

[8] Sul punto, cfr. Id., Iura paria. I fondamenti della democrazia costituzionale, Editoriale Scientifica, Napoli, 2015, p. 106, per il quale i diritti fondamentali, «oltre che indisponibili, operano come limiti e vincoli alla legislazione e più in generale ai poteri politici della maggioranza che non possono a essi derogare. Disegnano, come già detto, la sfera del non decidibile» (corsivo dell’Autore).

[9] Sul punto, cfr. A. Maestroni, Le cliniche legali italiane tra offerta formativa e servizio alla comunità, in A. Maestroni – P. Brambilla – M. Carrer (a cura di), Teorie, op. cit., p. 16.

[10] Così F. Bloch e M. Menon, The Global Clinical Movement, in F. Bloch, (a cura di), The Global Clinical Movement: Educating Lawyers for Social Justice, Oxford University Press, Oxford, 2011, p. 271 (nonché in M.R. Marella ed E. Rigo, Le cliniche legali, op. cit., pp. 540 ss.).