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L’altra riforma: il futuro incerto della magistratura contabile

di Andrea Carapellucci
magistrato contabile

Il progetto di riforma della Corte dei conti sembra in dirittura d’arrivo, con un’ampia delega al Governo per la riscrittura di organizzazione e funzioni: eliminate le sgrammaticature del testo iniziale, emerge il disegno di un controllore addomesticato, naturale bacino cui attingere per gli incarichi di alta amministrazione

1. Dal progetto di legge Foti alla delega legislativa

Depositato nel dicembre del 2023, il progetto di legge A.C. 1621 a prima firma Foti[1] (già capogruppo di Fratelli d’Italia, oggi Ministro per gli Affari Europei e il PNRR) pare prossimo a concludere il suo iter alla Camera: notizie di stampa annunciano il voto finale sul testo nel mese di marzo[2], per il successivo passaggio al Senato.

I tempi dell’esame parlamentare hanno certamente risentito dell’iter della riforma costituzionale della Giustizia, che interessa la sola magistratura ordinaria ma, introducendo la separazione delle carriere, non può che influenzare le altre magistrature cui sono attribuite funzioni requirenti, come quella contabile. 

Il percorso del p.d.l. Foti è stato, sin dall’inizio, peculiare. Il testo base è stato reso disponibile solo due mesi dopo il suo formale deposito presso gli uffici parlamentari. Al frequente atteggiamento di chiusura verso gli emendamenti dell’opposizione si è accompagnato un curioso balletto delle proposte emendative della maggioranza, con fughe in avanti a volte abbandonate, a volte recepite da emendamenti dei relatori, che da ultimo hanno sostanzialmente riscritto le parti più significative della riforma. 

A più di un anno dalla sua presentazione, se l’iter del p.d.l. Foti può dirsi già in fase avanzata, il dibattito parlamentare sui suoi contenuti deve sostanzialmente ancora iniziare e le profonde riscritture del testo sono il risultato, prevalentemente, di iniziative esterne alle aule di Montecitorio.

Il progetto di riforma ha ricevuto, nel corso del 2024, un’inedita benedizione da parte della Corte costituzionale, che con la sentenza n. 132, nel respingere questioni di costituzionalità sul c.d. “scudo erariale”, ha formulato vere e proprie direttive al legislatore, che ricalcano in più punti quelle del progetto di legge all’esame del Parlamento[3]. Si è parlato, non a caso, di «nuove tecniche decisorie[4]».

Nel percorso parlamentare, il punto di svolta è stato rappresentato dalla presentazione di alcuni emendamenti di maggioranza[5] che introducevano, in un testo dedicato alle sole funzioni della Corte dei conti, una profonda riorganizzazione degli uffici a livello territoriale e sulla carriera dei magistrati. 

Di fronte alla minaccia di chiusura di 14 sedi regionali, la generale levata di scudi, che ha coinvolto dai sindacati del personale amministrativo ai presidenti delle Regioni interessate[6], ha portato a una rapida correzione di rotta, con la presentazione, da parte dei relatori, di emendamenti che introducono un’ampia delega legislativa al Governo per la revisione dell’organizzazione territoriale della Corte e, al contempo, riscrivono alcune delle principali norme relative alla responsabilità erariale e alle funzioni di controllo[7].

Secondo la stampa[8], anche il discorso del Presidente della Repubblica[9] del 2 dicembre 2024, pronunciato in occasione di un’udienza di saluto ai magistrati contabili di più recente nomina, ha influito sulla decisione della maggioranza di recepire alcune delle indicazioni tecniche provenienti dalle audizioni parlamentari e dal parere reso dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti[10]

In conseguenza di tali emendamenti, la cui approvazione pare scontata, dell’originario progetto di legge Foti resteranno, pressocché invariate nella sostanza, le norme sui nuovi controlli preventivi e sull’estensione della funzione consultiva. Notevoli, invece, saranno le modifiche che riguardano la limitazione della responsabilità erariale, principale obiettivo della riforma, che ha come scopo dichiarato quello di contrastare la “paura della firma” di dirigenti, funzionari e amministratori pubblici (la «fatica di amministrare», nel lessico dell’ultimo intervento della Consulta).

La magistratura contabile continua a esprimere la propria netta contrarietà alla riforma. Prosegue infatti lo stato di agitazione proclamato dall’Associazione dei magistrati della Corte dei conti[11],  mentre i vertici della Corte, nelle più recenti audizioni parlamentari[12] e in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2025[13], hanno reiterato le loro preoccupazioni. 

