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1. Possibile che, proprio di questi tempi, si faccia fatica a comprendere che le persone hanno bisogno di cura, specie i più deboli? Che i bambini debbono essere accolti, fin dalla nascita, e non respinti, esclusi? In nome di cosa, poi? Di “formule”, di “modelli”? Ancora una volta, dispiace doverlo constatare, i diritti dei bambini sono calpestati. Questa volta sull’altare del divieto per le coppie dello stesso sesso di accedere alla pma (art. 5, l. 40/2004), nella logica per cui le persone dello stesso sesso possono essere “coppia”, ma non “famiglia”, secondo una lettura della l. n. 76/2016, che nega alle coppie dello stesso sesso di poter avere figli [1]. Il fatto è che proprio il tentativo di “oscurare” i bambini, di cancellarli con un colpo di spugna, ha sortito quale effetto paradossale quello di renderne manifesta la reale esistenza, e di dare voce alla loro domanda di tutela.
È proprio questo il punto da cui dovrebbe partire ogni nostro ragionamento. I bambini, per il fatto della nascita sono persone (art. 1 cc), titolari di diritti inviolabili (art. 2), in primo luogo il diritto alla relazione con i genitori (art. 30 Cost.), con entrambi i genitori (art. 24 Carta dei diritti Fondamentali dell’Unione europea (CDUE)). Ogni decisione che li riguarda deve essere presa alla luce del loro preminente interesse (Convenzione di New York, art. 3, CDUE, art. 24). E allora tocca a noi trovare gli strumenti per tutelare i diritti che la Costituzione riconosce loro[2]. O vogliamo continuare, ancora una volta, a declamare in astratto i diritti dei bambini e ad ignorarli quando un bambino in carne ed ossa bussa alla nostra porta?
Abbiamo imparato dai grandi Maestri (Stefano Rodotà, Pietro Rescigno, Pietro Perlingieri) che i diritti della persona non sono un numero chiuso, ma un catalogo aperto quanto occorre per assicurare, nello spirito dell’art. 2 della Costituzione, la tutela integrale della persona umana. I diritti, ci ha ricordato tante volte Nicola Lipari, non sono formule astratte, vanno incarnati nell’ effettività dell’esperienza. E sono i giudici i primi ad entrare in contatto con la realtà, ad assicurare nuove forme di tutela della persona umana in una società in sempre più rapida trasformazione, di fronte alle nuove sfide tecnologiche. Diritto alla riservatezza, privacy, diritto all’identità personale, diritto alla salute e danno biologico, sono solo alcuni esempi di diritti nati nelle aule di giustizia e solo molto più tardi consacrati nelle tavole della legge.
Il diritto allo status, afferma non da oggi la Corte costituzionale, costituisce il primo tra i diritti del bambino[3]. A sua volta la Corte EDU ha sempre espresso indirizzi intesi a contrastare forme di discriminazione di categorie di figli in ragione delle circostanze della loro nascita[4]. Quando un bambino nasce il suo primo diritto, come cittadino, è quello ad essere accolto nella comunità a cui appartiene come membro a tutti gli effetti, con uno stato pieno, a tutto tondo, non zoppicante: due genitori, i due bastoni su cui si appoggia la sua fragile esistenza, e non uno soltanto.
Come garantire ai bambini uno stato certo, con pienezza di effetti personali e patrimoniali, nei confronti di entrambi i genitori, che li metta al riparo dai rischi della vita (la morte di uno dei due, la loro separazione) che li protegga nelle relazioni con i terzi (la scuola, la sanità …)? Una volta instaurato il rapporto, va da sé che la sua disciplina è contenuta negli artt. 315 ss. del codice civile. Non c’è ragione per riservare ai figli delle coppie dello stesso sesso un trattamento diverso rispetto a tutti gli altri bambini: sarebbe una discriminazione inammissibile, non consentita dalla Costituzione (art. 3)[5]. Quel che si fa fatica ad accettare è che possa avere due mamme o due papà. Ma è proprio vero che la legge italiana non ammette la formazione dell’atto di nascita con l’indicazione delle due mamme?
È questo che ci dice, senza convincerci, la Corte di Cassazione in due recenti sentenze, la n. 7668 e la n. 8029. La prima conferma il decreto della Corte d’Appello di Venezia del 23 aprile 2018. La seconda cassa il decreto della Corte d’Appello di Firenze che confermava quello del Tribunale di Pistoia 5 luglio 2018[6]. Due sentenze diverse per moduli stilistici ed ampiezza delle argomentazioni, ma eguali nella decisione: non è ammissibile la formazione dell’atto di nascita a favore di due mamme.
