Magistratura democratica

La bestia tentacolare. Forme, tempi e luoghi del trattenimento degli stranieri in Italia

di Maurizio Veglio

È davvero possibile spingere oltre la violenza delle politiche sull’immigrazione, elevare la segregazione a canone normativo e immaginare di detenere migliaia di persone in riserve temporanee, come moderni Bantustan[1]?
Il dl n. 20/2023, convertito in l. n. 50/2023, contiene il più ambizioso progetto di isolamento e detenzione di massa dei cittadini di Paesi terzi dell’Italia repubblicana. Un disegno tentacolare e, nelle intenzioni, totalizzante, che completa il percorso avviato 25 anni fa con l’istituzione dei centri di identificazione ed espulsione.
Il refrain della semplificazione e dell’accelerazione delle procedure di asilo, che già aveva ispirato l’abrogazione del grado di appello[2], raggiunge ora una vetta parossistica. Siamo infatti di fronte a un autentico salto di qualità nel ricorso alla detenzione, che dovrà fare i conti – più che con una giurisprudenza balbettante sulla libertà degli stranieri – con vincoli materiali e finanziari. 

 

1. Enclave istituite dal Governo sudafricano nel XX secolo per l’isolamento delle minoranze indigene di pelle nera.

2. Dl n. 13/2017, conv. in l. n. 46/2017.

1. La permanenza negli hotspot ai fini identificativi / 2. Il trattenimento amministrativo negli hotspot / 3. La disciplina del trattenimento durante la procedura di frontiera / 4. Il trattenimento dei richiedenti protezione internazionale presso i cpr / 5. Il trattenimento nei cpr in attesa del trasferimento previsto dal cd. “regolamento Dublino” / 6. La natura eccezionale e residuale del trattenimento del richiedente asilo / 7. L’estensione dei termini massimi di trattenimento nei cpr ai fini del rimpatrio / 8. Fare della segregazione un rito 

 

1. La permanenza negli hotspot ai fini identificativi

La moltiplicazione delle procedure e dei luoghi della restrizione ne complica la classificazione. Ambienti fisici e definizioni giuridiche si sovrappongono ripetutamente, rendendo nei fatti speculativa la linea di demarcazione tra accoglienza e trattenimento. Prototipo di questo ambiente ibrido, nonché modello per analoghi vuoti giuridici, è l’hotspot – approccio, prima ancora che luogo –, al contempo sede di adempimenti burocratici (la raccolta delle impronte, l’informativa sull’asilo), di soccorso e prima assistenza, ma anche di trattenimento amministrativo, in particolare per la determinazione dell’identità degli stranieri e per i richiedenti protezione internazionale sottoposti alla cd. “procedura di frontiera”.

Il Testo unico sull’immigrazione non regola, né tantomeno prevede il trattenimento all’interno dei cd. “punti di crisi” per il rilevamento delle impronte digitali[3]. La permanenza segue infatti le prassi descritte nelle famigerate “Procedure operative standard” (SOP) ministeriali, secondo cui «la persona può uscire dall’hotspot solo dopo essere stata foto-segnalata concordemente con quanto previsto dalle norme vigenti», nonostante nessuna norma vigente consenta la restrizione[4]. Specularmente, il rifiuto reiterato di sottoporsi ai rilievi fotodattiloscopici configura il rischio di fuga e consente il trattenimento per 30 giorni in un centro di permanenza per i rimpatri (cpr)[5].

L’impalcatura giuridica del sistema hotspot è un castello di carta, che pure ha saputo resistere a un paio di terremoti con epicentro Strasburgo. In due occasioni, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per la privazione della libertà personale di cittadini stranieri a Lampedusa, in quanto priva di una base legale nel diritto nazionale[6]. Con la più recente sentenza, pubblicata il 30 marzo 2023, la Corte ha escluso che l’art. 10-ter d.lgs n. 286/1998 possa fornire una copertura legale al trattenimento, mancando di previsioni sostanziali e procedurali e non indicando nemmeno la durata massima della permanenza nell’hotspot, oltre a rilevare condizioni di permanenza degradanti per la dignità umana.

