Pubblichiamo la comunicazione della Commissione Europea a proposito dell’apertura di una procedura di infrazione nei confronti dello Stato italiano per la prospettata violazione da parte della normativa e della prassi italiana sulla magistratura onoraria, delle clausole 4 e 5 dell’accordo quadro allegato alla direttiva sul lavoro a tempo determinato e del diritto a ferie annuali retribuite di cui all’art. 7 della direttiva sull’orario di lavoro, affiancata da un commento. Nel commento di seguito, si trova il richiamo alle problematiche giuridiche di spessore che la comunicazione mette in evidenza. Sul piano della politica giudiziaria, richiamando gli interventi già pubblicati in argomento da Questione giustizia, evidenziamo la scadenza ormai prossima (fine maggio) dell’ultima proroga agli incarichi, risalenti per molti all’inizio del millennio, nell’attesa che veda la luce la riforma della magistratura onoraria attraverso il varo e l’attuazione della delega al Governo i cui contenuti sono riportati nel ddl 1738, approvato dal Senato nella seduta del 10 marzo scorso. Una riforma attesa e auspicata, a cui probabilmente la procedura intrapresa contribuirà a dare un concreto impulso: perché solo una compiuta scelta legislativa potrà dare un definitivo assetto a quello che negli anni è diventato sempre più un cardine essenziale per il concreto funzionamento della giustizia
LA COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE EUROPEA
Il tema del “precariato” ha nuovamente portato l’Italia al cospetto dell’Unione europea, ponendo al centro, questa volta, la vicenda dei magistrati onorari.
La questione origina dalla denuncia presentata da un vice procuratore onorario in merito alla compatibilità della normativa e della prassi nazionale con le direttive europee.
Il problema di fondo è l’inquadramento dei giudici onorari (G.O.T.) e dei vice procuratori onorari (V.P.O.).
Secondo la definizione normativa, essi ricoprono una carica onoraria, di cui sono caratteri essenziali l’assenza di un rapporto di servizio, la durata a tempo determinato dell’incarico, l’assenza di una retribuzione in senso proprio a favore, invece, di un’indennità (tra le molte: Cass. S.U., 9 novembre 1998, n. 11272; più di recente l’orientamento è stato richiamato da: Cass. civ., sez. VI, 4 novembre 2015, n. 22569; Cass. civ., S.U., 4 settembre 2015, n. 17591); tuttavia il rapporto di fatto instaurato con i giudici onorari spesso non rispetta tali caratteri, tanto da comportare che in recenti pronunce di merito il loro rapporto di lavoro sia stato qualificato alla stregua di una collaborazione coordinata e continuativa (Trib Torino, n. 10697/2013).
La questione non è di poco momento: perché essi possano beneficiare della normativa europea sul lavoro a tempo determinato e sul part-time, richiamata dalla Commissione europea, deve potersi riconoscere in capo a G.O.T. e V.P.O. un rapporto di lavoro subordinato con la pubblica amministrazione. Lo stesso anche per un’eventuale stabilizzazione, così come proposta dall’Associazione Nazionale Magistrati e dagli stessi magistrati onorari, non nel ruolo della magistratura ordinaria bensì nell’”ufficio del processo” (in proposito si veda Rita Sanlorenzo, Precari fuori legge, pubbl. su questa rivista).
La risposta della Commissione europea in epigrafe sembra profilare una possibile svolta in questa direzione, quanto meno per ciò che concerne l’applicazione della direttiva europea sul lavoro a tempo determinato n. 1999/70/CE. Richiamando la pronuncia della Corte di giustizia sui magistrati inglesi (Corte giust. UE, 1 marzo 2012, C-393/10, O’Brien) si afferma che - nonostante sia necessario interpretare la nozione di lavoratore a tempo determinato ai sensi del diritto nazionale - deve essere garantito un effetto utile al principio di parità di trattamento sancito dalla direttiva, valutando la riconducibilità dei magistrati alla categoria dei lavoratori in ragione di criteri basati sulle differenze intercorrenti tra essi e i lavoratori autonomi.
