1. Il giudice di pace nella legge istitutiva e nell’Ordinamento Giudiziario
Il giudice di pace, secondo la legge istitutiva, è un giudice ordinario ed appartiene all’ordine giudiziario «il quale esercita la giurisdizione in materia civile e penale e la funzione conciliativa in materia civile» (art. 1, Legge n. 374 del 21 novembre 1991) al pari del magistrato di carriera[1].
In materia civile, il giudice di Pace è giudice di primo grado, secondo le competenze per valore e per materia stabilite rispettivamente dagli artt. 7-9 c.p.c. e dalle ulteriori disposizioni che ne regolano la competenza[2]. Analogamente nel settore penale, dove al giudice di pace sono attribuite specifiche competenze per materia[3].
Con la legge istitutiva nasce e si sviluppa un modello di giudice laico (attualmente composto nella quasi totalità da avvocati) con funzione giurisdizionale propria, inizialmente solo in materia civile e poi anche penale, cui dapprima è affidata la trattazione di giudizi generalmente intesi di minor valore, cui è seguito l’ampliamento delle competenze stabilito nel tempo dal legislatore (ad esempio fino a € 20.000,00 nei giudizi di risarcimento per danno da sinistro stradale), per alleggerire il carico dei Tribunali e rispondere, con efficienza, alla domanda di giustizia[4].
L’autonomia della funzione del giudice di pace quale giudice di primo grado era, altresì, assicurata dalla previsione del giudice di pace coordinatore al quale era attribuita la direzione dell’Ufficio (dei giudici di pace e del personale amministrativo), l’assegnazione degli affari, sebbene fosse poi soggetto al controllo e alle direttive del Presidente del Tribunale (con cui «d’intesa» stabiliva i calendari delle udienze) e, per quanto di competenza, del Presidente della Corte Appello e delle indicazioni del Consiglio Giudiziario, nonché del Consiglio Superiore della Magistratura sulla funzionalità ed efficienza degli uffici.
La legge istitutiva, inoltre, negli anni è stata integrata da ulteriori disposizioni normative, anche di secondo grado (v. circolari del C.S.M.) volte a definire in maniera più pregnante i doveri e gli obblighi dei giudici di pace assimilandoli a quelli dei giudici c.d. professionali (deontologia, responsabilità disciplinare, responsabilità civile).
Al fine di garantire sempre maggiore professionalità e aggiornamento dei giudici di pace, nell’anno 2006 sono stati istituiti corsi di formazione, obbligatori ai fini della conferma degli incarichi quadriennali, sia presso le strutture di formazione distrettuale, che presso la Scuola Superiore della Magistratura.
Nello stesso anno è stata, altresì, istituita la sezione autonoma del Consiglio Giudiziario, con la previsione dei giudici di pace quali componenti[5].
I dati statistici ministeriali attestano l’efficacia dell’Ufficio del giudice di pace, sia sotto il profilo il profilo della qualità delle decisioni, atteso il basso numero di appelli (3%), che della tempestiva dei giudizi.
In particolare, solo nel 2004, «ultimo anno di lavoro esaminato, a fronte di n. 1.272.999 (-5,50%) nuovi procedimenti iscritti, sono stati definiti n. 1.344.081 (-7,60%), con una pendenza finale di n. 1.248.572 (-5,40%), nonostante la contrazione di produttività di questi ultimi anni, dovuta ai progressivi vuoti di organico per effetto della decadenza dall’incarico del primo gruppo di magistrati onorari reclutati negli anni ‘90. È l’unico comparto a registrare tale dato positivo».
È stato così accertato che «gli uffici del giudice di pace, nel loro insieme, sembrerebbero avere una potenzialità di esaurimento dell’intera “pendenza”, a sopravvenienze ipoteticamente zero, in un periodo inferiore ad un anno e contribuiscono nella formazione della media globale a neutralizzare i dati negativi delle Corti d’Appello e della Corte di Cassazione. Gli Uffici in esame sembrano in linea con l’art. 2, comma 2-bis della legge Pinto. Con la conclusione che «è consolante che il fenomeno riguardi il 25,5% del dato nazionale, che, sommato al 63% dei Tribunali ordinari, fa salire all’88,5% la zona di potenziale assenza di “rischio Pinto” (ovviamente dal solo punto di vista della statistica globale)»[6].
Ciononostante, le riforme di recente attuazione sembrano non tenerne in debito conto e si è così assistito al drastico taglio delle sedi dei giudici di pace[7] (salvo che i Comuni degli uffici di giudici di pace soppressi abbiano deciso di farsi carico delle relative spese amministrative di gestione ed esclusivamente con propri dipendenti), al trasferimento di gran parte del personale amministrativo dagli uffici del giudice di pace al tribunale; ed infine, alla soppressione della figura del giudice di pace coordinatore e al conseguente affidamento del coordinamento del predetto ufficio al Presidente del Tribunale, anche attraverso uno o più giudici professionali delegati.
2. La legge delega n. 57/2016: lo statuto della magistratura onoraria, aspettative, obiettivi e contenuti
Ciò detto, è da circa un decennio che i giudici di pace erano in attesa di una riforma organica[8] che definisse il loro ‘status’ (compenso adeguato alla funzione[9], riconoscimento di una forma di tutela previdenziale ed assistenziale, della maternità etc., continuità della funzione), a garanzia di indipendenza della stessa funzione espletata e riconoscimento dell’attività svolta, quale emerge dai richiamati dati ministeriali, e come, peraltro, riconosciuto compiutamente anche in occasione dell’Inaugurazione dell’Anno Giudiziario[10].
Sennonché, il legislatore, con la recente Legge 28 aprile 2016 n. 57, «Delega al governo per la riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace»[11], entrata in vigore il 14 maggio 2016, ha disatteso tutte le legittime richieste dei giudici di pace, nonché dei giudici onorari di Tribunale e Vice Procuratori Onorari: continuità nell’esercizio delle funzioni fino al raggiungimento dell’età pensionabile (70 anni), diritti previdenziali e assistenziali, maternità, ferie, compenso adeguato alla funzione.