Eppure, la novella non solo ignora le condanne della Cedu ma, per ampliare la capacità ricettiva del sistema, prevede che «Per l’ottimale svolgimento degli adempimenti di cui al presente articolo, gli stranieri ospitati presso i punti di crisi di cui al comma 1 possono essere trasferiti in strutture analoghe sul territorio nazionale, per l’espletamento delle attività di cui al medesimo comma» (art. 10-ter, comma 1-bis, d.lgs n. 286/1998). È evidente che nessun luogo “analogo” a un hotspot, istituto già carente di fondamento normativo, può legittimamente essere utilizzato come ambiente detentivo. Sebbene la norma proponga una progressione eufemistica – ospitare, trasferire, espletare –, il convitato di pietra è sempre il trattenere, sempre in assenza di base legale, ora anche in altri luoghi, individuati d’intesa con il Ministero della giustizia, privi di qualunque definizione.

Ultima ma non meno importante notazione: la norma codifica la definizione degli stranieri ristretti presso gli hotspot a fini identificativi come «ospiti», vale a dire la medesima espressione comunemente utilizzata dal Ministero dell’interno e dagli enti gestori dei cpr per indicare le persone costrette nei centri di trattenimento. Coerentemente.

 

2. Il trattenimento amministrativo negli hotspot 

All’unica ipotesi di trattenimento presso gli hotspot – quella prevista per la determinazione dell’identità degli stranieri (art. 6, comma 3-bis, d.lgs n. 142/2015), ad oggi inattuata ma potenzialmente seriale – il dl n. 20/2023 aggiunge un’ulteriore fattispecie ad ampio raggio applicativo: la restrizione dei richiedenti asilo durante lo svolgimento della procedura di frontiera (art. 6-bis d.lgs n. 142/2015).

La norma prevede la possibilità del trattenimento «al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato». Destinatario della misura è lo straniero che richiede protezione internazionale in frontiera o nelle zone di transito[7] dopo essere stato fermato per avere eluso o tentato di eludere i controlli, o se proveniente da un Paese di origine designato come «sicuro».

Ulteriore requisito è la mancata consegna del passaporto o di altro documento equipollente in corso di validità, o l’assenza di idonea garanzia finanziaria[8]. I luoghi della restrizione sono «appositi locali» negli hotspot o, in caso di arrivi consistenti e ravvicinati, i cpr più prossimi. 

Benché la volontà che muove la riforma sia quella di paralizzare i richiedenti nei luoghi di frontiera (di sbarco, in primis), la lettura sistematica delle norme ne può comportare una significativa limitazione.

In primo luogo, l’applicazione è consentita esclusivamente nei confronti dello straniero che avanzi la domanda «dopo essere stato fermato», con esclusione quindi dei casi di presentazione spontanea alle autorità. Inoltre, la giurisprudenza di legittimità insegna che la sottrazione ai controlli di frontiera è esclusa qualora venga effettuato un controllo al momento dell’ingresso, compreso il fotosegnalamento[9]. Pertanto, la procedura accelerata – e il relativo trattenimento – non paiono applicabili nei confronti di chi sbarca a seguito di operazioni di soccorso in mare, al termine delle quali gli stranieri devono essere fotosegnalati, né nei confronti di quanti si rechino presso le autorità per presentare la domanda di protezione.

Quanto all’ipotesi della provenienza da un Paese sicuro, la direttiva 2013/32/UE (cd. “direttiva procedure”) stabilisce che un Paese può essere considerato sicuro sulla base di tre condizioni:

- la cittadinanza del richiedente (o il soggiorno abituale, in caso di persona apolide);

- la mancata invocazione di «gravi motivi per ritenere che quel paese non sia un paese di origine sicuro nelle circostanze specifiche in cui si trova il richiedente»;

- il «previo esame individuale della domanda» (art. 36, par. 1).

