Magistratura democratica
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Per conoscere il Manifesto di Ventotene

di Pier Virgilio Dastoli
presidente del Consiglio italiano del movimento europeo

Mi è capitato - nelle conversazioni universitarie, negli incontri con le scuole e nei seminari federalisti a Ventotene - di evocare il Manifesto «per un’Europa libera e unita» scritto da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi con il contributo di Eugenio Colorni, Ursula Hirschmann e Ada Rossi nell’inverno 1940-1941, come frutto di intense discussioni all’interno di un piccolo gruppo di confinati antifascisti, e completato all’inizio dell’estate 1941 per diffonderlo nei canali della clandestinità antifascista prima in Italia e poi in alcuni ambienti intellettuali in particolare in Francia e in Svizzera. 

Esso ispirò la dichiarazione dei combattenti della Resistenza di nove paesi del luglio 1944 in Svizzera che circolò poi tra i movimenti di resistenza in tutta Europa.

Mi ha colpito la convinzione di molti giovani sull’attualità del pensiero di Spinelli e Rossi e specialmente l’idea che la proposta di creare un potere democratico europeo, immaginata per offrire una soluzione permanente a problemi comuni degli europei alla fine della Seconda Guerra Mondiale, sia ancora più valida oggi per affrontare altri e nuovi problemi comuni.

Ho scoperto in molti giovani un pensiero che potrebbe essere immaginato negli stessi termini in cui esso fu formulato da Altiero nel 1957: «il progetto di una federazione europea non era un bell’ideale cui rendere omaggio per occuparsi poi d’altro, ma un obiettivo per la cui realizzazione bisognava agire ora, nella nostra attuale generazione. Non si tratta di un invito a sognare, ma di un invito a operare».

Ho scoperto anche nelle reazioni dei giovani alla lettura del “Manifesto” la condivisione di un’altra idea essenziale di Altiero sulla natura della “sua” federazione: 

«essa non si presenta come un’ideologia, non si propone di colorare in questo o quel modo un potere esistente…è la sobria proposta di creare un potere democratico europeo, nel cui seno avrebbero ben potuto svilupparsi ideologie, se gli uomini ne avessero avuto bisogno, ma assai differente rispetto a esse..il riconoscimento della diversità e della fratellanza delle esperienze nazionali dei popoli europei, in mezzo alle cui lingue, ai cui scrittori e pensatori vivevamo da anni senza mai sentirci più vicino a loro se italiani, più lontani se stranieri».

La presentazione ragionata dell’alternativa federale proposta dal “Manifesto” si distingue così sia dal federalismo ideologico di tipo proudhoniano o mazziniano che Spinelli definiva «fumoso e contorto» sia dalla concezione di chi ha ritenuto e ritiene che la battaglia federalista sarà vinta solo si porterà a compimento la teoria federalista come un’ideologia con un proprio aspetto di valori costituzionali ma anche universali (la pace kantiana) e storico-sociali (il superamento della divisione del genere umano in nazioni e classi).

II “Manifesto” fu il punto d’incontro fra l’interesse dell’ex comunista Altiero Spinelli per la libertà dell’individuo e quella della società ma anche per l’idea che questa lotta non poteva fermarsi ai confini dove si stava costruendo il socialismo (per Spinelli «l’URSS si era scrollata progressivamente da sé le sovrastrutture internazionaliste diventando essa stessa nazionalista», n.d.r.), delle critiche del liberale e amico di Luigi Einaudi Ernesto Rossi al capitalismo, al sindacalismo, al comunismo e del suo progetto di “abolire la miseria” innestando un pezzo di costituzione economica comunista in un’economia di mercato e dell’analisi sulle cause economiche delle guerre dell’ex giellino e poi socialista Eugenio Colorni.

La conversione alla democrazia aveva portato Altiero Spinelli alla comprensione che l’azione politica deve avere come obiettivo l’impiego del potere al servizio della libertà e che lo Stato nazionale era il nemico della libertà.

Nel caso di Altiero Spinelli la lotta per la libertà dell’individuo e della società lo aveva portato, già a Civitavecchia nel 1935, all’indomani dell’avvio della stagione del terrore stalinista, alla rottura con il PCI che fu poi formalizzata nel 1937 a Ponza con «l’espulsione dal partito per "deviazione ideologica e presunzione piccolo-borghese"».

È così che il “Manifesto” inizia con l’affermazione che «la civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà secondo il quale l’uomo non deve essere mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita. Con questo codice alla mano si è venuto imbastendo un grandioso processo storico a tutti gli aspetti della vita sociale che non lo rispettassero».

Nella sua autobiografia Ragazzo Rosso, Giancarlo Pajetta ricorda la rottura del 1935: 

«ci scontrammo con Spinelli, un giovane comunista...che passava ormai per crociano in attesa di diventare poi federalista al confino…l’eretico impenitente, non disposto a sottomettersi, fu in qualche modo scomunicato…e noi volevamo che fosse chiaro, quando sarebbe arrivato al confino, che a Civitavecchia le sue posizioni ideologiche e politiche erano state ritenute estranee, nel modo più assoluto, a quelle dei comunisti».