Lo scorso 4 marzo, anche il Comitato intermagistrature ha diramato un comunicato nel quale si esprime «forte preoccupazione per i contenuti e le modalità con cui vengono portate avanti riforme destinate a incidere profondamente sull’esercizio della giurisdizione e sull’organizzazione e l’autogoverno delle magistrature», a testimonianza di una crescente consapevolezza delle connessioni tra i vari disegni di riforma.

Non sono mancate, peraltro, autorevoli voci in senso opposto, che pongono l’accento sulla richiesta di un nuovo ruolo per la Corte dei conti da parte del Paese[14]

La riforma risulta, in effetti, pienamente coerente al nuovo spirito del tempo, che riconosce ai detentori pro tempore del potere politico l’interpretazione autentica ed esclusiva dell’interesse generale/nazionale e vede ogni altro potere e apparato dello Stato chiamato a contribuire al suo perseguimento con spirito collaborativo.

Una clamorosa inversione di rotta rispetto al decennio 2012-2022, in cui l’ossessiva insistenza sul contrasto alla corruzione, la trasparenza e la riduzione costi della politica aveva ispirato riforme di segno diametralmente opposto, che sembravano imputare alla discrezionalità amministrativa e a quella politica ogni problema dell’Amministrazione.

 

2. I connotati della nuova responsabilità erariale

La versione originaria del p.d.l. Foti, come si è già cercato di illustrare su questa rivista[15], minacciava di snaturare l’istituto della responsabilità per danno all’Erario, accentuandone il carattere sanzionatorio e sovrapponendola impropriamente alla responsabilità penale.

Gli emendamenti dei relatori seguono, invece, una strada diversa per ridurre il rischio che politici e funzionari di incorrano in responsabilità.

Eliminati i limiti edittali alla condanna risarcitoria previsti nel testo originario (da 150 euro a due volte la retribuzione annuale del responsabile), si propone ora di obbligare il giudice all’esercizio del potere di riduzione dell’addebito, da sempre riconosciuto alla Corte dei conti: in caso di responsabilità per colpa grave, l’esercizio del potere riduttivo da parte del giudice diviene doveroso, e la condanna non può superare un doppio limite quantitativo, pari al 30% del pregiudizio accertato e a due volte la retribuzione annuale del responsabile[16].

I due limiti garantiscono che, di fronte ai danni di maggiore entità, il responsabile non vada incontro a un onere insostenibile, ma che anche i danni di entità minore siano risarciti solo in misura inferiore ad un terzo.

La nuova formulazione della norma sembra superare il rischio che la responsabilità erariale perda la sua natura risarcitoria (responsabilità che sorge da un danno e mira a ristorare il patrimonio del danneggiato), sollevando così delicati problemi di bis in idem alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, nei casi di concorso con altre responsabilità (penali, disciplinari, civili, dirigenziali, etc.). 

Essa riduce, tuttavia, in misura significativa l’effetto di deterrenza che la responsabilità erariale esercita su chi amministra il denaro pubblico.

L’applicazione degli istituti deflattivi del contenzioso già esistenti consentirebbe, infatti, in molti casi, di evitare processo e condanna versando somme di entità minima. Ad esempio[17], a fronte di un danno accertato di 100.000 euro, cagionato da tre corresponsabili, la quota imputata a ciascuno[18] (in ipotesi: 33.000 euro) sarebbe falcidiata dall’applicazione del potere riduttivo fino a 10.000 euro circa. L’applicazione del rito abbreviato, che nella prassi conduce ad ottenere la definizione del giudizio con il versamento di circa un terzo della somma contestata, consentirebbe a ciascun responsabile di risarcire 3.000 euro, per un totale di 9.000, a fronte di un danno accertato di 100.000.

Ciò, si badi, anche nei casi di danni cagionati con la più macroscopica negligenza: solo in caso di dolo o di illecito arricchimento del responsabile i due limiti non troverebbero applicazione. 

La possibilità stessa di incorrere in responsabilità verrebbe, peraltro, fortemente limitata a monte, attraverso una vera e propria norma-killer che interviene sul dies a quo del termine di prescrizione.

L’emendamento dei relatori prevede che il termine di cinque anni decorra dal fatto dannoso «indipendentemente dal momento in cui l’amministrazione o la Corte dei conti sono venuti a conoscenza del danno», salvo i casi di occultamento doloso del danno realizzato con condotta attiva o “in violazione di obblighi di comunicazione”. Si tratta, a ben vedere, di una clamorosa deroga al principio generale in materia di prescrizione dei diritti, in virtù del quale il termine non decorre fino a quanto il diritto non può essere esercitato.

