Magistratura democratica
Magistratura e società

Accademia e magistratura: le riviste scientifiche curate dai magistrati *

di Renato Rordorf
già Presidente aggiunto della Corte di cassazione, già Direttore di Questione giustizia

1. Il confronto tra accademia e magistratura evoca immediatamente l’idea di un rapporto dialettico tra riflessione teorica ed applicazione pratica del diritto o, detto altrimenti – come indica già il sottotitolo di questo seminario –, tra elaborazione scientifica ed esercizio della giurisdizione. L’Accademia fu il nome della scuola filosofica fondata da Platone (Ἀκαδήμεια), e già questo suggerisce una sua qual dimensione teorica e didascalica: il luogo in cui ci si aspetta che il diritto venga studiato ed insegnato non soltanto nelle sue specifiche manifestazioni contingenti, ossia per come esso positivamente si manifesta nell’attualità, ma soprattutto nei suoi presupposti concettuali; che se ne approfondiscano i principi e le ragioni di fondo; che se ne individuino gli assi ordinanti ed i criteri generali che lo guidano e consentono (o almeno dovrebbero consentire) di coglierne i caratteri sistematici, anche in virtù dei quali esso è (o almeno dovrebbe essere) strumento indispensabile di organizzazione sociale. La suggestione derivante dalla parola “accademia” potrebbe persino spingere a collocare questo genere di riflessioni e le tematiche che le connotano nel campo della filosofia, se a questo termine si attribuisce il suo significato etimologico di amore della sapienza, anche al di là dei confini di quella specifica disciplina che denominiamo filosofia del diritto. 

Ma il diritto non è scienza astratta. Ormai da secoli emancipato dal suo originario presupposto religioso, lo ius è espressione della dinamica intrinseca ad ogni corpo sociale, destinato perciò a modellarsi a seconda dell’evolversi e modificarsi della società, di cui esprime i mutevoli bisogni. Proprio per questo suo essere una dimensione della vita sociale, il diritto – come non si stancava di ricordarci Paolo Grossi – non è solo il prodotto dell’opera storica di questo o quel legislatore, ma è anche e soprattutto esperienza vissuta o, per adoperare una formula ormai d’uso comune, “diritto vivente”, che perciò si forma nel quotidiano operare degli interpreti. Il nodo tra l’elaborazione scientifica e la giurisdizione, tra la dottrina e la giurisprudenza, si fa quindi più stretto. Talvolta appare addirittura inestricabile.   

 

2. Il seminario dedicato dall’Università statale di Milano al tema dei rapporti tra Accademia e Magistratura, e quindi tra dottrina e giurisprudenza, invita appunto a riflettere su questo nodo e, quando mi è stato proposto di prendervi parte, mi si è subito presentata alla mente l’immagine delle due figure scolpite in altorilievo all’interno del medaglione posto al di sopra del portale d’ingresso nell’aula magna del palazzo ove ha sede, in Roma, la Corte di cassazione (quello che i romani chiamano salacemente “il palazzaccio”). Impersonano, rispettivamente, la dottrina e la giurisprudenza: l’una ha una posa alquanto rigida, un aspetto severo e rigoroso, mentre l’altra sembra rivolgersi alla prima con un atteggiamento di deferenza, si direbbe per chiedere lumi. Così evidentemente intendeva il rapporto tra dottrina e giurisprudenza l’artista che scolpì quell’opera, più di un secolo fa, e così probabilmente si era inclini per lo più ad intenderlo a quel tempo. 

Ma ora è ancora così? 

