Magistratura democratica
media

Le catene della sinistra

di Giovanni Zaccaro
giudice Tribunale di Bari
Nell'ultimo libro di Claudio Cerasa un capitolo, sul rapporto tra magistratura e politica, ripropone il 'teorema' del collateralismo tra partiti di sinistra e Magistratura democratica
Le catene della sinistra

Claudio Cerasa, giornalista del Foglio di Giuliano Ferrara, ha scritto: "Le Catene della sinistra". Un pamphlet per evidenziare i limiti culturali della sinistra politica italiana ed i tabù ideologici che, se fossero infranti, darebbero al Paese un ceto politico progressista vincente.

La tesi di fondo non interesse in questa sede anche se è divertente constatare che l’autore invita il segretario del PD Renzi a rompere tali catene, altrimenti continuerebbe ad offrire spazi elettorali a Berlusconi ed a Grillo. Il caso ha voluto che il libro sia ora in distribuzione proprio dopo che il PD di Renzi ha realizzato un clamoroso successo nelle urne proprio in danno di Berlusconi e Grillo.

Quello che interessa qui è il primo capitolo, tutto dedicato al rapporto tra magistratura e politica.

Nella tradizione della pubblicistica nostrana, viene, ancora una volto, riproposto il teorema del collateralismo fra partiti di sinistra e Magistratura democratica. Si tratta di argomenti noti e ripetuti spesso sulle pagine del Foglio, dei giornali editi dalla famiglia Berlusconi ma anche in noti commentatori vicini al partito radicale od a quella che fu la componente migliorista del PCI.

Il tema è interessante.

Del resto è indubbio che Magistratura Democratica, che quest’anno compie cinquanta anni di vita, sia un pezzo importante della storia del pensiero politico e di politica giudiziaria della sinistra italiana.

Peccato che per affrontarlo sarebbe stato necessario un maggiore rigore scientifico.

Od almeno contestualizzare i documenti politici di Magistratura Democratica degli anni ’60 e ’70, ricordando quale era il clima e la prosa politica in quegli anni.

Oppure dare atto di cosa era la giurisprudenza italiana prima che Magistratura Democratica contribuì al superamento, in continuo sforzo di avveramento dei precetti costituzionali, della legislazione fascista, rimasta in vigore anche in età repubblicana.

Alcune volte, le suggestioni sono ardite. Si citano due righe, pubblicate sul Manifesto, in cui Edmondo Bruti Liberati diceva, più o meno, che in Italia la carcerazione preventiva era l’unica forma sicura di pena. La citazione sembra suggerire che Bruti Liberati (e Magistratura Democratica) siano stati sostenitori del ricorso alla carcerazione preventiva quale forma (sicuramente illegittima) di anticipazione della pena non ancora inflitta. Conoscendo Edmondo Bruti Liberati (e le battaglie di Magistratura Democratica) è assai probabile che quella frase venne pronunciata non come un auspicio ma come una condanna di uno status quo, che purtroppo appare anche oggi attuale. Appunto un maggiore approfondimento, ed una più ampia citazione delle fonti, avrebbero evitato tali equivoci.

Chi ha a cuore, come me, Magistratura Democratica dovrebbe essere contento dell’ampio riconoscimento che l’autore fa della sua storia e della sua influenza nella vita democratica del Paese.

Tuttavia, pure premettendo l’autore che proprio Magistratura Democratica abbia incatenato i partiti di sinistra, subito la narrazione passa a fatti, storie, personaggi che non riguardano Magistratura Democratica ma riguardano la magistratura italiana nel suo complesso. Si confondono così battaglie e prese di posizioni di tutta la magistratura italiana con le idee di Magistratura Democratica, senza tenere conto che spesso proprio Magistratura Democratica è stata voce critica all’interno della magistratura, criticandone atteggiamenti corporativistici.

Una delle prove del collateralismo consisterebbe nei tanti magistrati candidati ed eletti nelle liste di sinistra. Ma anche qui il discorso è affrontato senza il necessario approfondimento. Invero, l’autore cita colleghi, passati in Parlamento o negli enti locali, che non sono mai stati vicini a Magistratura Democratica: Ayala, Di Pietro, Grasso, Emiliano, Tenaglia.

Addirittura cita De Magistris che, secondo l’opinione di parte della magistratura italiana, venne addirittura “punito” da Magistratura democratica, dopo le note indagini e le vicende che coinvolsero le Procure di Salerno e Catanzaro.

Ancora più superficiale sembra il racconto di Cerasa sulle indagini sulla “trattativa” e sulla candidatura di Antonio Ingroia. Lungi da me prendere posizione sulla vicenda “trattativa”, che finalmente vive il momento della verifica dibattimentale. Ma appare un furbo stratagemma retorico inserire tale vicenda, e le successive “polemiche” fra pm e Quirinale, fra i casi in cui Magistratura Democratica ha cercato di “condizionare” il ceto politico. Dimentica (o non sa) l’autore che proprio Magistratura Democratica, con documenti ufficiali, ha tempestivamente criticato l’esposizione mediatica di Ingroia, nei mesi delle polemiche sull’indagine. Critica pubblica che è costata la perdurante “critica” di Travaglio, che da allora ha messo anche Magistratura Democratica nel suo “mirino”. 

Dimentica (o non sa) l’autore che da tempo Magistratura Democratica ragiona sui possibili limiti all’elettorato passivo dei magistrati e su come riportare nei binari della fisiologia i rapporti fra “magistratura” e “politica”. A tale proposito, rimanendo agli ultimi tempi, raccomanderei a Cerasa la letture del numero 6/12 di Questione Giustizia (che dimostra di conoscere bene nei suoi numeri più risalenti nel tempo) od anche la visione, su Youtube, dei video del congresso organizzato a Napoli nel 2012 (soprattutto quello dell’intervento di Giuseppe Cascini).