Le Procure della Corte dei conti, a seguito dell’introduzione del Codice di giustizia contabile, hanno un limitato potere di iniziativa nella ricerca dell’illecito erariale. Essendo l’esercizio dei loro poteri istruttori subordinato all’esistenza di una notizia di danno «specifica e concreta», i magistrati requirenti agiscono principalmente a fronte delle denunce di danno presentate dalle stesse amministrazioni, che rappresentano un preciso dovere per i dirigenti e responsabili delle strutture[19], o di fatti già sottoposti al giudice penale, o ancora di danni derivanti da sentenze di condanna del giudice ordinario o amministrativo nei confronti della PA. In tutti i casi, spesso a distanza di anni dal verificarsi del danno.

Con la modifica in questione, la possibilità di perseguire gli illeciti erariali sarebbe fortemente limitata.

La norma entrerebbe in vigore immediatamente e sarebbe applicabile anche ai procedimenti in corso, travolgendo, oltre ai giudizi pendenti, l’attività istruttoria attualmente in corso presso le Procure. Il suo effetto andrebbe così a sommarsi a quello già provocato da cinque anni di vigenza dello “scudo erariale”, che dall’estate del 2020 limita ai soli casi di dolo e colpa grave per omissione la responsabilità erariale[20].

Il rischio è pertanto che la responsabilità per danno all’Erario, e con essa la parte qualitativamente più caratterizzante della giurisdizione contabile, sia privata di effettività, trasformandosi in un istituto privo di qualsiasi effetto di deterrenza e, nel lungo periodo, probabilmente troppo costoso per essere mantenuto in vita, a fronte del suo limitato campo di applicazione effettiva.

Un rischio di ineffettività incrementato dalle misure previste dalla stessa riforma per la riorganizzazione degli uffici requirenti.

 

3. La gerarchizzazione delle Procure

La delega al Governo introdotta nel progetto di legge dagli emendamenti dei relatori prevede, dando seguito ad alcuni emendamenti della maggioranza, una generale riorganizzazione degli uffici requirenti.

Dagli anni Novanta la Corte dei conti ha progressivamente affiancato all’originaria Procura Generale, con sede a Roma, le Procure regionali, cui oggi è riservata dal Codice di giustizia contabile la competenza esclusiva a promuovere l’azione di responsabilità di fronte alle Sezioni giurisdizionali regionali, giudici di primo grado. A ciascuna Procura è preposto un Procuratore regionale, affiancato da Vice Procuratori Generali e Sostituti Procuratori Generali.

La riforma prevede di riorganizzare gli uffici requirenti in una Procura Generale e in «procure territoriali», rette da un «procuratore territoriale preposto all’ufficio sotto il coordinamento del Procuratore Generale». Al Procuratore Generale sarebbero riconosciuti rilevanti – e oggi sconosciuti – poteri di indirizzo e coordinamento, compreso il potere di «avocazione delle istruttorie» in caso di «violazione delle disposizioni di indirizzo» (sic), nonché la competenza a sottoscrivere gli atti più rilevanti dei magistrati delle procure territoriali, ove «particolarmente rilevanti». 

Si tratterebbe, come sottolineato da alcuni Procuratori regionali in occasione delle recenti inaugurazioni dell’anno giudiziario[21], di un sostanziale ritorno al sistema vigente fino al 1994, con l’accentramento della funzione requirente in capo alla Procura Generale.

Verrebbe inoltre meno il vincolo, attualmente previsto dal Codice della giustizia contabile, di un’organizzazione degli uffici su base regionale, consentendo di lasciare alcune regioni prive di un proprio ufficio di procura. 

È poi inevitabile domandarsi se in un’organizzazione di questo tipo possa ancora parlarsi di magistrati distinguibili fra loro «solo per funzioni», data l’evidente caratterizzazione in termini gerarchici del rapporto fra Procuratore Generale e altri magistrati requirenti.

La norma di delega rappresenta, invero, una versione edulcorata di alcuni emendamenti della maggioranza, che prevedevano la sostanziale abolizione delle procure territoriali, per il ritorno a un’unica Procura Generale con uffici decentrati sul territorio. In quelle proposte emendative[22], la gerarchizzazione degli uffici raggiungeva il parossismo, con la previsione che «qualsiasi atto, istruttorio o processuale, è valido ed efficace soltanto se reca le sottoscrizioni digitali del viceprocuratore generale territorialmente competente, del procuratore generale aggiunto di coordinamento e del procuratore generale». 

