1. Il percorso della Corte
Era nell’aria l’estensione alle persone singole (così definite nella sentenza n.33 del 2025) dell’accesso all’adozione internazionale, oltre il perimetro delle coppie eterosessuali coniugate. E’, ugualmente, molto attesa la risposta che la Corte Costituzionale darà sul diritto allo status genitoriale per la madre d’intenzione nella coppia omogenitoriale femminile quando il minore sia nato in Italia dall’altra partner. La sentenza del 21 marzo 2025 è stata preceduta dalle due sentenze - monito n. 31 e 33 del 2021 con le quali la Corte, pur concludendo per l’inammissibilità dei quesiti, trattandosi di materia rimessa alla discrezionalità legislativa, ha vigorosamente richiesto al legislatore di provvedere a dare al minore frutto della scelta genitoriale di una coppia omoaffettiva, uno statuto di tutela equivalente a quello derivante dall’impianto codicistico con la costituzione dello status filiationis.
Nell’ultimo quinquennio la Corte Costituzionale ci ha, del resto, abituati a continui avanzamenti, sia in relazione al riconoscimento dei diritti del minore e degli aspiranti genitori (sent.79 del 2022, riconoscimento della relazione giuridica di parentela tra parenti dell’adottante e adottato nell’adozione in casi particolari) sia in relazione alla graduale modificazione della rigida esclusione della famiglia di origine nell’adozione piena (sent. n. 183 del 2023, non recisione dei rapporti con la famiglia di origine, anche nell’adozione piena, nelle ipotesi in cui possa essere funzionale al benessere del minore).
Il filo conduttore che sembra unire l’ampia riflessione della Corte riguarda, specificamente, la necessità di esaminare la pluralità dei modelli genitoriali e anche familiari in senso più ampio che richiedono riconoscimento giuridico, ponendo continuamente a confronto la disciplina legislativa interna ed il quadro costituzionale (in particolare gli artt. 2 e 30, oltre che necessariamente l’art. 117 Cost.) e convenzionale (art. 8 Cedu, Convenzioni sui diritti del minore e sui modelli familiari) in modo da poter rilevare la coerenza del nostro diritto positivo rispetto ai parametri sopra indicati, sotto la lente prioritaria della proporzionalità e necessità dei limiti di accesso alla genitorialità, in considerazione del diritto di ciascun minore di poter vivere in un ambiente affettivamente adeguato e di essere educato ed accudito da una o più figure genitoriali di riferimento che lo sostengono e lo aiutino a crescere all’interno di una relazione esclusiva.
2. La sentenza n. 33 del 2025
All’interno di questa cornice si colloca la sentenza n. 33 del 2025.
L’intervento della Corte nasce dalla domanda di una donna non coniugata (così il giudice rimettente) per la dichiarazione di idoneità all’adozione internazionale.
L’accoglimento della domanda trova ostacolo nella previsione contenuta nell’art. 29 bis legge n. 184 del 1983, in particolare per il richiamo che la norma contiene alle condizioni di accesso di cui all’art. 6.
Afferma l’art. 29 bis che la dichiarazione di disponibilità all’adozione internazionale può essere formulata da persone residenti in Italia che si trovino nelle condizioni di cui all’art. 6, ovvero formino una coppia coniugata da almeno tre anni.
L’art. 6 indica le condizioni di accesso all’adozione piena o legittimante nazionale.
Non si deve, tuttavia, ritenere, che la esclusione delle persone non coniugate abbracci entrambe le tipologie di adozione, dal momento che, esclusivamente, in relazione all’adozione nazionale, è possibile accedere all’adozione in casi particolari ex art. 44 lettere a), c), d). Le fattispecie di cui alle lettere a) e c) riguardano minori affetti da disabilità orfani di madre e padre; la lettera d) contempla i minori per i quali non è possibile l’affidamento preadottivo, perché non versano nella condizione qualificata di abbandono. Si tratta della ipotesi normativa di più ampia applicazione, soprattutto da quando, qualificando la condizione dell’impossibilità dell’affidamento preadottivo non come una condizione di fatto, ma di diritto, ha reso possibile l’accesso a tale forma di genitorialità alle coppie omogenitoriali.
Il gap tra le due forme di adozione è, di conseguenza, evidente dalla fotografia del diritto positivo, tenuto conto, inoltre, della sempre maggiore vicinanza quanto a grado di protezione tra l’adozione nazionale piena e quella in casi particolari, grazie proprio all’intervento della Corte Costituzionale n. 79 del 2022, già citata e delle S.U. n. 38162/2022, che hanno eliminato l’ostacolo del dissenso del genitore biologico esercente la responsabilità genitoriale per l’accesso del cd. genitore sociale od intenzionale all’adozione in casi particolari.