Non solo, ma ha anche leso il diritto di ogni cittadino ad avere un giudice indipendente e imparziale.
Così, ha ignorato la Raccomandazione Europea n. 12/2010 del Comitato dei Ministri agli Stati membri (n. 1098 riunione del Consiglio dei Ministri del 17.10.10) «Sui Giudici: indipendenza, efficacia e responsabilità»[12],«Le cui disposizioni […] si applicano anche ai Giudici Onorari, tranne che sia chiaro dal contesto, che esse si applicano solo ai giudici professionali» (art. 2).
La stessa prevede, invero, che «l’indipendenza non è un privilegio dei magistrati, ma una garanzia per il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che permette ad ogni persona di avere fiducia nel sistema giudiziario; l'indipendenza dei giudici, elemento connaturale allo Stato di diritto ed essenziale per l'imparzialità dei giudici ed il funzionamento del sistema giudiziario».
Nell’attuare la riforma, il legislatore ha avuto quale obiettivo disegnare in maniera organica lo statuto della magistratura onoraria.
In attuazione della legge delega in parola, il Governo è, così, tenuto ad adottare uno o più decreti legislativi diretti a prevedere l’unificazione della figura del Giudice Onorario, lo statuto della magistratura onoraria e, quindi, l’organizzazione, le competenze, la retribuzione, la formazione, le incompatibilità, il procedimento disciplinare, il regime transitorio (per i giudici onorari in servizio alla data di entrata in vigore del decreto legislativo), estendendo così a tutti i giudici onorari (anche ai GOT e VPO) alcune disposizioni e prerogative che la legge sino ad ora aveva già riservato solo ai giudici di pace[13] .
Tuttavia, molte disposizioni costituiscono una vera e propria delega in bianco: quella relativa all’indicazione delle caratteristiche dei compiti affidati ai magistrati onorari all’interno dell’ufficio per il processo (art. 2, co. 5), che consente perfino di assegnare loro anche “compiti non giurisdizionali”; ovvero quella con cui si delega il Governo a prevedere “i casi tassativi” in cui il giudice di pace onorario possa essere applicato per la trattazione di procedimenti civili e penali di competenza del tribunale ordinario, senza determinarne i principi e criteri direttivi (art. 2, comma 5 lett. b e c).
Ugualmente ampia la delega conferita all’art. 2. co., 15 lett. b) c) e f) in tema di individuazione della competenza dell’Ufficio del giudice di pace: ipotesi tutte unificate dalla generica previsione di cause «connotate da minore complessità quanto attività istruttoria e decisoria». E così, quella sulla determinazione del compenso (art. 2 co. 13), quella sulla previdenza (art. 2., co. 13 lett. l).
Per tali ragioni e attesa l’ampia portata dell’intervento normativo, che incide sul corretto esercizio della funzione giurisdizionale e sulle regole che attengono all’indipendenza del giudice, che consiste nell’autonoma potestà decisionale, non condizionata da interferenze dirette o indirette di qualsiasi provenienza, a parere di chi scrive, si potrebbe porre un problema di insufficiente determinazione dei principi e criteri direttivi della legge delega (art. 76 Cost.) e di compatibilità con la riserva di legge di cui all’art. 108, 1° co. Cost., secondo cui «le norme sull’ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono stabilite con legge»)[14].
2.1 Il Coordinamento dell’Ufficio del giudice di pace
Una delle novità di maggior rilievo è il passaggio del coordinamento dell’Ufficio del giudice pace al Presidente del Tribunale.
Il primo decreto attuativo[15] ha, infatti, soppresso a partire dalla sua entrata in vigore (31 maggio 2016) la figura del giudice di pace coordinatore. Così, il Presidente del Tribunale provvederà a tutti i compiti di gestione dei magistrati e del personale amministrativo, a formulare al Presidente della Corte di Appello la proposta della tabella di organizzazione dell’Ufficio del giudice di pace, all’assegnazione degli affari mediante il ricorso a procedure automatiche. Nell’espletamento di tali compiti può avvalersi dell’ausilio di uno o più giudici professionali (art. 5).
Il Presidente del Tribunale (e/o il giudice professionale delegato) organizzerà riunioni trimestrali per l’esame delle questioni giuridiche più rilevanti di cui abbiano curato la trattazione e per la discussione delle soluzioni adottate e per favorire lo scambio di esperienze giurisprudenziali e di prassi innovative, con la partecipazione anche di giudici professionali.
Cosicché, se fino alla recente riforma, il Presidente del Tribunale si limitava ad un controllo gerarchico degli Uffici dei giudici di pace sotto il profilo della loro funzionalità, della loro efficienza e tempestività delle decisioni, ora invece, il controllo sarà più incisivo, poiché potrà impartire direttive, anche nel merito degli orientamenti delle decisioni da assumere, ed opererà la propria funzione di controllo e vigilanza (anche tramite uno o più giudici professionali) (art. 2, co. 15 lett. g), con evidente limite alla indipendenza dei singoli giudici onorari di pace nell’espletamento della propria funzione giurisdizionale.
Il legislatore, così, sembra ignorare l’art. 101, co. 2 della Costituzione(«il giudice è soggetto soltanto alla legge»),e cioè che«nell’esercizio delle sue funzioni egli non dipende da alcun potere superiore, né da vincoli gerarchici, anche nell’ambito dello stesso ordine giudiziario (e a ciò non contraddice che, in caso d’impugnazione, il giudice superiore possa riformare o annullare l’atto del giudice inferiore; entrambi godono, infatti, di uguale dignità e di uguali garanzie d’indipendenza, avendo quello superiore il compito specifico di controllare l’operato di quello inferiore). Anche la Convenzione Europea art. 6 e il Patto internazionale art. 14, annoverano l’indipendenza e l’imparzialità del giudice tra i diritti dell’uomo»[16].
2.2 L’unificazione della figura del giudice onorario nell’Ufficio del giudice di pace: la competenza.
Ulteriore elemento di novità, ed intento primario del legislatore, è quello di «prevedere un’unica categoria di giudici onorari»[17], con un’unica denominazione: “giudici onorari di pace” (art. 2, co. 1, lett. a).