L’impraticabilità di una simile soluzione ha portato a circoscrivere ad atti e circostanze particolari la necessità di controfirma del Procuratore Generale, esplicitando però, nel nuovo testo, la gerarchizzazione degli uffici requirenti.

Nello stesso senso va la norma che prevede di «rafforzare gli effetti nomofilattici delle pronunce delle sezioni riunite sulle funzioni consultive, di controllo, referenti e giurisdizionali, nonché sull’attività delle procure presso la Corte dei conti[23]». 

Prevedere che una pronuncia nomofilattica vincoli formalmente l’attività dell’organo requirente, una parte processuale nei giudizi di responsabilità e non solo, tradisce – oltre a una conoscenza approssimativa dei più elementari principi di diritto costituzionale e processuale – uno dei principali obiettivi perseguiti dalla riforma: limitare il più possibile la discrezionalità del singolo magistrato requirente, inserendolo in un’organizzazione verticistica e costringendolo a uniformarsi ai precedenti giurisprudenziali.

La delega, infine, supera le proposte emendative della maggioranza che prevedevano di ridurre a 80 magistrati (oltre ai titolari di funzioni direttive) l’organico delle Procure contabili, ma prospetta comunque un significativo ridimensionamento della funzione requirente anche sotto il profilo organizzativo. 

È prevista infatti una revisione dell’intero organico di magistratura (oggi 636 posti, dei quali poco più di 500 effettivamente coperti) e, nelle more dell’entrata in vigore dei decreti delegati, la riallocazione dei magistrati in servizio con priorità alle funzioni di controllo e consultive. Se a ciò si aggiunge l’eliminazione del vincolo a prevedere una Procura per regione o provincia autonoma, è del tutto evidente che il nuovo assetto vedrà un minor numero di magistrati requirenti, con ulteriore riduzione di effettività dell’istituto della responsabilità erariale.

Se alcuni emendamenti della maggioranza avevano previsto la formale separazione delle carriere, la delega al Governo prevede, invece, una forma attenuata di separazione delle funzioni, con l’introduzione del divieto di passaggio da funzioni requirenti a funzioni giudicanti. Oggi i magistrati contabili possono svolgere, nel corso della carriera, tutte e tre le funzioni esistenti – di controllo, giudicante e requirente – nel rispetto di alcune regole di incompatibilità, che impediscono, ad esempio, di assumere immediatamente funzioni giudicanti nella stessa regione in cui si sono esercitate funzioni requirenti. La riforma parrebbe invece precludere, senza limitazioni territoriali o di tempo, il passaggio dalla funzione requirente a quella giudicante: di conseguenza, una volta acceduto a tali funzioni, i magistrati potranno solo essere trasferiti a funzioni di controllo. Ciò pone un problema significativo per l’assegnazione alle Procure dei magistrati di prima nomina, cui sarebbe paradossalmente precluso per l’intera carriera l’accesso a una delle altre funzioni della Corte (quella giudicante).

 

4. La riorganizzazione delle Sezioni giurisdizionali e di controllo

La riorganizzazione non sarebbe, peraltro, limitata agli uffici di Procura. 

La delega[24] introduce infatti la possibilità che tutte le Sezioni della Corte, giurisdizionali e di controllo, centrali e territoriali, vengano adeguate al nuovo assetto, con una generale revisione dell’organico di magistratura.

Quest’ultima dovrà «rafforzare, in termini di risorse umane e strumentali, le funzioni consultiva e di controllo e le funzioni di coordinamento della procura generale».

È inoltre previsto che «i presidi territoriali della Corte sono dotati di personale in funzione degli effettivi carichi di lavoro di ciascuna sede e di ciascun magistrato, con priorità per le esigenze connesse allo svolgimento delle funzioni consultive e di controllo».

Viene quindi affermata esplicitamente la priorità delle funzioni consultive e di controllo su quelle giurisdizionali, siano esse giudicanti o requirenti, in accordo con gli obiettivi generali della riforma. 

L’intero testo di legge, in effetti, si caratterizza per l’enfasi sulle funzioni «consultive, di controllo e referenti», in coerenza con la visione che vorrebbe la Corte fare «più pareri e meno sentenze[25]», per diventare un «ente amico[26]» dell’Amministrazione.

Oggi la Corte è organizzata, a livello centrale, in sei sezioni di controllo specializzate per materia e a tre sezioni giurisdizionali d’appello. Sul territorio, l’organizzazione è invece su base regionale e prevede, per ciascuna regione e provincia autonoma, una sezione giurisdizionale di primo grado e una sezione di controllo (con alcune peculiarità nelle regioni a statuto speciale).