Se si afferma che i magistrati possono essere considerati, pur con tutte le loro peculiarità, “lavoratori”, il passaggio successivo è quello di rilevare la violazione del principio di parità di trattamento nei confronti dei magistrati onorari poiché, pur svolgendo le stesse mansioni dei magistrati ordinari, godono di un trattamento deteriore quanto al diritto alle ferie, alla malattia, alla previdenza sociale, all’indennità di maternità e alla tredicesima mensilità. Occorre inoltre ricordare che, secondo la Corte di giustizia, una ragione basata sul mero risparmio di spesa pubblica non può essere considerata “ragione obiettiva” di deroga alla direttiva 1999/70/CE.
Dal riconoscimento dell’applicabilità della direttiva sul lavoro a tempo determinato ai magistrati onorari discendono non poche criticità.
La disciplina sulla magistratura onoraria prevede la durata triennale della carica, con possibilità alla scadenza di conferma non ulteriormente rinnovabile e previo parere di idoneità del consiglio giudiziario (art. 42 quinquies, e art. 71, c. 2, r.d. 30 gennaio 1941, n. 12). Detta disposizione era stata originariamente prevista come provvisoria, dovendosi applicare solo per il tempo necessario al riordino del ruolo e delle funzioni dei magistrati onorari conformemente al disposto dell’art. 106 Cost. Tale riordino, però, non vi è mai stato e la vigenza della disciplina è stata prorogata di anno in anno, prevedendo ad oggi il termine ultimo del 31.5.2016 (art. 245, d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 e art. 1, co. 610, l. 28 dicembre 2015, n. 208, “legge di stabilità 2016”).
Come rileva la Commissione europea, la direttiva 1999/70/CE prescrive non il divieto «di fare ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato“tout court”», bensì la predisposizione di misure volte ad evitare abusi derivanti dalla successione di detti contratti, le quali possono consistere nel subordinare il rinnovo alla sussistenza di ragioni oggettive, e nella fissazione di limiti massimi per durata o numero rinnovi dei contratti.
In caso di ricorso abusivo alla contrattazione a tempo determinato, la Corte di giustizia non ha mai riconosciuto l’obbligo di conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, bensì quello di una “sanzione effettiva” che ben può consistere nella previsione di idonei strumenti di risarcimento1. Come noto infatti la disciplina italiana di recepimento esclude l’automatica conversione dei rapporti a termine nell’ambito del pubblico impiego e ciò in ragione del principio costituzionale sul concorso pubblico (art. 36, co. 5, d.lgs. n. 165 del 2001)2.
La Commissione ribadisce dunque il dovere degli Stati di adottare misure idonee e capaci di prevenire la successione abusiva dei contratti di lavoro a tempo determinato: dovere che nel caso della magistratura onoraria non pare rispettato. Su questo punto la Commissione censura il rinnovo dei contratti a termine nelle more di un’assunzione mai verificatasi richiamando anche il precedente sui c.d. “precari della scuola”, ove la violazione rilevata dalla Corte di Giustizia era dovuta alla mancata previsione di un risarcimento e al mancato espletamento di concorsi per oltre 10 anni (Corte giust. UE, 26 novembre 2014, cause riunite C-22/13, da C61/13 a C63/13 e C418/13 Mascolo).
In realtà il protrarsi degli incarichi dei magistrati onorari, differentemente che nel caso della scuola, non è stato l’effetto della mancata indizione di un concorso per l’assunzione, bensì di una mancata riforma del ruolo, riforma che, approvata dal Senato nella seduta del 10 marzo 2016 (ddl s. 1738), non va nella direzione di un’assunzione a tempo indeterminato di G.O.T. e V.P.O., ma di un incarico di durata quadriennale rinnovabile per un massimo di due ulteriori quadrienni, ribadendosi dunque che la durata temporanea dell’incarico è requisito essenziale delle cariche onorarie.
Ulteriore aspetto di criticità rilevato dalla Commissione attiene alla possibile violazione del principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4, direttiva 1990/70/CE a norma della quale il solo fatto di aver stipulato un contratto di lavoro a tempo determinato non può giustificare un trattamento deteriore rispetto a quello riservato ai lavoratori a tempo indeterminato, salvo sussistano ragioni “oggettive” di discriminazione. Con riferimento ad altre situazioni (si pensi ad es. al computo dell’anzianità di servizio per i periodi di lavoro prestati a tempo determinato dai lavoratori poi “stabilizzati”) la Corte di giustizia ha negato che la equiparazione dei lavoratori a tempo determinato stabilizzati con i dipendenti di ruolo determini una discriminazione “alla rovescia”. La “ragione obiettiva” richiesta dalla direttiva 1990/70/CE a giustificazione della discriminazione non può essere quella di non svuotare il principio costituzionale dell’accesso al pubblico impiego tramite concorso (con “discriminazione alla rovescia” dei vincitori di detto concorso) quando la normativa nazionale sia totalmente sproporzionata3 a danno dei lavoratori a tempo determinato pur essendo le mansioni esercitate identiche per gli uni e gli altri.
