E’ stato molto stimolante ragionare sul rapporto tra giustizia ed informazione, due mondi che, apparentemente tra loro distanti, in realtà serbano un legame – all’ombra delle apparenze – stretto e significativo: poteri diffusi, fedeli soltanto alla ricostruzione dei fatti, come realmente accaduti.
La neonata Scuola della Magistratura, tra il 15 e 17 maggio 2013, ha ospitato una stimolante occasione formativa, curata dal prof. Gennaro Carillo.
La prima parte, dedicata al profilo storico-letterario del rapporto tra magistratura e quarto potere, si è incentrata, con gli interventi del prof. Gennaro Carillo, di Giancarlo De Cataldo, del critico cinematografico Claudio Carabba intorno a tale prospettiva.
Sono stati offerti spunti cui ogni operatore riflessivo - uso questa espressione per individuare quella parte della magistratura disponibile a soffermarsi sul significato del proprio agire – sarà interessato, traendo linfa vitale per l’ affinamento delle proprie attitudini professionali.
La stretta correlazione tra contenuto delle decisioni e lessico adottato, il richiamo (spesso implicito ed involontariamente attivato) tra simboli e significati della decisione, sono alcuni dei temi trattati nella sessione preliminare: costituiscono snodi talvolta poco appariscenti ma dei quali sono profondamente permeate l’azione giudiziaria e le sue ricadute verso l’esterno.
Il prof. Carillo ha preso le mosse dal lavoro di Bice Mortara Garavelli (Le parole e la giustizia, Einaudi, 2001) che ha introdotto la nozione di riuso specialistico, in ambito giudiziario, di termini del linguaggio ordinario, con la conseguente genesi di concetti che, in ultima analisi, realizzano una realtà altra rispetto a quella sulla quale insiste la decisione.
I topoi della cultura e, in particolare, della letteratura greca hanno accompagnato il percorso attraverso le idee, le metafore, i simboli di cui è pervaso, da sempre, il mondo della giustizia e che si sono pure trasferiti nella letteratura e nel cinema contemporanei.
Carabba e De Cataldo hanno delineato i luoghi della letteratura e del cinema di genere, contribuendo pure a sfatare alcuni miti: per tutti, quello della separatezza tra carriera di giudice e prosecutor nei sistemi di common law.
Testimone d’accusa di Billy Wilder, evidenzia che la stessa persona, da pubblico ministero, possa divenire giudice, smentendo così la vulgata che vorrebbe le due carriere saldamente separate, nel processo adversary.
La prospettiva storico-letteraria è stata molto utile a segnalare, da un lato, le insidie che possono annidarsi in alcune forme che la rappresentazione della giustizia assume ma anche le potenzialità, altamente istruttive, dell’analisi di chi, osservando dall’esterno, è capace di rappresentarci con acutezza ed intelligenza, cogliendo gli aspetti più salienti del nostro lavoro.
Il naturale approdo del percorso è stato la situazione odierna, il ruolo importante, a tratti ingombrante del servizio informativo, di fronte al quale molti magistrati presenti hanno inteso trasmettere un certo disagio a gestire i rapporti con la stampa, evidenziando una istintiva difficoltà a rapportarsi con tali categorie dell’attualità.
Arcangelo Ferri di RaiNews24 e Paola Catani, dell’ANSA hanno insistito sulla opportunità che i magistrati, ove ricorra un interesse pubblico, diano conto (se, ovviamente, non si tratti di notizie coperte da segreto) delle informazioni relative ai casi giudiziari trattati: in sostanza, la tematica richiamata nei loro interventi si è incentrata sulla opportunità che sia garantito un flusso informativo tra magistratura ed opinione pubblica che ha diritto ed interesse a ricevere, attraverso i media, informazioni corrette e conferenti rispetto ai casi di maggiore interesse.
Il tema è delicato, come ben si comprende: evitare la spettacolarizzazione del processo, il fenomeno delle cd docu-fiction è decisivo, ma altrettanto fondamentale, nell’opinione di tutti i giornalisti intervenuti, assume il ruolo diretto del magistrato nel rendere informazioni di pubblico rilievo: va da sé che ciò dovrà avvenire nel rispetto della disciplina dell’Ordinamento giudiziario e del Codice etico dell’ANM.
La cura con la quale il magistrato, nella società postmoderna, è chiamato a gestire i rapporti con la comunicazione delle informazioni relative ai procedimenti rappresenta quindi un tema sensibile ed irto di difficoltà, anche per il deficit di cultura specifica che la magistratura ancora presenta.
Lo ha segnalato Catani, dicendo che talvolta si verifica, da parte del magistrato, l’impiego non corretto degli strumenti comunicativi: conferenza-stampa, comunicato-stampa e intervista possiedono rispettive potenzialità che talvolta non vengono colte nella loro pienezza.