La delega al Governo prevede, a livello centrale, Sezioni chiamate a «svolgere unitariamente funzioni consultive, di controllo, referenti e giurisdizionali»: cesserebbe pertanto la distinzione tra Sezioni giurisdizionali e di controllo, che verrebbe invece mantenuta a livello territoriale.

È previsto infatti che «ogni sede territoriale si articola in una sola sezione abilitata a svolgere unitariamente funzioni consultive, di controllo e referenti e in una sezione giurisdizionale, ordinate in collegi con provvedimenti del presidente». 

L’evidente incoerenza delle due soluzioni fa pensare ad un errore redazionale: non si comprende, infatti, perché dovrebbe essere mantenuta la distinzione fra Sezioni giurisdizionali e di controllo solo a livello territoriale.

La formulazione delle norme tradisce, peraltro, una conoscenza approssimativa dell’organizzazione della Corte dei conti. Le funzioni «consultive, di controllo e referenti», anche se astrattamente distinguibili, sono da sempre attribuite alle Sezioni di controllo, centrali e regionali: non vi sarebbe, peraltro, alcuna necessità di specificare che una sola Sezione debba svolgerle unitariamente. La bipartizione essenziale è quella fra controllo e giurisdizione, ed è tradizionalmente ascritta agli artt. 100 e 103 Cost., che evidenziano un nucleo di cognizione necessario in materia di controlli preventivi e di bilancio (art. 100, comma 2, Cost.; art. 5, comma 1, lett. a), l. cost. n. 1/2012), lasciando invece ampio spazio alla interposizione del legislatore nelle «altre materie» di contabilità pubblica evocate dall’art. 103 Cost.

Preoccupante è invece la previsione che le nuove Sezioni, centrali e territoriali, siano «ordinate in collegi con provvedimenti del presidente della Corte/del presidente della Sezione», che avrebbe così il potere di destinare discrezionalmente i magistrati alle diverse e numerosissime funzioni intestate alla Corte (in particolare, nell’ambito delle Sezioni di controllo), senza essere vincolato all’applicazione di criteri obiettivi e predeterminati, mettendo a repentaglio il principio del giudice precostituito per legge (art. 25 Cost.). Non vi è infatti alcun riferimento a competenze, in proposito, dell’organo di autogoverno della magistratura contabile: il Consiglio di Presidenza della Corte dei conti. 

 

5. Obiettivo salvacondotto: i nuovi pareri e i controlli preventivi

Dell’originario progetto di legge rimangono pressoché invariate, nella sostanza, le norme relative alla funzione di controllo e a quella consultiva. 

Viene ampliata la possibilità di richiedere alla Corte dei conti pareri, anche in materie non strettamente attinenti all’interpretazione di norme di contabilità pubblica, al fine di escludere la responsabilità dei dirigenti e dei funzionari che si conformino alle indicazioni ricevute. Il rischio di “cogestione” da parte della magistratura contabile, evocato dagli stessi esponenti della maggioranza per giustificare l’abolizione del controllo concomitante sui progetti PNRR[27], cessa evidentemente di essere tale quando serve ad escludere la responsabilità degli amministratori. 

Il p.d.l. Foti introduce, poi, nuove forme di controllo preventivo a richiesta delle Amministrazioni, ampliando il novero di quelle che hanno la facoltà di sottoporre i propri atti alla Corte dei conti (il controllo preventivo è da sempre limitato alla sola amministrazione statale). 

Il “nuovo” controllo preventivo di legittimità sarebbe espressamente finalizzato ad escludere la responsabilità di dirigenti e funzionari che abbiano adottato l’atto per i danni eventualmente conseguenti. Un controllo da esercitare entro termini estremamente ridotti e caratterizzato da un inedito meccanismo di silenzio-assenso, che equiparerebbe la mancata pronuncia della Corte all’esito positivo del controllo, con conseguente esenzione da responsabilità.

La riforma piegherebbe quindi il controllo preventivo a finalità che gli sono – e dovrebbero rimanere – assolutamente estranee. Dalla tutela della legalità alla tutela del funzionario, con una notevole forzatura: il controllo riguarda infatti la legittimità dell’atto, la sua conformità al diritto, mentre la responsabilità discende da condotte illecite causative di un danno. La responsabilità può quindi sussistere in relazione ad un atto pienamente legittimo, e non sussistere a fronte di un atto gravemente illegittimo, ma non produttivo di danni. Problemi, questi, del tutto trascurati dagli autori della riforma, che mostrano di concepire la funzione di controllo della Corte esclusivamente in funzione della responsabilità amministrativo-contabile: «qualora l’atto abbia superato il controllo preventivo di legittimità (…) non sarà più possibile sottoporre a giudizio per responsabilità erariale gli amministratori che lo abbiano adottato», si legge nella relazione al progetto di legge.

