Magistratura democratica

Fascicolo 4/2016

NUMERO MONOGRAFICO|Il giudice e la legge

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Sommario

Editoriale

Riflessioni sulla creatività della giurisprudenza

Contro la giurisprudenza creativa

Luigi Ferrajoli
Gli spazi della discrezionalità interpretativa nell’esercizio della giurisdizione sono enormi e crescenti, a causa dell’inflazione delle leggi, del dissesto del linguaggio legale e della struttura multilivello della legalità. Muovendo da questa premessa, l’Autore critica i molti orientamenti teorici e dottrinari – kelseniani, post-kelseniani, ermeneutici, principialisti, neopandettisti, realisti – che contribuiscono ad allargare ulteriormente tali spazi, fino a teorizzare il ruolo creativo della giurisdizione e perciò il declino della soggezione dei giudici alle leggi sulla quale si fonda la legittimazione del potere giudiziario. Rileva, alla base di queste teorizzazioni, svariati equivoci epistemologici, primo tra tutti una concezione ristretta e insostenibile della cognizione giudiziaria quale conoscenza oggettiva e della verità giuridica come verità assoluta. E propone una ricostruzione epistemologica alternativa del ragionamento dei giudici, basata sulla valorizzazione della dimensione equitativa di ogni giudizio e perfettamente compatibile con il principio di legalità, con la separazione dei poteri e con la soggezione dei giudici alla legge.

Ancora sull’abuso del diritto
Riflessioni sulla creatività della giurisprudenza

Nicolò Lipari
L’Autore – muovendo da un ragionamento su quello che può sembrare un apparente ossimoro (l’abuso di un diritto) – sviluppa le proprie riflessioni sul nuovo modo di porsi della riflessione giuridica rispetto al diritto come esperienza, rilevando che il processo di sussunzione, inteso come deduzione logica da una norma data, non è più lo strumento principe per individuare il diritto. In altri termini – osserva l’Autore nelle conclusioni del suo contributo – «va ripensato il concetto di legalità, facendola nascere dal basso di vicende giudizialmente riconosciute e socialmente condivise». Nell’esperienza contemporanea assumono infatti rilievo cruciale l’argomentazione nel processo applicativo del diritto e il riferimento alla concretezza del rapporto dedotto in giudizio. L’interpretazione giudiziaria si muove necessariamente in un quadro in cui principi, regole e caso concreto si trovano continuamente ad interagire; in tale contesto, si rende così possibile la costituzionalizzazione del diritto, operazione che, però, impone estremo rigore nei modi di svolgimento del procedimento argomentativo. È in questo quadro che – e ancor prima della previsione testuale in un dato legislativo e valorizzando al massimo grado l’interpretazione che muova da principi e clausole generali – la teoria dell’abuso del diritto ha potuto trovare spazi di affermazione.

L’autonomia privata nella cornice costituzionale:
per una giurisprudenza evolutiva e coraggiosa

Francesco Macario
Il saggio ripercorre rapidamente l’evoluzione della giurisprudenza più recente che, in materia di obbligazioni e contratti, ha inquadrato, con sempre maggiore convinzione, la questione giuridica civilistica nella cornice dei principi costituzionali, in particolare del principio di solidarietà collegato all’applicazione delle norme sugli obblighi di correttezza e buona fede. Tale itinerario giurisprudenziale va letto anche come esito degli studi, maturati in sede dottrinale un paio di decenni prima, sul rapporto tra autonomia privata e principi costituzionali, con la proposta della «rilettura» del codice civile alla luce della Costituzione e dei nuovi valori che la stessa esprime e promuove. La familiarità acquisita dalle Corti (con l’avallo della Suprema corte e, di recente, anche della Consulta) con la clausola generale di correttezza e buona fede, in ambito contrattuale, è espressione di un nuovo rapporto tra il giudice e la legge, dando l’impressione che siano ormai maturi i tempi per l’affermarsi di una coraggiosa (e, ad avviso di chi scrive, da condividere e incoraggiare) giurisprudenza «per principi».
Che le barriere ideologiche e pregiudiziali edificate dalle estremizzazioni del formalismo e del gius-positivismo siano superabili, grazie a un «diritto vivente» consapevole della realtà attuale e delle sue potenzialità ermeneutiche, è dimostrato, da ultimo, dalla recente giurisprudenza costituzionale sul trattamento dello «squilibrio contrattuale», con riferimento alla riduzione della caparra eccessiva. La voce della più consapevole e autorevole giurisprudenza, anche quella di provenienza costituzionale, fa comprendere dunque il senso attuale del diritto vivente, il significato concreto di un’attività giurisdizionale che lasci spazio alla «creatività» del giudice (lontanissimo, invero, dai timori paventati dai più strenui sostenitori del gius-positivismo), contribuendo, in modo altrettanto concreto, al dibattito sull’idea di «certezza del diritto».