Franca Selvatici, de “La Repubblica”, ha ricordato la carente attenzione per gli aspetti informativi, all’interno dei palazzi di giustizia, di modo che diventa talvolta difficile, per cittadini e giornalisti, avere contezza dei processi trattati e del loro contenuto, aspetto non certo secondario rispetto alle esigenze di una informazione laica, indipendente, completa.
Tale aspetto è tanto più importante, ove si rifletta sulla centralità della fase dibattimentale che, per contro, pubblica opinione e mass media spesso trascurano.
Se i giornalisti hanno rivolto una sorta di appello ai magistrati, affinchè si facciano carico di trasmettere informazioni e notizie alla stampa, molti dei presenti in aula hanno manifestato un diverso avviso, ritenendo che l’unica opzione corretta sia il silenzio in merito ai procedimenti trattati.
Lo snodo è delicato ma è interessante rilevare quanto hanno evidenziato i giornalisti: ove l’opinione pubblica sia desiderosa di informazioni circa una vicenda processuale, il silenzio non costituisce, comunque, una scelta priva di conseguenze.
L’assenza di notizie e informazioni correttamente comunicate per le vie ufficiali e proprie, esatte ed autorevoli, trasmesse con scelte linguistiche opportune e meditate, può infatti determinare l’attivazione di canali informativi carsici, opachi, talvolta clientelari, e quindi dannosi per la pubblica opinione.
Ha convenuto sulla necessità di valorizzare, potenziare, organizzare l’informazione nei confronti della pubblica opinione, il procuratore della Repubblica di Napoli, Giovanni Colangelo, il quale ha segnalato il dato rilevante che, rispetto alle scelte di una procura, assume la dimensione dell’ufficio giudiziario.
La collaborazione con il dirigente dell’ufficio da parte dei singoli magistrati (i quali, soprattutto in un grande ufficio, conoscono in profondità l’attività giudiziaria del proprio settore e possono pertanto validamente cooperare con il dirigente), anche nell’ottica di soddisfare le esigenze di una informazione attiva ed attenta, è obiettivo cui deve tendere un dirigente che abbia a cuore la partecipazione dei componenti l’ufficio alla vita professionale collettivamente intesa.
La dirompenza del rapporto tra informazione ed attività del magistrato si è manifestata in tutta la sua complessità nell’intervento di Donatella Stasio che ha ribadito l’opportunità, nello sviluppo di una opinione evoluta e consapevole, di un flusso informativo capace di rendere servizio alla pubblica opinione, per la cui crescita ed affinamento culturale sono necessarie notizie vere, fondate sulla realtà dei fatti e quindi, ancora una volta, provenienti da chi ne abbia effettiva conoscenza.
In tale prospettiva, il magistrato opportunamente interverrà nel dibattito pubblico, ove, per esempio, siano in atto riforme normative (si pensi, ad esempio, alla disciplina sulla corruzione o sulle intercettazioni), onde segnalare aporie, criticità, lacune che la legislazione, vigente o in elaborazione, può presentare.
Stasio ha auspicato che, per soddisfare una pubblica opinione interessata a comprendere i meccanismi più sofisticati e complicati del mondo giudiziario, il magistrato si faccia carico di spiegare le caratteristiche di una o l’altra modifica ordinamentale (si pensi, per esempio, alla geografia giudiziaria), giungendo anche – ed il caso di Anna Maria Fiorillo è stato oggetto di acceso dibattito in sala – a dare ogni notizia ed informazione necessaria per ristabilire la realtà fattuale sul proprio operato professionale.
Si presenta infatti l’opportunità, anzi, la necessità, che, ove siano consegnate alla pubblica opinione notizie errate circa il contenuto di un certa attività giudiziaria, il magistrato direttamente coinvolto nella questione eserciti un vero e proprio diritto di rettificare l’informazione: sul punto, Selvatici – citando anche l’opinione di Luigi Ferrarella – si è augurata che i provvedimenti giudiziari non più sottoposti a segreto, vengano resi pubblici nella loro integrità, ad evitare dannosi equivoci interpretativi e per soddisfare la conoscenza da parte della collettività.
Dunque, si tratterebbe dell’esercizio di un diritto strettamente correlato alla tutela della relativa reputazione professionale.
Tutti comprendiamo che si tratta di questioni intorno ai quali una magistratura attenta, aperta al mutamento, non arroccata e disposta a mettere in discussione approdi apparentemente certi ed insuperabili, non mancherà di continuare a riflettere e confrontarsi, cercando di giungere ad una equilibrata soluzione per tutti i protagonisti dello Stato democratico.