 

6. La posta in gioco: essere magistrati (o fare altro)

Il dibattito sul p.d.l. Foti si è finora comprensibilmente concentrato sugli specifici contenuti della riforma. Meno attenzione è stata riservata alle sue inevitabili conseguenze sulla magistratura contabile e sul ruolo dei magistrati.

Va affermato con forza che essa comporterebbe un significativo allontanamento della magistratura contabile dalle altre magistrature, nel solco dell’evoluzione di un Istituto che ha già visto accrescere, negli anni, la propria autonomia organizzativa e finanziaria[28] e che diventerebbe ora più simile, anche nel suo funzionamento, a un’Autorità amministrativa indipendente. Un modello, quello delle Authorities, opposto a quello della magistratura: verticistico e gerarchico il primo, orizzontale e policentrico il secondo.  

Il disegno riformatore prevede infatti una marginalizzazione delle attribuzioni giurisdizionali della Corte, sia sul piano organizzativo, sia su quello funzionale, in conseguenza della perdita di effettività della responsabilità erariale e dello svuotamento degli uffici di Procura. 

Ridurrebbe inoltre l’autonomia e l’indipendenza interna dei magistrati, con inedite forme di nomofilachia (un singolo collegio capace di vincolare tutte le funzioni della Corte, compresa l’attività del Pubblico Ministero), la marcata gerarchizzazione della funzione requirente e l’attribuzione formale ai presidenti del potere di decidere la composizione dei collegi, senza che sia riconosciuto, in proposito, un ruolo all’organo di autogoverno.

Anche l’indipendenza esterna della Corte sarebbe ridimensionata, con l’introduzione di un inedito termine di durata per la carica di Presidente della Corte dei conti (la cui nomina già spetta al Governo, come quella di Presidente del Consiglio di Stato) e per quella di Procuratore Generale[29].

Una norma, quest’ultima, che rappresenterebbe un unicum fra le magistrature, e farebbe il paio con il colpo già inferto dalla riforma Brunetta[30] all’organo di autogoverno della magistratura contabile: il solo ad avere un numero di componenti togati eletti dai magistrati pari a quello dei componenti di nomina parlamentare (quattro).

Infine, la priorità assegnata alle funzioni di supporto all’Amministrazione, anche nelle attività in corso di svolgimento (pareri e controlli “a richiesta”), evidenzia una rischiosa deriva della Corte verso l’amministrazione attiva, che produrrà conseguente non trascurabili sulla concezione che i magistrati hanno del proprio ruolo.

Una magistratura da sempre aperta agli incarichi, ministeriali e non solo, si vedrebbe ora intestata la funzione istituzionale di superconsulente dell’Amministrazione: l’unico ad avere il potere di disinnescare, con i propri interventi, le eventuali responsabilità degli amministratori. Un controllore certamente “addomesticato”, in conseguenza della riforma, ma allo stesso tempo, e proprio per questo, ricercatissimo.

La posta in gioco, in definitiva, è la possibilità della magistratura contabile di continuare a essere una magistratura fra le altre, fondata sull’autonomia e indipendenza non solo esterna, nei confronti degli altri poteri, ma anche interna: nei rapporti fra singolo magistrato e presidente di Sezione, in quelli fra sezioni territoriali e centrali, fra il singolo collegio giudicante e le pronunce nomofilattiche.

È la possibilità dei singoli magistrati di continuare ad essere soggetti solo alla legge e distinguibili solo per funzioni, come prescritto dalla Costituzione. Di esercitare la propria funzione – sia essa giudicante, requirente, o di controllo – in assenza di vincoli gerarchici, formali o sostanziali.

Sottesa alla riforma, a ben vedere, è l’idea di un magistrato concepito come funzionario, dotato di uno status giuridico di privilegio ma pur sempre assoggettato, nella sua attività, a linee guida e prescrizioni, con un necessario ossequio verso il precedente. Un magistrato istituzionalmente chiamato ad affiancare l’Amministrazione nelle sue scelte e perciò naturale candidato ad assumere incarichi di consulenza o di staff.

Difficile immaginare un’alternativa più chiara: essere magistrati, o fare altro. Per quanto prestigioso e remunerativo possa essere.


 
[1] Sul quale sia consentito rinviare ad Andrea Carapellucci, Dalla maggioranza, la minaccia di una contro-riforma per la Corte dei conti, in www.questionegiustizia.it, 6 marzo 2024.

