Per iniziare, le "parole del diritto"
"Sententia pro veritate habetur, sententia facit ius dicevano i romani (la sentenza è verità e giustizia). E i glossatori della tarda latinità commentavano che ius facere significa fare de albo nigrum vel de nigro album (la sentenza trasforma la realtà)... In una simile atmosfera mistica è possibile parlare di case management, cioè di gestione integrata delle tempistiche processuali, e di court management, cioè di governo responsabile ed efficiente degli uffici giudiziari? La mia risposta è (ovviamente) sì.... Il miracolo di un cambiamento sotto il profilo dell'efficienza è possibile, anche in assenza di riforme palingenetiche. E' sufficiente che ad opera dei giudici l'atmosfera sacerdotale della celebrazione delle udienze con riti misteriosi e incomprensibili venga spazzata via da una nuova concezione del proprio ruolo. Non più cattedre solenni, ma scrivanie da ufficio, tavoli di lavoro... I giudici non siano monadi abitatori di condominii, cioè di spazi fisici all'interno dei quali operano come artigiani indipendenti, senza confronto e senza raccordo con i colleghi. Siano invece attori vivaci di uno spazio unitario in cui costruire prassi interpretative condivise. Siano operatori qualificati in uffici in cui si concretizzino 'processi di apprendimento organizzativo'".
(Mario Barbuto, dalla Prefazione a "Dietro alla cattedra del giudice", di L.Verzelloni, 2009)
Dal 1950 al 2015: dalla "ragionevole durata" alla "responsabilità civile"
- 1950: Art. 6 Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (Roma, 4.11.50, ratif. con L. 848/1955)
- 1999: L.Cost. n°2 (Modifica art. 111Cost. - Giusto processo)
- 2000: Art 47, capo VI Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (Nizza, 7.10.2000)
- 2001: L. 89/2001 (Legge Pinto sui danni per la durata irragionevole del processo)
- 2015: Legge sulla responsabilità civile del magistrato (approv. 24.02.15)
Efficacia, efficienza, economicità, sostenibilità
Efficacia (o effettività): capacità di raggiungere un determinato obiettivo.
Efficienza: capacità di raggiungerlo con il minimo di scarto, di spesa, di sforzo, di risorse e di tempo impiegati.
Economicità: dimensione finanziaria dell’efficienza, nel senso della riduzione e del contenimento dei costi materiali
Sostenibilità: dimensione umanistica (e psicosociale) dell’efficienza, nel senso della riduzione e del contenimento dei costi umani
- Efficienza: "il buon andamento... dell'amministrazione "(art. 97 Cost.)
- Differenza tra "buon andamento" ed "effettività":
- l'"organizzazione della giustizia" e l'amministrazione degli uffici giudiziari devono funzionare bene (Principio del buon andamento dell'organizzazione della giustizia);
- "compito della giurisdizione non è funzionare 'bene' per rapporto a questo o a quell'interesse pubblico, bensì assicurare una più generale prestazione di sistema... proprio il peculiare profilo funzionale della giurisdizione rende assai problematica una sua valutazione in termini di efficienza". (Principio di effettività della tutela giurisdizionale)
(Massimo Luciani: "Garanzie ed efficienza nella tutela giurisdizionale", 2014)
Gestire le Corti
"Ogni Corte, pur non potendo essere equiparata ad una 'azienda', deve essere gestita in modo consapevole, trasparente e responsabile (qui la "responsabilità" riguarda la gestione degli uffici giudiziari, non la giurisdizione). Le inefficienze amministrative, l'aumento senza controllo dei procedimenti e lo stratificarsi di cause arretrate, rischiano di ledere l'indipendenza che caratterizza il potere giudiziario".
C'è una nuova sensibilità al problema dell'efficienza da parte delle professioni che operano nella giustizia: essa "nasce dalla consapevolezza diffusa che le modifiche legislative non possono da sole risolvere le difficoltà che affliggono il sistema giudiziario... I problemi della giustizia non sono imputabili solamente alla carenza di risorse o alla mancanza di regole processuali... L'effettiva e reale tutela dei diritti soggettivi dei cittadini si fonda necessariamente anche su tematiche e riflessioni intrinsecamente legate alla dimensione organizzativa".
