Magistratura democratica
Giurisprudenza e documenti

Continuazione e particolare tenuità del fatto

di Federico Piccichè
Avvocato del Foro di Monza e membro del Consiglio Direttivo della Scuola Forense di Monza
Nota a Cass. Pen., Sez. II, Sent. 29 marzo 2017 (dep. 26 aprile 2017), n. 19932, Pres. De Crescienzo, Rel. Pellegrino

La sentenza, che si annota, è preziosa e, forse, potrebbe dare vita ad un potenziale contrasto interpretativo perché afferma che la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all'art. 131 bis cp, è compatibile con l'istituto della continuazione.

Prima di questa pronuncia la giurisprudenza di legittimità è sempre stata di contrario avviso.

La Corte suprema, infatti, con diversi arresti, ha affermato che la causa di non punibilità prevista dall'art. 131 bis cp non può essere dichiarata in presenza di più reati avvinti dal vincolo della continuazione, dal momento che il reato continuato configura un'ipotesi di comportamento abituale, ostativa all'applicazione del beneficio[1].

Nel caso di specie, la Corte d'appello di Salerno, decidendo in sede di rinvio, aveva rideterminato la pena inflitta a carico dell'imputato in relazione al reato di cui agli artt. 81 cpv, 110, 326 cp per avere rivelato, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, nella sua qualità di tenente della Polizia Provinciale, in violazione dei propri doveri, notizie di ufficio che dovevano rimanere segrete, relative a indagini penali in corso con riferimento, in particolare, ad una tabella contenente i valori degli elementi inquinanti riscontrati nelle acque di alcuni invasi, comunicandole ad un giornalista pubblicista, così consentendone la pubblicazione.

Avverso tale sentenza, nell'interesse dell'imputato veniva proposto ricorso per Cassazione, con cui si censurava, con un unico motivo, l'inosservanza della legge penale e il vizio di motivazione in relazione all'art. 131 bis cp, non essendo stata riconosciuta la causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto.

La Corte territoriale non aveva riconosciuto il beneficio perché si era in presenza di un reato continuato, che integrava una condotta abituale, ostativa alla declaratoria di non punibilità[2].

Secondo la difesa, tale assunto non poteva essere condiviso, in quanto disattendeva l'insegnamento espresso di recente dalle Sezioni unite con la sentenza n. 13681/16, secondo cui il comportamento può ritenersi abituale quando l'autore, anche successivamente al reato per cui si procede, ha commesso almeno due reati, oltre quello preso in esame.

A questo proposito, la difesa rimarcava che all'imputato erano state contestate solo due condotte, poste in essere in un limitato periodo di tempo e caratterizzate entrambe dal meritevole obiettivo di divulgare notizie che, seppure coperte dal segreto, risultavano di spiccato interesse pubblico riguardando la presenza di elementi inquinanti nelle acque degli invasi oggetto delle indagini.

Inoltre, sempre secondo la difesa, non era corretto assimilare tra di loro continuazione e abitualità nel reato, dovendo quest'ultima ravvisarsi soltanto in presenza di comportamenti criminosi seriali.

Con la sentenza in esame, le censure difensive vengono pienamente accolte dai giudici di legittimità.

In particolare, secondo la Corte, l'art. 131 bis cp può applicarsi anche nella ipotesi di più reati uniti dal vincolo della continuazione, atteso che «non vi può essere una identificazione tout court tra continuazione e abitualità nel reato».

L'abitualità si ha soltanto in presenza di comportamenti criminosi che si ripetono in modo seriale, che inducono a pensare che il soggetto di tali comportamenti sia abitualmente portato a violare la legge, mentre nella continuazione simili connotazioni non sussistono.

Neppure costituisce un ostacolo il fatto che, secondo l'art. 131 bis cp, comma 3, il comportamento è abituale se l'autore «abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate».

Secondo la Corte, infatti, all'ipotesi del reato continuato non può sovrapporsi la condizione ostativa della commissione di più reati della stessa indole, avendo tale condizione lo scopo di escludere dall'ambito applicativo della causa di non punibilità in questione, soltanto, quei comportamenti che siano «espressivi di una sorta di tendenza o inclinazione al crimine».

Allo stesso modo, all'ipotesi del reato continuato non può sovrapporsi la condizione ostativa dei reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate, riguardando tale condizione «i reati che strutturalmente richiedono che l'agente ponga in essere condotte reiterate nel tempo o abituali».