Nel caso di Ernesto Rossi, le critiche al capitalismo e al comunismo - insieme alla lettura di testi federalisti inglesi - lo avevano portato alla convinzione che solo una federazione europea – «inizialmente limitata a un nucleo di paesi latini» – avrebbe garantito maggiori risorse per lo sviluppo sottraendole alla preparazione delle guerre volute dal crescente potere delle élites militari e dall’accentramento amministrativo. 

Dalle discussioni che avevano preceduto l’elaborazione del “Manifesto” era emersa la convinzione che la Federazione europea sarebbe stata l’unica soluzione ragionevole al problema, che tormentava l’Europa dal 1870, della pacifica convivenza della Germania con gli altri popoli del vecchio continente. 

La Federazione sarebbe stata, soprattutto, la possibilità per le democrazie di controllare «quei Leviatani impazziti» (l’espressione è di Altiero Spinelli) che erano ormai gli Stati nazionali europei, poiché lo Stato Federale avrebbe impedito loro di diventare mezzi di oppressione e sarebbe stato da essi impedito di diventarlo lui.

Contrariamente a una parte della teoria federalista che individua nella nazione il male in sé, gli autori del “Manifesto” ritenevano che l’ideologia dell’indipendenza nazionale fosse stata «un potente livello di progresso» ma che essa portava in sé «i germi dell’imperialismo capitalista».

Il “Manifesto” fu materialmente concluso nel giugno 1941, quando quasi tutta l’Europa continentale era soggiogata da Hitler, le armate tedesche entravano nelle terre russe e solo resisteva al nazismo il Regno Unito. 

Altiero Spinelli si rendeva perfettamente conto del fatto che la cultura federalista era estranea alle culture politiche esistenti nei paesi europei che sarebbero usciti dalla guerra tentando di restaurare le democrazie nazionali, nonostante l’origine universalista dei movimenti cristiani, internazionalista dei partiti socialisti e poi anche comunisti e cosmopolita delle forze d’ispirazione liberale. 

Egli sapeva che questi stessi partiti erano ormai avvezzi, per consuetudine e per tradizione, a porsi tutti i problemi partendo dal tacito presupposto dell’esistenza dello stato nazionale e a considerare i problemi dell’ordinamento internazionale come questioni di politica estera da risolversi mediante azioni diplomatiche e accordi fra i vari governi condividendo o accettando o subendo il principio della sovranità assoluta. 

Alla via diplomatica, Altiero contrapponeva quella che è stata chiamata nel “Manifesto” la «via rivoluzionaria dell’agitazione popolare» provocando stati di fatto avvenuti i quali non fosse più possibile tornare indietro prefigurando quella che sarebbe stata la caratteristica di tutta la sua vita di federalista fondata sul pensiero e sull’azione. 

In questo quadro si colloca la sua mai mutata convinzione che un potere democratico europeo poteva essere fondato solo attraverso un metodo democratico e cioè da un potere europeo costituente.

Pur confinati nell’Isola di Ventotene, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni erano stati capaci di analizzare con estrema lucidità lo stato della Seconda Guerra Mondiale nel 1941 e prevedere la sconfitta dell’imperialismo tedesco e delle potenze totalitarie le cui forze «hanno raggiunto il loro culmine e non possono ormai che consumarsi progressivamente» sapendo che «la sconfitta della Germania non porterebbe però autonomamente al riordinamento dell’Europa secondo il nostro ideale di civiltà».

Essi non avevano invece previsto che gli europei non sarebbero rimasti padroni di sé nella ricerca del loro avvenire ma – avendo l’Europa cessato di essere al centro del mondo – sarebbero stati pesantemente condizionati da poteri extraeuropei: l’imperialismo sovietico a Est e l’egemonia degli Stati Uniti a Ovest.

Vi è un elemento essenziale della visione del “Manifesto” che è stato sottolineato da Norberto Bobbio nel suo saggio Il Federalismo nel dibattito politico e culturale della resistenza

Il “Manifesto” – ricorda Bobbio – «inizia parlando del principio nazionale e della sua degenerazione e aggredisce poi il problema della sovranità assoluta. Il superamento della sovranità assoluta conduce allo Stato federale e il superamento del principio nazionale conduce all’idea d’Europa. E il movimento che sorge a Ventotene è insieme federale ed europeo».  Ciò vuol dire – chiosa Bobbio – «che il meccanismo dello Stato federale può applicarsi a una realtà diversa dall’Europa come la federazione mondiale o le federazioni che si vanno tentando fra Stati del mondo arabo».

Vi è infine un’affermazione di Altiero Spinelli sulle tre ragioni della attualità del "Manifesto", che lo erano negli anni ’80 alla vigilia del grande sconvolgimento provocato dalla caduta dell’impero sovietico e lo sono ancora oggi dopo gli sconvolgimenti nei primi venticinque anni del XXI secolo: 

- il pensiero per gettare le basi sul continente di una federazione europea appartiene alla generazione attuale e non a una indeterminata generazione lontana nel tempo, 

- l’azione per realizzarla richiede una vasta mobilitazione dell’opinione pubblica ma soprattutto un movimento organizzato secondo una logica rivoluzionaria,

- e la linea di divisione fra le culture politiche non passa più fra destra e sinistra, fra conservazione e progresso ma fra chi difende apparenti sovranità nazionali e chi è pronto a battersi per una superiore sovranità europea e cioè fra gli immobilisti e gli innovatori.

24/03/2025
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