In parte probabilmente sì: lo studio e la comprensione del fondamento giuridico di qualsiasi costrutto normativo sono pur sempre destinati a fungere da architrave teorica dell’interpretazione e dell’applicazione pratica del diritto. Tuttavia è altrettanto innegabile che il rapporto tra dottrina e giurisprudenza sia andato modificandosi, nell’ultimo mezzo secolo, per una serie di ragioni che sarebbe qui impossibile indagare ma ad alcune delle quali – peraltro ben note – mi sembra indispensabile almeno far cenno: la rapidità dei mutamenti sociali e l’affermarsi di nuove tecnologie, cui i legislatori (quello nazionale e quello sovranazionale europeo) stentano a tener dietro, e che però rischiano talvolta di rendere obsoleti principi e regole giuridiche prima tradizionalmente accettati senza che si sia avuto ancora il tempo di elaborarne di nuovi; il frequente sovrapporsi di fonti di diritto nazionali e sovranazionali, non sempre agevoli da coordinare tra loro anche a causa delle diverse tradizioni giuridiche di cui le seconde sono almeno in parte figlie; la necessità di adeguare l’interpretazione delle disposizioni di legge a principi costituzionali che spesso, a propria volta, richiedono un’opera di bilanciamento; l’estensione del diritto e della giurisdizione, ben oltre i limiti un tempo usuali, ad aree e situazioni le più varie, testimoniata anche dal sorgere di diritti nuovi in conseguenza, al tempo stesso, sia del progresso tecnologico sia dell’accresciuta consapevolezza e delle maggiori aspettative di una cittadinanza assai più incline del passato a rivendicare la tutela dei propri interessi collettivi ed individuali. Tutto ciò fa sì che il giudice debba sovente avventurarsi in terre incognite, nelle quali accade talvolta che l’elaborazione dottrinale sia ancora assente; ma fa sì anche che il quadro complessivo dell’ordinamento giuridico risulti assai meno chiaro e leggibile di quanto lo era in tempi passati. Può ben dirsi che l’entropia dell’universo giuridico è vistosamente aumentata. Ne risulta, di riflesso, assai meno agevole il compito, spettante alla dottrina, di elaborare gli istituti giuridici in modo sistematico ed ordinato e di fornire all’interprete chiavi di lettura sufficientemente univoche. E’ invece la tumultuosa produzione giurisprudenziale, pur con tutte le sue incertezze e contraddizioni, a prendere oggi il sopravvento, e la dottrina appare per certi versi assumere un ruolo complementare, volto non tanto a predisporre teoriche costruzioni concettuali su cui fondare il diritto vivente, quanto piuttosto a commentare gli orientamenti (ed i disorientamenti) della giurisprudenza. Si sarebbe tentati di dire – con un po’ di esagerazione, beninteso – che le due figure rappresentate nell’aula magna della Corte di cassazione di cui prima ho parlato si siano scambiate di posto. 

 

3. Tutto ciò si rispecchia, inevitabilmente, anche nel mondo dell’editoria giuridica, un tempo soprattutto caratterizzato da opere di stampo dottrinario ed oggi, invece, vieppiù popolato da testi dedicati principalmente all’esame del panorama giurisprudenziale, nei quali i richiami ai provvedimenti giurisdizionali assumono un rilievo non inferiore a quello delle citazioni di dottrina. Se si volge poi lo sguardo, più specificamente, al campo delle riviste giuridiche, questa tendenza appare ancor più manifesta. Da sempre vi sono state riviste d’impostazione dottrinaria ed altre che privilegiano il versante giurisprudenziale, ma il peso di queste ultime si è ora di molto accresciuto ed in esse l’apporto della dottrina si esplica soprattutto nel commento critico dei provvedimenti giurisdizionali. Con ciò, sia chiaro, non intendo minimamente svalutare la funzione che la dottrina tuttora svolge in quest’ambito. La rivista giuridica è sempre stata il luogo privilegiato del confronto di opinioni: l’agorà in cui giurisprudenza e dottrina s’incontrano e dialogano strettamente tra loro, anche e soprattutto attraverso lo strumento prezioso dell’annotazione critica dei provvedimenti, che è di regola la stessa dottrina a selezionare individuando quelli meritevoli di commento. Ed è sempre alla dottrina che compete porre in luce gli elementi logici portanti delle decisioni commentate, o le loro eventuali lacune e contraddizioni, in modo da fornire al lettore ed al futuro interprete gli strumenti critici necessari a convalidare, o viceversa a tentare di ribaltare, l’orientamento manifestatosi in questa o quella decisione. Al commentatore è concesso poi di fare quel che al giudice non è di regola consentito, ossia di allargare l’obiettivo oltre i confini del caso deciso e del principio di diritto che a quel caso strettamente inerisce per riuscire a coglierne le eventuali ricadute sistematiche di più ampio raggio. Ed è qui, forse, che soprattutto si realizza la più feconda sinergia tra dottrina e giurisprudenza: la prima che dalla singola concreta vicenda può sentirsi opportunamente stimolata a mettere alla prova le proprie teorie generali; la seconda che dalla lettura dei commenti dottrinari è aiutata a meglio avvertire l’esigenza di coerenza sistematica dei propri arresti ed a meglio valutare gli effetti di più ampio respiro che questi sono talvolta in grado di produrre. E’ anche attraverso il dialogo con la dottrina, del resto, che da sempre la giurisprudenza si è evoluta ed ha svolto, sia pure nel quadro delle leggi scritte che ci governano, la propria essenziale funzione di adeguamento del diritto al mutare delle esigenze sociali.

