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Le ultime riforme al processo di esecuzione forzata di cui al d.l. 59/2016. Ovvero le banche dettano e il legislatore scrive*

di Giuliano Scarselli
Ordinario di diritto processuale civile, Università di Siena
La realtà di questa riforma mi sembra evidente: si è voluto avvantaggiare categorie particolari di creditori rispetto ad altri; la stessa rubrica del dl prevede che le norme sono anche “a favore degli investitori in banche in liquidazione”

1. Dopo i numerosi interventi di riforma sul processo esecutivo avutesi negli ultimi anni, il legislatore ha pensato di intervenire anche in questo 2016, e lo ha fatto con il d.l. 3 maggio 2016 n. 59, convertito con modificazioni dalla l. 30 giugno 2016 n. 119.

L’ennesima riforma è entrata in vigore il 3 luglio 2016, è stata rubricata “Disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione” e merita senz’altro di essere commentata.

Gli interventi principali relativi al processo esecutivo, l’unico del quale mi occupo con questo mio breve intervento, sono stati soprattutto quello sull’art. 560 c.p.c., che oggi vede fortemente modificati i comma, 3°, 4° e 5°, quello sull’art. 615, collegato all’art. 492 c.p.c., che pure ha avuto rilevanti modificazioni, e poi ancora quelli relativi all’art. 532 c.p.c. e 596 c.p.c.

Il d.l. contiene altresì ulteriori interventi (a mio parere) di minor significato, e modifica infine i comma 2° e 3° del nuovo art. 2929 bis c.c., introdotto con il d.l. 83/2015, rafforzando la tutela del creditore a fronte di atti di donazione, vincoli di indisponibilità o trasferimento a terzi di beni da parte del debitore.

In particolare va segnalato che le modifiche all’art. 560 c.p.c. tendono tutte a favorire la vendita dei beni immobili pignorati, attribuendo al custode il potere/dovere di liberare l’immobile pignorato fuori dalle regole di cui agli artt. 605 e ss. c.p.c., e riducendo i diritti che terzi possano vantare sul bene, mentre l’art. 615 c.p.c. oggi dispone, alla fine del 2° comma, che “nell’esecuzione per espropriazione l’opposizione è inammissibile se è proposta dopo che è stata disposta la vendita o l’assegnazione…….salvo che sia fondata su fatti sopravvenuti ovvero l’opponente dimostri di non aver potuto proporla tempestivamente per causa a lui non imputabile”.

 

2. Vediamo, seppur senza alcuna pretesa di completezza, le singole novità.

Precisamente, la prima novella riguarda il 3° comma dell’art. 560 c.p.c. che ha ad oggetto la disciplina del provvedimento con il quale il GE dispone la liberazione dell’immobile pignorato.

La norma prevede che il giudice dell’esecuzione possa disporre la liberazione dell’immobile pignorato anche prima dell’aggiudicazione, e precisa ora che detto provvedimento è opponibile dal debitore esecutato ai sensi dell’art. 617 c.p.c., e ciò a fronte del vecchio testo, che considerava invece detto provvedimento “non impugnabile”.

In verità, anche in precedenza taluna dottrina e certa giurisprudenza ritenevano che il provvedimento di liberazione dell’immobile potesse essere opposto dal debitore esecutato nelle forme dell’art. 617 c.p.c., cosicché può dirsi che questo ritocco non aggiunge gran che, e solo recepisce una idea che si era già manifestata.

Il nuovo 3° comma, tuttavia, non precisa una serie di altre cose affatto secondarie, e che forse era necessario precisare, e segnatamente non precisa: a) se il GE possa pronunciare detto provvedimento solo ad istanza di parte oppure se lo possa fare anche d’ufficio; b) se detto provvedimento debba esser dato nel contraddittorio, oppure no, con il debitore esecutato, visto che con esso il debitore esecutato viene spogliato della possibilità di abitare l’immobile; c) se il provvedimento di liberazione, nell’ipotesi sia stato pronunciato in essenza del debitore esecutato, debba a questi quanto meno essere notificato; d) e soprattutto non precisa di cosa possa dolersi il debitore esecutato con l’opposizione ex art. 617 c.p.c., la quale, essendo normalmente una opposizione circa la regolarità formale degli atti, potrebbe far pensare a taluni che sono precluse impugnazioni aventi ad oggetto questioni di merito, se non addirittura di opportunità, del provvedimento. Quest’ultimo limite, poi, si somma alla circostanza che l’opposizione ex art. 617 c.p.c. è proposta allo stesso GE, cosicché, sembra, che delle due l’una: da) o il GE non ritiene che possano farsi valere con l’opposizione ex art. 617 c.p.c. questioni di merito o di opportunità, e allora nulla quaestio, semplicemente v’è da constatare che le uniche doglianze del debitore esecutato tenuto al rilascio dell’immobile pignorato attengono alle forme processuali; db) oppure il GE li ritiene ammissibili, ma poiché trattasi dello stesso giudice che ha appena adottato il provvedimento, appare veramente difficile che lo stesso possa contraddirsi, e dare della situazione una nuova valutazione di opportunità a seguito dell’opposizione del debitore esecutato.

