Magistratura democratica
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I voti (sostanzialmente) politici del Consiglio Superiore della Magistratura

Mario Serio
Professore di Diritto Privato Comparato presso l'Università di Palermo, già componente di nomina parlamentare del CSM nella consiliatura 1998-2002

Le deliberazioni del Csm, pur formalmente connotate da un alto grado di discrezionalità di natura tecnica, costituiscono espressione di attività di alta amministrazione e, come tali, ospitano in grado elevato valutazioni in senso ampio politiche. Ad esse concorrono tutti i Consiglieri. Sebbene nessuna norma lo precluda, di norma e programmaticamente il Vice Presidente non prende parte alle votazioni in materie rientranti nella amministrazione corrente. Proprio per il carattere consolidato di questa prassi, che costituisce una sorta di autolimitazione, in genere preannunciata dallo stesso Vicepresidente all'inizio della carica, e per gli importanti riflessi che ne derivano sul piano dell'assetto consiliare è utile la ricerca delle rigorose e previamente conoscibili ragioni e delle condizioni che concorrono a determinarla e, soprattutto, di quelle che ne possano consentire o suggerire una deroga.

Già risalenti esperienze dell'organo (basti ricordare l'intervento consentito dal Presidente della Repubblica al componente eletto nelle liste di Magistratura Democratica nel corso della seduta del 4 agosto 1998) recano traccia dell'importanza del fatto che l'elezione del Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura venga preceduta da momenti di preliminare esercizio di forme democratiche di partecipazione al voto, quali la pubblica presentazione delle candidature e, preferibilmente, il preannuncio del programma ispiratore delle stesse. Solo un voto informato, infatti, può assolvere una duplice, benefica funzione. In primo luogo, perché serve a guidare la scelta degli elettori, consentendo loro di conoscere in anticipo gli orientamenti ideali e programmatici dei candidati e di basare su di essi l'espressione di voto. In secondo luogo, la previa diffusione delle aspirazioni alla carica, corredata dalla necessaria illustrazione delle linee ispiratrici della futura azione, dà luogo ad una sorta di vincolo ideale che grava sui candidati in quanto la coerenza dei comportamenti successivi si traduce nel quotidiano metro di giudizio sulla appropriatezza della elezione iniziale. In altri termini, si creano le premesse per la compiuta realizzazione di quel processo tipico delle democrazie assembleari che va sotto il nome di “accountability”, nozione nella quale si condensa la fondamentale esigenza che ogni titolare di cariche elettive si assoggetti al dovere di render conto del proprio operato davanti a chi lo ha preposto. Sottoposizione che non automaticamente comporta l'applicazione di sanzioni incidenti sulla permanenza nella carica o nell'ufficio, ma che certamente è in grado di esprimere un basilare valore dell'etica pubblica consistente nel mantenimento degli impegni solennemente assunti e nel perseguimento di quelle istanze poste come base giustificativa di ogni candidatura. E l'allineamento tra posizioni promesse e loro concreta esplicitazione fornisce un solido strumento di controllo diffuso sul buon esercizio del potere pubblico e di rispetto del mandato ricevuto. In effetti, la tradizione consiliare ha sempre emulata quella parlamentare in occasione di elezioni dei presidenti delle assemblee rispettive o, nel caso della convocazione delle camere in seduta congiunta, del presidente della repubblica, dei componenti il CSM e dei giudici costituzionali. Si è così imposta una prassi che ha invertito il momento cronologico, ed in un certo senso istituzionale, del processo democratico, prevedendo le (in genere brevi ed ecumeniche) postume dichiarazioni programmatiche dell'eletto. Se un siffatto capovolgimento dell'ordine logico non giova agli obiettivi di prevedibilità dell'azione amministrativa, è anche vero che, comunque, le dichiarazioni successive all'elezione obbediscono alla medesima finalità di quelle preventive, nel senso che anche esse finiscono con il sigillare sul piano dell'etica pubblica il futuro operato dell'eletto e con il rendere egualmente attivo il principio dell'"accountability",in qualunque momento azionabile quanto meno sul piano della verifica della perdurante meritevolezza della fiducia prima accordata sul semplice “star del credere”. Tra i temi che, prima o dopo l'elezione, il Vice Presidente è usualmente chiamato ad affrontare vi è a livello preminente e fondante quello della neutralità del ruolo, la cui massima esplicitazione è, altrettanto usualmente, sublimata nella preavvertita mancata partecipazione ai voti assembleari (cui fa da corrispettivo regolamentare la sua mancata inclusione nelle commissioni referenti) .Si ritiene comunemente, e ragionevolmente, che una simile misura sia in grado di soddisfare al più elevato livello il requisito dell'astrazione dai dibattiti, soprattutto da quelli più divisivi, perché implicanti un'opzione tra una pluralità di soluzioni prospettate. L'anteriore dichiarazione in tal senso non va certamente ascritta al novero delle autolimitazioni la cui eventuale rimozione ad opera dell'interessato si risolva meccanicamente in un vizio della deliberazione cui il Vice Presidente partecipi. E', infatti, intuitiva la ragione contraria, consistente proprio nella mancanza di un divieto o di una preclusione regolamentare. Anzi, potrebbe aiutare l'opposto comportamento la previsione normativa secondaria, che, attribuendo peso “casting”, al voto