Il ruolo e la legittimazione della magistratura

La magistratura di fronte alle derive post-democratiche

Geminello Preterossi
In questo contributo l’Autore muove dalla constatazione della significativa espansione degli ambiti di intervento della giurisdizione. Si tratta di fenomeno legato alla pressione derivante dal bisogno di riconoscimento delle soggettività incarnate che emerge nelle società contemporanee e alla difficoltà dei titolari delle funzioni di indirizzo politico di rispondere a (e ordinare le) istanze sociali nella loro totalità. In questo contesto, nel quale si agitano anche i protagonisti del mondo globalizzato, il potere giudiziario – osserva l’Autore – esercita una fondamentale funzione di sensore sociale, capace di esercitare una fondamentale funzione integrativa del diritto. È però indispensabile ricostruire culture e identità politiche radicate nella società e autonome rispetto ai poteri economici e, per altro verso, rifuggire da concezioni tecnico-sapienziali della giurisdizione che, in sé considerate, non avrebbero le risorse indispensabili per valorizzare la portata garantista del progetto sociale emancipativo scritto nella Costituzione repubblicana.

La legittimazione e il suo doppio
(magistrati e consonanza con la Repubblica)

Pier Luigi Zanchetta
In questo contributo – già pubblicato su Questione giustizia n. 1/1999 –  l’Autore ragiona sul ruolo della magistratura nella società contemporanea e sulla legittimazione della giurisdizione ad intervenire in campi ove la legislazione «non riesce a dire tutto». Nel contributo qui ripubblicato si riflette su due tipi di legittimazione – quella istituzionale (anzitutto, la soggezione del giudice solo alla legge) e quella democratica – e si osserva che nessun esperimento di ingegneria costituzionale, agìto sul solo piano dei meccanismi di legittimazione istituzionale, potrà mai risolvere definitivamente l’eterna questione della legittimazione dell’intervento della magistratura. Al piano istituzionale – comunque irrinunciabile – può e deve accompagnarsi un’ulteriore legittimazione democratica, mai conquistata una volta per tutte, rappresentata da una perenne tensione e da una perenne ricerca di consonanza del giudice con la Repubblica, ossia la consonanza non con il popolo attuale e contigente, bensì la consonanza con il popolo eterno considerato dalla Costituzione.

I diritti fondamentali e la tutela multilivello

Il sistema di tutela multilivello e l’interazione tra ordinamento interno e fonti sovranazionali

Roberto Giovanni Conti
Il contributo prova a fare il punto sullo stato della giurisprudenza interna in tema di rapporti fra ordinamento interno e Cedu, passando in rassegna alcune pronunzie della Corte di cassazione su temi eticamente sensibili. La prospettiva scelta dall’Autore è volta ad evidenziare gli effetti positivi prodotti dall’innesto dell’impianto convenzionale nell’ordinamento positivo ed è tesa,  dichiaratamente, a promuovere un approccio equilibrato ai diritti fondamentali con una lente non offuscata da “precondizionamenti” che impedirebbero di scrutare la ricchezza infinita delle costellazioni dei diritti, indagando con l’ottica giusta sul pluralismo delle fonti e sulle loro sempre più marcate interconnessioni, grazie alle quali si è reso possibile, nell’ordinamento interno, il raggiungimento progressivo di standard di tutela della persona e dei suoi valori inimmaginabili nel passato.