In ogni caso, pertanto, non sembra che il debitore esecutato abbia spazi reali per opporre al provvedimento questioni di merito o di opportunità. E a ciò si aggiunge, come è noto, che il provvedimento reso a seguito dell’opposizione ex art. 617 c.p.c. non è soggetto ad appello e forse nemmeno ricorribile in via straordinaria in cassazione.

La novella, poi, aggiunge al 3° comma dell’art. 560 c.p.c. un inciso finale, riguardante i terzi che vantino sul bene pignorato un diritto di godimento e recita che “Per il terzo che vanta la titolarità di un diritto di godimento del bene opponibile alla procedura, il termine per l’opposizione decorre dal giorno in cui si è perfezionata nei confronti del terzo la notificazione del provvedimento”.

Preliminarmente possiamo rilevare che questa ultima parte del 3° comma dell’art. 560 c.p.c., prevedendo, seppur indirettamente, la notifica del provvedimento al terzo, sembra escludere che egual diritto alla notifica spetti anche al debitore esecutato, visto che egli, diversamente dal terzo, non è mai richiamato per ciò dalla legge.

Si potrebbe allora concludere, circa il dubbio sopra rilevato sub c), che il provvedimento di liberazione dell’immobile non va notificato al debitore esecutato; e tuttavia consentitemi di sottolineare come sia curioso che un provvedimento che incide sulla possibilità/diritto di abitare un immobile possa essere preso in assenza dell’interessato, e senza che questi abbia diritto alla notifica del provvedimento.

Il 3° comma dell’art. 560 c.p.c. non si occupa comunque di queste questioni e si concentra sul problema del termine per l’opposizione di cui all’art. 617 c.p.c.: per il terzo i termini decorreranno dalla notifica del provvedimento, mentre per il debitore esecutato, in assenza di notificazione, decorreranno, se non presente nell’udienza nella quale il GE ha adottato il provvedimento, “dal primo atto di esecuzione” ex art. 617 c.p.c.

Il 3° comma dell’art. 560 c.p.c. è poi chiaro nell’attribuire al terzo che vanti un diritto di godimento sul bene pignorato la opposizione ex art. 617 c.p.c., così escludendo, direi, che questi possa utilizzare invece l’opposizione ex art. 619 c.p.c.

Questa limitazione al terzo non è di poco conto, poiché certo gli spazi di difesa che attribuisce l’art. 619 c.p.c. sono assai più ampi di quelli che si riescono ad avere con l’art. 617 c.p.c.

Si potrebbe replicare che questa norma va interpretata nel senso che l’opposizione è ex art. 617 c.p.c solo se il godimento del bene da parte del terzo ha natura personale, mentre se ha natura reale, resta comunque per il terzo la possibilità di utilizzare l’opposizione di cui all’art. 619 c.p.c.

È questa tuttavia una interpretazione del testo, che certamente non emerge dal tenore letterale dello stesso, e che certamente non esclude che taluni GE vadano di contrario avviso; ed è una lettura che, in ogni caso, conferma che per i diritti personali di godimento del terzo opponibili alla procedura l’unica opposizione possibile resta quella dell’art. 617 c.p.c., con tutti i limiti che detta opposizione ha.

 

3. Ancora più dirompenti sono però le modifiche apportate al 4° comma dell’art. 560 c.p.c.

Il 4° comma dell’art. 560 c.p.c. disciplina l’esecuzione/attuazione del provvedimento del GE che dispone la liberazione dell’immobile pignorato da persone e cose.

Per agevolare la vendita degli immobili pignorati si è prevista una liberazione dell’immobile che potremmo definire “speciale”, e ciò tanto con riferimento alla necessità di liberare l’immobile dalle persone, quanto alla necessità di liberare l’immobile dalle cose.

Si prevede, infatti, sia lo stesso custode a procedere alla liberazione dell’immobile.