del Vice Presidente implicitamente ma inequivocamente ammette tale possibilità. Tuttavia, il discorso descrittivo delle attribuzioni (e delle corrispondenti limitazioni) vicepresidenziali resterebbe pregiudizievolmente monco se non tenesse conto di una serie di elementi capaci di ricondurre l'analisi al terreno su cui queste riflessioni devono impiantarsi, quello dell'"accountability", quale somma delle componenti che rendono una figura pubblica concreta pienamente conforme all'astratto modello esemplare di un titolare di cariche istituzionali. E si vedrà nelle successive, concise osservazioni che anche l'area della legittimità delle deliberazioni cui abbia partecipato con il proprio voto è tutt'altro che immune da possibili conseguenze. La preannunciata, e per lungo tempo attuata, intenzione di estranearsi dal voto indubbiamente crea l'affidamento circa la prosecuzione di tale atteggiamento: è ovvio che, in termini di libertà di autodeterminazione, non possa configurarsi alcun ostacolo al mutamento di volontà. Tuttavia, ferma restando la questione di primario significato pubblico dell'aderenza all'originario programma, questo non può non esplicare effetti quanto alla chiara, convincente, razionalmente sostenibile illustrazione dei motivi induttivi di un tanto sensibile cambio di passo. Si è, infatti, di fronte ad una netta deroga ad un progetto sul quale si erano fondati radicati equilibri che inaspettatamente vengono ad essere intaccati. Ed allora, il punto non è solo quello, già di per sé rilevante, dell'abbandono di una strada ufficialmente (si potrebbe, perfino, dire solennemente) esternata: il cuore del problema si colloca ad una specie di metalivello, ossia quello della esplicita predeterminazione delle condizioni e delle occasioni la cui presenza in futuro possa legittimare la ripetizione di una prassi derogatoria. Non si intende certo predicare che si debbano minutamente e casisticamente predire le circostanze nelle quali il ribaltamento potrebbe avvenire: il principio di coerenza e prevedibilità dell'agire pubblico induce a ritenere che, almeno, si offrano parametri omogenei e suscettibili di apprezzabile prognosi empirica dai quali poter desumere la previsione che in futuro si rompa con la tradizione astensionistica per dirigersi verso quella fattivamente partecipativa. Appare a questa stregua difficilmente contestabile che questo nuovo ed alternativo “manifesto” controprogrammatico diviene atto politico perché interviene novativamente su un tessuto cucito alla luce di promesse implicanti sicure assunzioni di responsabilità proprio sul piano politico-istituzionale, quale è quello della equidistanza vicepresidenziale rispetto a posizioni oggetto di controverso dibattito. Un possibile metodo diretto ad irrobustire la posizione derogatoria, sì da sottrarla al rischio di una sua insufficiente o non persuasiva rappresentazione, potrebbe ragionevolmente essere quello per cui le votazioni implicanti selezione di persone, in quanto ricadente su aspetti singolari e non di generale amministrazione consiliare, dovrebbero restare escluse dal perimetro derogatorio. Ancor più sconsigliabile potrebbe rivelarsi il ricorso all'abidicazione da una strada già tracciata e costantemente percorsa allorché sia prevedibile o addirittura manifesta, in base all'andamento della discussione pubblica, la decisività del voto vicepresidenziale. Peraltro, la sviamento da una strada maestra potrebbe incoraggiare il timore della disparità di trattamento e di ingiustificata modificazione della prassi con riferimento alle deliberazioni includenti il determinante apporto del Vice Presidente. A questo riguardo riesce utile volgere lo sguardo all'esperienza del quadriennio luglio 1998-luglio 2002,al cui esordio il Vice Presidente Giovanni Verde palesò il suo intendimento di partecipare alle sole deliberazioni il cui esito avrebbe potuto essere influenzato dal proprio voto, salvo, poi, aver sempre lodevolmente rinunciato a tale facoltà, pur quando la situazione prospettata si era in effetti verificata (“melius re perpensa” verrebbe da dire). A suffragio della tesi qui sostenuta che tende a comprimere fino ai limiti della somma parsimonia l'esplicazione “contra factum proprium” della facoltà di voto del Presidente dell'assemblea plenaria che si occupi di deliberazioni riguardanti persone da nominare, preporre, scegliere, valutare, etc., sta un delicatissimo argomento di fondo che attiene all'essenza stessa del ruolo del Vice Presidente quale organo sostitutivo nell'ordinaria attività consiliare del suo alto Titolare quale designato dalla Costituzione. E' noto che il Vice Presidente, proprio in armonia al nitido disegno costituzionale, derivi il proprio diuturno potere gestorio dalla delega presidenziale la cui estensione ed ampiezza non possono soffrire di anelastiche immutabili predeterminazioni, pena la scalfitura della stessa posizione del Capo dello Stato. In sostanza, seppur in via mediata, ogni atto del Vice Presidente, in quanto delegato di funzioni, può dirsi riferito, almeno quanto agli effetti, al titolare, come, ad esempio, dimostra la circostanza che è presidenziale il decreto di composizione delle commissioni consiliari, emanato su proposta del Comitato di presidenza. Proprio l'auspicabile mantenimento della siderale distanza del Presidente dalle contingenze consiliari, a partire da quelle dai combattuti riflessi individuali, potrebbe risultare un efficace e salutare argomento dissuasore dall'adozione di strappi del Vice Presidente rispetto alla perpetuata prassi ed in carenza di una definita cornice legittimante.