2. Il primo caso, che si può ricostruire solo grazie alla lettura degli atti del procedimento, data la stringatezza della motivazione, è quello di due donne unite civilmente in Italia che hanno una figlia nata in Italia da cd. “fecondazione incrociata” (la gestante riceve un embrione formato dalla fecondazione dell’ovocita della compagna con seme di donatore anonimo) effettuata in Danimarca. La richiesta di riconoscimento congiunto viene respinta dall’ufficiale di stato civile cosicché, per evitare che resti priva di stato, la figlia viene riconosciuta esclusivamente alla partoriente. Il reclamo proposto contro il rifiuto di ricevere anche il secondo riconoscimento viene respinto dal Tribunale in quanto non corrisponde alle formule ministeriali[7].
È dello stesso avviso la Corte d’appello di Venezia che conferma integralmente il provvedimento impugnato facendo propria la motivazione del Tribunale e sottolineando che l’art. 12 “prevede formule e modalità tipiche per le dichiarazioni coerenti con l'ordinamento, la cui definizione è rimessa al Ministero dell'Interno che con decreto del 5 aprile 2002 le ha individuate”[8].
“Formule magiche”, viene da pensare, dotate del potere straordinario di sovvertire i criteri ordinanti del sistema delle fonti, un sistema che, nel trascorrere del tempo ha certo acquistato complessità per via del dialogo tra diritto interno e diritto dell’Unione europea, tra diritto statuale e diritto regionale, per l’affacciarsi di una varietà di fonti subprimarie, ma che comunque è ordinato su alcuni principi fondamentali: quello di gerarchia, tale per cui le fonti di grado inferiore non possono prevalere su quelle di grado superiore e quello di successione delle leggi nel tempo in virtù del quale quelle più recenti, in caso di conflitto, prevalgono su quelle meno recenti. Ebbene, l’ultima versione del formulario dello stato civile è contenuta nel Decreto del Ministero dell’interno 5 aprile 2002. Inevitabile, dunque, che le formule non siano in grado di riflettere i nuovi modelli di filiazione nati da pma, che il legislatore ha disciplinato con legge n. 40/2004, legge poi modificata dai ripetuti interventi della Corte costituzionale. Accade così che la donna che fa ricorso alla fecondazione in vitro (Fivet) debba riconoscere il figlio in base alla formula ministeriale della «unione naturale» della partoriente con uomo innominato, ma privo di legami di parentela ostativi, quando evidentemente nelle pma il figlio nasce in virtù del consenso e grazie all’assistenza medica e non per via di una “unione naturale”, di un rapporto sessuale.
Eppure, nell’ordine “naturale” delle cose, il dpr 396/2000 deve essere conforme alla legge e il dm contenente le formule deve a sua volta essere conforme all’uno e all’altro e tutti insieme debbono essere adeguati ai principi costituzionali. In effetti, quando una nuova legge interviene a disciplinare materie che investono atti di stato civile il legislatore talvolta provvede a modificare il dpr ed il ministro ad integrare il formulario, anche se con modalità non sempre del tutto ortodosse[9]. Così è stato, ad esempio, in occasione delle nuove forme di separazione e divorzio per negoziazione assistita e accordo raggiunto direttamente dinnanzi al Sindaco in veste di Ufficiale di stato civile e nel caso delle unioni civili. Altrettanto, invece, non si è fatto dopo la legge n. 40 del 2004.
Accade così che si vada in ordine sparso: chi considera intoccabili le formule[10], chi propone un loro adeguamento minimale, ad esempio eliminando l’aggettivo “naturale”[11], chi invece ammette il riferimento alla nascita da pma. Il fatto che gli artt. 29 e 30 del dpr 396, relativi all’atto di nascita e alla dichiarazione di nascita facciano costante riferimento al parto, alla partoriente, alla puerpera, e che talvolta vangano distintamente indicati il padre e la madre (art. 44, sul riconoscimento del nascituro) suggerisce talvolta di respingere il riconoscimento fatto da due donne, nell’assunto che il modello riflesso nel testo normativo presupponga che l’atto di nascita nomini due genitori di sesso diverso, un padre e una madre, non due mamme o due papà. In mancanza di indicazioni univoche da parte del legislatore, è d’altra parte comprensibile che molti ufficiali di stato civile interpretino rigidamente il loro ruolo di custodi della certezza degli status, riservando eventualmente al giudice in sede di reclamo una più distesa riflessione, una interpretazione adeguatrice sorretta dai necessari passaggi argomentativi.
Bisogna peraltro subito chiarire che solo una lettura formalistica del dpr 396 può indurre a ritenere che la formula ministeriale costituisca una barriera insormontabile. Per sostenerlo non ci si può appigliare al disposto degli artt. 11, c. 3 e 12 c. 1 dpr 396, sul cui combinato disposto il Tribunale di Treviso e la Corte d’appello di Venezia hanno appoggiato la propria decisione. E’ vero che “gli atti dello stato civile sono redatti secondo le formule e le modalità stabilite con decreto del Ministro dell’Interno” (art. 12, c. 1) e che “l’ufficiale di stato civile non può enunciare …dichiarazioni e indicazioni diverse da quelle stabilite o permesse per ciascun atto” (art. 11, c. 3). Questo tuttavia non significa che il sistema dello stato civile costituisca un sistema autonomo, impermeabile all’evoluzione normativa e scollato dalle trasformazioni della realtà che è chiamato a riflettere. Il fatto che il testo del 2000 non riproduca quello originario del regio del Regio decreto 1238/1939 (art. 27) il quale prevedeva espressamente che, quando le dichiarazioni rese innanzi all’ufficiale di stato civile non si adattano alle formule, “si stende l'atto secondo che le circostanze esigono”, non significa un irrigidimento del formalismo nella redazione degli atti di stato civile. E’ lo stesso art. 11, c. 3 a metterlo in chiaro con il riferimento non solo alle “formule stabilite” (dal Decreto del Ministero dell’Interno, di cui all’articolo successivo), ma anche “permesse” (dal complesso delle disposizioni relative alle “dichiarazioni” e “indicazioni” che gli vengono rese)[12].
