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Giurisprudenza e documenti

La rilevanza dell’appello e dell’audizione nel procedimento di protezione internazionale. Riflessioni a margine della sentenza della Corte di appello di Bari n. 1117/2018

di Alessandra Favi
dottoranda in diritto dell’Unione europea, Università di Firenze
La sentenza in commento permette di svolgere alcune brevi riflessioni circa la rilevanza dell’appello e dell’audizione nel procedimento di protezione internazionale, oggetto di profonda revisione ad opera della l. n. 46/2017. Punto di riferimento dell’analisi è il diritto fondamentale ad una tutela giurisdizionale effettiva sancito all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea

Con la sentenza n. 1117/2018 emessa dalla Corte di appello di Bari e pubblicata il 27 giugno 2018, il giudice nazionale, accogliendo l’appello presentato da un richiedente protezione internazionale avverso la decisione negativa di primo grado, evidenzia l’importanza di un secondo grado di giudizio nel merito e dell’audizione del richiedente, al fine della valutazione della credibilità dello stesso quale presupposto per il riconoscimento di una forma di protezione. Infatti, nella sentenza, la Corte non solo dà atto dell’errore di traduzione intervenuto durante l’audizione nella fase amministrativa caratterizzata dalla «scarsa accuratezza (…) scarna e priva di domande di chiarimento», ma anche dell’«emersione solo in appello della reale versione dell’appellante» a causa del «precedente errore di traduzione». In particolare, dalla pronuncia emerge l’importanza che assume la valutazione delle dichiarazioni del ricorrente nel contesto del riconoscimento di una delle forme di protezione e il ruolo centrale svolto dal giudice, il quale, vuoi per la terzietà della sua posizione, vuoi per le sue capacità di analisi dei fatti giuridicamente rilevanti, ha la competenza e la possibilità di cogliere quegli elementi della dichiarazione del ricorrente, tali da far emergere la contraddizione e, dunque, la fondatezza della richiesta.

La sentenza offre l’occasione di riflettere sulla portata delle modifiche recentemente introdotte dal decreto legge n. 13/2017 − convertito con legge n. 46/2017 ─ alle regole processuali relative al riconoscimento della protezione internazionale, alla luce del diritto dell’Unione europea, in particolare del diritto fondamentale ad una tutela giurisdizionale effettiva, oggi sancito dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (d’ora in avanti, “Carta”) [1].

Come noto, le regole processuali in materia di protezione internazionale non sono state armonizzate nel diritto derivato dell’Unione europea, che contiene solo alcune – frammentarie – regole. Spetta quindi agli Stati membri prevedere i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela effettiva «nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione» [2], tra cui sicuramente rientra anche la procedura di riconoscimento della protezione internazionale [3]. Pertanto, pur godendo in virtù del cd. principio di autonomia procedurale di un’ampia discrezionalità nel determinare in concreto gli strumenti giurisdizionali appropriati, gli Stati membri dovranno comunque mirare ad assicurare l’effettività della tutela, parametro valutato caso per caso dalla Corte di giustizia dell’Unione europea in base all’art. 47 della Carta e alla legislazione secondaria di settore che ne è di volta in volta espressione.

Si comprende dunque come la sentenza della Corte di appello di Bari rappresenti un utile strumento di riflessione riguardo lo standard di tutela giurisdizionale effettiva elaborato a livello europeo e le scelte operate dal legislatore italiano nel modificare la disciplina processuale relativa alla procedura di riconoscimento della protezione internazionale, anche in assenza di una normativa di armonizzazione nonché di una specifica previsione a livello di Unione riguardo se e quale tutela apprestare nell’ambito di più gradi di giudizio.

In particolare meritano di essere considerati due aspetti che, come vedremo, appaiono strettamente correlati: l’abolizione del grado di appello, con la sola possibilità di ricorrere in Cassazione per motivi di legittimità e, dall’altro lato, la limitazione del diritto all’udienza davanti al giudice nel procedimento di primo grado (ora regolato dagli articoli 737 e ss. del cpc ove non diversamente disposto dall’art. 35-bis d.lgs n. 25/2008, introdotto dalla legge n. 46/2017).