 

4. Fin qui ho parlato delle riviste giuridiche, per così dire, tradizionali: quelle che ambiscono ad avere un carattere scientifico o a fornire un supporto tecnico-professionale agli operatori pratici del diritto. Il seminario dell’Università statale di Milano, che ha tratto spunto da un’indagine sui caratteri della magistratura italiana all’inizio di questo secolo, sollecita però a riflettere anche su un tema più specifico: le riviste giuridiche curate da magistrati. Un terreno, questo, nel quale il nesso tra riflessione teorica e prassi applicativa del diritto appare ancor più stretto di quanto già prima si è visto, poiché non solo attiene ai profili oggettivi dei temi trattati ma si manifesta anche nella condizione soggettiva di chi li esamina.

Che i magistrati partecipino all’elaborazione teorica e didascalica del diritto non è certo una novità. Molti di coloro che, come me, si sono avviati allo studio universitario negli anni sessanta del secolo scorso hanno appreso i primi rudimenti del diritto sulle pagine del Manuale di diritto privato di Andrea Torrente, che era un magistrato, e gli esempi potrebbero facilmente moltiplicarsi. Anche alle riviste giuridiche – Il Foro italiano, La giurisprudenza italiana e tante altre – non è mai mancato l’apporto di valenti magistrati, non pochi dei quali, d’altronde, hanno poi abbandonato la toga per dedicarsi a tempo pieno all’Università. A partire, grosso modo, dagli anni settanta ed ottanta del novecento sono sorte riviste giuridiche promosse o dirette da magistrati – basti pensare a Il fallimento, che sin dalla sua nascita e sino a pochi anni fa è ruotata intorno alla forte personalità di Giovanni Lo Cascio, oppure a Le società, ideata e guidata per molti decenni da Vincenzo Salafia – operanti per lo più in ambiti specialistici.  Sono strumenti in genere molto apprezzati dagli operatori giuridici, perché (a torto o a ragione) ritenuti in grado di meglio rispecchiare l’evolversi del diritto vivente, le convinzioni, gli umori e le tendenze dei suoi protagonisti: quasi uno spioncino attraverso il quale gettare uno sguardo sul retrobottega del formante giurisprudenziale. Ma, pur con le loro specificità, si tratta pur sempre di riviste scientifiche, quale che sia il grado di scientificità che si voglia attribuire all’una o all’altra di esse (e nei limiti in cui, più in generale, è consentito parlare di scientificità del diritto).

Su di un altro piano, al di fuori della griglia delle classificazioni accademiche, si collocano, invece, le riviste che promanano dalla magistratura associata o da suoi gruppi ed ambiscono ad esprimere punti di vista e valutazioni – anche e soprattutto valutazioni critiche – tanto sulle scelte di politica legislativa che danno forma all’ordinamento giuridico quanto sul modo in cui è amministrata la giustizia e su come è organizzata ed opera la stessa magistratura. L’Associazione Nazionale Magistrati sin dai suoi primordi ha preso a pubblicare una propria rivista, denominata La Magistratura, il cui primo numero risale al 1925 e che è tuttora attiva. Maggiore diffusione hanno però acquisito nel tempo altre riviste, promosse da singoli gruppi associativi. Mi riferisco, ad esempio, a Quale Giustizia, pubblicata su iniziativa di Magistratura democratica a partire dal febbraio 1970 e poi rimpiazzata, negli anni novanta del secolo scorso, dall’attuale Questione giustizia, ed a Giustizia insieme, promossa nel 2008 dal Movimento per la Giustizia ed anch’essa tuttora attiva.

