Magistratura democratica
Leggi e istituzioni

Il Consiglio Superiore della Magistratura. Organo dell'autonomia o luogo di potere?

di Edmondo Bruti Liberati
già procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano

La recensione al volume di Francesca Biondi (Il Mulino, 2024)

«Palazzo del Quirinale. 18 luglio 1959 si insedia il Csm.  Nel discorso pronunciato per l’occasione, l’allora Ministro della Giustizia Guido Gonella disse: “Con ciò si effettua il trapasso dei poteri che la Costituzione attribuisce al Consiglio superiore e che il Governo e il ministro della Giustizia hanno finora esercitati”. Nessuna affermazione avrebbe potuto essere più eloquente: la Costituzione repubblicana imponeva al ministro di passare le consegne ad un nuovo organo, il Csm, così da evitare ogni possibile interferenza del potere politico nell'attività giudiziaria e dare quindi concretezza, sino in fondo, al principio di separazione dei poteri».

E’ l’incipit del recentissimo lavoro della costituzionalista Francesca Biondi pubblicato nella collana il Mulino «Riscoprire le istituzioni», istituzioni che si vogliono «presentare al lettore con rigore scientifico, passione intellettuale e in un lessico aperto a tutti». Un intento qui pienamente raggiunto.

Se la Costituzione, tra i Ministri, menziona, unico, quello della Giustizia è perché vuole delimitare in modo nettissimo il confine tra le sue attribuzioni e quelle “trasferite” al Csm. Rilevantissimi compiti, allora e ancor più oggi, quelli attribuiti al Ministro, compiti che, sotto diversi profili, esigono una “leale collaborazione “del Csm, per usare l’espressione della Corte Costituzionale.  Ma tutti, nessuno escluso, i poteri di governo della magistratura sono attribuiti al Csm.

Nell’Italia liberale, in mancanza di una istituzione di garanzia, l’indipendenza della magistratura giudicante era priva di ogni tutela poiché il Governo, tramite il Ministro Guardasigilli, ne governava la carriera e l’organizzazione, con una influenza diretta sul merito delle decisioni giudiziarie. Il Pubblico Ministero era soggetto alla “direzione” del Ministro della Giustizia.

Il regime fascista, anche dopo la stretta autoritaria, non avrà necessità di mutare nulla per esercitare il suo controllo sui giudici e sul pubblico ministero e non lo farà neppure con la complessiva riforma dell’Ordinamento giudiziario “Grandi” del 1941.

La novità è rappresentata dalla Costituzione repubblicana che istituisce un Consiglio superiore della magistratura, il quale, per la composizione e le attribuzioni, è posto come garante effettivo della indipendenza della magistratura tutta. 

In poco meno di duecento pagine l’agile volumetto dell’A. ci fornisce un quadro del ruolo e delle attribuzioni del Csm, anche in una prospettiva storica, comparatista e di riforma. Meriterebbe attenta lettura anche da parte dei non pochi commentatori, compresi alcuni accademici, che a ogni piè sospinto, propongono condanne definitive e senza appello di questa istituzione. 

L’ A. sin dalle prime pagine esprime la sua opinione: «Riscoprire oggi il Consiglio superiore della magistratura significa anche decidere se questo modello conservi oppure no le sue ragioni. La risposta è, nel complesso, affermativa perché il Csm è quasi sempre riuscito a garantire l'indipendenza esterna dei magistrati, ossia rispetto al potere politico. Non si nascondono però luci e ombre nella sua storia. Ci sono stati infatti periodi in cui, spesso negli anni di tensione con la politica dei partiti, esso ha costituito baluardo sicuro per la magistratura tutta, ponendosi al centro del sistema istituzionale, ma ci sono state anche vicende (alcune recenti) che ne hanno decisamente appannato l'immagine, minandone la credibilità. Di qui la domanda se il Csm sia un organo di governo autonomo della magistratura, come volevano i costituenti, o sia diventato un luogo di potere» (p. 12-13).

