Leggi e istituzioni
La svolta epocale, che la riforma costituzionale introdurrà, impone una riflessione, nuova e profonda, sul presente e sul futuro della magistratura italiana. Lo scritto si propone come una sorta di manifesto sull’esercizio della giurisdizione e la funzione delle corti nell’attuale stagione del costituzionalismo e nella prospettiva, in un tempo di crisi della cittadinanza democratica, di un nuovo senso della democrazia costituzionale.
Per le forze che compongono la destra di governo, la stella polare nel valutare i provvedimenti ed i comportamenti di giudici e pubblici ministeri resta quella dell’interesse contingente e della pura convenienza politica. Ma l’analisi delle modalità con cui sono stati polemicamente affrontati i casi Almasri e Delmastro segnala che, sotto la superficie dei tatticismi e degli opportunismi, stanno emergendo i segni di una nuova, sorprendente ed a suo modo “coerente” dottrina. Dopo anni di veementi polemiche nei confronti dello strapotere del pubblico ministero, non si esita a teorizzare una sua accresciuta discrezionalità, grazie alla quale risolvere “a monte” questioni che rischiano di divenire lunghe e spinose se immesse e “trattate” nel circuito giudiziario. Un vero e proprio frutto avvelenato e comunque un’opzione pericolosa in quanto tale dilatazione di discrezionalità, destinata a realizzarsi sminuendo le prerogative del giudice, porrebbe con forza il tema della responsabilità politica dell’ufficio del pubblico ministero e della sua collocazione nella sfera dell’esecutivo. In definitiva, un controllo del giudiziario situato direttamente alla sorgente dell’azione penale inciderebbe anche sul ruolo e sulle prerogative dei giudici preventivamente estromessi dalle questioni istituzionalmente più rilevanti e sensibili.
Una postilla in replica
L’art. 1 del D.M. 27.12.2024, n. 206, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 30.12.2024, n. 304 ha reso obbligatorio, nel processo penale, dal 1° gennaio 2025 per soggetti abilitati interni ed esterni il deposito telematico di atti, documenti, richieste e memorie. Una gran parte dei Presidenti dei Tribunali e delle Corti d’appello italiane hanno adottato, nei primi giorni di gennaio 2025, provvedimenti, variamente formulati, di sospensione dell’obbligo di deposito telematico ritenendone impossibile la completa attuazione. L’illustrazione delle ragioni di questa scelta “obbligata” e l’indicazione dei limiti del progetto ministeriale, dei problemi di sistema emersi, dei più minuti ostacoli all’applicazione, hanno lo scopo di suggerire le modalità di realizzazione di un sistema efficiente e rispettoso delle caratteristiche e dei principi che regolano il processo penale, nella consapevolezza che quella della digitalizzazione è una opzione complessivamente giusta ed irreversibile.
Recensione al volume di Chantal Meloni (Il Mulino, 2024)
Il disegno di legge governativo n. 1660, attualmente in discussione presso il Senato della Repubblica (dl n. 1236), interviene, attraverso il relativo art. 27, comma 1, sull’art. 14 del d.lgs n. 286/98, creando una nuova fattispecie di reato volta al «rafforzamento della sicurezza delle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti». Il contributo esamina tale nuova fattispecie, con l’intento di fornirne una lettura costituzionalmente orientata alla luce del diritto internazionale e dell’Unione Europea.
Prendendo spunto dalla decisione n. 41 del 2024 della Corte costituzionale, il contributo individua le ragioni normative a favore della estensione alla persona sottoposta alle indagini del diritto di rinunciare alla prescrizione del reato riconosciuto all’imputato dall’art. 157 comma 7 c.p., auspicando altresì una coerente rimeditazione del procedimento archiviativo, così da garantire l’esercizio di tale diritto.
Riflessioni a partire dal volume di Glauco Giostra (2a ed., Laterza, 2025)
Questione giustizia pubblica il comunicato stampa di Magistratura democratica sulla vicenda della scarcerazione e del rimpatrio di un imputato raggiunto da mandato d’arresto emesso il 18 gennaio 2025 dalla Corte penale internazionale, per crimini di guerra e contro l’umanità
L’ordinanza cautelare emessa dal giudice per le indagini preliminari di Milano nel “caso Equalize” è espressione elevata di garantismo processuale penale e, insieme, offre un punto di osservazione sulla situazione attuale (e del prossimo futuro) della comunicazione degli eventi di rilevanza penale.
Proprio nel momento in cui si esprime una giurisprudenza che eleva il provvedimento giurisdizionale a fonte di conoscenza dei fatti razionale, garantista, corretta, continente, interviene il divieto legislativo di conoscere quella fonte, con il decreto legislativo n. 198 del 2024.
Nell’articolo vengono quindi esaminati gli elementi principali del ragionamento giuridico del giudice senza poter citare le motivazioni del provvedimento, nelle quali sono sviluppati.
Il fenomeno del prevalere della comunicazione di polizia (per stile e contenuti), che si è verificato in forma specifica nei giorni successivi all’esecuzione dell’ordinanza Equalize, è già ampiamente presente nella comunicazione pubblica e istituzionale, ed è destinato a divenire un vero e proprio dominio a seguito della recente modifica normativa.