[2] ANSA, 14.02.2025, h. 14:40: Voto della Camera su pdl riforma Corte dei Conti entro marzo.

[3] Si v., in proposito, V. Tenore, Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare: lo “scudo erariale” è legittimo perché temporaneo e teso ad alleviare “la fatica dell’amministrare”, che rende legittimo anche l’adottando progetto di legge Foti C1621, in Rivista della Corte dei conti, n. 4/2024. La sentenza è stata oggetto di numerosi commenti, alcuni dei quali disponibili in Giurcost.it: https://giurcost.org/decisioni/2024/0132s-24.html  

[4] F.S. Marini, La sentenza n. 132/2024: La Corte costituzionale sperimenta nuove tecniche decisorie, in Rivista della Corte dei conti, n. 4/2024.

[5] In particolare, emendamenti 2.01 (Russo) e 2.02 (Montaruli – Sbardella), in www.camera.it, A.C. 1621: https://documenti.camera.it/apps/emendamenti/getProposteEmendative.aspx?contenitorePortante=leg.19.eme.ac.1621&tipoSeduta=1&sedeEsame=referente&urnTestoRiferimento=urn:leg:19:1621:null:null:com:0102:referente&tipoListaEmendamenti=1 

[6] Si v., per tutti, D. Molino, Cirio e Lo Russo: “La Corte dei Conti deve restare a Torino, no all’accorpamento a Milano”, La Stampa, 17.01.2025.

[7] La delega al Governo è prevista dall’emendamento 2.07, presentato il 28.01.2025.

[8] A. Fraschilla, G. Vitale, Corte dei conti, il governo corre ai ripari dopo il richiamo del Colle: maxi-modifica alla legge, La Repubblica, 4.12.2024.

[9] Il testo del discorso è disponibile sul sito Internet del Quirinale: https://www.quirinale.it/elementi/123341.

[10] Corte conti, Sez. Riunite in sede consultiva, par. n. 3/2024/CONS: https://www.corteconti.it/Download?id=35360c40-751d-49a0-8d80-7ef0899d203f.

[11] Si v. i comunicati stampa dell’Associazione Magistrati della Corte dei conti: https://www.amcorteconti.it/press-area/comunicati-stampa/

[12] Da ultimo, il 4 febbraio 2025. Si v. in particolare il testo della memoria depositata dal Presidente della Corte dei conti: https://documenti.camera.it/leg19/documentiAcquisiti/COM01/Audizioni/leg19.com01.Audizioni.Memoria.PUBBLICO.ideGes.55310.05-02-2025-16-38-34.086.pdf 

[13] Si v. gli interventi del Presidente della Corte e del Procuratore Generale: https://www.corteconti.it/HOME/StampaMedia/Notizie/DettaglioNotizia?Id=fbbc835d-90d9-4bdb-9c66-82bc8f8a1d8e 

[14] AdnKronos, 21.02.2025, h. 11:51: C. Conti: Miele (Lazio), “Paese chiede a Corte nuovo ruolo e nuove funzioni”. Agi, 21.02.2025, h. 11:55, Corte Conti: Miele (Lazio), pdl Foti non indebolisce istituto. Si. v., in proposito, anche la relazione del Presidente aggiunto della Corte dei conti in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2025, Sezione giurisdizionale per il Lazio: https://www.corteconti.it/Download?id=356da132-2535-4eb0-8125-16cad8662aee. Opinioni non dissimili erano state espresse dai relatori di un convegno dall’evocativo titolo Una Corte dei conti sempre più utile al Paese, tenutosi il 19.09.2024 e organizzato dall’Università di Roma-Tor Vergata (la cui registrazione integrale è disponibile su www.radioradicale.it: https://www.radioradicale.it/scheda/738916/18622024-una-corte-dei-conti-sempre-piu-utile-al-paese).

[15] Si veda ancora l’articolo Dalla maggioranza, la minaccia di una contro-riforma per la Corte dei conti, in www.questionegiustizia.it, 6 marzo 2024.

[16] Più precisamente: «per un importo non superiore al 30 per cento del pregiudizio accertato e, comunque, non superiore al doppio della retribuzione lorda conseguita nell’anno di inizio della condotta lesiva causa dell’evento o nell’anno immediatamente precedente o successivo, ovvero non superiore al doppio del corrispettivo o dell’indennità percepiti per il servizio reso all’amministrazione o per la funzione o l’ufficio svolti, che hanno causato il pregiudizio». L’emendamento, a differenza del testo base, prende espressamente in considerazione l’ipotesi che il responsabile sia un soggetto esterno all’Amministrazione o il titolare di una carica politica.

