Magistratura democratica
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L'agenzia: una nuova governance per i servizi informatici del Ministero

di Claudio Castelli
già presidente della Corte di appello di Brescia

1. Il monopolio ministeriale dell’informatica giudiziaria

L’informatica giudiziaria è un monopolio ministeriale. Sin dai primi anni 90, agli albori dell’informatizzazione giudiziaria, ma quando già vi era un Centro Elettronico di Documentazione giuridica della Corte di cassazione (CED) costituito nel 1973 ed estremamente avanzato, venne creato in ambito ministeriale l’U.R.S.I.A. (Ufficio del Responsabile per i Sistemi Informativi Automatizzati), i cui compiti sono delineati dal DPR n.784/1994. Nel 2001 con il D.P.R. 6.3.2001, n. 55 viene costituita la Direzione Generale dei sistemi informativi automatizzati, che viene posta a livello amministrativo all’interno del Dipartimento dell’Organizzazione Giudiziaria, ma coordinata dalla Conferenza dei Capi Dipartimento convocata dal Ministro. Questo, unitamente ad altri, è il segnale di come venga immediatamente colta l’importanza strategica del settore e della nuova direzione, proprio per il ruolo che deve svolgere non solo per gli uffici giudiziari, ma per l’intero Ministero in tutte le sue articolazioni e nei rapporti con le altre amministrazioni. Gli altri segnali sono l’autonomia di bilancio, lo stesso testo della norma (si tratta dell’unica direzione cui è dedicato un articolo) e la costituzione di una struttura decentrata (con circa 500 addetti), articolata sul territorio in tredici C.I.S.I.A., poi ridottisi a seguito di accorpamenti vari a sei, unico decentramento nell’ambito giudiziario sinora realizzato dal Ministero.
Il monopolio ministeriale veniva ad essere inevitabile per assicurare la stessa comunicazione tra i diversi uffici e strutture e per evitare sprechi e dispersioni. Oltre che dover garantire una certa omogeneità di esperienze e funzionamento a livello nazionale. Del resto la centralizzazione prima ed il monopolio poi si erano resi indispensabili proprio a seguito di esperienze negative che avevano comportato ingenti costi. Programmi fai da te anche brillanti, ma incompatibili con altre piattaforme, codici sorgenti personali che venivano persi con il pensionamento o il trasferimento degli interessati, programmi offerti gratuitamente che successivamente evidenziavano costi di manutenzione e di implementazione non sostenibili. Per questo la scelta di centralizzare l'informatica e di evitare l'introduzione di programmi non autorizzati è stata ancor prima che saggia, imposta dalla realtà. È emblematico che anche il D. Leg. N. 240 del 2006 che prevedeva il decentramento delle competenze informatiche, unitamente a molte altre, è sempre rimasto sulla carta e poi è stato abbandonato, proprio per la sua irrazionalità e per i costi smisurati che avrebbe comportato. Il federalismo informatico non solo era ed è irrealistico, ma comporterebbe costi e divaricazioni enormi e non tollerabili.

 

