Magistratura democratica
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La legge e il corpo delle donne: la mozione del consiglio comunale di Verona del 27 settembre 2018

di Elisabetta Tarquini
consigliera della Corte d’Appello di Firenze
Non è solo il contenuto della decisione di sostenere associazioni e progetti di una ben precisa connotazione ideologica ad essere preoccupante, ma se possibile lo è ancor di più la motivazione che sorregge la decisione, una motivazione che va per questo letta tutta, comprese le note, che indicano le fonti dei dati che l’amministrazione ha utilizzato, e le correzioni, le parti espunte, che evidentemente non si è avuto animo di conservare, ma che restano comunque ben visibili e danno anch’esse conto del contesto culturale in cui la mozione è maturata

La mozione del consiglio comunale di Verona del 27 settembre scorso che «impegna il Sindaco e la Giunta» a fornire «un congruo finanziamento» ad associazioni cd. pro life, a promuovere un progetto regionale in collaborazione con la Federazione dei movimenti e dei centri di aiuto alla vita e a «proclamare ufficialmente Verona città a favore della vita» merita una compiuta, e preoccupata, lettura.

Non si tratta solo del contenuto della decisione, della scelta cioè da parte di un’amministrazione pubblica di sostenere associazioni e progetti di una ben precisa connotazione ideologica e di utilizzare, per nominare la collettività che amministra, un linguaggio di obliqua crudeltà, che implicitamente, ma inequivocamente qualifica difensore della morte chi ricorre all’interruzione volontaria di gravidanza o comunque sostiene il diritto delle donne di ricorrervi.

Se possibile più preoccupante è infatti la motivazione che sorregge la decisione, una motivazione che va per questo letta tutta, comprese le note, che indicano le fonti dei dati che l’amministrazione ha utilizzato, e le correzioni, le parti espunte, che evidentemente non si è avuto animo di conservare, ma che restano comunque ben visibili e danno anch’esse conto del contesto culturale in cui la mozione è maturata.

Si dice nel provvedimento che la legge 194 avrebbe «contribuito ad aumentare il ricorso all’aborto quale strumento contraccettivo e non avrebbe affatto debellato l’aborto clandestino», che «le statistiche annuali degli aborti» mostrerebbero un «leggero calo», ma sarebbero comunque inattendibili perché non terrebbero conto «delle varie pillole abortive», causa di «uccisioni nascoste», che l’aborto tra le minorenni sarebbe in preoccupante crescita (e qui si cita, ma poi prudentemente si cancella, perché evidentemente il troppo è troppo, il riferimento a un aumento degli aborti tra le ragazze fino a 18 anni del 45,2% dal 1992 al 2010 e tra le infraquindicenni addirittura del 112,2%).

E ancora che il limite dei primi 90 giorni della gestazione per l’Ivg sarebbe «ampiamente scavalcato», e anche qui prima si cita e poi si elimina l’affermazione secondo cui le relazioni annuali del Ministero della salute (ma la fonte è un articolo pubblicato sul sito “Marcia per la vita” dal titolo «Boom degli aborti tardivi: triste segnale di una società sempre più eugenetica») attesterebbero che gli aborti oltre la dodicesima settimana costituirebbero l’assai curiosa percentuale del «278% di tutti gli aborti».

Si tratta di fatti, tutti e ciascuno, contrastanti con i dati ufficiali del Ministero della salute sui numeri dell’interruzione di gravidanza in Italia e quindi, se ancora si può definire fatto un dato che può apprezzarsi in termini di verità/falsità, falsi.

Secondo l’ultima relazione annuale del Ministero della salute sull’applicazione della legge 194 infatti «nel 2016 il numero di Ivg riferito dalle regioni è stato pari a 84.926, con una diminuzione del 3.1% rispetto al 2015, anno in cui la riduzione delle Ivg rispetto all’anno precedente è stata sensibilmente maggiore (- 9.3%). Per il terzo anno di seguito il numero totale delle Ivg è stato inferiore a 100.000, più che dimezzato rispetto ai 234.801 del 1982, anno in cui si è riscontrato il valore più alto in Italia. Considerando solamente le Ivg effettuate da cittadine italiane, per la prima volta il valore scende al di sotto di 60.000: la riduzione dal 1982 ha subito un decremento percentuale del 74.7%, passando da 234.801 a 59.423 nel 2016.

Tutti gli indicatori confermano il trend in diminuzione: il tasso di abortività (numero di Ivg per 1000 donne tra 15 e 49 anni), che rappresenta l’indicatore più accurato per una corretta valutazione della tendenza del ricorso all’Ivg, è stato 6.5 per 1000 nel 2016, rispetto a 6.6 nel 2015, con una riduzione dell’1.7%. Il dato italiano rimane tra i valori più bassi a livello internazionale».

