Magistratura democratica
Magistratura e società

"La resistenza delle donne" di Benedetta Tobagi

di Barbara Berruti
direttrice dell'Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea "Giorgio Agosti" - Istoreto

La recensione al libro di Benedetta Tobagi, vincitrice del Premio Campiello 2023

Nel libro L’Abbazia di Northanger, Jane Austen scrive che la protagonista, Catherine Morlas, un’appassionata lettrice di romanzi gotici, a proposito dei libri di storia a un certo punto dichiara: «Ne leggo un po’ quasi per dovere, ma non mi dice [sic!] nulla che non mi secchi o mi annoi. Quelle dispute fra papi e re, con guerre e pestilenze a ogni pagina. Quegli uomini tutti buoni a nulla e così poche donne, alla fine mi stancano». Forse le sarebbe piaciuto il libro di Benedetta Tobagi La resistenza delle donne (Einaudi, 2022) uno straordinario racconto corale tutto al femminile che restituisce il momento in cui le donne per la prima volta entrano in massa nella sfera pubblica. È la guerra a favorire e ad accelerare questo processo, che ha radici profonde, ma che diventa particolarmente visibile dopo l’8 settembre 1943, quando si assiste a un’ulteriore sconfinamento verso una sfera a cui le donne non avevano mai avuto accesso: quella militare.

Il vuoto di potere che si viene a creare con l’armistizio e la natura stessa della guerra di liberazione aumentano i margini decisionali dei singoli, siano essi uomini o donne, e molti colgono questa opportunità per fare delle scelte. Questo momento è vissuto come un passaggio decisivo, non solo politico ma anche esistenziale. Nelle memorie dei partigiani si parla spesso di “momento alto”, di palingenesi, ma per le donne è una vera e propria rivoluzione: in quei pochi mesi hanno la possibilità di sperimentare una libertà inaspettata che è per certi versi inebriante. Fuori dal secolare controllo di padri, mariti, fratelli sono finalmente padrone del loro presente. La scelta compiuta in quel momento è decisiva. Senza l’aiuto della popolazione civile la resistenza non avrebbe mai potuto essere. I partigiani sanno bene che per combattere in montagna (e anche in città) è necessaria una collaborazione fattiva delle popolazioni. E le popolazioni sono composte soprattutto da donne, bambini e anziani.

Senza le donne che abitano il territorio, che collegano le varie formazioni, che portano le vettovaglie, fanno la sentinella, nascondono e ospitano i prigionieri alleati, gli ebrei, i partigiani stessi, la resistenza non avrebbe potuto essere. Non è tutto però: alcune donne in quella fase compiono scelte radicali e di grande rottura, come quelle che le portano a entrare in banda o a prendere le armi. Per farlo, come ci racconta la Tobagi, devono «uccidere l’angelo del focolare», il «fantasma più potente tra quelli introiettati dalle donne nei secoli» che si agita ancora con forza dentro la maggior parte di loro. Tuttavia è proprio questa società così fortemente patriarcale che consente alle partigiane di giocare con i ruoli, di «fare teatro» compiendo azioni che gli uomini non solo pensano che le donne non siano in grado di fare ma nemmeno di pensare.

Le memorie e le testimonianze, raccolte in epoche successive al conflitto, ci restituiscono tutto questo, così come lo fanno le fotografie pubblicate nel libro, circa 150 provenienti principalmente dagli archivi degli Istituti della Resistenza, che ci mostrano le protagoniste nel momento in cui la guerra è il loro presente. Lo sguardo della Tobagi sulle foto è attento, indugia sui gesti, studia le espressioni e la composizione delle immagini e la sua lettura ci consegna una stagione piena di speranze, di passioni, di sogni per un futuro che si voleva diverso, ma anche una stagione vissuta in tempo di guerra, con tutte le conseguenze che questo comporta. Partecipare attivamente al conflitto significa per molte donne conoscere il carcere, la tortura, la deportazione, l’impiccagione, la fucilazione e lo stupro. Attraverso un montaggio sapiente la Tobagi ci conduce dentro le molte emozioni di quei venti mesi: dalla paura all’amore, dalla gioia alla morte fino alla liberazione. C’è una foto particolarmente emblematica che introduce questo momento: è un’immagine che ritrae un gruppo di partigiani sotto la pioggia, tra di loro spicca una giovane donna con un cappotto bianco. Nessuno sorride. È il momento in cui si fanno i conti con i compagni e le compagne che non ci sono più, con i lutti che molte hanno nel cuore, ma anche, come racconta Marisa Ombra, con «un presagio di nostalgia […] finiva per noi ragazze la trasgressione». È la “tristezza” della liberazione, che porta con sé luci e ombre. I padri (spesso anche le madri) e i fratelli infatti non permettono a figlie e a sorelle di partecipare alle sfilate della liberazione, i comandanti consigliano alle partigiane di rimanere ai margini dei cortei.

Il primo segnale della fine della guerra e del ritorno alla normalità è proprio quello di riportare le “brave ragazze” nello spazio che tradizionalmente è considerato loro, la casa, di rinchiuderle nel privato, a dimostrazione che tutto torna, anche nel paese liberato, come prima. «Zitte e buone» è il capitolo in cui la Tobagi ci restituisce il passaggio in cui le donne prendono coscienza del fatto che la guerra trasversale che hanno combattuto in quei mesi, quella contro una società ancora rigidamente patriarcale, non ha prodotto nell’immediato risultati positivi e che il loro protagonismo sarà a lungo, negli anni a venire, taciuto. Solo a partire dagli anni settanta infatti si cominciano a raccogliere memorie di antifasciste, di partigiane in armi e deportate e ancora nel 1990 Anna Bravo nel volume Uomini e donne nelle guerre mondiali (Laterza) riflette sul fatto che le donne hanno fatto per la Resistenza molto più di quanto la Resistenza non abbia fatto per loro: esse infatti hanno combattuto per liberare il Paese dal fascismo, ma lo «scambio è stato ineguale» e i conti sono ancora aperti. Per cominciare a pareggiarli si è reso necessario guardare alla storia con occhi diversi, interpretare le azioni delle donne usando altre categorie, quelle della politica per esempio, dare loro visibilità come soggetto collettivo ma anche restituire identità alle singole protagoniste restate in ombra troppo a lungo, farle «tornare alla luce», come recita l’ultimo capitolo di questo libro. Benedetta Tobagi contribuisce a questa operazione restituendoci uno straordinario affresco di donne più o meno note che hanno fatto la storia di quegli anni.

La resistenza delle donne è dedicato a loro, alla «nostre antenate», ma anche a quelle studiose che, in stagioni successive, hanno saputo restituire il senso politico e il valore storico all’agire della resistenti, sottraendole alla categoria della “normalità” sotto cui sono state troppo a lungo etichettate.

07/10/2023
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