E' un libro affascinante e profondo, questo Tagliate male. Donne e eroina: lo stigma nella moderna narrazione italiana di Anna Paola Lacatena. E' affascinante perché è vero e tratto dalla vita comune. Le parti di studio, la prima e l’ultima in particolare (che si avvale di nomi noti della sociologia e della psicologia) fermano con chiarezza il problema della droga in genere e della droga femminile in aspetti dolorosi e in genere ignorati.
Avevo io stessa notato da tempo che il fenomeno della droga, esploso e divulgatosi in Italia negli anni 70 del 1900, ha poi subito un silenzio cui il testo della autrice risponde con puntuale ricchezza di temi, soprattutto perché li ha ricondotti, nella parte centrale del suo lavoro, a una palpitante serie di interviste dirette con protagoniste di concrete esperienze di droga.
Non c’è un inizio e una fine nelle narrazioni condotte con riservata consonanza: c’è la vita che scorre e lascia intravedere, nelle intervistate che esprimono il disorientamento e la incapacità ad agire in altro modo, il proprio raggelato dolore. Ed è in questa parte del testo che l’autrice chiarisce, con partecipe e delicata adesione, la sua posizione di esperta che comunica il problema della droga al femminile nelle sue implicazioni più autentiche e difficili da far conoscere.
Le domande, nelle interviste che avvengono tutte a distanza, si fanno via via penetranti e leggere come discorsi abituali e pongono l’intervistata in grado di giungere al centro di sé stessa intima, sé stessa sofferente nel ricordo ma desiderosa e grata nel narrare una propria affrontata e terribile realtà di vita: che non si vuole assolutamente giustificare né cancellare ma porre nelle varianti complesse dell'esistenza comune.
I veri protagonisti, assenti ma involontari attori in esistenze così travagliate, sono gli altri, coloro che giudicano e guardano senza capire, condannano senza chiedersi che cosa possa essere accaduto a un essere umano che vive la vita accanto a loro. Non c’è mai rancore nelle parole delle intervistate nei confronti degli altri perché non capivano e non capiranno. Ogni tanto si incontra qualcuno disposto a spendersi, a fermarsi da sé e accompagnare il tentativo complesso di chi vuole riscattarsi, “rientrare”.
Sin dalla prima intervista l’autrice appare discreta e puntuale nell’individuare la direzione delle domande. Le risponde una narrazione sincera, libera, sia che si parli del proprio figlio che della propria sorte. La persona che risponde, una donna, è uno spettro dell’esperienza che ha superato ma che brucia ancora non solo socialmente. Non è una fiamma divenuta cenere, quella esperienza, perché il corpo, quanto l’anima, corre dietro la mente per dichiarare la sofferenza nel difficile ritorno alla normalità. È un estenuante gioco tra dolore e vita, tra volontà e assenza, tra silenzio e memoria: e la cosiddetta normalità giudicante con leggerezza distratta e indifferente, pare più capace di tendere agguati che offrire possibilità di aiuti.
Pur entrando nel novero dei testi di saggistica, Tagliate male si impone per la duplice identità scientifica e narrativa in un incontro che restituisce ad entrambi gli aspetti lo spessore che hanno quando, fondando su basi culturali solide, si completano con le parole spontanee della vita, crude da esprimere queste ultime, perché scalfiscono il difeso silenzio dell’intimità personale.