In particolare, il Governo in attuazione della delega, dovrà «prevedere un’unica figura di giudice onorario, inserito in un solo ufficio giudiziario» (art. 1., lett. a), «superare la distinzione tra i giudici onorari di tribunale e giudici di pace denominandoli “giudici onorari di pace” facendoli confluire tutti nell'ufficio del giudice di pace» (art. 2, co. 1 lett. a) e, con il fine di alleggerire il carico dei Tribunali, «ampliare, nel settore penale, la competenza dell'ufficio del giudice di pace, nonché […], nel settore civile […] per materia e per valore» (art. 1, lett. p).
In tale ottica, saranno assegnate alla competenza dell’Ufficio del giudice di pace in materia penale anche «i procedimenti per i reati, consumati o tentati, previsti dagli artt. 612, primo e secondo comma, salvo che sussistano altre circostanze aggravanti, 626, 561 del codice penale, nonché per le contravvenzioni previste dagli artt. 727 e 727 bis del codice penale e per quelle previste dall’art. 6 delle legge 30 aprile 1962, n. 283» (art. 2. co. 15 lett. h); mentre nel settore civile, ampliando la competenza per materia, «le cause e i procedimenti di volontaria giurisdizione in materia di condominio degli edifici valore» (art. 2, co. 15, lett. a), ed estendendo «per le cause di valore che non ecceda euro 2.500, i casi di decisione secondo equità», «le cause relative a beni mobili di valore non superiore ad euro 30.000,00» (art. 2, co. 15, lett. d), «le cause di risarcimento danno prodotto dalla circolazione di veicoli e di natanti di valore non superiore ad euro 50.000,00» (art. 2, co. 15, lett. e).
Sennonché, il nuovo nome attribuito (“Giudici onorari di pace”) è significativo del fatto che, in realtà, il legislatore abbia tradito già in partenza tale intento riformatore.
Se, infatti, lo scopo fosse stato unicamente unificare i giudici onorari di tribunale e i giudici di pace, attualmente in servizio, «facendoli confluire tutti nell'ufficio del giudice di pace», non vi sarebbe stata alcuna necessità di conferire una nuova denominazione, anche perché il Codice di procedura civile (art. 7 c.p.c., nonché artt. 320 e segg. c.p.c.), l’Ordinamento Giudiziario (art. 1) e la Costituzione (art. 116 Cost.) prevedono unicamente la figura del giudice di pace, senza ulteriore specificazione.
Tale soluzione sarebbe stata anche la logica conseguenza del riconoscimento del contributo dato da tutta la magistratura onoraria[18], costituta nella quasi totalità da avvocati “prestati” alla funzione giurisdizionale, e che esercitano, senza soluzione di continuità, da circa 13-15 anni (e coloro che sono in servizio dal 1999, da quasi 20 anni).
Inoltre, avrebbe consentito al destinatario del servizio giustizia e agli avvocati di conoscere preventivamente il “giudice naturale” precostituito per legge (art. 25 Cost.), cui attribuire competenza in base criteri certi, obiettivi e preventivamente individuati (per valore determinato della controversia ovvero per materia).
È noto, infatti, che «la competenza è la quantità di giurisdizione assegnata in esercizio a ciascun organo, ossia la “misura della giurisdizione”. Essa determina per ogni singolo organo, in quali casi, nei riguardi di quali controversie, esso ha il potere di provvedere e correlativamente delimita in astratto il gruppo di controversie che gli sono attribuite»[19].
Invece, il legislatore, disattendendo il principio innanzi richiamato, ha delegato il Governo ad assegnare alla «competenza dell’ufficio del giudice di pace» anche «i procedimenti di volontaria giurisdizione in materia successoria e di comunione, connotati da “minore complessità” (art. 2, co. 15, lett. b), quanto all’attività istruttoria e decisoria; le cause in materia di diritti reali e di comunione connotate da “minore complessità” quanto all’attività istruttoria e decisoria (art. 2, co. 15, lett. c); altri procedimenti di volontaria giurisdizione connotati da “minore complessità” quanto all’attività istruttoria e decisoria (art. 2, co.15, lett. f)».
Si trascura, così, di ricordare che «le norme sulla competenza devono individuare il giudice in modo chiaro e preciso, in base all’oggetto del contendere, e non alla “complessità” o meno dell’oggetto del contendere»[20].
Saranno, altresì, attribuiti alla competenza dell’Ufficio del giudice di pace «i procedimenti di espropriazione mobiliare presso il debitore e di espropriazione di cose del debitore che sono in possesso presso terzi» (art. 2, co. 15 lett. g).
In tal caso, «il Presidente del Tribunale attribuisce ad uno o più giudici professionali il compito di impartire specifiche direttive anche in merito alle prassi applicative e di vigilare sull’attività dei giudici di pace»[21].
È stato in proposito già rilevato[22] che quest’ultima «disposizione […] appare palesemente incostituzionale, perché anche i giudici onorari sono soggetti solo alla legge ex art. 101 Cost., cosicché è impensabile che “Il presidente del tribunale attribuisce ad uno o più giudici professionali il compito di impartire specifiche direttive anche in merito alle prassi applicative e di vigilare sull’attività dei giudici onorari di pace” (così, espressamente, art. 2, comma 15, ultima parte)».
2.3 I giudici onorari di pace nell’“ufficio del processo” presso il Tribunale
Il legislatore oltre a prevedere l’unificazione della figura dei giudice di pace e dei giudici onorari di tribunale, facendoli confluire nell’Ufficio del giudice di pace, con nuove ed ampliate competenze, come innanzi detto, ha previsto all’art. 2, co. 1, lett. a), una espressa eccezione («salvo quanto previsto dal comma 5»), in forza della quale «nell’esercizio della delega di cui all’art. 1, comma 1, lettera e)[23] con riferimento alle modalità di impiego dei magistrati onorari all’interno del tribunale», il Governo dovrà «individuare le modalità con cui il Presidente del Tribunale provvede all’inserimento dei giudici di pace nell’ufficio per il processo costituito presso il tribunale ordinario».
