Magistratura democratica
Cronache fuori dal Consiglio

L’autogoverno: patrimonio e responsabilità di tutti

di Elisabetta Chinaglia
Presidente di sezione tribunale di Asti
L’autogoverno è lo strumento prezioso e insostituibile per la tutela dell’indipendente esercizio della giurisdizione. Restituire credibilità e autorevolezza all’autogoverno richiede oggi la ricostruzione di un legame forte con i magistrati, fondato sull’assunzione di responsabilità e la partecipazione, onere e diritto di ogni magistrato

Viviamo in un momento di profonda crisi dell’autogoverno e della magistratura tutta, un momento di sfiducia in cui molti magistrati, come non mai, sono disillusi e lontani dall’autogoverno. Questo incide negativamente sia sulla motivazione dei magistrati, a volte portati a rifugiarsi in una modalità di svolgimento della professione chiusa rispetto all’esterno ed altresì al confronto interno, sia sull’immagine che la magistratura offre di sé all’esterno.

Avvertiamo tutti la necessità che la magistratura torni non solo a essere, ma anche ad apparire, come un corpo sano, scevro da interessi corporativi, capace di generare fiducia nei cittadini per le caratteristiche dei suoi componenti, che devono essere, imprescindibilmente, caratteristiche di indipendenza, imparzialità, capacità di essere aperti al dubbio ed all’ascolto, preparazione professionale, sì da poter fornire una giurisdizione attenta ai valori costituzionali, capace di riconoscere senza condizionamenti interni ed esterni la tutela dei diritti e di riconoscerla in particolare a chi ha meno voce per essere ascoltato.

Inevitabilmente, il recupero della fiducia dei magistrati e dei cittadini deve ripartire dal cambiamento della visione di autogoverno.

Molti identificano ormai l’autogoverno con un Csm lontano, distaccato dai problemi veri della giurisdizione, composto da magistrati eletti da “correnti” per interessi di potere, oppressivo e tale per cui ogni magistrato deve, a sua volta, cercare nelle stesse “correnti” una protezione o un aiuto, o in alternativa rimanere impossibilitato ad offrire la propria professionalità ai colleghi ed alle istituzioni.

L’autogoverno è, al contrario, la garanzia della nostra autonomia e indipendenza; è lo strumento prezioso che i magistrati hanno per far sì che le decisioni che quotidianamente assumono, e che tanto incidono sulla vita delle persone, possano manifestarsi con assoluta indipendenza da qualunque potere, interno ed esterno.

Questo strumento prezioso è la nostra ricchezza: come salvaguardarlo e come rifondarlo?

 

La responsabilità di ognuno

Occorre in primo luogo una netta presa di posizione culturale che ci porti a considerare l’autogoverno quale governo della magistratura in mano a tutti i magistrati e del quale tutti sono responsabili. Diventare magistrati significa anche assumersi la responsabilità della gestione dell’autogoverno come custodia dell’autonomia ed indipendenza dell’intera magistratura; una responsabilità difficile, nella consapevolezza della complessità dell’esercizio della funzione giurisdizionale, ma necessaria.

Ogni singolo magistrato deve essere consapevole di esercitare direttamente l’autogoverno, non solo con il voto in occasione delle elezioni degli organi istituzionali, Consigli Giudiziari e Consiglio Superiore della Magistratura, ma con la sua attività quotidiana:

  • contribuendo all’organizzazione degli uffici e così contribuendo alle scelte dei dirigenti ed anche a quelle degli organi istituzionali, attraverso la partecipazione alle riunioni, le proposte organizzative, la condivisione di buone prassi, le iniziative finalizzate alla sinergia con gli altri uffici, le eventuali osservazioni al Consiglio Giudiziario, etc.;
  • mantenendo condotte trasparenti, di rifiuto di ogni logica spartitoria e di carrierismo;
  • valorizzando il reale significato dell’associazionismo giudiziario, strumento prezioso che ha consentito, nel passato più lontano, di superare l’impostazione gerarchica della magistratura; spetta a tutti, invero, recuperare il vero senso dell’associazionismo, riconducendolo a luogo di confronto e di scambio culturale che produce delle idee, dei progetti e delle linee d’indirizzo concrete sulle tematiche dell’autogoverno e della giurisdizione.