L'attività interpretativa e il silenzio della legge

L’interpretazione creativa del giudice non è un ossimoro

Antonio Lamorgese
Nella filosofia politica il concetto formale di democrazia, come modo di formazione del diritto (nel quale le leggi sono adottate dai destinatari attraverso i loro rappresentanti secondo il principio di maggioranza), è stato sostituito da un concetto sostanziale nel quale è imprescindibile la protezione dei diritti fondamentali attraverso la rigidità costituzionale e la garanzia della giurisdizione (R. Guastini, La grammatica dei diritti, in La vocazione civile del giurista, 2013, p. 57). In questa prospettiva la giurisprudenza costituisce un importante indicatore del tasso di democraticità di una nazione. Se un tempo i giudici potevano nascondersi dietro il testo formale della legge (della quale erano considerati soltanto una bocca), oggi più di ieri la loro attività interpretativa è spesso creativa e densa di opzioni valoriali che essi dovrebbero enunciare nelle sentenze. La responsabilità dei giudici è aumentata e con essa il bisogno di un più efficace controllo sociale.

Dire il diritto che non viene dal sovrano

Enrico Scoditti
Nell’ipotesi di diretta attuazione della Costituzione, per i casi non contemplati dalla legge, il diritto che il giudice applica non è il principio costituzionale astrattamente considerato, ma la norma di diritto risultante dal bilanciamento dei principi in relazione alle circostanze del caso concreto. Il diritto di cui si fa applicazione non è quindi posto dal legislatore, ma rinvenuto dal giudice quale regola del caso concreto. La sentenza che enuncia il relativo principio di diritto costituisce precedente vincolante per i casi riconducibili al medesimo principio perché solo nella pronuncia giudiziaria, e non altrove, si è manifestato il diritto. Laddove il diritto non venga dal sovrano (come anche nell’ipotesi di concretizzazione delle clausole generali) deve pertanto presumersi operante la regola dello stare decisis. Se invece il diritto da applicare corrisponde a quello legislativo, i margini di vincolatività del precedente sono fissati dal legislatore.

Il rapporto tra giudice e legge nelle varie branche dell'ordinamento

Giurisdizione e interpretazione in Cassazione

Alberto Giusti
L’Autore, anzitutto, tratteggia le questioni teoriche che si agitano attorno al tema della interpretazione creativa e rimarca la necessità che venga conservata chiarezza sul confine tra interpretazione della legge e sua produzione (pena la violazione del principio di separazione dei poteri). La riflessione, poi, prosegue segnalando come l’argomentazione – che muove da principi (costituzionali e di matrice sovra-nazionale), che valorizza clausole generali e che tiene conto della specificità dei casi della vita – consenta alla giurisdizione di offrire risposte sul piano applicativo che si muovono comunque in una cornice di legalità. L’Autore passa allora in rassegna alcuni casi in cui la giurisdizione si è trovata su quel delicato confine; vengono – tra le altre – esaminate decisioni in materia di rapporti tra procreazione medicalmente assistita e azione di disconoscimento di paternità, di trascrizione in Italia dell’atto di nascita straniero del figlio generato da due donne con ricorso a tecniche di Pma, di rettificazione di attribuzione di sesso, di (non) delibazione di sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio concordatario. All’esito di tale rassegna l’Autore constata che è possibile – per la giurisdizione – «adeguare l’interpretazione delle disposizioni di legge al continuo mutare delle esigenze e dei costumi, entro i confini consentiti dal testo normativo ed alla luce dei principi posti dalla giurisprudenza costituzionale e dalle pronunce delle corti sovranazionali».