Sicché, i giudici onorari di pace non saranno solo destinati ad operare, in via esclusiva, presso l’Ufficio del giudice di pace, come innanzi detto, ma saranno anche “impiegati” all’interno del Tribunale nell’ufficio per il processo.
In tale caso, il giudice onorario di pace è chiamato a svolgere innanzitutto attività che sono di mero affiancamento e ausilio del giudice professionale, e non più funzione propriamente giurisdizionale: «coadiuvare il giudice professionale e, quindi, compiere tutti gli atti preparatori, necessari o utili per l’esercizio della funzione giurisdizionale da parte di quest’ultimo» (art. 2, co. 5, lett. a, n.1).
E tanto sarà possibile sia per i giudici onorari di pace di prima nomina (art. 2, co. 7, lett. e)[24], sia per i giudici di pace attualmente in servizio. Il Presidente del Tribunale, su domanda, potrà inserire questi ultimi nell’ufficio del processo con compiti di mero supporto dei giudici professionali (art. 2, co. 17 , lett. b, n. 2).
Tale previsione, a ben vedere, costituisce una limitazione della autonomia della funzione del giudice di pace, atteso che lo stesso giudice onorario di pace potrebbe essere per un verso giudice di primo grado, che decide con piena autonomia, secondo le competenze che gli sono proprie, e dall’altro trovarsi ad affiancare, con funzioni di mero supporto, il proprio giudice dell’appello; sicché, è immanente il rischio che il potere dell’organo superiore possa indirettamente estendersi anche alle funzioni giurisdizionali e così pregiudicare l’indipendenza del giudice[25].
Inoltre, sono previste nuove attribuzioni che potranno essere delegate al giudice onorario di pace che potrà «svolgere le attività e adottare i provvedimenti che al giudice onorario di pace possono essere delegati dal giudice professionale tra quelli individuati in attuazione della delega […], in considerazione della natura degli interessi coinvolti e della “semplicità delle questioni” che normalmente devono essere risolte» (art. 2, co. 5, lett. a, n. 2).
Tali attività e provvedimenti dovranno essere adottati da parte del giudice onorario, di pace sulla base delle «direttive generali» impartite dal giudice professionale.
In caso di disaccordo, unica alternativa, per il giudice di pace onorario sarà quella di poter «chiedere che l'attività o il provvedimento siano compiuti dal giudice professionale titolare del procedimento» (art. 2, co. 5, lett. a, n. 2).
Al giudice onorario di pace potranno essere, altresì, delegati dal giudice professionale «i provvedimenti che definiscono i procedimenti» qualora siano «specificamente individuati in considerazione della loro “semplicità”» (art. 2, co. 5 lett. a, n. 3).
Anche in tal caso il giudice non sarà individuato in base a criteri certi e obiettivi, ma in base ad criterio meramente discrezionale, rimesso alla valutazione del giudice professionale, dopo l’instaurazione del giudizio.
Inoltre, il Presidente del Tribunale potrà provvedere all’applicazione non stabile del giudice onorario di pace, che abbia svolto i primi due anni dell'incarico, quale componente del collegio giudicante civile e penale in «casi tassativi, eccezionali e contingenti in cui, in ragione della significativa scopertura dei posti di magistrato ordinario previsti dalla pianta organica del tribunale ordinario e del numero dei procedimenti assegnati ai magistrati ordinari ovvero del numero di procedimenti rispetto ai quali è stato superato il termine ragionevole di cui alla legge 24 marzo 2001, n. 89», con eccezione dei collegi nelle sezioni specializzate.
In «casi tassativi», «il giudice onorario di pace, che abbia svolto i primi due anni dell’incarico, potrà essere applicato per la trattazione di procedimenti civili e penali di competenza del tribunale ordinario». Con unica eccezione e limitazione che«in ogni caso il giudice onorario di pace non potrà essere applicato per la trattazione dei procedimenti, ovvero per l’esercizio delle funzioni, indicati nel terzo comma dell'articolo 43-bis dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, nonché per la trattazione dei procedimenti in materia di rapporti di lavoro e di previdenza ed assistenza obbligatorie».
In tutte queste ipotesi, pertanto, né l’avvocato, né il cittadino potranno sapere preventivamente quale sarà il “giudice naturale” (Tribunale o giudice onorario di pace, sebbene inserito nell’ufficio del processo presso il Tribunale) che deciderà la controversia.
E quando sarà “impiegato” nell’ufficio del processo (così come attualmente disciplinato), il giudice onorario di pace, svolgerà mere funzioni delegate dal giudice professionale, e secondo le espresse direttive impartite dallo stesso, senza l’autonomia ed indipendenza proprie di ogni giudice.
Con la conseguenza che, vi è il rischio che indirettamente o direttamente, possa essere pregiudicata l’indipendenza del giudice onorario di pace, anche quando svolgerà la funzione giurisdizionale presso l’Ufficio del giudice di pace, attesi i poteri di controllo del giudice professionale, che avrà il duplice ruolo di giudice d’appello e giudice coordinatore dell’ufficio del giudice di pace, e potrà, in tale veste, «impartire specifiche direttive anche in merito alle prassi applicative e […] vigilare sull’attività dei giudici onorari di pace».
Non v’è chi non veda che, così operando, il legislatore abbia compromesso fortemente l’indipendenza del giudice onorario di pace, necessaria ad assicurare la sua imparzialità, tanto più che il suo incarico non è a tempo indeterminato, ma è soggetto a rinnovi quadriennali, e sarà proprio il giudice coordinatore professionale e/o affidatario, che dovrà esprimere il parere in sede di conferma del mandato. Senza trascurare che, in sede di conferma, il giudice di pace onorario sarà soggetto anche al parere di un organo esterno, quello del Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati nel cui circondario ha esercitato le funzioni (art. 2, co. 7, lett. c)[26].
Eppure, secondo Calamandrei l’imparzialità «è la qualità preminente che sembra inseparabile dalla idea stessa di giudice»[27], e per citare Bobbio, «l’imparzialità è per il giudice come l’avalutatività per lo scienziato: è la somma della virtù. Un giudice parziale è come uno scienziato tendenzioso»[28].