La legislazione nazionale prevede che i casi di applicazione della procedura accelerata siano determinati dal presidente della commissione territoriale, con obbligo di tempestiva informazione al richiedente «delle determinazioni procedurali assunte» (art. 28, comma 1, d.lgs n. 25/2008)[10]. Al di là del dubbio che tale iter soddisfi l’esigenza di un «previo esame individuale della domanda», è noto che nella prassi l’applicazione della procedura accelerata nei confronti di un richiedente in quanto ritenuto proveniente da un Paese di origine sicuro viene disposta dalla questura ricevente – per quanto priva di poteri di valutazione di merito – in virtù del mero dato anagrafico, in particolare della cittadinanza, ancora prima dell’invio dei documenti alla commissione territoriale. Tale prassi contrasta all’evidenza con le previsioni del diritto unionale e non potrà legittimare l’applicazione delle procedure di frontiera[11].

 

3. La disciplina del trattenimento durante la procedura di frontiera

L’udienza di convalida si svolge con la partecipazione dello straniero a distanza, mediante collegamento audiovisivo; la convalida comporta il trattenimento massimo di 4 settimane, non prorogabili, fermo restando che la misura deve durare il «tempo strettamente necessario per lo svolgimento della procedura in frontiera». 

Tale procedura prevede la decisione della commissione territoriale entro 7 giorni dalla ricezione della domanda di protezione, ciò che evidenzia la necessità di individuare saldamente il momento di ricezione della domanda. Come affermato nella più recente giurisprudenza di legittimità (Cass., nn. 20028/2023, 20034/2023 e 20070/2023), una richiesta di protezione internazionale si considera presentata nel momento della manifestazione della relativa volontà: per richiamare le parole della Corte di giustizia dell’Unione europea, «l’azione di “presentare” una domanda di protezione internazionale non presuppone alcuna formalità amministrativa, in quanto (…) dette formalità devono essere rispettate al momento dell’”inoltro” della domanda» (Cgue, C-36/20 PPU, par. 93). L’esternazione della volontà di chiedere protezione è dunque il momento a partire dal quale lo straniero acquisisce lo status di richiedente asilo[12] e decorrono i termini per l’adozione del decreto di trattenimento e per la registrazione dell’istanza. Né – mancando la base legale per il trattenimento nell’hotspot al fine del fotosegnalamento – si potrebbe diversamente sostenere che il termine per l’adozione del decreto di trattenimento del richiedente asilo sottoposto alla procedura di frontiera decorra dalla registrazione della domanda, con aggiramento del dettato costituzionale ed estensione surrettizia (fino a 16 giorni lavorativi) della restrizione di fatto.

Quanto alla formalizzazione della domanda, l’art. 26, comma 2-bis, d.lgs n. 25/2008 impone la registrazione entro 3 giorni lavorativi dalla manifestazione della relativa volontà alla questura competente per il luogo di dimora dello straniero, esteso a 6 giorni lavorativi qualora la volontà sia manifestata alla polizia di frontiera, ipotesi presumibilmente applicabile nel caso delle procedure di frontiera. Il termine è prorogato di ulteriori 10 giorni lavorativi «in presenza di un elevato numero di domande in conseguenza di arrivi consistenti e ravvicinati di richiedenti».

In merito a tale profilo, la Corte di cassazione ha chiarito che la volontà di richiedere la protezione manifestata da un cittadino straniero al giudice di pace competente alla convalida o alla proroga del trattenimento deve essere registrata nel termine perentorio di 6 giorni lavorativi, poiché quest’ultimo, come la polizia di frontiera, è una delle «altre autorità preposte a ricevere tali domande ma non competenti per la registrazione a norma del diritto nazionale» (art. 6, par. 1, direttiva 2013/32/UE). Inoltre, la proroga di ulteriori 10 giorni lavorativi per la registrazione della richiesta «deve essere applicata solo in presenza del comprovato, relativo, presupposto, costituito dall’elevato numero di domande in conseguenza di arrivi consistenti e ravvicinati» (Cass., n. 20028/2023). 