Inoltre, secondo la Corte, la mancata applicazione dell'art. 131 bis cp nella ipotesi di reato continuato, oltre a frustrare l'obiettivo di deflazione processuale perseguito dal legislatore, pregiudicherebbe l'imputato «che, per assurdo, pur beneficiando del regime sanzionatorio di favore di cui all'art. 81 cod. pen., gli riserva un contraddittorio trattamento di sfavore impedendogli, senza alcuna possibilità di deroga, di accedere alla causa di non punibilità dell'art. 131 bis cod. pen.».

Pertanto, secondo i giudici di legittimità, la presenza di due o più reati avvinti dal vincolo della continuazione non può portare ad una automatica esclusione della causa di non punibilità prevista dall'art. 131 bis cp.

Conseguentemente, il giudice dovrà sempre «soppesare l'incidenza della continuazione in tutti i suoi aspetti», valutando nel complesso la gravità dei reati, la capacità a delinquere e la biografia penale del giudicando, il numero delle disposizioni di legge violate, gli effetti della condotta antecedente, contemporanea o susseguente al reato, gli interessi lesi e/o perseguiti dal reo e le motivazioni che lo hanno spinto a violare la legge.

La Corte dunque annulla la sentenza impugnata al fine di consentire al giudice del  rinvio la verifica della meritevolezza o meno del beneficio, dovendo tenere conto che, nella specie, le condotte contestate in continuazione, fra l'altro violative di una sola norma di legge, sono soltanto due, riguardano un lasso di tempo circoscritto e non hanno arrecato alcun nocumento all'indagine giudiziaria e ad altri interessi pubblici, e che l'imputato, oltre ad essere incensurato, ha agito non per un proprio interesse privato ma per un interesse pubblico a che si diffondesse l'informazione giornalistica sull'esito delle indagini chimiche espletate sulle acque degli invasi, in considerazione dei riflessi sulla tutela del diritto alla salute

La pronuncia, qui annotata, va condivisa soprattutto per due ragioni.

In primo luogo perché la sentenza amplia, in favore del reo, l'ambito di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

In secondo luogo perché afferma che continuazione e abitualità nel reato rappresentano due concetti differenti, da cui derivano diverse conseguenze in punto di corretta applicazione della causa di non punibilità prevista dall'art. 131 bis cp.

L'essenza della continuazione consiste nella unitarietà del disegno criminoso, dal momento che l'agente «cede ai motivi a delinquere una sola volta, quando cioè concepisce il disegno criminoso»[3].

L'unitarietà del disegno criminoso, segno di una minore pericolosità dell'agente, da cui discende la previsione di un trattamento sanzionatorio più mite rispetto alle restanti ipotesi di concorso materiale di reati, spiega la ragione per cui, in presenza di tutti gli altri presupposti previsti dall'art. 131 bis cp, la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto possa essere applicata anche nella ipotesi di reato continuato.

L'essenza della abitualità, invece, consiste nella serialità criminale, che diventa stile di vita.

In questo caso l'agente cede ai motivi a delinquere non una sola volta, ma più volte in modo abituale, tenendo condotte che, in quanto tali, sono chiaramente preclusive al riconoscimento del beneficio.



[1] Si vedano ex multis: Cass. Pen., Sez. VI, 13414/17; Cass. Pen., Sez. V, 24768/17; Cass. Pen., Sez. II, 1/16; Cass. Pen., Sez. V, 4852/16; Cass. Pen., Sez. III, 23775/16; Cass. Pen., Sez. III, 29897/15; Cass. Pen., Sez. III, 43816/15. Da notare che, nel giorno in cui è stata emessa la sentenza in commento, la stessa Sezione composta dai medesimi giudici, con l'arresto 22961/17 (Pres. De Crescienzo, Rel. De Santis) è pervenuta a una conclusione diametralmente opposta, escludendo la ravvisabilità della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis cp in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione.

[2] Per vero, la Corte d'appello aveva escluso la causa di non punibilità ex art. 131 bis cp anche perché aveva ritenuto insussistente, nella specie, il primo indice-criterio della tenuità dell'offesa.

[3] In G. Marinucci e E. Dolcini, Manuale di diritto penale. Parte generale, Quarta edizione, Giuffrè, Milano, 2012, p. 478.

03/07/2017
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