2. La trasformazione dell’informatica da servente a formante della giurisdizione

E’ facile vedere come in questi anni l’informatica giudiziaria si sia sempre più trasformata da strumento di supporto e di ausilio della giurisdizione a vero e proprio formante della stessa giurisdizione. Non si tratta più di semplici iniezioni di tecnologia in un sistema per dare comodità, trasparenza e velocità, ma di una tecnologia che è diventata la stessa struttura della giurisdizione, sempre più plasmando il nostro contesto lavorativo facendo prevalere le loro esigenze “tecniche” sulle esigenze lavorative di chi vi opera. Sempre più l’informatica sta diventando il decisore e il gestore occulto che costringe i soggetti che vi operano, i codici, e la stessa organizzazione ad adeguarsi. Anche se viviamo tuttora la schizofrenia tra un codice, che anche nelle sue più recenti modifiche è impostato per penna e calamaio, senza mai affrontare la sua trasformazione in un codice per la trasformazione digitale del processo, è ormai la tecnologia, le sue regole ed i suoi limiti che dettano legge nel processo. Ciò risulta evidente nel Processo Civile Telematico laddove sono le regole tecniche, spesso molto più del codice, a delineare quanto puoi fare e quanto non è possibile. Tanto che i Decreti direttoriali (nemmeno del Ministro, ma del Direttore della D.G.S.I.A.) disciplinano l’accesso al P.C.T. e le sue regole. Tutti abbiamo vissuto l’assurdità di procedure teoricamente previste dalla legge “superate” dalle esigenze tecniche, come gli enormi ritardi con cui le nuove leggi vengono concretizzate a livello informatico. E tutti abbiamo riscontrato come, quanto meno nel settore civile, se il P.C.T. non funziona semplicemente è impossibile qualsiasi attività e tutti (magistrati, avvocati, cancellerie) sono impossibilitati ad operare. Ed oggi abbiamo un ulteriore salto di qualità dettato dall’irruzione dell’Intelligenza Artificiale generativa anche nel sistema giustizia. Attualmente sembra che al di là delle diffusissime applicazioni algoritmiche già in uso, spesso nella totale inconsapevolezza degli operatori, la prima sperimentazione di IA generativa si sia realizzata con la possibile massimazione da parte dell’Intelligenza Artificiale di provvedimenti nella Banca dati giurisprudenziale realizzata a dicembre 2023 dal Ministero della Giustizia. Ma le potenzialità ormai sono immense e vanno dalla ricerca alla rielaborazione di provvedimenti alla stessa stesura di atti. Parlare di sistemi informativi come formanti della giurisdizione è un problema già di oggi e non di un futuro prossimo o lontano.

 

3. Una nuova prospettiva imposta dalla Costituzione

Proprio la trasformazione che si è realizzata impone un ripensamento complessivo della governance dell’informatica giudiziaria. Fino a che questa era strumentale e di servizio rientrava con evidenza nei compiti che la Costituzione assegnava al Ministero della Giustizia, ovvero di assicurare “l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia.” Ma nel momento in cui questa diventa determinante e contenuto della giurisdizione i soggetti interessati chiamati a gestirla non possono limitarsi al Ministero della Giustizia, ma devono inevitabilmente estendersi alla magistratura e quindi al Consiglio Superiore della Magistratura, che ha compiti relativi all’organizzazione degli uffici, assegnati dalla costituzione e della legge, e all’avvocatura per il suo interesse diretto al funzionamento del sistema. Non si tratta di una questione di potere, ma di coinvolgimento e di efficienza del sistema. I processi di digitalizzazione sono complessi e possono essere realizzati in modo adeguato solo conoscendo il terreno su cui si agisce. Il che vuol dire la normativa, ma anche e soprattutto le modalità di agire, le esigenze, i problemi dei diversi operatori che operano. La complessità è aggravata proprio dal fatto che nel sistema giustizia non si tratta solo di informatizzare un’amministrazione, ma di creare un sistema che viene utilizzato, spesso con esigenze estremamente diversificate per le stesse funzioni svolte, da soggetti diversi ciascuno con le sue legittime esigenze e con una  espressa domanda di comodità, semplicità e trasparenza: i magistrati nei  loro diversi ruoli (giudici civili, giudici delle indagini preliminari e dell’udienza preliminare, giudici del dibattimento, giudici di appello e di cassazione), avvocati civilisti e penalisti, cancellerie, utenti della volontaria giurisdizione.  Ascoltare e capire le necessità e dare loro una risposta anche tecnologica, sperimentare e correggere, formare ed assistere è la strada necessaria per avere successo ed avere sistemi non realizzati sulla carta, ma che vivano negli uffici giudiziari e negli studi professionali. Del resto è l’esperienza che ho direttamente vissuto quando a Milano, come Tribunale, in sinergia totale con l’Ordine degli Avvocati di Milano, abbiamo realizzato a partire dal 2009 il Processo Civile Telematico, esperienza di successo tanto da divenire obbligatorio a partire dal 2013. Ma questo è stato vincente per il costante confronto tra chi vi operava, con la c.d. Commissione Mista che si riuniva mensilmente composta da magistrati, avvocati, personale delle cancellerie, tecnici del C.I.S.I.A. e, a volte lo stesso fornitore, con cui si verificavano gli stati di avanzamento, le difficoltà, le necessarie implementazioni, facendo costanti passi in avanti. E per la formazione e assistenza, anche in loco, assicurata a magistrati, avvocati e cancellieri che venivano aiutati a realizzare quella che era una trasformazione epocale del loro lavoro. Anni luce lontano dalle attuali logiche in cui l’adozione di nuovi sistemi sembra che avvenga per decreto, con imposizioni dall’alto, spesso con preavvisi temporali limitati e con una formazione e assistenza all’osso, più per dovere di firma che per raggiungere effettivamente risultati.