3. L’ordinanza di rimessione
Una prima rimessione alla Corte Costituzionale era stata ritenuta inammissibile con ordinanza n.252 del 2021. In questa successiva sottoposizione della questione al vaglio del Giudice delle leggi vengono evidenziati i seguenti profili di rilevanza e non manifesta infondatezza:
la richiedente è stata ritenuta idonea all’accesso all’adozione internazionale, all’esito di “apposita indagine psico socio familiare” che ha investito le caratteristiche personologiche e la consapevolezza del progetto adottivo. Da queste considerazioni discende la rilevanza della questione.
In relazione alla non manifesta infondatezza, si evidenzia il contrasto degli artt. 29 bis e 30, comma 1, legge adozione (n. 184 del 1983) con l’art. 117 Cost, primo comma in relazione all’art. 8 Cedu correlato all’art. 2 Cost., sottolineando come il vero centro di gravità sia da collocarsi nella ricerca del miglior interesse del minore a vivere in un ambiente stabile ed armonioso (nozione tratta dalla Convenzione di Strasburgo firmata il 24 aprile 1967 e ratificata con l. 357 del 1974) che non si rinviene necessariamente nella comunità familiare bigenitoriale. Questa configurazione estensiva dell’ambiente stabile ed armonioso per il minore è coerente con l’elasticità dell’art. 2 Cost. nel riconoscere le formazioni sociali all’interno delle quali si forma e si sviluppa la personalità dell’individuo ed ancora più incisivamente del minore. Si compone così un quadro all’interno del quale possono collocarsi le rapide trasformazioni dei modelli familiari e genitoriali e le esigenze di contesti relazionali più ampi. Ne costituiscono prova la sentenza n. 79 del 2022 che ha riconosciuto il vincolo giuridico di parentela tra l’adottato ex art. 44 l. n. 184 del 1983 e i parenti dell’adottante, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 300 c.c. richiamato dall’art. 55 l. n. 184 del 1983, e la sentenza n. 183 del 2023 che ha aperto un varco nel divieto di rapporti con la famiglia di origine dopo la sentenza di adozione piena, contenuto nell’art. 27 legge n. 184 del 1983, per tutti quei casi in cui, all’esito di valutazione rigorosa, corrisponda all’interesse preminente del minore non recidere del tutto i legami con il nucleo familiare di origine, anche in funzione del diritto all’identità del minore.
Valutata, dunque, la non corrispondenza all’effettivo preminente interesse del minore della esclusione delle persone non coniugate all’accesso alla adozione internazionale, il giudice rimettente ritiene che vi sia violazione dell’art. 8 in relazione al diritto alla vita privata come diritto a non subire ingerenze non necessarie e non proporzionate alla libertà di autodeterminarsi e a sviluppare, senza pregiudizio per alcuno, il profilo relazionale. Il tribunale di Firenze ritiene che la normativa ostativa all’accesso delle persone singole all’adozione internazionale non risponda, come richiesto dalla giurisprudenza EDU, ad una esigenza sociale pressante e che, di conseguenza, non sia né necessaria né proporzionata ove si consideri che il diritto del minore di vivere in un ambente stabile ed armonioso si realizza anche mediante la relazione genitoriale monoparentale
La ricorrente privata aggiunge anche la violazione del diritto alla vita familiare, dovendosi ricondurre all’art. 8 anche la vita familiare in progetto. Precisa che la proporzionalità e la necessità devono essere valutati alla stregua del consenso tra stati aderenti e conseguente margine di apprezzamento del singolo Stato, sottolineando che il divieto esiste nell’ordinamento italiano.
Viene, infine, sottolineato che l’espatrio di minore a scopo di adozione sarebbe consentito dal sistema normativo convenzionale ed interno (art. 40 l. n. 184 del 1983 e art. 15 Conv. Aja 29/5/1993 ratificata il 31/12/98) dal momento che la norma di accesso si riferisce esclusivamente agli “stranieri” senza la limitazione costituita da condizioni soggettive.