La norma del codice di procedura penale che prescrive al pubblico ministero di svolgere accertamenti anche su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini è segnata da un singolare destino. Per un verso essa è giustamente considerata una disposizione essenziale all’equilibrio del procedimento penale in quanto mira ad impedire che il potere investigativo degli organi dello Stato - di regola superiore alle capacità di indagine e di acquisizione di elementi di prova della persona indagata - possa tradursi in una iniqua e irrimediabile disparità tra le parti del processo, per effetto del mancato accertamento o dell’occultamento di fatti e informazioni favorevoli alla difesa. Al tempo stesso, nelle ricorrenti polemiche sul funzionamento della giustizia e nell’annosa querelle sulla separazione delle carriere, la regola processuale è oggetto, soprattutto da parte dell’avvocatura, di un radicale scetticismo e considerata alla stregua di una affermazione puramente teorica, contraddetta nella realtà effettuale. Entrambi questi dati – l’indiscusso valore, in termini di principio, della regola codicistica e l’insistita polemica pubblica sulla sua pretesa inosservanza e ineffettività – cospirano a rendere particolarmente insidiosa, e in taluni casi potenzialmente schiacciante, un’accusa di violazione che abbia una qualche parvenza di fondamento. È infatti grande e comprensibile l’inquietudine suscitata dall’ipotesi di un potere inquirente che scelga di ignorare i suoi doveri di imparzialità ed imbocchi la strada delle omissioni o del rifiuto di doverosi atti di giustizia pur di far prevalere nel processo la sua impostazione e le sue tesi. È opinione di chi scrive che questo timore ed il riflesso condizionato che ne deriva si siano manifestati a pieno nel procedimento per rifiuto di atti di ufficio nei confronti di Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro conclusosi con la condanna dei due magistrati. E però quanti vivono nel mondo del diritto sanno bene che i processi penali non si devono celebrare per ribadire astrattamente giusti principi, per placare inquietudini, per rassicurare animi turbati, ma per piegarsi, con attenzione, apertura e umiltà intellettuale sulle singole fattispecie concrete, quasi sempre uniche ed irripetibili, e per coglierne la dimensione oggettiva e i profili soggettivi. Di qui il dovere di non sentirsi aprioristicamente appagati da una pronuncia di condanna (peraltro accompagnata da feroci aggressioni verbali ai due magistrati per i quali “evidentemente” non vale la presunzione di non colpevolezza fino ad una sentenza definitiva) e la necessità di mettere in campo gli strumenti della distinzione, della critica, dello scandaglio psicologico per saggiare il risultato raggiunto nel primo grado di un giudizio particolarmente spinoso ma anche particolarmente carente e lacunoso. Per verificare se, davvero, atti incompleti e ancora in divenire, non formati dai pubblici ministeri procedenti ma provenienti da altro procedimento, determinassero, nella fase finale del dibattimento, un automatico ed incondizionato obbligo di deposito ai sensi dell’art. 430 c.p.p. e se l’omesso deposito possa essere considerato alla stregua di un comportamento doloso e punibile come rifiuto di atti di ufficio. Nelle pagine che seguono si tenterà di assolvere questo compito di verifica confidando che lettori che non si appagano di luoghi comuni e restano ostinatamente interessati alla verità abbiano la pazienza di immergersi nei meandri, spesso tortuosi, di una vicenda giuridica intricata e complessa.
Raccogliamo, in un'unica pubblicazione e precedute dalla presentazione del curatore Angelo Danilo De Santis, quattro contributi sulle recenti modifiche apportate dal d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164, contenente disposizioni integrative e correttive al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (cd. "riforma Cartabia" del processo civile).
Il quarto intervento al panel Appalti, sfruttamento lavorativo e retribuzione costituzionale: percorsi giurisprudenziali verso la parità di trattamento, nell’ambito del IV convegno annuale della Labour Law Community, tenutosi a Bari il 15 e 16 novembre 2024
Il terzo intervento al panel Appalti, sfruttamento lavorativo e retribuzione costituzionale: percorsi giurisprudenziali verso la parità di trattamento, nell’ambito del IV convegno annuale della Labour Law Community, tenutosi a Bari il 15 e 16 novembre 2024
Il secondo intervento al panel Appalti, sfruttamento lavorativo e retribuzione costituzionale: percorsi giurisprudenziali verso la parità di trattamento, nell’ambito del IV convegno annuale della Labour Law Community, tenutosi a Bari il 15 e 16 novembre 2024
Pubblichiamo il testo introduttivo al panel Appalti, sfruttamento lavorativo e retribuzione costituzionale: percorsi giurisprudenziali verso la parità di trattamento, nell’ambito del IV convegno annuale della Labour Law Community, tenutosi a Bari il 15 e 16 novembre 2024
Il contributo analizza il recente intervento legislativo che ha introdotto il divieto di pubblicazione testuale delle ordinanze applicative di misure cautelari personali fino alla conclusione delle indagini preliminari o dell'udienza preliminare, quale misura finalizzata a rafforzare la presunzione di innocenza