Quanto al primo aspetto, l’art. 46 della direttiva 2013/32, si limita a disporre che il richiedente protezione internazionale abbia il «diritto ad un ricorso effettivo», che «preveda l’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto compreso, se del caso, l’esame delle esigenze di protezione internazionale (…), quanto meno nei procedimenti di impugnazione dinanzi al giudice di primo grado» (par. 3). La direttiva pertanto – pur non escludendoli espressamente dal suo ambito applicativo – non fa alcun riferimento ad ulteriori gradi di giudizio oltre al primo nella definizione del «diritto ad un ricorso effettivo».

La Corte, pronunciandosi sul punto, ha ritenuto che la direttiva relativa alle procedure «non impone l’esistenza di un doppio grado di giudizio. L’essenziale è unicamente che sia possibile esperire un ricorso dinanzi a un organo giurisdizionale (…). Il principio della tutela giurisdizionale effettiva attribuisce al singolo il diritto di adire un giudice, e non il diritto a più gradi di giudizio» [4]. Di recente, nelle conclusioni rese nella causa ancora pendente X. e X. Y. [5], l’Avvocato generale Bot ha ribadito che «nessuna norma di diritto dell’Unione impone l’esistenza di un doppio grado di giudizio avverso le decisioni che respingono una domanda di asilo (…)». Infatti «il diritto dell’Unione prevede unicamente che gli interessati da tale tipo di misure debbano godere di un diritto di ricorso avverso il rigetto delle loro domande di asilo, restando inteso che quest’ultimo implica solo l’esistenza di un ricorso di primo grado avverso le decisioni, di natura amministrativa, adottate nei loro confronti». Pertanto, la previsione di un secondo grado di giudizio rientra nell’autonomia procedurale degli Stati membri e dipende unicamente dalla procedura prevista dal diritto interno.

Un duplice scenario sembra quindi presentarsi a seconda che gli Stati membri decidano di esercitare o meno tale facoltà: nel primo caso, si può ipotizzare che lo standard di tutela effettiva delineato in base alla direttiva, letta alla luce della Carta, debba essere applicato anche riguardo agli ulteriori gradi di giudizio; nel secondo caso, gli Stati membri potranno discrezionalmente decidere di non esercitare tale facoltà, ed escludere il doppio grado di giudizio. In entrambi i casi con la precisazione che, «considerando il sistema amministrativo e giudiziario dello Stato membro interessato nel suo complesso», il diritto ad un ricorso effettivo sia rispettato [6]. L’Avvocato generale Bot, nelle conclusioni rese il 6 settembre 2012 nella causa D. e A. [7], ha ugualmente precisato che «l’effettività del rimedio, anche per quanto concerne l’esame degli elementi pertinenti, dipende dal sistema amministrativo e giudiziario di ciascuno Stato membro considerato nel suo complesso» . 

Con riguardo al diritto ad un ricorso effettivo, anche la Corte europea dei diritti dell’uomo, nella sua giurisprudenza (che come noto rileva ai sensi dell’art. 52, par. 3 della Carta nella definizione dello standard di tutela giurisdizionale effettiva [8]), ha ritenuto che «tutti i ricorsi offerti dal diritto nazionale possono soddisfare i requisiti di cui all’articolo 13 [Convenzione Edu], malgrado nessun di essi li soddisfi pienamente ove singolarmente considerato» [9].

Quindi gli ulteriori gradi di giudizio, ove previsti dal diritto nazionale, possono concorrere a garantire l’effettività della tutela richiesta dal diritto dell’Unione [10]. Di converso, se le scelte del legislatore nazionale, nell’ambito del proprio potere discrezionale, si orientano verso l’abolizione del doppio grado di giudizio, una specifica attenzione dovrà essere prestata dallo stesso affinché il livello di tutela richiesto dal diritto dell’Unione sia comunque assicurato attraverso gli strumenti di tutela giurisdizionale disponibili nell’ordinamento nazionale.