Prima di addentrarsi nell’analisi sul ruolo del Csm l’A. propone importanti notazioni di metodo e di contesto: continua espansione del ruolo della giurisdizione, trasformazione dei partiti e dei rapporti dei partiti tra loro (con riferimento al modo di scegliere le persone da proporre nelle sedi istituzionali), impatto straordinario sul rapporto tra cittadini e istituzioni della società mediatica. Conclude l’A.: «In questo contesto così profondamente mutato rispetto al momento in cui il ministro Gonnella pronunciava il suo discorso e il Csm entrava nella scena istituzionale, ripercorrere la traiettoria percorsa dall'organo di governo autonomo, ragionare sugli attuali equilibri esterni e interni ad esso, significa, in definitiva, non solo operare un bilancio rispetto al disegno originario, ma anche porre le basi per ragionare del suo futuro» (p.14).

Il primo capitolo dal titolo «L’istituzione che non c’era» ripercorre il contesto nel quale «i Costituenti decisero, con felice intuizione, di prevederlo [il Csm] in Costituzione» (p.15). L’ A. sin da ora sottolinea che «L'inserimento, in Costituzione, del Csm fu una novità anche nel quadro comparato. Non fummo, infatti, noi a prendere ispirazione da altri ordinamenti, ma, al contrario, fu il Csm italiano a costituire, negli anni a venire, un modello di riferimento». (p.18)

La novità introdotta dalla Costituzione è radicale: «In definitiva dai lavori in Assemblea costituente emerge con chiarezza la volontà di segnare - anche sull'assetto della magistratura - un cambiamento rispetto al passato, sottraendo la gestione di tutti i magistrati (anche i pubblici ministeri) alla politica e affidandola a un organo indipendente, ma non ‘separato’ dagli altri poteri e autorevole» (p. 22).

La legge istitutiva del Csm del 1958 viene qualificata come «tentativo di ritorno al passato» con il “recupero” di un ruolo più incisivo del Ministro. La Corte Costituzionale dichiarò la illegittimità costituzionale della legge sul punto più significativo e dirompente, quello che subordinava le delibere del Csm all’iniziativa ministeriale. Rimasero in vigore le disposizioni che assegnavano al Csm competenze non previste espressamente nell’enumerazione dell’art. 105 Cost.: proposte al Ministro su tutte le materie riguardanti l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia e pareri sui disegni di legge relativi all’ordinamento giudiziario e all’amministrazione della giustizia. Al riguardo l’A. propone una interessante osservazione: «Si tratta di competenze che, negli anni successivi, hanno favorito l'espansione del ruolo del Csm, ma che, a quel tempo, non furono introdotte per ampliare lo spazio di azione del nuovo organo, bensì perché coerenti con il ruolo ancillare che si intendeva assegnare ad esso rispetto al ministro» (p. 27).

Richiamato il percorso che ha visto il Csm «non più (solo) organo di alta amministrazione della magistratura ordinaria, ma anche istituzione capace di inserirsi nel mezzo di complesse dinamiche istituzionali» con l’esito di «una progressiva espansione del ruolo del Csm, anche sul piano politico» l’A. si chiede «Quale è stata la reazione del legislatore? Come la politica ha reagito a questo cambiamento?».

Sono individuate tre fasi: «Nella prima, che si conclude alla fine degli anni Ottanta, il legislatore ha sostanzialmente accompagnato a questa trasformazione senza affatto ostacolarla. Nella seconda, caratterizzata da una forte conflittualità tra politica e magistratura, si assiste al tentativo di contenere il ruolo del Csm (insieme a quello della giurisdizione). Da ultimo, e siamo ai giorni nostri, dopo l'emersione, nel 2019, di un quadro “sconcertante e inaccettabile” sui procedimenti di attribuzione degli incarichi direttivi (così il presidente della Repubblica Mattarella nell'intervento alla riunione straordinaria del Csm del 21 giugno 2019) il legislatore è intervenuto con l'obiettivo di restituire legittimazione al Csm» (p.30-31). 

L’ A. indica le frequenti riforme del sistema elettorale dei togati come «una prova dei rapporti tra politica e magistratura» (p. 31). Il recensore sottolinea due punti di estremo interesse: il tentativo di contenere il ruolo del Csm va di pari passo con quello di contenere il ruolo della giurisdizione, le modifiche del sistema elettorale dei togati tendono a ridefinire il rapporto tra politica e magistratura.