(L.Verzelloni, Dietro alla cattedra del giudice. 2009)
- Ma l'organizzazione è un prodotto umano. E' abitata da umani, regolata da umani, gestita da umani e gli umani - come le loro menti - sono
- sia razionali, cioè guidati dalla ragione
- sia irrazionali, cioè spinti dalle emozioni
- Per questo occorre un approccio psicologico all'organizzazione
Psicologia e diritto
- "La psicologia è una disciplina giovane, potremmo dire addirittura neonata a paragone della seniority posseduta dal diritto. Questo è forse uno dei motivi che la colloca nei confronti del diritto in una posizione subordinata e di inferiorità, a volte visibilmente intimidita dalla forza della legge e dal potere del magistrato, altre volte - come accade ai soggetti timidi - reattivamente presuntuosa e un po’ troppo incline a dar lezioni di vita. Il fatto poi che mentre il diritto si propone, almeno in linea di principio, la certezza, essa maneggi invece per lo più impressioni soggettive, probabilità, dubbi e sfumature, crea probabilmente un’ulteriore difficoltà di dialogo. Gli psicologi tendono a pensare che i magistrati sono rigidi e razionalisti, i magistrati vivono gli psicologi come fumosi e un po’ troppo surreali". (Cesare Castellani e Mario Perini: "La giustizia sul lettino", 2006)
Criticità organizzative nel sistema giudiziario
- sistema complesso (e spesso complicato) caratterizzato da interdipendenza e multifattorialità
- inflazione e incoerenza normativa (troppe leggi mal fatte, di difficile interpretazione e tra loro in contraddizione)
- cultura gestionale scarsamente orientata ai risultati
- incentivi alla procrastinazione (dum pendet rendet, prescrizioni, rinvii ecc.)
- scarsezza di risorse, umane e materiali
- responsabilità collettiva (diffusione della responsabilità)
- tortuosità procedurali
e oggi… la responsabilità civile del magistrato???
Il ruolo delle emozioni, delle ansie e delle difese:
"il mutevole cuore del giudice che... comanda nel margine di scelta che l'esegesi delle leggi lascia all'interprete"
(P.Calamandrei, Elogio dei giudici scritto da un avvocato, 1935, cit. da L.Tria)
Basi emozionali dell’inefficienza
Punto nodale del discorso sulla psicodinamica dell’inefficienza è rappresentato dall’incrocio tra
- Ansia
- Rischio
- Errore
- Responsabilità
- Colpa
Non tutte le ansie sono patologiche o disfunzionali:
- ansia come segnale di rischio;
- ansia come indicatore di conflitto;
- ansia come espressione di attenzione o preoccupazione;
- ansia come misura dei valori in gioco.
- La normalità dell’ansia dipende prima di tutto dalla sua funzione innata di riconoscimento del pericolo e di attivazione di risposte adattative e protettive, ma anche da una sua specifica funzione “culturale”
- l’ansia è anche il segnale e la misura dell’importanza che una cosa, una persona, un oggetto sociale rivestono per l’individuo o per il gruppo. Oltre a segnalare agli altri l’esistenza di un pericolo, essa denota anche i sistemi di interessi e le gerarchie di valori su cui si regge la convivenza in quel determinato gruppo sociale.
- Dunque è bene che ansie e paure esistano, perché sono cruciali, adattative e utili per la sopravvivenza, tanto dell’individuo quanto della specie ed anche della società. Anzi, il problema sorge proprio quando non si è sufficientemente preoccupati e si abbassa la guardia, ad es. di fronte al degrado progressivo dell’ambiente, all’illegalità diffusa o alle crescenti derive dispotiche.
- E tuttavia sono anche emozioni penose, a volte così devastanti per la mente (come nel caso di un attacco di panico) e per il corpo (come nello stress prolungato), da richiedere per poter essere tollerate dei dispositivi di protezione che le permettano di svolgere la sua funzione adattativa senza produrre danni. Alcuni di questi dispositivi sono concreti e razionali (ad es. la legge e la polizia che ci difendono dalla paura di cadere in balia della prepotenza altrui), altri sono soggettivi e irrazionali e rappresentano le cosiddette “difese psicologiche” (ad es. la rimozione, che può farci dimenticare un ricordo pensoso o un compito sgradevole)
- La prima cosa che emerge è un dato apparentemente banale: giudicare è un compito ansiogeno. Per certi versi come ogni altra attività di lavoro, verrebbe da aggiungere, perché dopo tutto in qualunque compito confluiscono varie ansie generiche, come quella di sbagliare e di essere rimproverati dai superiori o criticati dai colleghi, quelle connesse con i sensi di colpa o di inadeguatezza, i conflitti interpersonali, le invidie, gelosie e rivalità, ecc.