L’abolizione dell’appello ad opera della legge n. 46/2017, ha comportato l’eliminazione di un secondo grado di merito della causa, mantenendo la possibilità per il richiedente di ricorrere in Cassazione avverso la decisione negativa di primo grado, per soli motivi di legittimità. Pertanto, tutte le garanzie processuali richieste dal rispetto della tutela giurisdizionale effettiva nell’ambito dell’impugnazione di una decisione relativa alla protezione internazionale che implichino una valutazione nel merito della domanda, dovranno e potranno essere assicurate dal giudice nel solo procedimento di primo grado. In altre parole, l’eliminazione dell’appello avrebbe dovuto comportare un rafforzamento delle garanzie nel primo grado di giudizio.

Al contrario, le modifiche apportate al procedimento di primo grado dalla legge n. 46/2017 non rispondono alle maggiori esigenze di tutela derivanti dalla soppressione dell’appello. In questo senso depone la scelta del legislatore di abolire (salvo i casi espressamente previsti) l’udienza delle parti. La normativa italiana potrebbe quindi risultare in contrasto con lo standard di tutela giurisdizionale risultante dal diritto dell’Unione e dalla Convenzione Edu, ove questo sia superiore rispetto a quello assicurato a livello nazionale. La determinazione del livello di tutela applicabile non è però di facile definizione.

L’art. 46 della direttiva 2013/32, pur non menzionando espressamente la necessità di un’udienza o dell’audizione personale del richiedente da parte del giudice, prevede tuttavia che lo stesso svolga un «esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto compreso, se del caso, l’esame delle esigenze di protezione internazionale» (par. 3). Tale disposizione deve essere letta alla luce dell’art. 47 della Carta che, al secondo paragrafo, menziona espressamente il diritto di ogni persona «a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente ed imparziale» nonché dell’art. 6 par. 1 della Convenzione Edu [11].

Nel contesto della procedura di riconoscimento della protezione internazionale, l’udienza davanti al giudice, che preveda anche l’eventuale audizione personale del richiedente, assume particolare importanza in quanto la possibilità di riconoscimento di una forma di protezione dipende, la maggior parte delle volte, dalla credibilità del racconto del richiedente (e la sentenza della Corte di appello di Bari ne è un esempio) [12].

A tale proposito, la Corte Edu ha ritenuto che l’obbligo previsto dall’art. 6 par. 1 Cedu «to hold a public hearing is not an absolute one» [13]. Tuttavia, solo circostanze eccezionali permettono di derogarvi, come quando «there are no issues of credibility or contested facts which necessitate a hearing and the courts may fairly and reasonably decide the case on the basis of the parties’ submissions and other written materials» [14] (nello stesso senso anche la sent. Jussila v. Sweden, ove si fa specifico riferimento non all’udienza – hearing – ma all’audizione personale delle parti − oral hearing). A contrario, quindi, non è possibile in principio derogare allo svolgimento dell’udienza davanti ad un giudice quando quest’ultimo è chiamato a pronunciarsi su questioni attinenti l’accertamento di fatti e la credibilità delle parti.

Per quanto riguarda invece il rapporto tra udienza e audizione personale, la Corte ha ritenuto che, a meno che non si rientri nelle ipotesi eccezionali che possono giustificare deroghe all’obbligo previsto ai sensi dell’6 par. 1 Corte Edu, il diritto all’udienza «implies a right to a oral hearing at least at one level of jurisdiction» [15]. Quindi, l’obbligo derivante dall’art. 6, par. 1 Cedu non implica che l’audizione personale sia prevista per ogni grado di giudizio, ma è sufficiente (e necessario) che sia assicurata almeno in uno.

Se, in base all’art. 52, par. 3 della Carta, il livello di tutela dei diritti enunciati nella Carta che trovano un corrispettivo nei diritti sanciti nella Convenzione deve essere almeno eguale, lo standard richiesto dal diritto dell’Unione in relazione al diritto ad un’udienza e all’audizione non sembra però del tutto in linea con lo standard elaborato dalla Cedu.