Sicuramente va poi valorizzato, e migliorato in termini di trasparenza e concretezza, il ruolo dei Consigli Giudiziari.

I Consigli Giudiziari sono organi di fondamentale importanza nell’autogoverno: organi prossimi al territorio, devono saper essere attivi nella conoscenza effettiva degli uffici del distretto e delle loro complessità e criticità; devono saper improntare i propri interventi in un’ottica di ausilio all’organizzazione degli uffici; hanno una responsabilità fondamentale nella loro funzione di organo consultivo del Csm, dovendo impegnarsi a produrre valutazioni e pareri seri, concreti, sorretti su dati di realtà, nella consapevolezza della necessità di coniugare sinergicamente le conoscenze inerenti il settore inerente l’organizzazione – pareri su tabelle, progetti organizzativi, variazioni tabellari – con il settore attinente alla valutazione della professionalità e delle attitudini dei magistrati in relazione a specifici incarichi: solo conoscendo direttamente il funzionamento di un ufficio si potrà ad esempio comprendere come è stato svolto un incarico semidirettivo o un incarico di magistrato di riferimento per l’informatica.

In tal modo, i Consigli Giudiziari possono e devono giungere a rendere al Consiglio Superiore il quadro più corretto ed obiettivo possibile della realtà organizzativa degli uffici e delle reali potenzialità dei magistrati, nell’ottica della scelta di coloro che possono svolgere una funzione organizzativa.

La responsabilità del Csm

I componenti del Consiglio Superiore della Magistratura sono oggi chiamati ad un compito fondamentale di recupero di autorevolezza e trasparenza, attraverso comportamenti rispettosi delle regole, eticamente ineccepibili, trasparenti, completamente estranei a logiche di scambio e correntizie, totalmente imparziali.

Il Csm deve tornare ad essere un organo completamente autonomo da logiche di scambio e correntizie, che sia in grado di difendere davvero l’autonomia esterna ed interna della magistratura, che sia trasparente nelle sue scelte e coerente con le regole, nell’esercizio della discrezionalità che è l’essenza dell’autogoverno.

La discrezionalità delle scelte consiliari non è abdicabile, e deve essere esercitata con responsabilità e trasparenza, che presuppongono:

  • informazione e trasparenza sulle pratiche, attraverso la calendarizzazione rigorosa dei procedimenti di nomina secondo l’ordine temporale della vacanza; accessibilità delle informazioni; periodico resoconto e la spiegazione delle motivazioni delle scelte compiute;
  • la disponibilità ad un tendenzialmente continuativo dialogo con i componenti dei Consigli Giudiziari;
  • la disponibilità al periodico confronto da parte dei consiglieri con la effettiva realtà degli uffici.

La trasparenza, la conoscenza e l’informazione sono lo strumento principe per consentire di incanalare le idee programmatiche sulle varie tematiche relative all’autogoverno, anche nascenti da elaborazioni interne ai gruppi associativi, in un percorso di attuazione di quelle scelte che sia da un lato adatto alla realtà degli uffici e dall’altro interamente apprezzabile, all’esterno, nella sua coerenza.

 

Il presupposto di fondo:
gli articoli 107 e 104 della Costituzione

Più a monte, occorre riportare in primo piano il principio costituzionale per cui i magistrati si distinguono solo per funzioni, con conseguente rifiuto fermo di ogni forma di carrierismo.

Si tratta in primo luogo di una questione culturale, alla quale dobbiamo dedicare tempo ed energie, anche in termini di formazione dei giovani magistrati, ma soprattutto in termini di modalità concrete di esercizio delle funzioni direttive o semidirettive da parte di chi ricopre tali incarichi.

Si tratta anche di una questione di strumenti. Alcuni esempi: una riforma del Testo Unico della dirigenza che valorizzi l’esperienza professionale nella scelta dei dirigenti, superando l’attuale sistema di “medagliette” progressive per giungere ad un posto direttivo; l’assegnazione di un significato effettivo alla procedura di conferma dei direttivi e semidirettivi, così favorendo la scelta di candidarsi ad uno di tali incarichi come una scelta di servizio e non come una ricerca di potere; la valorizzazione del parere della commissione tecnica per le nomine in cassazione ed il valore dell’esperienza nel merito.