Il custode procederà, quanto alla liberazione dell’immobile da persone “senza l’osservanza delle formalità di cui agli artt. 605 e ss. c.p.c.” e solo “secondo le disposizioni del giudice dell’esecuzione immobiliare”, avvalendosi, se del caso, della forza pubblica e di ausiliari ai sensi dell’art. 68 c.p.c.; e quanto alla liberazione dell’immobile dalle cose intimando alla parte tenuta al rilascio di asportare i beni mobili che occupano l’immobile in trenta giorni, in mancanza di ciò essi si considereranno abbandonati, e il custode ne potrà disporre lo smaltimento o la distruzione.

Questa nuova norma, dunque, pone deroga agli artt. 608 e 609 c.p.c., e porta fuori dall’esecuzione per consegna o rilascio la liberazione degli immobili pignorati.

I provvedimenti di liberazione degli immobili pignorati, come d'altronde non a caso recita la norma, vengono così posti “in attuazione” e non più “in esecuzione”, con meccanismi fortemente assimilabili a quelli dell’attuazione delle misure cautelari, atteso che sembra certo che il custode possa procedere senza previa notifica del precetto e senza l’assistenza dell’ufficiale giudiziario.

La liberazione del bene con queste modalità, che possono essere definite degiurisdizionalizzanti, o aventi forma giurisdizionale attenuata, o libera, se da una parte certamente favoriscono l’immediata liberazione dell’immobile pignorato, dall’altra sottraggono al debitore esecutato che abita l’immobile le opposizioni alle esecuzioni, che non sembrano più esperibili in assenza di un vero e proprio processo di esecuzione.

Il legislatore non si preoccupa di stabilire che tipo di tutela possa avere il debitore a fronte di una attuazione deformalizzata di questo genere.

Anche su questo aspetto si aprirà un duplice scenario: a) o si riterrà che il debitore niente possa opporre avverso questa attuazione di liberazione dell’immobile, con ogni conseguenza immaginabile; b) oppure si immaginerà che il provvedimento del GE di liberazione dell’immobile debba essere assimilato, sotto il profilo attuativo, ai provvedimenti cautelari ex art. 669 duodecies c.p.c., con la conseguenza che il debitore esecutato potrà tutelarsi nelle forme e nei limiti nei quali può tutelarsi chi subisce l’attuazione di una misura cautelare.

Se questo è, la conclusione è che da oggi: aa) o il debitore non ha più forme di tutela avverso l’attuazione del provvedimento di liberazione dell’immobile; bb) oppure ha a disposizione gli strumenti di tutela previsti nell’art. 669 duodecies c.p.c. In ogni caso gli spazi di tutela si sono per lui fortemente ridotti, perché le istanze avverso soprusi o irregolarità dell’attuazione vanno oggi così rivolte allo stesso GE che ha assunto il provvedimento, mentre in precedenza l’opposizione ex art. 605 c.p.c. ben poteva essere assegnata, come diversa esecuzione rispetto a quella espropriativa, a diverso giudice persona fisica.

 

4. Infine il legislatore, dopo aver modificato anche il 5° comma dell’art. 560 c.p.c., prevedendo che “gli interessati a presentare l’offerta di acquisto hanno diritto di esaminare i beni in vendita entro quindici giorni dalla richiesta”, pone una nuova preclusione alla possibilità di proporre opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c.: essa va infatti fatta valere prima che sia disposta la vendita del compendio pignorato, cosicché, oggi, ai sensi del nuovo art. 492, 3° comma c.p.c., “il pignoramento deve contenere l’avvertimento che, a norma dell’art. 615, l’opposizione è inammissibile se è proposta dopo che è stata disposta la vendita o l’assegnazione a norma degli artt. 530, 552 e 569”.

Si è creata una sorta di provocatio ad opponendum, non dissimile a quella che si ha con le ingiunzioni di pagamento.

Il debitore viene infatti avvertito, al momento del pignoramento, che se intende opporsi lo deve fare entro un certo termine, ovvero entro l’ordinanza che dispone la vendita, e non lo potrà fare successivamente.

Dopo quel termine, ogni opposizione è inammissibile, almeno che non si riferisca a fatti sopravvenuti o il debitore non dimostri di non aver potuto proporla tempestivamente per causa a lui non imputabile.

È una riduzione del diritto alla difesa di non poco conto, nuova e non secondaria, della quale va dato conto.