Una volta registrata, la domanda deve essere trasmessa «senza ritardo» dalla questura alla competente commissione territoriale, e da tale momento decorrono i termini di 7 giorni per la decisione nell’ambito della procedura di frontiera. La trasmissione si perfeziona in modalità telematica con il caricamento del cd. “modello C3” sul Vestanet, il sistema informatico utilizzato dal Ministero dell’interno per la gestione delle procedure di protezione internazionale. Come confermato il 7 ottobre 2022 dalla Commissione territoriale di Torino, a seguito di accesso agli atti, «il portale Vestanet costituisce il canale ufficiale di comunicazione e trasmissione degli atti tra le Questure e la Commissione (…) pertanto, la data di trasmissione dell’istanza dalla Questura/CPR corrisponde alla data di verbalizzazione del modello C3», ciò che non consente ritardi nel computo dei termini della procedura accelerata o di frontiera.

Il trattenimento di un richiedente asilo è invece vincolato all’emissione di un decreto che rispetti la garanzia costituzionale prevista dall’art. 13 Costituzione, vale a dire la comunicazione all’autorità giudiziaria entro 48 ore dall’adozione della misura restrittiva e la convalida giudiziaria nelle 48 ore successive. Come infatti insegnato dalla Corte costituzionale con la nota sentenza n. 105/2001, «il trattenimento è quantomeno da ricondurre alle “altre restrizioni della libertà personale”, di cui pure si fa menzione nell’articolo 13 della Costituzione». Nel caso di uno straniero già ristretto, il termine di 48 ore per l’emissione e la richiesta di convalida del decreto di trattenimento decorre dalla manifestazione della volontà di chiedere asilo, poiché «la presentazione della domanda di protezione determina ipso iure la sospensione dei termini del trattenimento in corso ai sensi dell’art. 14 comma 5 d.lgs. 286/1998» (Cass., n. 20034/2023). 

Venuto temporaneamente meno l’originario titolo del trattenimento, la pubblica amministrazione è tenuta al rispetto della rigorosa scansione cronologica stabilita dalla previsione costituzionale, trattandosi di limitazione della libertà personale[13]. Diversamente permane l’onere di registrare la domanda nei termini ricordati, ma non è consentito il ricorso alla misura restrittiva. Pertanto, in sede di convalida il tribunale sarà chiamato, tra gli altri adempimenti, a verificare la tempestività dell’adozione del decreto di trattenimento e della richiesta di convalida, dovendo negarla nel caso di violazione dei termini anzidetti. 

In caso di rigetto dell’istanza di protezione internazionale, lo straniero dispone di 14 giorni per la presentazione del ricorso, privo di efficacia sospensiva del decreto impugnato (art. 35-ter d.lgs n. 25/2008). Presentata l’istanza di sospensione, il Ministero dell’interno e il pubblico ministero possono depositare note difensive nei 2 giorni successivi[14] e, nei 5 giorni ulteriormente successivi, il giudice monocratico decide con decreto non impugnabile. Se l’istanza viene respinta, decade il divieto di allontanamento, mentre in caso di accoglimento lo straniero è ammesso nel territorio nazionale e munito di un titolo di soggiorno per richiesta asilo, valido fino alla decisione nel merito[15].

Un profilo di grande rilievo riguarda le conseguenze della violazione dei termini della procedura di frontiera, dalla tardiva registrazione (o «ricezione», secondo la novella) della domanda, al superamento dei 7 giorni per la decisione amministrativa, fino al superamento dei 7 giorni per la decisione sull’istanza di sospensione. Tanto il principio di stretta legalità che informa la materia della libertà personale (Corte cost., n. 105/01), quanto la perentoria espressione normativa («La convalida comporta il trattenimento nel centro per un periodo massimo, non prorogabile, di quattro settimane»), impongono il rilascio dall’hotspot o dal cpr, ma ciò richiederà una capillare e più che sollecita attività di monitoraggio da parte dell’avvocatura e della giurisprudenza di merito.

 

4. Il trattenimento dei richiedenti protezione internazionale presso i cpr

La riforma riscrive, anche qui ampliandolo a dismisura, il trattenimento del richiedente asilo in presenza del «rischio di fuga» (art. 6, comma 2, lett. d, d.lgs n. 142/15), sostituendo la precedente nozione[16] con l’omonimo istituto previsto dall’art. 13, comma 4, d.lgs n. 286/1998. Si tratta, in tale versione, di un concetto di applicazione generalizzata[17], per integrare il quale è sufficiente che ricorra una delle seguenti fattispecie: mancato possesso del passaporto o di altro documento equipollente, precedente attestazione di false generalità, violazione di un precedente ordine di allontanamento o delle misure disposte in caso di concessione di un termine per la partenza volontaria. 