La coordinata somma di queste considerazioni conduce circolarmente alle premesse del discorso. Il peccato originale della mancata manifestazione di candidati e programmi inerenti alla carica di Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura può dirsi supplita in via successiva dalle dichiarazioni conseguenti all'avvenuta elezione. Tuttavia, perché l'iniziale, seria lacuna venga soddisfacentemente colmata occorre che alle intenzioni rese note in un secondo tempo corrisponda la consapevolezza di appartenere ad un circuito pubblico di "accountability", da cui scaturisce l'obbligo discendente dallo statuto non scritto dell'etica pubblica di esporsi quotidianamente allo scrutinio degli elettori allo scopo di una costante dimostrazione della intatta ricorrenza della fiducia d'origine. E l'assenza nell'ordinamento consiliare di strumenti assimilabili a quello parlamentare della sfiducia non rende per questo più salda la posizione del Vice Presidente, almeno in ragione della immancabilità della permanenza di un giudizio estimatorio positivo. E questo a tutela del prestigio e dell'affidabilità dell'Istituzione che, senza i riferimenti al concreto impegno di chi la popola, finisce per diluirsi in un'impalpabile astrazione mentale, avulsa dal doveroso collegamento con l'ansioso ed esigente corpo sociale di riferimento.

10/07/2023
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