 

4. Una governance in crisi

L’attuale situazione dell’informatica giudiziaria, con il fallimento, si spera temporaneo, dell’applicativo APP (l’inizio nel nuovo Processo Penale Telematico) e le enormi difficoltà tuttora non risolte dei sistemi informativi adottati dal giugno 2023 negli uffici minorili, già denota una crisi evidente della governance dell’informatica giudiziaria. Una situazione che deriva da motivi oggettivi che ci trasciniamo da tempo e da errori di impostazione e di gestione. Oggettiva per la debolezza delle strutture ministeriali: - un numero del tutto insufficiente di tecnici e di informatici che in nessun modo si è adeguato alle crescenti necessità del settore, - la crisi dei CISIA di cui non è mai stato determinato l’organico (il personale è comandato o distaccato), con presenze numeriche del tutto sperequate a livello nazionale (il CISIA di Milano ha un quarto dei funzionari e assistenti  rispetto a quelli di Bari e Catania) e che ormai riescono a fare poco di più rispetto alla gestione dei server e al lancio dei nuovi programmi, delegando tutto il resto ad una assistenza informatica esternalizzata (con risparmi di spesa) che è quella che ha un reale contatto quotidiano con l’utenza e gli uffici; -   l’ampiamento costante di compiti, programmi, esigenze di sicurezza.

Ma a questo si legano una crescente lontananza delle strutture ministeriali dagli uffici giudiziari: non vi è una sufficiente trasparenza sulle priorità, sui progetti e sui tempi per realizzarli. Non vi è quell’indispensabile coinvolgimento di magistrati, dirigenti, avvocati, funzionari, tecnici che possa aiutare nella realizzazione di programmi e progetti che risultino nel contempo efficienti, fruibili e appetibili. Manca un canale di comunicazione tra Ministero della Giustizia e DGSIA con gli uffici giudiziari e l’avvocatura e non sono noti, né in alcun modo condivisi obiettivi e tempi. Decisioni in apparenza “tecniche”, ma che in realtà impongono e determinano per tutti i soggetti che lavorano nel contesto giudiziario.

Questo quadro è vieppiù peggiorato da una governance che ha perso ogni unitarietà e che è diventata sempre più scollegata dalla realtà e dalla quotidianità degli uffici e che afferma una falsa primazia della tecnica sulle esigenze della giustizia.

Se fino al 2022 le strutture di riferimento erano unicamente la DGSIA ed il relativo Dipartimento per l’Organizzazione Giudiziaria. In quell’anno è stato costituito un nuovo Dipartimento autonomo, quello per la transizione digitale, scelta salutata come un segnale di modernità, ma che in realtà soffre di un’evidente eterogenesi dei fini e che apre molti altri problemi: l’assurdità e l’impossibilità di separare organizzazione ed analisi gestionale dalle tecnologie che oggi fanno capo a due diversi dipartimenti, la perdita di una visione complessiva, la progressiva autonomizzazione delle tecnologie dalla realtà organizzativa degli uffici giudiziari.