3. Quale regime previdenziale ed assistenziale per i giudici di onorari di pace?
Quanto alla soluzione del delicato tema del riconoscimento dei diritti previdenziali ed assistenziali in favore dei giudici onorari di pace, il legislatore delegato ha il compito di «individuare e regolare un regime previdenziale e assistenziale compatibile con la natura onoraria dell’incarico, senza oneri per la finanza pubblica, prevedendo l’acquisizione delle risorse necessarie mediante misure incidenti sull’indennità» (art. 2, co. 13, lett. l).
Il che equivale a non riconoscere alcuna garanzia, né per il futuro, perché i contributi saranno ad esclusivo carico del giudice onorario di pace, né per il passato, perché non è previsto alcun regime transitorio che disciplini gli anni pregressi (in media circa 15 anni).
Tale situazione è grave, poiché impedisce ai giudici di pace in servizio (che si ricorda hanno in media un’età di circa 50 anni), di costruirsi e/o di incrementare la propria posizione previdenziale, atteso che il reddito di giudice di pace è assimilato, secondo la disciplina vigente[29], solo a fini fiscali a reddito da lavoro dipendente, ma non sono stati corrisposti dallo Stato i relativi contributi previdenziali ed assistenziali.
Tanto più che per i giudici di pace iscritti all’Albo professionale e alla Cassa Forense, fino alla entrata in vigore del nuovo Regolamento di Cassa Forense[30], non era prevista neppure la parificazione, a fini previdenziali, delle indennità al reddito professionale (come già avveniva per i GOT e VPO, in forza dell’art. 50, lett. f) T.U.I.R., che però le corrispondevano a proprio esclusivo carico).
Sennonché, il predetto regolamento ha disciplinato solo le situazioni future, e così la Cassa Forense, in difetto di un’espressa previsione legislativa di natura retroattiva, non ha riconosciuto, per gli anni precedenti, le indennità di giudice di pace ai fini del reddito professionale.
Per tale ragione, i giudici di pace attualmente in servizio, pur rimanendo formalmente iscritti all’Albo professionale, ma avendo cessato di svolgere la professione di avvocato (o comunque fortemente limitato la predetta attività, soprattutto le donne), in maggioranza non hanno raggiunto i limiti reddituali prescritti da Cassa Forense ai fini del giudizio sulla continuità professionale, e quindi, o si sono cancellati dalla Cassa ovvero rimasti iscritti, pur avendo dovuto pagare i contributi fissi, non hanno ottenuto il relativo riconoscimento a fini previdenziali di tali versamenti, con inevitabili ripercussioni negative sulla propria posizione previdenziale (e nel secondo caso, anche di natura economica immediata).
Il legislatore, pertanto, ancora una volta, ha disatteso i principi costituzionali[31] e la richiamata Raccomandazione Europea, secondo la quale al fine di garantire la indipendenza del giudice «deve essere garantito il mantenimento di una remunerazione ragionevole in caso di malattia, di congedo per maternità o paternità, nonché il pagamento di una pensione per il collocamento a riposo il cui livello deve essere ragionevolmente rapportato alla retribuzione dei giudici in servizio» (art. 54 CM / Rec 12/2010)[32].
4. Le indennità
Quanto al compenso, il legislatore, nel fissare i principi guida, invece, di prevedere quale criterio generale che l’indennità debba essere adeguata allo svolgimento della funzione e a garantire l’indipendenza del giudice onorario di pace, come previsto dalla stessa raccomandazione europea[33], stabilisce un criterio diverso ed opposto in quanto «le indennità dovranno essere stabilite in modo da assicurare la compatibilità dell’incarico onorario con lo svolgimento di altre attività lavorative» (art. 2, co. 13, lett. h).
In particolare[34], il compenso sarà determinato in una parte fissa ed in una parte variabile (in misura non inferiore al 15 per cento e non superiore al 50 per cento della parte fissa); tuttavia, il riconoscimento della parte variabile sarà del tutto incerto, atteso che potrà essere concessa solo al termine dell’anno, allorquando il Presidente del Tribunale, verificato il raggiungimento degli obiettivi, adotterà uno specifico provvedimento per la liquidazione della parte variabile dell’indennità, e lo comunicherà alla sezione autonoma del Consiglio giudiziario.
Al magistrato onorario che svolgerà più compiti e funzioni tra quelli previsti ex lege, sarà corrisposta la parte fissa dell’indennità riconosciuta per le funzioni o i compiti svolti in via prevalente. Per lo svolgimento dei compiti di mero affiancamento, è prevista una parte fissa dell’indennità in misura inferiore a quella prevista per l’esercizio di funzioni giurisdizionali. Allorquando, invece, il giudice onorario di pace sarà applicato «quale componente del collegio giudicante civile e penale […] non devono derivare nuovi e maggiori oneri a carico della finanza pubblica» (art. 2., co. 5, lett. b).
5. Il regime transitorio
Il legislatore ha riconosciuto un regime transitorio per i giudici di pace (nonché per i giudici onorari di tribunale e per i vice procuratori onorari), quale parziale riconoscimento delle funzioni espletate. Difatti, mentre, secondo la nuova disciplina, il mandato di giudice onorario di pace durerà quattro anni e potrà essere rinnovato una sola volta (e comunque fino al raggiungimento del sessantacinquesimo anno di età), i giudici onorari di pace in servizio all’entrata in vigore della legge, potranno essere rinnovati per ulteriori quattro mandati, e comunque, fino al raggiungimento del sessantottesimo anno di età, con inevitabili ripercussioni negative sul piano previdenziale, non potendo così raggiungere il requisito dell’età pensionabile (70 anni)[35].
Contravvenendo, però, ad ogni logica di buon andamento ed efficienza del sistema di giustizia che tenga conto delle professionalità maturate in 25-30 anni di servizio (anche a seguito dell’aggiornamento professionale obbligatorio), è stato previsto che durante il quarto mandato i giudici onorari di Pace, potranno solo «svolgere i compiti inerenti all'ufficio del processo» (art. 2., co. 17 lett. 2) e, quindi, non più funzioni giurisdizionali presso l’ufficio del giudice di pace.