- Ma è facile osservare come il lavoro del magistrato non sia proprio “come tanti altri” ma comporti carichi di responsabilità e costi emotivi del tutto peculiari, in qualche misura intrinseci alla stessa funzione del giudizio e all’esercizio del potere ad esso collegato.
- Il potere della legge e di chi la applica, anche se regolato e limitabile, è immenso: può disporre della persona, del suo corpo, delle sue libertà, della sua privacy, dei suoi beni, delle sue stesse relazioni familiari e affettive.
Solo il potere del medico si approssima a quello del magistrato, perché per svolgere il proprio compito di diagnosi e cura il sanitario può agire sul corpo del paziente, avendo titolo legittimo a toccarlo, denudarlo, penetrarlo, infliggergli privazioni, ferite, dolore fisico e psichico, imporgli comportamenti, introdurvi sostanze, oggetti, radiazioni e influenze psicologiche.
- Nel carteggio con Einstein sulla guerra Freud ribadisce che “i conflitti d’interesse tra gli uomini sono... in linea di principio decisi mediante l’uso della violenza. (…) Nel corso dell’evoluzione… una strada condusse dalla violenza al diritto: … quella che passava per l’accertamento che lo strapotere di uno solo poteva essere bilanciato dall’unione di più deboli. (…) La violenza viene spezzata dall’unione di molti, la potenza di coloro che si sono uniti rappresenta ora il diritto in opposizione alla violenza del singolo. Vediamo così che il diritto è la potenza di una comunità. È ancora sempre violenza, pronta a volgersi contro chiunque le si opponga, opera con gli stessi mezzi, persegue gli stessi scopi; la differenza risiede in realtà solo nel fatto che non è più la violenza di un singolo a trionfare, ma quella della comunità. Ma perché si compia questo passaggio dalla violenza al nuovo diritto deve adempiersi una condizione psicologica. L’unione dei più deve essere stabile, durevole. Se essa si costituisse solo allo scopo di combattere il prepotente e si dissolvesse dopo averlo sopraffatto, non si otterrebbe niente. (…) La comunità deve essere mantenuta permanentemente, organizzarsi, prescrivere gli statuti che prevengano le temute ribellioni, istituire organi che veglino sull’osservanza delle prescrizioni - le leggi - e che provvedano all’esecuzione degli atti di violenza conformi alle leggi. Nel riconoscimento di una tale comunione di interessi s’instaurano tra i membri di un gruppo umano coeso quei legami emotivi, quei sentimenti comunitari sui quali si fonda la vera forza del gruppo”. (Freud, 1932)
Nel suo articolo “Violenza ‘conforme alla legge’ (da un carteggio fra Einstein e Freud)”, pubblicato su Historia et ius (2013 n.4) Natalino Irti definisce la lettera di Freud “un denso trattatello di filosofia del diritto”.
- Le attività giurisdizionali non sono tutte uguali. Pur sotto uno stesso ombrello di filosofia giuridica convivono pratiche e soprattutto discrezionalità molto diverse. E’ di immediata evidenza che dove esista maggiore discrezionalità (come ad es. nella giustizia minorile), tanto maggiori sono le ansie in gioco. Un altro importante fattore ansiogeno è implicito nelle indagini e nei giudizi che riguardano persone potenti o rilevanti interessi politici ed economici.
- La questione delle interferenze emotive sull’attività del magistrato (anche come conseguenza delle pressioni provenienti dall’esterno) si è riproposta in termini drammatici a ridosso della inquietante conflittualità che negli ultimi anni ha reciprocamente contrapposto il potere giudiziario e quello esecutivo, con il concorso del comportamento adottato dalla classe politica nel suo insieme e dal circuito mediatico.