Con l’ultima legge di stabilità (art.1 co.374 L.30 dicembre 2023 n.213) la situazione peggiora ulteriormente con la creazione di una nuova direzione informatica dedicata alla gestione infrastrutturale che affianca la DGSIA.

I problemi di coordinamento e sinergia tra le diverse strutture, che già caratterizzano il Ministero vengono così aumentati a dismisura. Inoltre la progressiva lontananza ed autonomizzazione puramente tecnica del Ministero è ben espressa dal fatto che per la prima volta a capo sia della Dgsia che del nuovo Dipartimento per la transizione digitale del Ministero vi siano due ingegneri. Ovviamente nessuna preclusione per tecnici ed ingegneri di alto livello, anzi la capacità di unire diverse competenze e la multidisciplinarietà sono feconde e fondamentali, ma ciò deve unirsi con la conoscenza approfondita delle norme processuali, degli ambienti lavorativi, delle esigenze (spesso diverse ed a volte conflittuali) dei diversi soggetti attori del mondo della giustizia (magistrati, dirigenti, personale amministrativo, avvocati). Ed è difficile che questo si abbia, quanto meno in tempi brevi, da persone che non conoscono il settore e che non hanno mai frequentato le aule giudiziarie.

Le criticità dei nuovi sistemi informatici ed i ritardi sono anche il frutto di questa lontananza e di una governance ormai non più adeguata.

 

5. Una nuova agenzia come risposta

Le prospettive sono in realtà ancora più preoccupanti dal quadro sinora delineato perché la debolezza del Ministero e la carenza di informatici interni porterà ad essere totalmente dipendenti dalle grandi società private che, in assenza di controlli adeguati, una volta vinti gli appalti determineranno le scelte, tra l’altro in modo sotterraneo e senza apparire direttamente.

E stiamo parlando di strutture, le Direzioni tecniche del Ministero, che saranno sempre più deboli e patiranno sempre di più la mancanza di personale tecnico e informatico in quanto quello che il Ministero della Giustizia offre è, per i compensi, lavoro povero e fuori mercato, come il pressoché totale fallimento dei bandi di assunzione per personale tecnico a tempo determinato per il PNRR giustizia ha evidenziato: se l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale che offre emolumenti pari a quelli della Banca di Italia, trova difficoltà a trovare il personale dovremmo capire che stiamo andando verso una vera e propria emergenza.

Per questo occorre dare atto che l’attuale governance ministeriale è superata e bisogna cogliere questo momento, in cui si annuncia una rivoluzione data dalle nuove applicazioni di Intelligenza Artificiale generativa, per darsi nuovi assetti idonei al nuovo quadro e quindi creare una nuova struttura che possa coniugare gli stretti rapporti con Ministero, C.S.M. e C.N.F. e l’alta qualità tecnica.

Un’agenzia (simile alla SOGEI del Ministero dell’Economia) controllata al 100 % dal Ministero della Giustizia, con un Consiglio di Amministrazione nominato di concerto dal Ministero e dal C.S.M. e sentito il C.N.F. che possa garantire agilità e stipendi adeguati e concorrenziali con dipendenti capaci e fidelizzati.

Agenzia che deve essere autonoma e in mano al Ministero della Giustizia per rispettare la Costituzione e assicurare il coinvolgimento di tutti gli operatori della giustizia, mentre va esclusa radicalmente ogni ipotesi di accorpamento con la SOGEI o altre agenzie già esistenti che porterebbero a subordinare la giustizia ad altre esigenze e ad elevare alla massima potenza quella lontananza e incapacità di farsi carico della complessità del sistema che oggi lamentiamo.

So bene che il formidabile rischio è quello di creare un nuovo carrozzone con nomine per appartenenza e sprechi, ma dipende come sempre dalla saggezza e dalla onestà intellettuale dei decisori.

L’alternativa, verso cui ci stiamo già muovendo a larghi passi è quella di una strisciante ed occulta privatizzazione senza controlli con una digitalizzazione perdente.

25/03/2024
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