Insieme al rischio di fuga, per l’applicazione della misura deve essere «necessario determinare gli elementi su cui si basa la domanda di protezione internazionale che non potrebbero essere acquisiti senza il trattenimento». Proprio questo si candida ad essere l’anello debole dell’impianto detentivo, se si considera che di regola l’unico elemento consiste nelle dichiarazioni del richiedente asilo, la cui assunzione non richiede all’evidenza alcuna forma di trattenimento.

 

5. Il trattenimento nei cpr in attesa del trasferimento previsto dal cd. “regolamento Dublino” 

Altra ipotesi inedita di restrizione in Italia è quella dell’art. 6-ter d.lgs n. 142/2015, che – recependo l’istituto del cd. «notevole rischio di fuga» – introduce il trattenimento del richiedente asilo soggetto alla procedura Dublino[18]. La misura è prevista unicamente «in attesa del trasferimento» verso lo Stato membro dell’Unione europea competente a decidere sulla domanda, ciò che presuppone l’avvenuta individuazione di tale Paese[19], ed è applicabile esclusivamente qualora non possano disporsi misure alternative (consegna del passaporto, obbligo di dimora, obbligo di presentazione presso la forza pubblica).

Presupposto del trattenimento è il «notevole rischio di fuga», che il legislatore individua nella sottrazione a un primo tentativo di trasferimento o qualora ricorrano due circostanze tra le seguenti cinque: mancanza di un documento di viaggio, mancanza di un indirizzo affidabile, violazione dell’obbligo di presentarsi alle autorità competenti, mancanza di risorse finanziarie, sistematico ricorso a false generalità per evitare l’adozione o l’esecuzione di un’espulsione.

Il trattenimento, vincolato al «tempo strettamente necessario per l’esecuzione del trasferimento», viene disposto dal questore e convalidato dall’autorità giudiziaria all’esito di un’udienza a cui lo straniero partecipa mediante collegamento audiovisivo. La convalida comporta la permanenza nel centro per 6 settimane, prorogabili, in caso di gravi difficoltà nell’esecuzione del trasferimento, «per ulteriori trenta giorni, fino a un termine massimo di ulteriori sei settimane», ennesima testimonianza dell’approssimazione nella redazione delle norme in materia di libertà personale degli stranieri.

 

6. La natura eccezionale e residuale del trattenimento del richiedente asilo

Il dilagare delle fattispecie di restrizione dei richiedenti asilo e l’ipotesi di un’applicazione indiscriminata dell’istituto si scontrano con un pilastro della normativa unionale in materia di accoglienza, secondo il quale «Gli Stati membri non trattengono una persona per il solo fatto di essere un richiedente ai sensi della direttiva 2013/32/UE» (art. 8, par. 1, direttiva 2013/33/UE). 

Il trattenimento è dunque misura eccezionale, residuale e non generalizzabile: «Al fine di meglio garantire l’integrità fisica e psicologica dei richiedenti, è opportuno che il ricorso al trattenimento sia l’ultima risorsa e possa essere applicato solo dopo che tutte le misure non detentive alternative al trattenimento sono state debitamente prese in considerazione» (considerando n. 20 dir. 2013/33/UE); «I richiedenti possono essere trattenuti soltanto nelle circostanze eccezionali definite molto chiaramente nella presente direttiva e in base ai principi di necessità e proporzionalità per quanto riguarda sia le modalità che le finalità di tale trattenimento. Il richiedente in stato di trattenimento dovrebbe godere effettivamente delle necessarie garanzie procedurali, quali il diritto a un ricorso giudiziario dinanzi a un’autorità giurisdizionale nazionale» (considerando n. 15 dir. 2013/33/UE). Gli Stati membri devono pertanto garantire che «il tempo necessario per verificare i motivi di trattenimento sia il più breve possibile e che vi sia una prospettiva reale che tale verifica possa essere effettuata con successo il più rapidamente possibile. Il trattenimento non dovrebbe superare il tempo ragionevolmente necessario per completare le procedure pertinenti» (considerando n. 16 dir. 2013/33/UE). 