4. I presupposti della decisione
In primo luogo, viene delimitato il campo d’intervento. Esso riguarda la persona con stato libero, non coniugata, né vincolata da una unione civile.
a. Il quadro normativo interno
In secondo luogo, la Corte compie un excursus storico al fine di porre in luce che prima dell’entrata in vigore della l. n. 184 del 1983, non sussisteva il divieto per le persone singole di proporre domanda di adozione ordinaria di un minore. Più precisamente, nella vigenza del codice del 1865 l’istituto adottivo aveva la funzione di trasmettere patrimoni e nome ed era rivolto ai maggiorenni. Con la legge n. 1357 del 1919 si è introdotta la matrice solidaristica nell’istituto, a protezione degli orfani di guerra, continuando a non escludere le persone singole dall’accesso. Il codice del 1942 ha esteso a qualunque minore la possibilità di essere adottato, conservando la disciplina previgente dell’accesso. La legge n. 431 del 1967 (adozione speciale) introduce un nuovo modello adottivo per i minori a partire dagli otto anni di età, dichiarati in stato di adottabilità, con accesso solo a coppie coniugate da 5 anni. Permaneva tuttavia l’accesso più ampio per l’adozione ordinaria di derivazione codicistica.
Solo dopo la l. n. 184 del 1983 l’adozione di minori è soggetta alle condizioni soggettive di accesso di cui all’art. 6, rimanendo l’estensione alle persone singole per l’adozione di maggiorenni.
Il percorso normativo evidenzia la progressiva affermazione della ratio solidaristica dell’istituto rispetto a quella tradizionale della conservazione e trasmissione del nome e del patrimonio. In questa nuova prospettiva si è collocata la nuova legge sull’adozione. Il principio cardine è l’interesse del minore da attuare in due direzioni: da un lato l’affermazione del diritto a vivere e crescere nella famiglia di origine (art. 1), dall’altro la ricerca, nelle situazioni di abbandono, dell’ambiente più favorevole ed armonioso. All’entrata in vigore della legge quest’ultimo obiettivo sembrava pienamente realizzabile attraverso un nucleo familiare di accoglienza composto da due genitori coniugati. La previsione, peraltro, non aveva carattere assoluto, essendo prevista per le persone singole l’adozione in casi particolari, caratterizzata dalla conservazione del legame con la famiglia di origine, nonché l’adozione piena, in presenza di sopravvenienze particolari, come la morte o la separazione in corso di affidamento preadottivo (art. 24 e 25 l. n. 184 del 1983).
Questo quadro normativo interno è tuttavia permeato dai principi della Convenzione di Strasburgo del 1967 e dell’Aja del 1995 sull’adozione internazionale, che invece includono le persone singole tra gli aspiranti genitori adottivi, ma non sono state oggetto di ratifica su questo punto. Il rilievo della relazione affettiva e della sua continuità viene, infine, riconosciuta anche dalla legge n. 173 del 2015 con la quale si impone di tenere conto degli affidamenti di lungo periodo nella scelta dei genitori adottivi di minori dichiarati in stato di adottabilità. Ove, tuttavia, l’affidamento, come è consentito dall’art. 2 della l. n. 184 del 1983, sia affidato ad una persona singola, la continuità affettiva si arresta di fronte alla mancanza della condizione soggettiva prescritta dall’art. 6.
La Corte, descritto il composito quadro legislativo diacronico, evidenzia come l’obiettivo solidaristico della l. n. 184 del 1983, che abbraccia anche l’adozione internazionale, sia largamente frustrato dalla netta riduzione delle domande, pervenendo ad affermare che «la possibilità di incidere sull’effettività della tutela dei bambini abbandonati è, infatti, in generale, un rischio riconducibile anche alla restrizione della platea dei potenziali adottanti».
b. L’art.8 Cedu
Viene in primo luogo evidenziato che la mancanza di una pronuncia della Corte di Strasburgo sulla limitazione all’accesso all’adozione delle persone singole non esclude che possa essere esaminata la sussistenza della violazione dell’art. 8 Cedu (sentenza n. 10 del 2024) in correlazione con l’art. 2 Cost. Pertanto, afferma la Corte che «nell’osservanza delle coordinate ermeneutiche offerte dalla Corte EDU e nel raccordo con i principi costituzionali interni, spetta a questa Corte intervenire per garantire tutela ai diritti previsti dalla Convenzione». Ciò in applicazione del principio di sussidiarietà, in ragione del quale «Questa Corte, nel procedere a una interpretazione integrata delle garanzie convenzionali e delle corrispondenti tutele costituzionali, contribuisce, al contempo, alla definizione di standard comuni di protezione a livello europeo».
Le scelte rivolte alla costituzione di vincoli genitoriali sono da ricondurre alla libertà di autodeterminazione (sentenza n. 162 del 2014). Non esiste tuttavia un diritto alla genitorialità, dovendo le condizioni di accesso, con particolare riferimento a quelle non legate alla genitorialità naturale, essere primariamente rimesse alla volontà legislativa.