Il giudice onorario di pace, pertanto, subirà un demansionamento “ex lege” proprio nell’ultimo mandato, salvo che «il Consiglio Superiore della Magistratura, in sede di deliberazione per la conferma dell'incarico, riconosca l'esistenza di specifiche esigenze di servizio relativamente all'ufficio per il quale la domanda di conferma è proposta, nel corso del quarto mandato» (art. 2, co. 17 , lett. a) n.2).
[1] Si richiama Cass. 19.9.14 n. 19741 che, in relazione agli artt. 102 -106, 2° co. Cost. ha ritenuto che «i giudici di pace pur non essendo magistrati di carriera sono inseriti a pieno titolo nella giurisdizione ordinaria».
[2] Art. 22 bis L. 24 novembre 1981 n. 689 e successivamente dall’art. 34, D. lgs. 1 settembre 2011, n. 150, e in materia di volontaria giurisdizione nei procedimenti ex artt. 752 c.p.c., 745 c.p.c. e 80 c.p.c..
[3] Artt. 4-5 D. lgs. 28 agosto 2000 n. 274, nonché in materia di immigrazione artt. 10 bis, 13 e segg. T.U. Immigrazione D.lgs n. 286/1998.
[4] V. Cass. civ., SS. UU., Ord. 19 ottobre 2011, n. 21582 «Il modello di giudice disegnato dal legislatore del 1991 - “a metà tra onorarietà e professionalità ed investito, ex art. 7 c.p.c., di una competenza ben più che bagatellare”, come osserva un'attenta dottrina - abbia assorbito l'intera competenza per valore del conciliatore e del pretore, oltre ad incunearsi in materie statisticamente assai rilevanti per il contenzioso civile con l'obbiettivo primario di ridurre l'enorme carico di lavoro della magistratura togata, gravemente compromissivo della credibilità e dell'effettività dell'amministrazione della giustizia civile. Una prima, diacronica ricognizione del dato normativo consente così di cogliere il progressivo aumento della competenza non solo sotto il profilo del valore delle controversie, ma anche della loro rilevanza sociale rispetto a quelle riservate al vecchio giudice conciliatore. Il nuovo magistrato onorario (come ancora rilevato acutamente in dottrina) nasce allora come organo da preporre a difesa delle regole della convivenza e della tolleranza, poiché proprio in ordine a siffatte questioni l'elevato costo della giustizia aveva privato il cittadino della tutela giudiziaria, mentre il proposito di fare di tale giudice una sorta di Ombudsman togato è rimasto comunque vincolato a precisi limiti di competenza, funzionali al raggiungimento di scopi non di mera deflazione, bensì di più razionale distribuzione dei carico giudiziario tra giudici diversi: in definitiva (come si è suggestivamente osservato), “ad un recupero dell'efficienza come valore anche democratico, giacché sono i soggetti più deboli, i soggetti subalterni, quelli normalmente più colpiti dalle inefficienze del sistema e del sistema giurisdizionale, civile e penale”».
[5] Artt. 10, 12 ter, 12 quater, 13, D.lgs. 27 gennaio 2006, n. 25, Istituzione del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e nuova disciplina dei Consigli Giudiziari, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera c), della legge 25 luglio 2005, n. 150.
[6] v. dott. M. Barbuto, già Capo del dipartimento dell’Organizzazione giudiziaria del Personale e dei Servizi Ministero della Giustizia, Relazione dell'11.8.2015, pag. 8.
[7] D.lgs. 7 settembre 2012, n. 156, (Gazz. Uff. 12 settembre 2012, n. 213, concernente «Revisione delle circoscrizioni giudiziarie – Uffici dei giudici di pace, a norma dell’articolo 1, comma 2, della L. 14 settembre 2011, n. 148».
[8] Infatti, l’art. 9 del d.l. n. 115/05 (convertito dalla L. n. 168/05), modificando l'art. 7 L. 374/1991 «In attesa della complessiva riforma dell'ordinamento dei giudici di pace», introduceva un terzo mandato quadriennale, a fronte dell’iniziale previsione di durata dell’incarico (un mandato quadriennale rinnovabile una sola volta, previa valutazione di professionalità). Così i giudici di pace in funzione, nominati a seguito del superamento del concorso generale indetto nel 1998 (D.M. 3.12.1998), ed entrati in servizio alcuni dal 1999, mentre in maggioranza fra gli anni 2001-2003 (qualcuno nel 2004), dopo la scadenza del loro terzo mandato quadriennale, sono stati prorogati ex lege, fino ad arrivare all’ultima, che di fatto, è contenuta anche nel D.lgs. n. 92/2016, che espressamente prevede che «I magistrati onorari rimangono in servizio fino alla definizione della procedura di conferma di cui al presente articolo» (art. 2, co. 9).
[9] Difatti, si ricorda che le indennità, di cui all’art. 11 come modificate e introdotte nell’anno 2000 e, per il penale nell’anno 2002, non sono mai state aggiornate secondo gli indici ISTAT come, invece, prescritto dall’art. 11, co. 4, Legge 347/1991.