Lungi da qualunque carattere di serialità o automatismo, il ricorso al trattenimento è consentito solo all’esito di un’approfondita verifica della situazione individuale da cui emerga la necessità della misura (Cgue, C-601/15 PPU, parr. 54, 56), la proporzionalità ai fini perseguiti (Cgue, C-36/20 PPU, parr. 102, 105), nonché, qualora si affermi l’esistenza di un rischio di fuga, l’effettiva volontà di sottrazione all’esecuzione del rimpatrio (Cgue, C-163/17 PPU, par. 56). Allo stesso modo, il tempo del trattenimento deve essere «il più breve possibile», fermo restando che «I ritardi nelle procedure amministrative non imputabili al richiedente non giustificano un prolungamento del trattenimento» (art. 9, par. 1, dir. 2013/33/UE)[20].

 

7. L’estensione dei termini massimi di trattenimento nei cpr ai fini del rimpatrio

Come ampiamente prevedibile, anche l’attuale Governo non ha resistito alla tentazione di ritoccare la durata massima del trattenimento presso i cpr, infliggendo all’art. 14, d.lgs n. 286/1998, la quindicesima modifica in 25 anni. Al di là dell’entità dell’intervento – che sposta i termini massimi di restrizione da 120 a 135 giorni per i cittadini di Paesi con i quali l’Italia ha sottoscritto accordi di rimpatrio e da 75 a 90 giorni per i medesimi stranieri già trattenuti presso le strutture carcerarie per 90 giorni – le statistiche confermano l’esclusiva portata afflittiva della novella. Il tasso di rimpatri non varia infatti al variare della durata massima del trattenimento e se il rimpatrio non avviene durante il primo mese di trattenimento, le possibilità che si verifichi dopo sono estremamente scarse[21]

 

8. Fare della segregazione un rito

La semplice osservazione dei luoghi di trattenimento amministrativo, di fatto e di diritto, dei non cittadini – in Italia come nel mondo – consente di affermare che quello che si consuma al loro interno è un rito di separazione su base etnica. Il trattenimento degli stranieri è un poderoso strumento di propaganda a disposizione del governo di turno, che l’attuale riforma porta alla sua massima espansione. Batterie di magistrati, cancellieri, interpreti, avvocati e funzionari della pubblica amministrazione dovrebbero assicurare la celebrazione, a distanza, di potenziali migliaia di procedure di convalida e proroga del trattenimento, in luoghi non riconducibili ad aule di giustizia bensì nella disponibilità del Ministero dell’interno (parte del giudizio, peraltro), collocati in ambienti altamente militarizzati, secondo procedure che spingono alla serialità e all’isolamento. Come per la prassi del trattenimento di fatto all’interno degli hotspot, fino ad oggi sostanzialmente ignorata – e così tacitamente legittimata – dalla giurisprudenza nazionale, il sistema della giustizia è chiamato ora a rispondere e a chiarire se lo Stato di diritto è un bene comune o un privilegio di alcuni.

 

 

3. L’art. 10-ter d.lgs n. 286/1998, stabilisce che le autorità conducono presso gli hotspot «Lo straniero rintracciato in occasione dell’attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare», allo scopo di prestare soccorso e prima assistenza, effettuare le operazioni fotodattiloscopiche e segnaletiche e assicurare le informazioni in materia di asilo, ricollocazione in altri Stati membri dell’Unione europea e rimpatrio assistito.

4. Segue il beffardo disclaimer ministeriale, secondo cui, «In caso di discrepanze fra questo documento [le SOP – ndr] e la legislazione vigente, si applica quest’ultima» (vds. «Procedure operative standard (SOP) applicabili agli hotspots italiani», p. 2, www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it/it/hotspot).

5. Istituto che non risulta (ancora) essere stato applicato.

6. Corte Edu [GC], Khlaifia e altri c. Italia, ric. n. 16483/2012, 15 dicembre 2016; Corte Edu, J.A. e altri c. Italia, ric. n. 21329/2018, 30 marzo 2023.