Il secondo capitolo, dedicato alla composizione del Csm, esordisce con un’analisi del ruolo del Presidente della Repubblica presidente del Csm: «Ciascun presidente ha esercitato questa funzione in base alla propria sensibilità, al proprio temperamento, nonché al contesto storico-politico in cui si è trovato ad operare» (p.41). La conclusione: «Porre limiti all'azione del Csm è certamente il compito più delicato per il capo dello Stato nella veste di presidente del Csm e richiede cautela e sensibilità nelle modalità di intervento e comunicazione. Come bene dimostra la Presidenza Cossiga, infatti, un uso non accorto dei poteri presidenziali di direzione del Csm può innescare conflitti istituzionali aspri, suscettibili anche di essere portati al giudizio della Corte costituzionale. Nel contempo non può certo negarsi al presidente della Repubblica, organo di garanzia costituzionale, quando agisce come presidente del Csm, proprio la funzione di moderare ed equilibrare i rapporti tra i poteri» (p. 54). Netta poi la presa di posizione sulla figura del vicepresidente del Csm: «Il vicepresidente non è, e non deve essere, l'uomo di una parte del Consiglio, perché deve rappresentare l'organo nella sua interezza. Per questo, certe esternazioni pubbliche o la scelta, in occasione di delibere delicate, di partecipare o non partecipare al voto, possono suscitare tensioni all'interno del Consiglio, se mostrano che il vicepresidente abbandona la sua posizione di imparzialità per far pendere l'ago della bilancia verso l'uno o l'altro schieramento in plenum» (p. 57).

Significativo il titolo del paragrafo in cui si ripercorrono le vicende dei mutamenti del sistema elettorale: «L’elezione dei togati: solo governo o anche rappresentanza della magistratura?». La situazione alla metà degli anni Sessanta. «Dentro l’Anm da qualche tempo i magistrati si erano raggruppati secondo il comune modo di intendere la funzione giudiziaria e il ruolo del giudice nella società» (p.61). E’ la nascita delle “correnti”. Il termine, che nel corso dei periodi successivi sarà evocato in senso critico, fu in realtà adottato, riprendendolo dalle “correnti” organizzate all’interno dei partiti (in particolare nella Democrazia Cristiana), per sottolineare che si trattava di gruppi che rimanevamo operanti all’interno dell’unica associazione, l’Anm. Non era scontato, perché i magistrati della Cassazione nel 1961 avevano costituito una loro associazione. l’Unione dei Magistrati Italiani. Paradossalmente non si parla di "politicizzazione" della Cassazione e di fronte ad una vera e propria scissione, che permane per quasi vent'anni, non viene prospettata alcuna delle critiche che investono la formazione all'interno della magistratura delle "correnti”. 

L’A. quanto alle articolazioni interne all’Anm correttamente parla di «gruppi», «associazioni» o «correnti», e aggiunge che questa suddivisione: «non trova alcun espresso riconoscimento sul piano normativo: non nella Costituzione ovviamente, non nella legge e neppure nello statuto della Anm. Questi gruppi non sono altro che associazioni non riconosciute i cui componenti partecipano alle attività a titolo individuale ancorché come portatori delle idee del gruppo di appartenenza» (p.62). In realtà se è vero che nello Statuto dell’Anm non si fa cenno espresso alle articolazioni interne decisiva è stata l’adozione sin dal 1964 del tuttora vigente sistema elettorale proporzionale per liste concorrenti in collegio unico nazionale per la elezione del Comitato direttivo centrale. Vedi art 23 dello Statuto «Elezioni del Comitato Direttivo Centrale - Sistema Il Comitato Direttivo Centrale è eletto a suffragio universale, con voto diretto, libero e segreto, attribuito a liste di candidati-concorrenti. L’assegnazione dei seggi fra le liste concorrenti è effettuata in ragione proporzionale». Le “correnti” rectius “associazioni” che operano all’interno dell’Anm hanno una denominazione, organi direttivi eletti, sistemi di autofinanziamento, organi di stampa; nel corso degli anni si è assistito alla formazione di nuove “associazioni”, alla estinzione di alcune, a fusioni e scissioni. Un elemento costante è che magistrati italiani, anche quelli che aderiscono o sono formalmente iscritti ad una di queste associazioni, sono anche formalmente iscritti all’Anm (circa il 95% dei magistrati in servizio) ed inoltre partecipano in modo massiccio alla scadenza elettorale quadriennale per il rinnovo del Comitato direttivo centrale.