Nella recente sentenza Sacko, relativa ad un ricorso avverso domande di protezione manifestamente infondate, la Corte di giustizia sembra infatti collegare la valutazione dell’effettività del diritto ad un’udienza o all’audizione non solo rispetto all’insieme degli strumenti di tutela giurisdizionale predisposti dall’ordinamento nazionale, considerati nel loro complesso (come invece sembra emergere dalla giurisprudenza della Corte Edu), ma anche al contesto «dell’intera procedura d’esame della domanda di protezione internazionale (…) tenendo conto della stretta connessione esistente tra la procedura di impugnazione dinanzi al giudice e la procedura di primo grado che la precede, nel corso della quale deve essere data facoltà al richiedente di sostenere un colloquio personale» [16]. Secondo la Corte, la previsione di un colloquio personale con il richiedente nella fase amministrativa di valutazione della domanda di protezione sarebbe quindi di per sé idonea e sufficiente ad integrare in maniera effettiva il diritto all’udienza o all’audizione, lasciando al giudice avanti al quale la decisione amministrativa è impugnata la facoltà di procedere o meno all’audizione del richiedente. Tale pronuncia sembrerebbe delineare uno standard di tutela a livello di Unione deteriore rispetto a quello previsto dalla Convenzione Edu, come interpretato dalla Corte Edu. Eventualità che tuttavia dovrebbe essere esclusa dal disposto dell’art. 52, par. 3 della Carta, che imporrebbe di lasciare impregiudicato il livello minimo di tutela elaborato dalla Cedu.

 


[1] Si veda più ampiamente sul tema le analisi contenute nel numero monografico L’ospite straniero. La protezione internazionale nel sistema multilivello di tutela dei diritti fondamentali, in Questione Giustizia trimestrale, n. 2/2018, http://questionegiustizia.it/rivista/2018-2.php. In particolare, vds. i contributi di: L. Breggia, L’audizione del richiedente asilo dinanzi al giudice: la lingua del diritto oltre i criteri di sintesi e chiarezza, http://questionegiustizia.it/rivista/2018/2/l-audizione-del-richiedente-asilo-dinanzi-al-giudi_546.php; nonché A. D. De Santis, L’eliminazione dell’udienza (e dell’audizione) nel procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale. Un esempio di sacrificio delle garanzie, http://questionegiustizia.it/rivista/2018/2/l-eliminazione-dell-udienza-edell-audizione-nelpro_547.php

[2] Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, l’art. 19, par. 1 TUE afferma ora espressamente «l’obbligo per gli Stati membri di stabilire i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione».

[3] Si veda a questo proposito: A. Adinolfi, Diritto dell’Ue e soggiorno del richiedente protezione internazionale in attesa dell’esito del ricorso in Cassazione: qualche osservazione a margine dell’ordinanza di rinvio pregiudiziale del Tribunale di Milano (n. 44718/2017), in questa Rivista on-line, 29 giugno 2018, http://www.questionegiustizia.it/articolo/diritto-dell-ue-e-soggiorno-del-richiedente-protez_29-06-2018.php.

[4] Par. 69, sent. CG del 29 luglio 2011, Samba Diouf, C-69/10, ECLI:EU:C:2011:524. In tale sentenza si faceva tuttavia riferimento alla direttiva 2005/85/CE del 1° dicembre 2005, rifusa nella direttiva 2013/32/UE.

[5] Conclusioni presentate dall’Avvocato generale Yves Bot, il 24 gennaio 2018, X. e X.Y., nelle cause riunite C-175/17 e C-180/17, ECLI:EU:C:2018:34, par. 32.

[6] CG, sent. Samba Diouf, cit., par. 46 e CG, sent. 31 gennaio 2013, D. e A., causa C-175/11, EU:C:2013:45, par. 102 nonché vds. le conclusioni presentate dall’Avvocato generale Yves Bot, X. e X.Y., cit., par. 48.