7. Decreto del Ministero dell’interno, 5 agosto 2019: «Individuazione delle zone di frontiera o di transito ai fini dell’attuazione della procedura accelerata di esame della richiesta di protezione internazionale». Per l’analisi dei profili di contrasto con la normativa euro-unitaria, vds. Asgi, Le zone di transito e di frontiera. Commento al decreto del Ministero dell’Interno del 5 agosto 2019 (G.U. del 7 settembre 2019, n. 210), settembre 2019 (www.asgi.it/wp-content/uploads/2019/10/2019_scheda_ASGI_decreto_zone_frontiera.pdf).

8. Importo e modalità di prestazione della garanzia saranno stabiliti con decreto interministeriale entro 90 giorni dall’entrata in vigore della norma. Il richiamo all’art. 14, comma 1.1., d.lgs n. 286/1998, norma peraltro meramente programmatica, comporta la restrizione con carattere di priorità per coloro che siano considerati una minaccia per l’ordine e la sicurezza pubblica o che siano stati condannati, anche con sentenza non definitiva, per i reati di cui agli artt. 4, comma 3, terzo periodo, e 5, comma 5-bis, d.lgs n. 286/1998, nonché per coloro che siano cittadini di Paesi terzi con i quali sono vigenti accordi di cooperazione o altre intese in materia di rimpatrio, o che provengano da essi.

9. Cass., nn. 20668/2005, 210/2005, 3694/2013, 19868/2018, 29079/2021, 5124/2022, 18128/2022, 4777/2022.

10. Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, «la decisione di manifesta infondatezza della domanda potrà ritenersi adottata sulla base di una procedura accelerata solamente qualora il Presidente della C.T., a seguito della trasmissione degli atti da parte della questura, abbia deciso in tal senso e l’iter procedimentale seguito abbia rispettato i termini raddoppiati dell’art. 28-bis, comma 1 [,] pur sempre contratti rispetto a quelli ordinari, previsti per l’audizione del richiedente e per l’adozione della decisione finale. Pertanto, la qualificazione peculiare della procedura come accelerata deve porsi come antecedente logico alla statuizione finale, non potendo discendere dalla mera formula di “manifesta infondatezza” contenuta nel provvedimento di rigetto. Diversamente, si determinerebbe un grave vulnus all’esercizio del diritto di difesa endoprocedimentale del richiedente, anche ove lo stesso non si sia avvalso di difesa tecnica, essendo l’accertamento dell’autorità decidente diretto al riconoscimento di un diritto fondamentale, realizzato con la partecipazione ed il diretto ascolto del cittadino straniero, al quale non può essere negata la possibilità di conoscere preventivamente il modello procedimentale con il quale verrà esaminata la sua domanda, anche al fine di contestare l’eventuale erronea individuazione da parte del Presidente della Commissione e di esserne avvisato in sede di comunicazione dell’esito» (Cass., n. 6745/2021).

11. Come opportunamente segnalato dall’Unhcr nella nota tecnica inviata al Governo in occasione della conversione del dl n. 20/2023, le procedure accelerate legate alla provenienza da uno dei Paesi designati di origine sicuri sono applicabili «soltanto ai richiedenti che non abbiano invocato, fin dalla presentazione della propria domanda o nelle fasi successive della procedura, gravi motivi per ritenere che, nelle loro specifiche circostanze, il Paese non sia sicuro (ciò anche in base ad una lettura congiunta degli art. 31.8(b) e 36 della Direttiva procedure). In caso di allegazione di un motivo individuale di rischio, l’esame della domanda dovrà proseguire al di fuori della procedura di frontiera, o di altre procedure accelerate» (ivi, maggio 2023, p. 2. www.unhcr.org/it/wp-content/uploads/sites/97/2023/05/Nota-tecnica-di-commento-legge-Legge-5-maggio-2023-n.-50.pdf).