Queste notazioni concorrono a comprendere la correttezza della notazione dell’A. «Ogni volta che si svolgono le elezioni del Csm, la competizione è tra candidati e liste espressione di quei gruppi di cui si è detto» (p. 62). Vengono quindi ripercorse le vicende delle varie successive riforme del sistema elettorale, molte delle quali, è noto, hanno prodotto ulteriori effetti distorsivi. L’ A. ripercorre il dibattito che indusse, già a partire degli anni Settanta, significativi settori della dottrina giuridica a ritenere necessario che il pluralismo espresso all’interno della magistratura fosse «portato dentro il Csm» (p. 65). Con alcune precisazioni: «Pur non trattandosi della rappresentanza che caratterizza gli organi politici, in quanto il Csm non esprime interessi generali e non risponde ai suoi elettori delle decisioni assunte, si è diffusa l'idea che nel plenum debbano essere rappresentati gli “indirizzi atti a guidare la discrezionalità dell'organo nell'esercizio delle sue attribuzioni” così Onida 1994). In questo modo e nonostante la Corte costituzionale si fosse espressa nel senso che il Consiglio non è rappresentativo dell'organo giudiziario (soprattutto sent. n. 142 del 1973) si è andata consolidando una concezione del Csm come organo necessariamente rappresentativo delle diverse posizioni presenti nella magistratura» (p. 66). A conclusione di una analisi su «Il ruolo dei laici. Csm e partiti», l’A. segnala molto opportunamente: «Spesso la dottrina aveva rilevato come le responsabilità del diffondersi di certe prassi non commendevoli all'interno del Csm non andassero imputate solo alla componente togata, ma anche a quella laica, dimostratosi quantomeno incapace di contenerle» (p. 79). Qualche perplessità desta un ulteriore rilievo dell’A. sui laici i quali «spesso scontano una minore preparazione sulle questioni di ordinamento giudiziario rispetto a quelle dei togati. Professori e avvocati sono generalmente costretti a farsi assistere dai magistrati-segretari nelle redazioni delle bozze dei provvedimenti proprio per la tecnicità delle questioni affrontate che richiedano, oltre che preparazione giuridica» (p. 79). Una osservazione del recensore: quando il Parlamento ha eletto personalità di valore (e non sempre ciò è accaduto) anche se non esperte di ordinamento giudiziario, il loro contributo è stato significativo, non solo negli anni recenti nei quali hanno potuto contare su collaboratori di loro fiducia. 

Il sorteggio dei componenti togati del Csm è oggi oggetto del Ddl governativo S 1353 che viene nel linguaggio giornalistico intitolato come «separazione delle carriere», ma che in realtà ha ben altra incidenza, d’altronde evidenziata nella titolazione ufficiale «Norme in materia di ordinamento giurisdizionale…». Nell’intervista rilasciata a Il Foglio il 14 marzo il sottosegretario alla giustizia on. Del Mastro ha indicato proprio nel sorteggio il nucleo del Ddl. Il linguaggio è colorito: «L’unica cosa figa della riforma è il sorteggio dei togati al Csm», ma coglie esattamente il nucleo forte del Ddl. Il risultato non importa se perseguito, di certo raggiunto, è quello di ridefinire il rapporto tra potere politico e potere giudiziario. Con la riscrittura degli art. 104 e 105 Cost.  non rimane quasi nulla del “modello Csm” della Costituzione del 1948, «pietra angolare» del nuovo ordinamento giudiziario, come ebbe a definirlo nel 1986 la Corte Costituzionale[1]

Vale la pena allora di trascrivere integralmente il passaggio che l’A. dedica al tema: «Il sorteggio non appare metodo coerente con il ruolo assegnato dalla Costituzione al Csm: demandando, infatti, al caso la scelta dei componenti togati esso rischia di minare l'autorevolezza dell'organo e il suo peso istituzionale, oltre a modificare, se non nella forma, certamente nella sostanza, il rapporto tra togati e laici. In altre parole, le delicate funzioni che il testo costituzionale attribuisce al Csm richiedono che, al suo interno, siedano i magistrati con maggiore esperienza, autorevolezza, capacità organizzativa, gestionale e di mediazione, tutte qualità che, come è facile intuire, il sorteggio in quanto metodo di designazione casuale non può garantire» (p. 72).