- Ansie ed emozioni implicate nell'inefficienza
- ansia prestazionale (errore, insuccesso, inferiorità, impotenza);
- sentimenti di colpa, inutilità, impotenza
- vergogna per la rivelazione dell'errore ("ferite" narcisistiche);
- rivalità e competizione (ansie e ostilità legate al confronto);
- invidia e gelosia (sabotaggio, denigrazione, rifiuto di collaborare);
- incapacità di chiedere aiuto o di delegare;
- paura delle critiche, dei rimproveri, delle sanzioni, delle vendette;
- conflitti relativi all’autorità e alle competenze
- tensioni sul confine tra lavoro e vita privata
Rischio ed errore
Dalla prospettiva della psicologia sociale
- Non tutti i rischi sono reali (ma i rischi immaginari non sono meno importanti)
- Non tutti gli errori sono una responsabilità di chi sbaglia: esistono errori inevitabili, imprevedibili, inconcepibili, invisibili, non valutabili o misurabili, ritenuti trascurabili;
- La paura di sbagliare, inseparabile da tutte le attività che comportano decisioni, è in questo caso spinta all’estremo dall’idea di suscitare l’ostilità o l’inimicizia di persone e ambienti che possono rivelarsi estremamente pericolosi o vendicativi. In questo senso possiamo pensare che la paura delle conseguenze del proprio giudizio possa influenzare, soprattutto se inconscia, la libertà e l’indipendenza emotiva del magistrato. Accanto alla paura operano probabilmente altri fattori psicologici più complessi, antipatie e ambivalenze, suggestionabilità e arroganze, conformismi e tentazioni di onnipotenza, invidie e sensi di colpa; fattori non molto diversi da quelli che turbano costantemente l’operare dei miei colleghi medici.
Colpa e responsabilità
In termini psicologici
- Non tutte le responsabilità sono colpe (variabile o relativa "responsabilità" psicologica di stati mentali come l'inconsapevolezza, l'ignoranza, l'imprudenza, l'imperizia, persino l'inosservanza di leggi e regolamenti)
- Non tutte le responsabilità sono individuali (responsabilità collettive; responsabilità di sistema)
- Il “mito dell’efficienza” (efficientismo) consegna ogni forma di inefficienza al biasimo e alla colpa (Blaming culture).
La “cultura del biasimo” (“blaming culture”)
- non accetta l’errore “incolpevole” (assunto dell’infallibilità virtuale)
- nega le responsabilità del contesto e del sistema organizzativo (assunto della responsabilità esclusiva dell’individuo)
- investe tutte le energie nella ricerca del colpevole (caccia alle streghe) e nella sanzione (santa inquisizione)
- sottrae energie e risorse alla ricerca della soluzione (aggravamento dell’errore)
- sposta l’attenzione dallo studio delle dinamiche che hanno portato all’errore (ostacolo all’apprendimento dall’errore)
- genera un clima di paranoia organizzativa
La paranoia organizzativa è caratterizzata
- da sfiducia e diffidenza
- dalla paura della persecuzione
- dalla fuga dalle responsabilità
- dalla proiezione della colpa (sul capro espiatorio o sul nemico esterno)
- dal primato degli adempimenti formali (deriva burocratica)
- dalla maldicenza e denigrazione reciproca
- da condotte di evitamento, omertà e collusione
- da livelli elevati di stress lavorativo (malessere organizzativo, burnout, mobbing)
- da una rilevante inefficienza
Giustizia difensiva
L'ansia di sbagliare e la paura delle conseguenze può indurre comportamenti auto-protettivi esasperati, costosi e controproducenti analoghi a quelli della c.d. “medicina difensiva”:
- prolungamento delle fasi esplorative e di indagine
- moltiplicazione dei controlli
- coinvolgimento (non necessario) di più persone
- delega verso l'alto
- diffusione della responsabilità (è colpa di tutti e di nessuno)
- colpevolizzazione del “terzo”
- differimento delle decisioni
- avocazioni, accentramenti e resistenze a delegare
- ossessioni procedurali ed enfasi sui formalismi
Risultati:
- allungamento dei tempi
- dilatazione dei costi
- colli di bottiglia
- ambiguità o imprecisione nelle decisioni
- irresponsabilità diffuse
- aumento della conflittualità
- vulnus all’immagine sociale della giustizia
Al contrario di quella del biasimo, la cultura dell’”apprendimento organizzativo” privilegia
- la prevenzione dell’errore (near miss, eventi sentinella, risk management, equilibrio tra controllo e supporto)
- la gestione razionale dell’errore (studio e ricostruzione degli antecedenti e delle dinamiche di processo)
- il trattamento moderato della responsabilità personali (equilibrio tra consapevolezza, responsabilità e sanzione)
- il riconoscimento del ruolo dell’organizzazione (induzione all’errore, mancata prevenzione/protezione, riduzione delle risorse, domanda eccessiva o incoerente, enfasi sulle responsabilità dell’individuo)
Necessità che il magistrato, oltre alle competenze di tipo giuridico, si doti di “competenze ulteriori”, alcune delle quali sono di tipo psicologico:
a) competenze emotive;
b) competenze relazionali;
c) competenze comunicative;
d) competenze gestionali.