[7] Conclusioni Avvocato generale Yves Bot rese il 6 settembre 2012, D. e A., cause riunite C-175/11 e C-180/17, par. 92

[8] L’Art. 52, par. 3 della Carta prevede infatti che laddove la Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione Edu, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta Convenzione. Tuttavia, il diritto dell’Unione può concedere una protezione più estesa rispetto a quella prevista dalla Convenzione e dalla giurisprudenza della Corte Edu. In particolare, l’art. 47 della Carta corrisponde agli articoli 13 Convenzione Edu (Diritto ad un ricorso effettivo) e 6 (Diritto ad un equo processo), offrendo tuttavia una disciplina più estensiva per entrambi.

[9] Corte Edu, sent. Gebremedhin v. France del 26 aprile 2007, 25389/05 par. 53 e sent. Čonka v. Belgium, del 5 febbraio 2002, 51564/99, par. 75.

[10] Si veda a questo proposito: A. Adinolfi, Diritto dell’Ue e soggiorno del richiedente protezione internazionale in attesa dell’esito del ricorso in Cassazione: qualche osservazione a margine dell’ordinanza di rinvio pregiudiziale del Tribunale di Milano (n. 44718/2017), cit.

[11] Si veda per un approfondimento su questo aspetto: C. Favilli, L’Unione che protegge e l’Unione che respinge. Progressi contraddizioni e paradossi del sistema europeo di asilo, par. 5, in Questione Giustizia trimestrale, n. 2/2018, http://questionegiustizia.it/rivista/2018/2/l-unione-che-protegge-e-l-unione-che-respinge-prog_532.php. Si veda anche A.M. Reneman, EU asylum procedures and the right to an effective remedy, Leiden, 2013.

[12] Lo dimostra anche la centralità che assume nella direttiva 2013/32/UE la disciplina del colloquio personale del richiedente asilo da parte dell’autorità amministrativa, a cui sono dedicati gli articoli dal 14 al 17. Si veda a questo proposito: M. Flamini, Il ruolo del giudice di fronte alla peculiarità del giudizio di protezione internazionale, in Questione giustizia trimestrale, n. 2/2018, http://questionegiustizia.it/rivista/2018/2/il-ruolo-del-giudice-di-fronte-alle-peculiarita-del-giudizio-di-protezione-internazionale_544.php; Vds anche M. Veglio, Uomini tradotti. Prove di dialogo con richiedenti asilo, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 2/2017, https://www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/archivio-saggi-commenti/saggi/fascicolo-2017-n-2/72-uomini-tradotti-prove-di-dialogo-con-richiedenti-asilo; M. Acierno, M. Flamini, Il dovere di cooperazione del giudice, nell’acquisizione e nella valutazione della prova, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 1/2017, https://www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/archivio-saggi-commenti/saggi/fascicolo-2017-n-1/62-il-dovere-di-cooperazione-del-giudice-nell-acquisizione-e-nella-valutazione-della-prova.

[13] Vds. tra le tante, Corte Edu, sent. Döry v. Sweden, appl. n. 28394/95, 12 novembre 2002, par. 37. Si veda a questo proposito: C. Favilli, L’unione che protegge e l’Unione che respinge. Progressi, contraddizioni e paradossi del sistema europeo di asilo, cit. par. 5.2.

[14] Corte Edu, sent. Saccoccia v. Austria, appl. n. 69917/01, 18 dicembre 2008, par. 73; vds. anche la citata Jussila v. Finland, app. n. 73053/01, 23 novembre 2006, par. 41

[15] Corte Edu, sent. Fischer v. Austria, appl. n. 16922/90, 26 aprile 1995 par. 44 e sent. Salomonsson v. Sweden, appl. n. 38978/97, 12 novembre 2002, par. 36.

[16] CG, sent. 26 luglio 2017, Moussa Sacko, C-348/16, ECLI:EU:C:2017:591, par. 42.

09/07/2018
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