Ciò che caratterizza ed accomuna questo tipo di pubblicazioni, pur con le differenti sensibilità che talora si manifestano nell’una o nell’altra su specifiche tematiche, è l’intento di coniugare la competenza tecnico-giuridica e l’esperienza di vita giudiziaria di chi le redige con l’apertura ad una visione più ampia del mondo del diritto e della sua valenza politico-sociale nel contesto storico in cui viviamo. Esse ambiscono non tanto a fornire risposte a chi ricerchi la soluzione di un qualche specifico problema interpretativo o applicativo di determinate norme o istituti giuridici (benché talvolta vi si possano anche trovare spunti utili a questo scopo), quanto ad offrire una più vasta prospettiva, nell’intento di disvelare il significato profondo di certe regole e delle scelte di politica giudiziaria che sovente sono sottese all’applicazione del diritto nella concreta realtà sociale ed economica delle vicende umane. A condizione di non limitarsi al ruolo di house organ di questo o quel gruppo associativo di magistrati, riducendosi a discutere solo di questioni interne alla competizione associativa, a me sembra che queste riviste assolvano ad una funzione culturale di grande importanza. Fanno anch’esse, per certi aspetti, da cerniera tra riflessione teorica ed esperienza vissuta, ma con l’intento di indagare sul funzionamento della giurisdizione, sulla tenuta dei valori di giustizia espressi dalla Carta costituzionale e sul modo in cui essi effettivamente vivono (o magari stentano a vivere) nel tessuto sociale.

Sono riviste fatte in prevalenza da magistrati e che, quindi, esprimono in larga misura il punto di vista sui temi della giustizia di chi opera quotidianamente nelle aule di giustizia in veste di giudice o di pubblico ministero, ma vi partecipano attivamente anche accademici (non di rado anch’essi, d’altronde, frequentatori delle medesime aule di giustizia in veste di avvocato). Pur senza perdere il loro radicamento nel mondo della magistratura, non potrebbero, per la loro stessa funzione, non dare spazio anche alle voci della dottrina. Il piano culturale su cui esse ambiscono collocarsi rende infatti imprescindibile il confronto della componente giudiziaria con quella accademica (ed accademico-forense), ed è anche per questo che tali riviste costituiscono, a mio sommesso avviso, uno strumento prezioso di crescita per la stessa magistratura. Oggi più che mai occorre che i magistrati sappiano misurarsi con la realtà sociale in cui le loro decisioni si calano e, per poterlo fare con consapevolezza, debbono aprirsi al dibattito culturale incentrato sui molteplici temi dalla giustizia e della giurisdizione e sforzarsi di comprenderne la portata storica e le ricadute economico-sociali. L’accresciuta complessità degli ordinamenti giuridici, cui ho già prima fatto cenno, non consente di ridurre la funzione giurisdizionale ad un mero esercizio di tecnica ermeneutica delle disposizioni di legge da applicare al caso concreto. La conoscenza degli istituti giuridici resta, ovviamente, fondamentale, ma l’esercizio della giurisdizione non si esaurisce mai solo nella meccanica combinazione di concetti giuridici secondo ben definite procedure logiche. Piaccia o no, si è inevitabilmente ampliato lo spazio di discrezionalità interpretativa, comunque insita in ogni testo normativo, e la necessità d’incanalare questa maggiore discrezionalità nell’alveo dei principi e dei valori espressi dalla Costituzione richiede sensibilità sociale, apertura culturale ed una comprensione dei fenomeni storici che è indispensabile anche per riuscire a percepire l’interna dinamica del mondo del diritto; ed è tutto questo, nel costante confronto con le altre componenti dell’universo giuridico, che le riviste promananti dalla magistratura si sforzano opportunamente di alimentare. Se un merito va riconosciuto alle oggi tanto vituperate “correnti” della magistratura, esso proprio in ciò risiede: nella capacità di sviluppare un confronto dialettico sui temi alti della giustizia, come appunto avviene anche e soprattutto attraverso questo genere di riviste.

[*]

Intervento svolto nell’ambito del seminario dal titolo Accademia e Magistratura – Tra elaborazione scientifica ed esercizio della giurisdizione, tenutosi nella sede dell’Università statale di Milano il 26 giugno 2023, di cui saranno prossimamente pubblicati gli atti.

24/01/2024
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