I giudici, il diritto del lavoro e l’interpretazione che cambia verso

Anna Terzi
Dopo una stagione di intenso impegno interpretativo nel dare alle nuove norme del diritto del lavoro un carattere compiutamente autonomo e speciale, fondato sulla ideale adesione ai principi costituzionali dettati in materia, la magistratura del lavoro ha fortemente risentito del mutamento del clima complessivo, inclinando verso interpretazioni riduttive delle norme e dei diritti e dando vita ad una creatività regressiva rispetto alle precedenti tendenze. Da ultimo, pare ormai affermato un conformismo diffuso e sentito addirittura come doveroso da parte dei magistrati del lavoro.

Le trasformazioni della legalità penale nel sistema multilivello delle fonti

Guglielmo Leo
L’Autore osserva che il concetto di legalità è oggi soggetto a spinte evolutive che ne stanno modificando la portata (il protagonismo dei diritti umani, la penetrazione e l’impatto nel nostro ordinamento delle fonti sovranazionali e della giurisprudenza delle corti sovranazionali Edu). Tuttavia, l’interazione tra fonti non può in alcun modo essere vissuta in modo acritico, essendo necessario avere piena consapevolezza della profonda valenza garantistica che tuttora conserva il principio di legalità penale così come risulta scolpito nella nostra Costituzione. Nel contributo che qui pubblichiamo, l’Autore prende in particolare considerazione due casi che mettono in evidenza i possibili punti di frizione – sotto il profilo del rispetto del principio di legalità – nelle dinamiche di interazione tra ordinamento interno e fonti sovranazionali. Si allude ai delicati temi implicati dalla sentenza resa dalla Corte di giustizia nel caso Taricco e alla possibile attivazione – da parte della Consulta – dei controlimiti (il contributo qui pubblicato, redatto prima del deposito dell’ordinanza n. 24 del 2017, è stato poi aggiornato con pochi riferimenti essenziali al contenuto della decisione assunta dalla Corte costituzionale) e alle ricadute che può avere nel nostro ordinamento – e a quali condizioni – la giurisprudenza di Strasburgo inaugurata con il caso Contrada.

Appunti sul principio di legalità amministrativa

Dario Simeoli
Il presente scritto non vuole essere un contributo alla «teoria» del principio di legalità e neppure una riflessione storica sull’ideologia politica cui si deve il radicamento dello Stato di diritto. I rapidi e disorganici appunti che seguono sono dedicati alla «fenomenologia» frammentaria dei rapporti tra legge e amministrazione. Gli spunti raccolti rendono ragione del conclamato indebolimento strutturale della legge quale strumento di coordinamento e indirizzo degli apparati amministrativi funzionalmente diversificati e multiformi. L’evoluzione della tecnica, le politiche di liberalizzazione, le nuove istituzioni di regolazione, la perdita di centralità dello Stato rispetto alle istituzioni europee, hanno mutato in profondità la relazione tra autorità, società e diritto pubblico. Il principio di legalità appare oramai distante dall’archetipo secondo cui ogni manifestazione dei pubblici poteri deve trovare la sua base e il suo limite (formale e sostanziale) nella legge dello Stato. In importanti settori della vita economica e sociale, l’ordinamento predilige forme fluide di “indirizzamento” alla realizzazione di valori e principi, e non comandi rigidamente positivizzati.

Una prospettiva storica

Spunti per una ricostruzione storica

Alfredo Guardiano
In questo contributo, l’Autore ragiona sul diverso ruolo che la legge ha assunto nelle diverse epoche storiche e nei diversi modelli sociali.
Ci si sofferma poi, in particolare, sulle trasformazioni impresse al ruolo della legge dall’ordinamento fascista – prima – e da quello repubblicano – poi – al ruolo della legge all’interno del sistema delle fonti del diritto.
L’analisi considera anche l’impatto che la Costituzione repubblicana e la giurisprudenza costituzionale hanno avuto sull’attività giurisdizionale e, di riflesso, sul sistema delle fonti del diritto.
Non mancano poi, nella riflessione qui proposta, considerazioni sul rilievo che hanno storicamente assunto le matrici culturali dei protagonisti della giurisdizione nell’azione di adeguamento della legge alla Carta costituzionale e sulla sempre possibile tentazione del potere legislativo di circoscrivere – soprattutto in determinati ambiti – il perimetro di intervento della giurisdizione.