D’altro canto, deve essere valorizzato il ruolo politico del Csm, che non può essere considerato solo come il luogo ove si amministra il personale dell’ordine giudiziario, ma deve essere anche l’organo che può e deve attivare le pratiche a tutela della indipendenza e dell’autonomia del potere giudiziario e che parimenti può e deve interloquire con Governo e Parlamento sulle riforme in materia di giustizia: l’organo che tutela l’autonomia e l’indipendenza del potere giudiziario da ogni altro potere.

Entrambi questi punti cardine, oltre ad altri, sono attualmente messi in pericolo da alcune recenti proposte di riforma costituzionale, alle quali dobbiamo prestare la massima attenzione.

Per fronteggiare questi rischi, e per ridare autorevolezza e fiducia a cittadini e magistrati, occorre rifondare un autogoverno forte, autorevole, responsabile, fondato sulla partecipazione alla “gestione” di noi stessi e della nostra funzione, partecipazione che è onere e diritto di ogni magistrato.

14/11/2019
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18/09/2023
Oltre la separazione delle carriere di giudici e pm. L’obiettivo è il governo della magistratura e dell’azione penale

Se per “separazione delle carriere” dei giudici e dei pubblici ministeri si intende una netta divaricazione dei percorsi professionali e la diversità dei contesti organizzativi nei quali vengono svolti i rispettivi ruoli professionali, allora bisogna prendere atto che, a seguito degli interventi legislativi degli ultimi venti anni e segnatamente della recente legge. n. 71 del 2022, la separazione si è sostanzialmente consumata. Ed infatti le quattro proposte di legge di revisione costituzionale presentate in questa legislatura alla Camera dei deputati ed in discussione dal 6 settembre di quest’anno, e quella presentata in Senato, pur formalmente intitolate alla “separazione delle carriere”, hanno obiettivi sostanziali che vanno ben oltre la creazione di due itinerari professionali differenti con diversi accessi e distinti “governi” delle professioni. Esse mirano infatti a ridefinire, a vantaggio del potere politico, i complessivi equilibri di governo della magistratura, a cancellare la valenza costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale e ad annullare il principio per cui i magistrati si distinguono solo in base alle funzioni svolte. Nel nuovo ambiente istituzionale creato dalle riforme dell’ordinamento giudiziario, molte delle argomentazioni tradizionalmente addotte a favore o contro la separazione delle carriere hanno ormai perso attualità ed effettiva rispondenza alla realtà. Così che, nel dibattito pubblico che accompagnerà l’iter della progettata revisione costituzionale, occorrerà chiarire all’opinione pubblica quale è la reale posta in gioco e quali le implicazioni di modifiche costituzionali che vanno ben oltre l’assetto e gli equilibri propri del processo penale per investire il complessivo rapporto tra il potere politico e il giudiziario. 

04/09/2023
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Malgrado i ripetuti interventi chiarificatori della Corte Costituzionale circa la riconducibilità del diritto alla libera manifestazione del pensiero e, soprattutto, della libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, rispettivamente tutelati dagli articoli 21 e 15 della Costituzione, alla categoria dei diritti inviolabili previsti dall'art.2 della stessa, appaiono sempre più frequenti ed invasivi i casi in cui il vaglio del tenore letterale e logico degli scambi comunicativi privati, comunque acquisiti in sede penale,  diviene parametro di determinante giudizio nell'ambito di procedimenti amministrativi relativi all'assegnazione o alla conferma di delicate funzioni giurisdizionali. Questa circostanza, oltre a far emergere il problema generale dei limiti della trasmigrazione in ambito amministrativo di materiale proveniente da indagini penali, sembra incoraggiare un atteggiamento di prudente circospezione in ogni comunicazione privata non costituente reato che dovrebbe per definizione costituzionale rimanere libera sia nell'espressione sia nell'utilizzazione in contesti diversi. Resta da vedere se un simile atteggiamento di cautela giovi alla piena esplicazione di libertà fondamentali e se un eventuale difetto  di prudenziale avvedutezza possa legittimare l'autorità amministrativa ad invadere con finalità critiche un'area che andrebbe preservata da contaminazioni esterne.

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