[17] Si v. in proposito, la memoria depositata dal Cons. Gribaudo nell’audizione del 4 febbraio 2025 alla Camera dei deputati, disponibile su https://www.camera.it/leg19/126?leg=19&idDocumento=1621 

[18] La responsabilità erariale per colpa grave è infatti parziaria e non solidale.

[19] L’art. 52 del Codice di giustizia contabile (d.lgs. n. 174/2016), prevede che «i responsabili delle strutture burocratiche di vertice delle amministrazioni, comunque denominate, ovvero i dirigenti o responsabili di servizi, in relazione al settore cui sono preposti, che nell'esercizio delle loro funzioni vengono a conoscenza, direttamente o a seguito di segnalazione di soggetti dipendenti, di fatti che possono dare luogo a responsabilità erariali, devono presentarne tempestiva denuncia alla procura della Corte dei conti territorialmente competente».

[20] Art. 21 del d.l. n. 76/2020. In proposito, sia consentito rinviare ad Andrea Carapellucci, Il Governo interviene sulla Corte dei conti: perché preoccuparsi (e per cosa), in www.questionegiustizia.it, 14 giugno 2023.

[21] Si v. ad es. la relazione del Procuratore regionale all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2025 della Sezione giurisdizionale per l’Emilia-Romagna: https://www.corteconti.it/Download?id=3775b643-2c95-464e-aab9-69f378c175ae 

[22] Sulle quali sia consentito rinviare ad Andrea Carapellucci, Le procure che vorrebbero, www.articolo21.it, 15 novembre 2024.

[23] Una successiva riformulazione prevede che siano «rafforzati gli effetti nomofilattici delle pronunce delle sezioni riunite (…) sull'attività delle procure presso la Corte dei conti, prevedendo, in particolare, che il procuratore generale eserciti la sua funzione di coordinamento tenendo conto delle pronunce nomofilattiche delle sezioni riunite».

[24] Emendamento 2.07, a firma dei relatori, che introduce l’art. 2-bis al progetto di legge, rubricato «Delega in materia di organizzazione ed efficienza della Corte dei conti».

[25] Si v. l’intervista al Sottosegretario Freni del giugno 2023: M. Perrone, G. Trovati, In Italia i controlli migliori. La Corte dei conti non può arrivare a cogestire il Pnrr, ne Il Sole24Ore, 4 giugno 2023, pag. 1.

[26] Si v. l’intervista all’On. Urzì (FdI) a Radio radicale del 6.11.2024: https://www.radioradicale.it/scheda/743408/la-pdl-foti-sulla-riforma-della-corte-dei-conti-intervista-ad-alessandro-urzi 

[27] La vicenda è ricostruita in Andrea Carapellucci, Il Governo interviene sulla Corte dei conti: perché preoccuparsi (e per cosa), in www.questionegiustizia.it, 14.06.2023.

[28] I commi 32 e 33 dell’art. 20 della l. 30 dicembre 2023, n. 213 (legge di bilancio per il 2024) hanno previsto che siano assegnate annualmente alla Corte dei conti risorse pari allo 0,45 per mille delle spese finali del bilancio dello Stato (al netto della spesa per interessi e per il PNRR), comunque non inferiori a 325 milioni di euro. Si tratta di un’innovazione significativa in quanto sottrae (sia pure con legge ordinaria) alla discrezionalità di Governo e Parlamento la determinazione delle risorse da destinare annualmente all’Istituto in sede di bilancio di previsione. Nessuna altra magistratura, comunque incardinata dal punto di vista amministrativo (nel Ministero della Giustizia, come quella ordinaria, nella Presidenza del Consiglio, come quella amministrativa, o nel Ministero dell’Economia, come quella tributaria), ha una simile garanzia. Sull’argomento, si v. anche T. Miele, Autonomia contabile, finanziaria, organizzativa e funzionale della Corte dei conti, in Rivista della Corte dei conti, n. 3/2024.

[29] Emendamento 2.07, a firma dei relatori, che introduce l’art. 2-bis al progetto di legge, rubricato «Delega in materia di organizzazione ed efficienza della Corte dei conti».

[30] L’attuale composizione del Consiglio di Presidenza della Corte dei conti, ai sensi dell'art. 11 della legge 4 marzo 2009, n. 15, prevede, oltre ai componenti di diritto (Presidente, Presidente aggiunto e Procuratore Generale), quattro membri eletti dal Parlamento e quattro dai magistrati della Corte dei conti.

21/03/2025
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