È una novità che potrebbe avere conseguenze sul piano sistematico, poiché qualcuno, sempre in analogia ai decreti ingiuntivi non opposti, potrebbe dire che, dopo l’ordinanza di vendita, in assenza di opposizioni, la situazione di diritto del creditore procedente è acclarata in modo definitivo, ha una sorta di preclusione pro iudicato, se non di vero e proprio giudicato, e non può più essere messa in discussione in futuri processi, sotto ogni profilo.

Se così fosse, le novità poste dal d.l. 59/2016 agli artt. 615 e 492 c.p.c. avrebbero ricadute di sistema significative, non si sa nemmeno quanto immaginate e/o volute dallo stesso legislatore del d.l. 59/2016.

Restano da ultimo anche incerti i poteri officiosi del giudice circa l’inesistenza o la validità del titolo esecutivo una volta scaduti i termini per le opposizioni ex art. 615 c.p.c.

Anche su ciò niente è detto.

 

5. Ora, la ratio di tutto questo è quella di agevolare la vendita degli immobili pignorati ostacolando ogni forma di opposizione dilatoria, e ciò per consentire a chi compra immobili subastati di poterli esaminare prima dell’acquisto e ottenerli liberi dopo l’acquisto, con meccanismi preposti non solo a salvaguardare gli interessi del creditore procedente, ma più in generale del mercato.

Io credo, però, che riforme di questo genere creino una forte disparità di trattamento tra creditore e creditore, e tra titolo esecutivo e titolo esecutivo. 

E basti pensare alle diversità che il nostro sistema dà da oggi alle modalità di liberazione degli immobili a seconda siano questi oggetto di espropriazione immobiliare oppure no.

Ed infatti, se io sono proprietario di un immobile condotto in locazione e il mio conduttore, a finita locazione o in caso di morosità, non rilascia l’immobile, per ottenere la restituzione del bene di mia proprietà devo attendere anni, non ho la disponibilità immediata della forza pubblica, non ho ausiliari ex art. 68 c.p.c., non posso liberarlo da solo senza assistenza dell’ufficiale giudiziario, e non posso buttare al macero i beni mobili che trovo in casa mia (art. 609 c.p.c.).

Viceversa, se la liberazione dell’immobile ha ad oggetto una espropriazione immobiliare, io posso avere tutti questi vantaggi, e posso contare su un procedimento speciale di liberazione che non esiste in altri casi.

Io non credo sia legittimo diversificare esecuzioni ed esecuzioni, e arrivare ad un punto nel quale possiamo affermare che esistono titoli esecutivi di serie a e titoli esecutivi di serie b; parimenti credo che il diritto alla difesa debba essere sempre egualmente garantito, e non può essere garantito più o meno a seconda degli interessi economici che sono in gioco, o, peggio, a seconda di chi sia portatore di quegli interessi economici.

Questa riforma mi pare poi anche in contrasto ad un comune sentire, perché, se diversità si dovevano dare, esse tutto al più andavano date in senso inverso, atteso che chi occupa un bene a locazione terminata occupa un bene che è di altri, mentre chi occupa il bene pignorato, almeno fino all’aggiudicazione, occupa un bene che è suo.

La realtà di questa riforma mi sembra allora evidente: si è voluto avvantaggiare categorie particolari di creditori rispetto ad altri; la stessa rubrica del d.l. prevede che le norme sono anche “a favore degli investitori in banche in liquidazione”.

Alla fine v’è sempre una banca: si agevolano gli aggiudicatari perché poi vi sono le banche; si agevolano gli investitori perché poi vi sono le banche in liquidazione.

Altro non v’è da aggiungere, se non che spero che questo tipo di mentalità non passi dal legislatore al giudice.

Ho avuto modo di percepire, in più occasioni, che molti giudici dell’esecuzione considerano loro compito quello di vendere gli immobili.

Dati statistici alla mano, fanno tra loro confronti per vedere chi ne vende di più, in relazione al territorio e alle dimensioni dell’ufficio, come se vendere immobili fosse parametro di capacità.

Forse vendere gli immobili è anche compito del giudice dell’esecuzione, senz’altro non è l’unico, visto che ormai il giudice dell’esecuzione è anche il giudice di tutte le opposizioni, e quindi è anche il giudice di tutti i soggetti del processo.

______________________ 

* Relazione tenuta a Portovenere il 14 ottobre 2016 in un convegno organizzato dagli avvocati dell’Ordine di La Spezia su questioni controversie in materia di esecuzione immobiliare alla luce della recente l. 119/2016.

03/11/2016
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