[10] v. Dott. A. Soprano, Presidente della Corte d'Appello di Torino, Relazione Inaugurazione Anno Giudiziario 2016, «[…] la Magistratura onoraria svolge, da oltre un ventennio, un servizio essenziale per il corretto funzionamento della giustizia. Con l’istituzione dei giudici di pace (1991) si è attuato, invero, un primo e sostanziale effetto deflattivo del carico dei processi. Le Procure delle Repubbliche ed i Tribunali non sarebbero certamente più in grado di svolgere le loro funzioni senza il generoso apporto dei giudici onorari. I giudici di pace non si limitano a svolgere le sole specifiche funzioni ad esse assegnati dal legislatore, ma hanno un loro ruolo e svolgono […] compiti perfettamente identici a quelli riservati ai magistrati ordinari. I Giudici onorari sono “arruolati” attraverso un concorso pubblico per titoli; svolgono un periodo di effettivo tirocinio; sono soggetti a valutazione periodica quadriennale per la conferma, da parte dei CG e del CSM, con procedure che, per le Sezioni Unite della S.C., hanno natura paraconcorsuale; partecipano periodicamente alla formazione, anche centralizzata ed hanno, in media, una buona preparazione tecnico-professionale […] La qualità del lavoro […] è, quindi, di buon livello, come risulta anche dai dati ministeriali contenuti nella citata relazione ministeriale (solo il 3% delle sentenze civili emesse dai giudici di pace sono oggetto di impugnazione). Un giudice di pace tiene, di regola, almeno due o tre udienze a settimana e, negli altri giorni, è impegnato a stendere la motivazione delle sentenze introitate. La legge istitutiva del 1991 impone poi ai giudici onorari gli stessi doveri di correttezza, di lealtà, di laboriosità richiesti ai magistrati ordinari. I pochi magistrati onorari che hanno dimostrato scarsa efficienza e che non sono stati in gradi di svolgere il loro delicato incarico sono stati rimossi o comunque sottoposti a gravi sanzioni disciplinari. E tutto questo viene svolto a fronte di una modesta retribuzione con la quale devono, tra l’altro, pagare, di tasca loro, la previdenza. I magistrati onorari non godono di alcuna tutela assistenziale e previdenziale e non svolgono, di regola, altre attività lavorative. È allora necessario sostenere le giuste rivendicazioni dei magistrati onorari, lavoratori precari che da sempre svolgono, anche con notevoli sacrifici personali, una mole rilevante di lavoro nell’interesse della Giustizia e offrono un contributo divenuto oramai fondamentale e non altrimenti sostenibile. Ai magistrati onorari, privi di adeguato riconoscimento dei loro diritti, va, quindi, con vivo ringraziamento, la solidarietà dei Magistrati di carriera».
[11] In G.U. n. 99 del 29 aprile 2016.
[12] Traduzione Italiana, versione non ufficiale in lingua italiana, CM/REC (2010) 12, by dott. R. Sabato già Presidente e componente dell’Ufficio direttivo del Consiglio Consultivo dei Giudici Europei (CCJE).
[13] Ad es. la Sezione Autonoma del Consiglio Giudiziario con componenti non solo in rappresentanza dei giudici di pace, ma anche dei giudici onorari di tribunale e vice procuratori onorari.
[14] Si richiama in merito, una recente sentenza della Suprema Corte, Cass. Sez. Un. 29 maggio 2014 n. 12064 la quale occupandosi, peraltro nella specie, della disciplina della funzione giurisdizionale del CNF ha statuito che «la disciplina della funzione giurisdizionale del CNF, anche per quanto attiene al momento di formazione dell’organo, è coperta da riserva assoluta di legge ex art. 108, primo comma, della Costituzione, non può essere affidata alla regolamentazione governativa». Sicché, se tale principio trova applicazione per il CNF in sede di funzione giurisdizionale, che è un giudice speciale, a maggior ragione dovrebbe valere per il giudice di pace che fa parte del Ordinamento Giudiziario, quale giudice ordinario di primo grado.
[15] D. lgs. del 31 maggio 2016 n. 92 Disciplina della sezione autonoma dei Consigli giudiziari per i magistrati onorari e disposizioni per la conferma nell'incarico dei giudici di pace, dei giudici onorari di tribunale e dei vice procuratori onorari in servizio (Gazz. Uff. Serie Generale n.126 del 31-5-2016).
[16] E. Tullio Liebman, Manuale di diritto processuale civile, Giuffré, 1984 pag. 8-9.
[17] […] oltre alla previsione della «figura del magistrato requirente onorario, inserito nell’ufficio della Procura della Repubblica» (art. 1 , lett. b).
[18] v. gli spunti di riflessione di A. Proto Pisani, Che fare della magistratura onoraria?, in Foro Italiano online, nonché in questa rivista, che ipotizza quale alternativa di riforma della magistratura onoraria la creazione di «una magistratura “onoraria” costituita dai giudici di pace (competenti solo per materia e non per valore quali giudici civili e penali di primo grado) e dai vice procuratori onorari (anche essi competenti per materie specificamente individuate) selezionati secondo i criteri originari della l. 374/1991 […]».
[19] E. Tullio Liebman, Manuale di diritto processuale civile, vol I, Giuffré, 1984 pag. 47-48.
[20] Così sul tema G. Scarselli, La riforma della magistratura onoraria: un ddl che mira ad altri obiettivi e va interamente ripensato, in questa rivista; secondo l’Autore, «L’attore, per scendere al concreto, deve sapere se una causa va instaurata nell’ufficio del giudice di pace o in tribunale, e non può certo farlo dando una pre-valutazione della complessità istruttoria e decisoria della controversia. Non può farlo non solo perché non è pensabile che un giudizio del genere sia rimesso all’attore che deve introdurre la causa, ma anche perché per stabilire se una controversia è semplice o complessa sotto il profilo istruttorio e decisorio è quanto meno necessario attendere il contraddittorio e valutare anche la posizione del convenuto, che potrebbe (anche) proporre domande riconvenzionali, chiamare in causa terzi, ecc... La novità allora sembra questa: la competenza non sarà più individuata dalla parte con l’atto introduttivo del giudizio in base all’oggetto del contendere, ma dal giudice in base alla complessità della lite; la competenza non si determinerà più in limine litis, ma solo a seguito del contraddittorio».
[21] cfr. Sul tema G. Scarselli, ivi citato, il quale criticamente già prima della entrata in vigore della legge evidenziava che «Non si valorizza una categoria che fino ad oggi ha svolto funzioni giurisdizionali inserendola nell’ufficio del processo a compenso ridotto; né la si valorizza prevedendo che ogni sua attività sia sottoposta alle direttive dei giudici professionali, che avranno il controllo pieno dell’operato dei giudici onorari in seno all’ufficio del processo, e avranno egualmente il potere di indirizzo, di controllo e di vigilanza della funzione giurisdizionale dei giudici onorari anche fuori dall’ufficio del processo, prima con le riunioni trimestrali per l’esame delle questioni giuridiche e per la discussione delle soluzioni adottate, e poi con le “specifiche direttive anche in merito alle prassi applicative” e con la vigilanza “sull’attività dei giudici onorari di pace”, così come espressamente previsto dal comma 15 dell’art. 2 del disegno di legge».