Quanto alle forme di sorteggio “temperato” l’A. osserva inoltre: «Non vi è certezza che un sistema misto assicuri il superamento della logica correntizia. Se infatti si procede prima all'elezione poi al sorteggio, le correnti mantengono la possibilità di presentare nella prima fase i loro candidati e poi sostenere quelli che sono sorteggiati. Se invece il sorteggio avviene “a monte” (come i più vorrebbero), è probabile che i gruppi appoggino, nella seconda fase, i magistrati a loro vicini che sono stati sorteggiati. Né si può escludere che anche un magistrato non legato a una corrente, una volta che sia stato sorteggiato, cerchi un appoggio per assicurarsi l'elezione» (p. 72-73). 

Il capitolo terzo è dedicato ad una puntuale ricognizione su «L’organizzazione interna del Csm». Quanto al dibattito sulla tassatività o meno delle attribuzioni del Csm indicate nel testo costituzionale, l’A. osserva che la innegabile vis espansiva delle competenze del Csm si è verificata «in parte per volere del legislatore, in parte per scelta dello stesso Consiglio» (p. 117). Nel ripercorrere le diverse tesi della dottrina al riguardo, l’A. non evita di esprimere la sua posizione: «A fronte di ciò ci si divide: vi è chi ritiene che il Csm sia legittimato ad assumere tutti i provvedimenti necessari ad assicurare il principio costituzionale di indipendenza; chi, con una lettura intermedia e condivisibile, assume che possa esercitare tutto ciò che la Costituzione e la legge prevedono; chi infine, secondo una lettura minimale, stima che gli spettino solo le attribuzioni indicate in Costituzione» (p. 117).

Dopo aver rilevato che: «la responsabilità disciplinare ha sempre avuto una rilevanza sconosciuta a qualsiasi altro settore della pubblica amministrazione e ha impegnato moltissimo il CSM o meglio la sezione disciplinare del Csm», l’A. ne individua le ragioni. «Non solo spesso ha supplito all'assenza di un sistema di valutazione di professionalità capace di intercettare situazioni critiche, ma, spesso, nel procedimento disciplinare si sono scaricate tensioni interne ed esterne alla magistratura» (p. 137-138).

In ordine al trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale e funzionale (art. 2 legge guarentigie) l’A., dopo aver esaminato l’evoluzione nell’utilizzo dell’istituto da parte del Csm e le incertezze e dubbi che permangono, conclude: «Un dato però non sembra contestabile, vale a dire che la storia del trasferimento d'ufficio per incompatibilità ambientale e funzionale ci dice che il Csm ha espresso in molte occasioni proprio l'esigenza di disporre di uno strumento, attivabile in autonomia per far fronte a situazioni “difficili”, che coinvolgono un magistrato e che esprimono una “situazione oggettiva di malessere della giurisdizione” (Silvestri 1997)» (p. 145). 

«Il Csm alla prova dei tempi» è il titolo del quinto e conclusivo capitolo. Una particolare attenzione è dedicata all’inquadramento del nostro Csm in una prospettiva comparata a livello europeo individuando tre modelli: Europa centro-meridionale, sistemi giudiziari nordeuropei e ordinamenti di common law. La conclusione: «Il panorama europeo offre diversi modelli di governo della magistratura e ognuno di essi ha proprie caratteristiche, coerenti con la storia e con la tradizione giuridica di ciascun ordinamento. Non esiste, dunque, un solo assetto istituzionale per garantire l'indipendenza della magistratura, né un assetto preferibile o raccomandato. Ciò che conta è che essa sia realmente garantita. In anni recenti la tenuta di tale principio, la cui garanzia è essenziale in uno Stato di diritto, è stata invece messa a dura prova in alcuni ordinamenti europei» (p. 174-175). Seguono riferimenti puntuali alla Polonia e all’Ungheria.