In particolare, prosegue la relazione «tra le minorenni, il tasso di abortività per il 2016 è risultato essere pari a 3.1 per 1000, valore identico a quello del 2015, ma in diminuzione rispetto agli anni precedenti (3.7 nel 2014, 4.4 nel 2012), con livelli più elevati nell’Italia centrale; i 2 ̇596 interventi effettuati da minorenni sono pari al 3.0% di tutte le IVG (erano il 2.9% nel 2015). Come negli anni precedenti, si conferma il minore ricorso all’aborto tra le giovani in Italia rispetto a quanto registrato negli altri Paesi dell’Europa Occidentale».

Anche tra le donne straniere, secondo i dati del Ministero, «dopo un aumento importante nel tempo, le Ivg (…) si sono stabilizzate e negli ultimi 3 anni cominciano a mostrare una tendenza alla diminuzione: sono il 30.0% di tutte le Ivg nel 2016 rispetto a 31.1% nel 2015».

Quanto alle Ivg oltre le 12 settimane di gestazione «si riscontra una tendenza all’aumento della percentuale (…): 5.3% nel 2016, 5.0% nel 2015, 4.7% nel 2014, rispetto al 3.8% nel 2012. Una percentuale che rimane comunque fra le più basse a livello internazionale».

E la misura della riduzione nel tempo del numero delle Ivg risulta anche dal dato, pure riportato nella relazione, relativo al carico di lavoro dei medici non obiettori, che si è dimezzato dal 1983, un risultato dovuto, secondo il Ministero, «complessivamente al più che dimezzamento delle Ivg in trent’anni rispetto alla quasi costanza del numero dei non obiettori, che negli ultimi due anni risultano aumentati in numero assoluto».

Sulla base di questi dati la relazione conclude quindi che «dal 1983 l’Ivg è in continua e progressiva diminuzione in Italia; attualmente il tasso di abortività del nostro Paese è fra i più bassi tra quelli dei paesi occidentali».

Questo pur a fronte di una modificazione significativa del tessuto sociale, conseguente alle migrazioni e quindi all’ingresso nel nostro Paese di donne con comportamenti, quanto alle scelte riproduttive, anche molto diversi, per varie ragioni.

La relazione conferma infatti che «un terzo delle Ivg totali in Italia continua ad essere a carico delle donne straniere», ma anche che il loro «contributo che è andato inizialmente crescendo (…), dopo un periodo di stabilizzazione, sta diminuendo in percentuale, in numero assoluto e nel tasso di abortività».

Così che può affermarsi riassuntivamente, a quarant’anni dall’entrata in vigore della legge, che l’aborto volontario in Italia «non è mai stato un mezzo di controllo delle nascite».

Infine quanto alla natura della cd. contraccezione di emergenza, lo stesso Ministero della salute (secondo quanto può leggersi qui) qualifica la cd. “pillola del giorno dopo” o dei cinque giorni dopo come metodo contraccettivo diretto a impedire la fecondazione o a ritardare l’ovulazione, non quindi come un abortivo, causa di «uccisioni nascoste».

Tutti i dati ufficiali raccontano quindi una realtà, non semplicemente diversa, ma opposta rispetto a quella rappresentata nella mozione: dicono che è falso che la legge 194 abbia concorso a rendere l’aborto un metodo contraccettivo e quindi − si assumerebbe − a diffonderne la pratica, che al contrario, nei quarant’anni di vigenza della legge, si è radicalmente ridotta, e dicono invece che questa legge ha salvato la vita di tante donne.

Perché è questo fatto che si oppone, duro e ineliminabile, alla realtà alternativa dei sostenitori della mozione: senza la 194 non smetterebbero di esistere gli aborti, esisterebbero solo quelli clandestini, questi davvero tante volte «uccisioni nascoste», perché nessuna donna può essere costretta alla maternità. E certo non valgono a convincere chi non intenda affrontare questa scelta i progetti che il comune di Verona vuole «congruamente finanziare»: dal sito delle associazioni che li promuovono si apprende infatti che si tratta di un sostegno economico a madri in difficoltà dalla nascita per il periodo di un anno della vita del bambino. Dopo evidentemente la vita ha meno bisogno di essere difesa.

*Per ulteriori approfondimenti, si rimanda alla riflessione sullo stato d’attuazione della legge 194 – Diritto d'aborto, diritto negato – che Magistratura democratica ha dedicato alla Giornata internazionale della donna del 2017, https://bit.ly/2OLCYhJ

10/10/2018
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