12. «l’acquisizione della qualità di richiedente protezione internazionale non può essere subordinata né alla registrazione né all’inoltro della domanda (…) il fatto che un cittadino di un paese terzo manifesti la volontà di chiedere la protezione internazionale dinanzi a un’«altra autorità», ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 2013/32, come un giudice istruttore, è sufficiente a conferirgli la qualità di richiedente protezione internazionale e, pertanto, a far scattare il termine di sei giorni lavorativi entro il quale lo Stato membro interessato deve registrare detta domanda» (ivi, par. 94).

13. Come da ultimo ribadito dalla Suprema corte (n. 20028/2023), «il trattenimento amministrativo del richiedente protezione disciplinato dall’art. 8 della direttiva 2013/32/UE, oltre ad essere misura eccezionale ed ispirata ai principi di necessità e proporzionalità (cfr. considerando 14), costituisce misura che, come ricordato ripetutamente dalla Corte costituzionale, determina l’assoggettamento fisico all’altrui potere, indice sicuro dell’attinenza della misura alla sfera della libertà personale protetta dall’art. 13 Cost., poiché l’autorità competente, avvalendosi della forza pubblica adotta misure che impediscono di abbandonare il luogo (cfr. Corte cost. n. 105/2001 e, infra, n. 127/2022)».

14. Contrariamente a quanto accade nelle altre ipotesi, in caso di ricorso avverso una decisione adottata all’esito di una procedura di frontiera la Commissione territoriale non è tenuta a rendere disponibile la videoregistrazione dell’audizione personale né le «Country of Origin Information» (COI) utilizzate ai fini della decisione.

15. Per il resto, il procedimento segue la disciplina prevista per gli ordinari giudizi in materia di protezione internazionale (art. 35-bis d.lgs n. 25/2008, cc. 7 ss., in quanto compatibili).

16. «La valutazione sulla sussistenza del rischio di fuga è effettuata, caso per caso, quando il richiedente ha in precedenza fatto ricorso sistematicamente a dichiarazioni o attestazioni false sulle proprie generalità al solo fine di evitare l’adozione o l’esecuzione di un provvedimento di espulsione ovvero non ha ottemperato ad uno dei provvedimenti di cui all’articolo 13, commi 5, 5.2 e 13, nonché all’articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286».

17. Secondo i dati raccolti dall’Osservatorio sulla giurisprudenza del giudice di pace in materia di immigrazione (“Lexilium”), su un totale di 135 decreti di espulsione adottati dalla Prefettura di Torino tra il primo e il quarto trimestre del 2015, il rischio di fuga veniva individuato in 133 casi (vds. C.L. Landri e M. Veglio, Ricerca sui provvedimenti in materia di espulsione e trattenimento emessi dal Giudice di Pace di Torino: anno 2015, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 2/2017, p. 8, www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/allegati/lexilium/83-torino/file).

18. Prima dell’entrata in vigore del dl n. 20/2023, tale forma di restrizione non era consentita in Italia (Cgue, C-528/15, 15 marzo 2017), sebbene in diversi casi si sia comunque rilevato il ricorso al trattenimento dei richiedenti asilo nelle more della procedura Dublino.

19. Circostanza che trova ulteriore conferma nella circolare del Ministero dell’interno del 1° giugno 2023, che afferma «la possibilità di trattenere il richiedente asilo sottoposto alla procedura Dublino al quale sia stato notificato il provvedimento di trasferimento verso lo Stato membro competente a decidere sulla domanda di protezione internazionale». Diversamente, il regolamento (UE) n. 604/2013 prevede la possibilità di trattenere il richiedente asilo anche durante la procedura di individuazione dello Stato membro. 

20. Si noti che il recepimento del legislatore italiano limita l’ambito del divieto ai soli «Eventuali ritardi nell’espletamento delle procedure amministrative preordinate all’esame della domanda, non imputabili al richiedente» (art. 6, comma 6, d.lgs n. 142/2015), con evidente riduzione delle garanzie per lo straniero trattenuto.

21. Si vedano gli eloquenti dati raccolti nel Parere del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale sul decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, 15 ottobre 2018, pp. 6-7 (www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/resources/cms/documents/17ebd9f9895605d7cdd5d2db12c79aa4.pdf).