[22] G. Scarselli, ivi citato.
[23] «Disciplinare le modalità di impiego dei magistrati onorari all’interno dei tribunale e della procura della Repubblica» (art. 1, comma 1, lett. e).
[24] «Prevedere che i giudici onorari di pace, nel corso dei primi due anni dell’incarico, possano svolgere esclusivamente i compiti inerenti all’ufficio per il processo» (art. 2., co. 7, lett. e).
[25] v. Cass. Sez. Un. n. 12064/2014 (in tema di funzione giurisdizionale e amministrativa del C.N.F.).
In particolare, secondo la detta pronuncia, non è la semplice coesistenza della funzione di natura amministrativa e giurisdizionale in capo allo stesso organo, che menoma l'indipendenza del giudice, bensì il fatto che, le funzioni amministrative siano affidate all'organo giurisdizionale in una posizione gerarchicamente subordinata, poiché in tal caso è «immanente il rischio che il potere dell'organo superiore possa indirettamente estendersi anche alle funzioni giurisdizionali e […] così in definitiva pregiudicare altresì l'indipendenza del giudice».
[26] Anche per tali motivi è stata disattesa la Raccomandazione Europea del Comitato dei Ministri agli Stati membri n. 12/2010 che prescrive sia garantita sia una “indipendenza interna” «del singolo giudice nell'esercizio delle sue funzioni giurisdizionali» prevedendo che: «I giudici [...] devono poter agire senza alcuna restrizione, influenza indebita, pressione, minaccia o interferenza, dirette o indirette, da parte di qualsiasi autorità, comprese le stesse autorità interne alla magistratura. L'organizzazione gerarchica dei tribunali non deve compromettere l'indipendenza del singolo giudice (art. 22). I tribunali superiori non devono emanare istruzioni nei confronti dei giudici sul modo in cui questi ultimi devono decidere in un determinato affare, tranne che nel quadro di un rinvio pregiudiziale o nella statuizione sulle impugnazioni, nelle condizioni previste dalla legge (23)»; che una “indipendenza esterna” dei giudici, «che non è una prerogativa o un privilegio accordato nel loro interesse personale ma nell’interesse dello stato di diritto e di ogni persona che richieda o attenda una giustizia imparziale» (art. 13), sebbene i giudici «devono mantenere un rapporto costruttivo con le istituzioni e gli enti pubblici coinvolti nella gestione e amministrazione dei tribunali, nonché con i professionisti i cui compiti sono collegati a quelli dei giudici al fine di consentire una giustizia efficace».
[27] Così P. Calamandrei, Processo e democrazia, Padova 1954, riprodotto in Opere giuridiche, vol. I, Napoli 1965, pag. 618, in part. pag. 639.
[28] N. Bobbio, Quale Giustizia ecc, in L’ordinamento giudiziario, testi ed autori vari a cura di A. Pizzolorusso, Bologna 1974 .
[29] Art. 50 T.U.I.R.: «Sono assimilati al reddito dal lavoro dipendente […] lett. f) le indennità, i gettoni di presenza e gli altri compensi corrisposti dallo Stato, dalle regioni, dalle province e dai comuni per l’esercizio di pubbliche funzioni, sempre che le prestazioni non siano rese da soggetti che esercitano un’arte o professione di cui all’art. 49, comma 1, e non siano effettuate nell’esercizio di impresa commerciale, nonché i compensi corrisposti ai membri delle commissioni tributarie, ai giudici di pace e agli esperti del tribunale di sorveglianza, ad esclusione di quelli che per legge devono essere riversati allo Stato».
[30] Reg. Att. dell’art 21 co. 8 e 9 Legge n. 247/2012 (Delibera del Comitato dei Delegati del 31 gennaio 2014 e successive modificazioni - Approvato con nota ministeriale del 7 agosto 2014 - G.U. Serie n. 192 del 20/08/2014), art. 1, co. 5.
[31] artt. 2, 3 e 38 Cost.
[32] Si richiama, in un caso analogo, a quello dei giudici onorari italiani (GdP, GOT e VOPO) un primo intervento della Corte di Giustizia Europea Sentenza del 1 marzo 2012, causa C‑393/10, riferito alla categoria del recorder, magistrati a tempo parziale, con competenze penali, nominati da Sua Maestà, su raccomandazione del Lord Chancellor tra avvocati che svolgono la professione da almeno 10 anni, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 267 TFUE, dalla Supreme Court of the United Kingdom (Regno Unito), procedimento Dermod Patrick O’Brien contro Ministry of Justice, già Department for Constitutional Affairs, a cui lo Stato inglese, alla cessazione delle funzioni per raggiungimento del limite di età aveva rifiutato di concedere la pensione di vecchiaia. Per ciò che più rileva la Corte di Giustizia ha esteso la nozione di lavoratore ai recorder e il Tribunale inglese, in sede di rinvio, ha riconosciuto al ricorrente il diritto alla pensione di vecchiaia secondo il principio del pro rata temporis, stabilendo che non esistono ragioni obiettive per escludere i recorder dall’accordo quadro, tenuto conto che essi svolgono le stesse funzioni dei magistrati a tempo pieno. Di conseguenza, il Ministro di Giustizia inglese ha varato una riforma, riconoscendo a tutti i recorder il diritto alla pensione, con l’obiettivo dichiarato di non alimentare ulteriormente il contenzioso.
[33] «La retribuzione dei giudici deve essere commisurata al loro ruolo professionale e alle loro responsabilità ed essere di un livello sufficiente a renderli immuni da qualsiasi pressione volta ad influenzare le loro decisioni» (art. 54 CM / Rec 12/2010)
[34] art. 2., co.13
[35] Previsto sia per i magistrati professionali, che per gli avvocati (salvo per questi ultimi, la facoltà di anticipare tale limite di età, senza penalizzazioni, nel caso in cui abbiano raggiunto i 40 anni di esercizio continuativo della professione, e quindi, versato i relativi contributivi).