Per lo stesso motivo, Cerasa avrebbe dovuto riflettere su un’ulteriore circostanza. Non solo, nelle liste, generalmente riconducibili a “sinistra”, sono stati (e saranno) candidati colleghi non vicini a Magistratura Democratica. Ma anche altrettanti magistrati, e con forse maggiore rilievo, sono stati (e saranno) candidati nelle liste, generalmente riconducibili a “destra”. Si pensi a Tiziana Parenti, Mario Greco, Alfredo Mantovano (già sottosegretario agli interni), Luigi Bobbio, Melchiorre Cirami (autore della legge che ha ridotto i termini di prescrizione), Alfonso Papa, Nitto Francesco Palma (addirittura ministro della Giustizia in un governo Berlusconi). Del resto, Cosimo Ferri, leader della corrente Magistratura Indipendente, figlio e collega di Enrico, passato dal PSDI a Forza Italia, è attualmente sottosegretario del governo Renzi, dopo esserlo stato del governo Letta, secondo le notizie di stampa in quota a quello che allora era il PDL.

Ed allora, l’autore si sarebbe dovuto chiedere perché il ceto polito cerca la candidatura del magistrato o come mai l’opinione della magistratura associata assume, in materia di riforme che riguardano la giurisdizione, tanto rilievo nel dibattito pubblico. Tanto da fare dire a molti che si sia consumato un golpe dei giudici o che ampi settori del ceto politico italiano sia in condizione di sudditanza nei confronti della magistrata.

Le possibili risposte sono tante.

Sicuramente, ricorrendo alla “foglia di fico” del magistrato (o del tecnico o dell’esponente della società civile), si cerca di ovviare alla disaffezione del cittadino verso i luoghi ordinari della formazione della volontà politica del paese (i partiti). Oppure di sottrarsi alla crescente disistima verso il ceto politico professionale. Del resto il bagaglio di esperienza professionale e competenza tecnica che un magistrato ha, sicuramente, conferisce qualità alle liste elettorali, soprattutto in anni di decadenza dei luoghi istituzionali di formazione della classe politica.

Ma la risposta più seria è contenuta proprio nel libro di Cerasa e l’ha data il Procuratore Borrelli, senza che forse sia stata sufficientemente meditata dall’autore, che l’ha presa per un esempio delle tendenze egemoniche della magistratura italiana.

Borrelli, citando un’opinione diffusa fra gli studiosi di scienze politiche, ha risposto che il XIX secolo fu il secolo dei Parlamenti (facendo riferimento alle grandi assemblee legislative dei nascenti Stati borghesi), il XX secolo  fu il secolo degli Esecutivi (facendo riferimento alle sanguinarie dittature che hanno attraversato la storia mondiale del secolo scorso), il XXI secolo sarà il secolo della Giurisdizione.

Da anni gli studiosi più avvertiti descrivono il declino, anche nei sistemi di civil law, della centralità della legge come fonte privilegiata del diritto, andato di pari passo con l’affermazione della giurisprudenza quale fonte non solo di interpretazione ma anche di creazione del diritto. Il ridimensionamento del potere statuale, a fronte dei grandi processi di globalizzazione economica, ha contribuito a ridisegnare il sistema delle fonti del diritto, relegando ai margini il legislatore nazionale in favore del diritto privato, della lex mercatoria, del soft law e delle decisioni delle Corti sovranazionali. La tecnologia ed i costumi si evolvono più velocemente di quanto il legislatore riesca a disciplinarle (si pensi alle questioni del fine vita o delle nuove famiglie) e dunque sempre più le nuove questioni, nel vuoto legislativo, sono risolte solo con il ricorso ai giudici.

In tale frammentazione giuridica, la giurisprudenza rimane unico baluardo a fronte della tentazione sopraffattrice propria dei soggetti forti dell’arena del mercato. Nell’inerzia del legislatore, spetta ai giudici dare risposte di giustizia a chi rivendica tutela per i nuovi diritti.

Il tema è stato da tempo intuito da Paolo Grossi, poi affrontato da tanti studiosi (Il diritto globale. Giustizia e democrazia oltre lo Stato,  Einaudi, 2009 ed I tribunali di Babele,  Donzelli, 2009 di S. Cassese, Prima lezione di diritto globale, editori Laterza, 2012 di M. R. Ferrarese) ed inevitabilmente si salda con l’elaborazione internazionale in materia di (neo)costituzionalismo.

Dare conto di tutto ciò avrebbe permesso di cogliere il senso profondo della risposte di Borrelli e ragionare effettivamente sul ruolo della magistratura, nella società italiana del XXI secolo.

Non tanto catena, ma fattore di promozione dei diritti, che gli altri poteri dello Stato non riescono a soddisfare.

21/06/2014
Altri articoli di Giovanni Zaccaro
Se ti piace questo articolo e trovi interessante la nostra rivista, iscriviti alla newsletter per ricevere gli aggiornamenti sulle nuove pubblicazioni.
Io non posso tacere. Confessioni di un giudice di sinistra
Recensione al libro di Piero Tony, Einaudi, Torino, 2015 (a cura di Claudio Cerasa)
31/10/2015
Le catene della sinistra
Nell'ultimo libro di Claudio Cerasa un capitolo, sul rapporto tra magistratura e politica, ripropone il 'teorema' del collateralismo tra partiti di sinistra e Magistratura democratica
21/06/2014