Ulteriore questione nasce dalla compatibilità della normativa sulla magistratura onoraria con il combinato disposto dalle direttive 2003/88/CE e 1999/70/CE nella parte in cui prevedono che gli Stati membri debbano garantire a ciascun lavoratore almeno 4 settimane di ferie retribuite l’anno, che si tratti di lavoratori a termine o a tempo indeterminato. Se i magistrati onorari non debbono subire un trattamento deteriore rispetto a quelli ordinari, le ferie spettanti ai primi devono essere commisurate a quelle spettanti ai secondi (pur applicando, se del caso, il principio del “pro rata temporis”).
Alla luce delle predette considerazioni, bisogna rilevare come qualora la procedura di infrazione, in conseguenza della presentazione di un ricorso per inadempimento, portasse l’Italia di fronte alla Corte di Giustizia e la stessa accogliesse le osservazioni della Commissione europea, inquadrando, dunque, i magistrati onorari nella nozione di lavoratore a tempo determinato, essi avrebbero diritto al risarcimento del danno per l’abusivo rinnovo dei contratti a tempo determinato in violazione della normativa europea, nonché alle ferie retribuite, alla previdenza sociale, all’indennità di maternità, alla malattia, alla tredicesima ed a una retribuzione commisurata a quella dei magistrati ordinari, con buona pace del Legislatore che, da ultimo, ha previsto per motivi di bilancio la riduzione delle indennità loro spettanti (art. 1, c. 609, l. 28 dicembre 2015, n. 208, “legge di stabilità 2016”). Una prima picconata la Commissione pare averla data, si attende l’effetto domino.
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1 Si vedano in proposito: C. giust. UE, 4 luglio 2006, C-212/04, Adeneler e a; C. giust. UE, 7 settembre 2006, C-53/04, Marrosu; C. giust. UE, 07 settembre 2006, C-180/04, Vassallo; C. giust. UE, 23 aprile 2009, C-387/07, Angelidaki e a; C. giust. UE, 12 giugno 2008, C-364/07, Vassilakis e a.; C. giust. UE, 24 aprile 2009, C-519/08, Koukou; C. giust. UE, 12 dicembre 2013, C-50/13, Papalia.
2 Questa previsione è stata al centro del dibattito giurisprudenziale alla luce della clausola 5 della direttiva 1999/70/CE che prevede l’introduzione negli ordinamenti nazionali di misure idonee a prevenire l’abuso derivante dall’utilizzo di una successione di contratti a termine. La Corte di Giustizia ha in più occasioni specificato che una normativa nazionale che prevede solo una tutela risarcitoria non è di per sé contraria all’ordinamento europeo purché essa garantisca l’effettività della prevenzione dell’utilizzo abusivo del contratto a termine, ossia che l’esercizio del diritto ad ottenere il risarcimento del danno non sia eccessivamente gravoso per il lavoratore: C. giust. UE, 4 luglio 2006, C-212/04, Adeneler e a; C. giust. UE, 7 settembre 2006, C-53/04, Marrosu; C. giust. UE, 07 settembre 2006, C-180/04, Vassallo; C. giust. UE, 23 aprile 2009, C-387/07, Angelidaki e a; C. giust. UE, 12 giugno 2008, C-364/07, Vassilakis e a.; C. giust. UE, 24 aprile 2009, C-519/08, Koukou; C. giust. UE, 12 dicembre 2013, C-50/13, Papalia.
3 C. giust. UE, 7 marzo 2011, C-393/2011 Bertazzi e a.; C. giust. UE, 12 ottobre 2012, C-302/2011, Valenza e a. La Corte censura la normativa nazionale che esclude totalmente e in ogni circostanza la presa in considerazione dei periodi di servizio svolti da lavoratori nell’ambito di contratti di lavoro a tempo determinato ai fini della determinazione della loro anzianità in sede di assunzione a tempo indeterminato e, dunque, del loro livello di retribuzione.