Tornando al nostro paese: «La scelta dei nostri Costituenti fu assai innovativa e fortemente garantista […]. Dunque, nessuna interferenza dell'esecutivo è possibile né sullo statuto del magistrato, né in ordine all'organizzazione o all'esercizio delle sue funzioni. Già a partire dagli anni Settanta del secolo scorso si inizia tuttavia a riflettere sulla bontà di questo modello e ragionare di ipotesi di riforma del Csm. Mai è stato proposto, in verità, di eliminare il Csm, bensì di modificarne la composizione ( proporzione tra componenti laici e togati e modalità di “scelta” dei componenti) allo scopo di rendere l'organo meno autoreferenziale o meno “politicizzato” (termine a cui si ricorre quando si vuole marcare la necessità che la composizione del Csm sia sganciata dall'associazionismo giudiziario e dalla politica dei partiti) o di rivederne le attribuzioni al fine di contenerne la vis espansiva oppure per togliere ad esso la responsabilità disciplinare» (p. 176). 

Segue una rassegna ragionata dei vari progetti di revisione costituzionale che si sono succeduti negli anni fino al recente Ddl governativo AC 1917 (ora S 1353), del quale si indicano gli obbiettivi perseguiti e gli aspetti problematici. Anzitutto «in sé considerata la separazione non può dirsi lesiva di alcun principio supremo di un sistema democratico […] Vero è, nel contempo, che nella maggioranza degli Stati europei in cui i giudici e pubblici ministeri non sono pienamente equiparati si assiste da tempo ad una progressiva estensione delle garanzie dei primi ai secondi e verso questo assetto spingono tutti i documenti elaborati a livello internazionale» (p. 183). 

Quanto al sorteggio per i togati si ripropongono la criticità già in precedenza rilevata: «L'obiezione più forte a questa soluzione, ossia affidare la scelta alla sorte, è che rischia di diminuire legittimazione e prestigio dell'organo, rectius degli organi, così composti i quali - formati da soggetti sorteggiati e non legittimati dalla scelta degli elettori- avranno presumibilmente un peso istituzionale dimidiato. Diminuire legittimazione prestigio di un organo costituzionale significa anche limitarne il peso istituzionale nel rapporto con gli altri poteri» (p. 184). Quanto all’Alta Corte disciplinare, l’A. osserva che «si attribuisce al procedimento disciplinare un ruolo inedito non solo nell'intero comparto pubblico ma anche rispetto alle altre magistrature» (p. 186).

La proposta governativa considerata nel suo complesso, afferma seccamente l’A è: «preordinata a ridurre il peso istituzionale del Csm» (p. 187).

Nelle proposizioni conclusive l’A. ripropone per il Csm, e sviluppa, l’interrogativo del sottotitolo «Organo dell’autonomia o luogo di potere?».

«Nel corso del tempo è mutata la percezione di questo organo, da tempo ormai avvertito più che come organo di autonomia della magistratura, come luogo “di potere”. La questione attuale è di che tipo di potere si tratta. Certamente, infatti, un organo costituzionale autorevolmente composto e presieduto dal capo dello Stato, spesso chiamato a intervenire nei più aspri conflitti tra magistratura e soggetti politici o all'interno della magistratura è un luogo “di potere”. Tale potere, però, dovrebbe sempre essere funzionale ad un solo obiettivo, ossia creare le condizioni affinché ogni singolo magistrato possa esercitare in modo sereno le funzioni giudiziarie, in quanto solo un magistrato che non teme pressioni o ritorsioni, che non deve chiedere, è in grado di assicurare un esercizio indipendente della giurisdizione e, dunque, di garantire un'applicazione uguale della legge. Finché è solo questo l'obiettivo che guida la sua azione, finanche alcuni sconfinamenti rispetto alle attribuzioni che la Costituzione e la legge gli affidano sono stati tollerati.

Se invece il Csm abdica a tale ruolo e, come più di recente è apparso finisce esso stesso per alimentare, o comunque non sedare, le tensioni interne alla magistratura e da organo che difende si trasformi in organo da cui difendersi, allora, si aprono facilmente le strade anche a riforme che possono, oltre che attenuare il peso istituzionale sin qui svolto dal Consiglio, finanche minare quel principio di autonomia della magistratura che ha caratterizzato la svolta repubblicana» (p. 187-188).

Questa la conclusione dell’A. L’ampia e accurata analisi svolta, insieme con la prospettazione dei problemi aperti (non senza chiare prese di posizione) fornisce al lettore strumenti utili a formare una sua personale risposta a quell’interrogativo.


 
[1] Corte Costituzionale sentenza n. 4/1986.

28/03/2025
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