La costituzione di un vincolo genitoriale sottende una pluralità d’interessi, all’interno dei quali rivestono peculiare rilievo quelli che riguardano il minore. Ne consegue, come già affermato dalla Corte (sent. n. 221 del 2019), che l’autodeterminazione rivolta verso la genitorialità può far valere la propria vis espansiva quando contrasti limiti legislativi irragionevoli e non proporzionati rispetto al perseguimento dell’interesse del potenziale figlio. Tuttavia, la protezione costituzionale del preminente interesse del minore non significa che essa ricomprenda ogni istanza cui il legislatore voglia attribuire riconoscimento. La discendenza genetica, osserva la Corte, non è stata ritenuta requisito indefettibile per il riconoscimento della genitorialità, in relazione all’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (sentenza n. 162 del 2014). Il criterio deve essere quello di trovare la misura più appropriata perché meno restrittiva dei diritti a confronto e più proporzionata rispetto all’obiettivo da perseguire. Nella medesima traiettoria si colloca la giurisprudenza Cedu sulla violazione del diritto alla vita privata, richiedendo che l’ingerenza statuale oltre ad essere prevista dalla legge deve corrispondere ad una esigenza sociale urgente, proporzionata allo scopo, tenuto conto del necessario bilanciamento tra gli interessi concorrenti anche in considerazione del margine di discrezionalità lasciato alle autorità nazionali. Poiché la Convenzione EDU è uno strumento vivente, il margine di discrezionalità può variare nel tempo, ed all’attualità la limitazione soggettiva in esame, non incontra affatto l’apprezzamento della maggioranza degli Stati aderenti.
5. La decisione
La valutazione sulla necessità e proporzionalità della limitazione dell’accesso alla adozione internazionale da parte delle persone singole conduce a ritenere sussistente la violazione del parametro costituzionale costituito dagli artt. 2 e 117, quest’ultimo in relazione all’art. 8 Cedu.
La norma censurata si riflette sulla libertà di autodeterminazione che si declina nell’interesse alla realizzazione della genitorialità nella forma solidale della adozione internazionale. Questa aspirazione si coniuga con l’interesse di minori che necessitano, per la condizione di abbandono in cui versano, di protezione ed accoglienza affettiva ed educativa. L’ingerenza statuale costituita dalla limitazione all’accesso per le persone singole non è né necessaria né proporzionata, specie se correlata alla finalità solidaristica e alla radicale diminuzione di domande riscontrate negli ultimi anni.
La nuova disciplina della filiazione (legge n. 212 del 2012 e d.lgs n. 153 del 2013) ha introdotto un unico status filiationis, dando rilievo alla posizione del figlio e ai suoi diritti, da qualsiasi modello familiare sia venuto al mondo. Se ciò vale per la filiazione biologica, tanto più deve essere posto in risalto per la filiazione di matrice solidaristica.
La Costituzione non esclude il modello di famiglia monoparentale e la Corte Costituzionale già nella sentenza n. 183 del 1994 ha ritenuto che l’adozione della persona singola può garantire al minore, fermo il giudizio in concreto sull’idoneità dell’adottante, l’ambiente stabile e armonioso nel quali tutti i minori avrebbero diritto di crescere.
In conclusione, la limitazione prevista dall’art. 29 bis l. n. 184 del 1983 produce un sacrifico alla libertà di autodeterminarsi nel senso della genitorialità alle persone singole che contrasta con l’effettività dei diritti del minore.
6. Conclusioni
Continua il percorso virtuoso della Corte Costituzionale nel riconoscere tutele crescenti a modelli genitoriali che il legislatore ordinario tende ad ignorare o a vietare, riuscendo, con il concorso dei principi elaborati dalla giurisprudenza CEDU, sempre correlati ai nostri parametri costituzionali, a far vivere, in una società civile in continuo mutamento, i diritti fondamentali della persona. Questo percorso in tutte le sue tappe non manca mai di cercare un equilibrio tra gli interessi concorrenti, che sappia valorizzare il profilo diacronico dei mutamenti sociali e culturali senza trascurare che l’autodeterminazione è una estrinsecazione della dignità personale anche nella dimensione relazionale: questa può trovare un contenimento solo ove esso sia necessario e proporzionato allo scopo di tutelare un diritto equivalente, ma non invece quando, come nella specie, la sua realizzazione porti a compimento un obiettivo, quello della tutela del minore, anche con strumenti di solidarietà, di primario rilievo.