Formazione psicologica per le competenze gestionali?
Una certa competenza psicologica è richiesta dopo tutto anche dall’esercizio di quelli che potremmo chiamare i compiti organizzativi e manageriali del magistrato. In particolare il lavoro all’interno degli uffici, dove accanto ai magistrati operano o si incrociano innumerevoli figure e ruoli diversi, dagli impiegati alle forze dell’ordine, dagli avvocati agli assistenti sociali, dagli arrestati ai giovani colleghi in tirocinio, richiede abilità non indifferenti nel campo
- della psicodinamica del gruppo di lavoro e della leadership
- della psicologia dell’organizzazione e del controllo di gestione
- della gestione del tempo
- del “management della conoscenza”.
... e dalla gestione dell'ansia
Proprio questi compiti si rivelano particolarmente ardui non appena l’ansia, che già circola costantemente negli ambienti giudiziari, superi certe soglie riversandosi nelle procedure e nei processi gestionali, che abbandonando così l’obiettivo della produttività e dell'efficienza possono mettersi al servizio delle resistenze al cambiamento e dei bisogni di sicurezza delle persone e dei gruppi. In simili situazioni il giudice si ritrova al centro di un sistema organizzativo divenuto inefficiente e “nevrotico” e forse non ha altra scelta se non imparare a “sdraiarlo sul lettino” e provare a curarlo (M. F. R. Kets de Vries, Organizations on the Couch: Clinical Perspectives on Organizational Behavior and Change. San Francisco, Jossey-Bass, 1991; M. F. R. Kets de Vries. – D. Miller The Neurotic Organization: Diagnosing and Changing Counterproductive Styles of Management. San Francisco, Jossey-Bass, 1984 (trad. it. L’organizzazione nevrotica. R. Cortina, Milano 1992).).
La cura
- Individuare modalità di lavoro e di gestione degli obiettivi e delle risorse, materiali ed umane, individuali e dell’ufficio nel suo complesso, in grado di evitare o di contenere l’eccessivo logoramento, la frustrazione, la conflittualità cronica, l’insicurezza, le tecniche poco efficaci o sovradimensionate rispetto a finalità più realistiche e perseguibili nel caso concreto
- Creare e mantenere nei contesti di lavoro culture organizzative basate non solo sull'osservanza delle norme ma anche sull'attenzione e sull'ascolto, inclini meno alla ricerca delle colpe e più alla promozione dell'apprendimento.
La prevenzione
- "Coraggio e umiltà sono le virtù richieste, in eguale misura, nell'esercizio delle funzioni giudiziarie. Coraggio perchè l'impegno che vi aspetta è vasto e arduo. Professionalità, dedizione, credibilità, autorevolezza, senso di responsabilità, sono le doti che i cittadini si aspettano di trovare nei magistrati. Al penetrante potere connesso alle funzioni esercitate deve sapersi accompagnare, a bilanciamento, l'umiltà, vale a dire la costante attenzione alle conseguenze del proprio agire professionale, sia verso i singoli che avanzano istanze di giustizia, sia verso l'intera società che nei giudici deve poter nutrire piena fiducia. Attenzione che impone apertura al dubbio sui propri convincimenti, disponibilità a confrontarsi con le critiche legittime ai modi in cui si amministra la giustizia"
- “Seguire il modello ispirato all'attuazione dei valori etici ordinamentali... aiuterà ad affrontare con serenità i compiti che vi aspettano e a non lasciarvi condizionare dal timore di subire le conseguenze di eventuali azioni di responsabilità".
(Sergio Mattarella - Discorso del Presidente della Repubblica ai nuovi Giudici, Roma 9 marzo 2015)
La protezione
- Proteggere dalla paura e dall’ansia la funzione giudicante per quanto possibile e ragionevole (anche offrendo ai magistrati una formazione psicologica) come un modo per tutelare non solo i magistrati e la giurisdizione ma la giustizia in senso lato.
- L'idea di una magistratura arrogante, onnipotente e insindacabile inevitabilmente spaventa i cittadini. Ma poiché magistrati ansiosi e impauriti non potranno che cedere ai poteri forti, saranno questi ultimi allora, liberi dagli argini della legge, a doverci fare veramente paura.