Se l’ufficiale di stato civile rifiuta di redigere l’atto richiesto in quanto lo ritenga in contrasto con l’ordinamento e con l’ordine pubblico (art. 7, dpr 396), spetta al giudice decidere nel merito. Il giudice, infatti, in sede di rettifica degli atti di stato civile è dotato di pieni poteri di cognizione, di valutazione di tutti i mezzi di prova necessari per raggiungere il suo convincimento (art. 96, dpr 396)[13]. Di questi poteri si sono avvalsi numerosi giudici di merito i quali, accogliendo il ricorso avverso il rifiuto dell’ufficiale di stato civile, gli hanno ingiunto di formare l’atto di nascita a favore di due mamme. Il fatto che né il formulario, né il dpr 396 contemplino una tale eventualità non costituisce ostacolo insormontabile. Bisogna infatti considerare che l’atto di stato civile non è costitutivo dello stato di figlio[14], ma rappresenta lo strumento privilegiato mediante il quale garantire pubblica certezza allo stato accertato secondo le norme di legge. L’atto di nascita dà la prova della filiazione, ma non la fa sorgere (art. 236 cc). Lungi dall’arrestarsi di fronte alla formula, il giudice ha il compito di individuare le regole in base alle quali lo stato di figlio deve essere accertato.
Vi sono giudici di merito i quali, sulla base di una interpretazione evolutiva, costituzionalmente orientata, degli artt. 6, 8, 9, della l. n. 40/2004 – accolgono domande di formazione dell’atto di nascita di un bambino con l’indicazione della doppia maternità[15]. Altri lo escludono nell’assunto che il nostro ordinamento non lo consenta e che sia compito del legislatore, non del giudice, modificarlo, non senza prospettare plurime questioni di legittimità costituzionale, sia per quanto riguarda il divieto di accesso delle coppie dello stesso sesso alle pma[16], sia per quanto riguarda la supposta impossibilità di formare in Italia un atto di nascita con l’indicazione della doppia maternità[17].
In definitiva, il problema non è la formula: è lo stato del figlio. Non ci si può fare scudo della formula per eludere la questione di fondo: nell’attuale sistema della filiazione è ammissibile l’accertamento della maternità nei confronti, oltre che della partoriente, anche della madre intenzionale?
A questa domanda la Corte di Cassazione dà risposta negativa. Si deve brevemente ricordare che qualche anno prima la stessa sezione aveva ammesso il riconoscimento dell’atto di nascita straniero anche a favore della seconda madre[18], non senza rimarcare che tale decisione si riferiva al riconoscimento di atto di nascita straniero, non alla formazione di atto di nascita secondo il diritto interno.
Ora che il nodo del diritto interno viene al pettine, la S.C. nega tale possibilità. Due sono gli argomenti: il primo, comune ad entrambe le sentenze, si appunta sul divieto per le coppie dello stesso sesso di accedere alla pma, il secondo, sviluppato solo dalla n. 8029, fa leva sul paradigma eterosessuale della filiazione emergente dalle disposizioni del codice civile e dell’ordinamento di stato civile.
3. La sentenza n. 7668 respinge il ricorso in base ad un unico argomento[19]: la legge vieta alle coppie dello stesso sesso di accedere alle tecniche di pma (artt. 5, 12, c.2). Tale divieto “è attualmente vigente all'interno dell'ordinamento italiano e, dunque, applicabile agli atti di nascita formati o da formare in Italia, a prescindere dal luogo dove sia avvenuta la pratica fecondativa.”
Anche la seconda sentenza fa leva su questo argomento. Il caso è analogo al primo con la differenza, in punto di fatto, che la seconda mamma non ha alcun legame biologico con il nato e, con riguardo alla vicenda processuale, che il Tribunale di Pistoia, con sentenza confermata in appello, aveva accolto il ricorso contro il rifiuto dell’ufficiale di stato civile e ordinato la formazione dell’atto di nascita. Contro la decisione d’appello ricorrono il Ministero dell’interno e la prefettura di Pistoia, ricorso accolto dalla Cassazione con sentenza n. 8029[20].
Quanto al divieto di accesso da parte delle coppie dello stesso sesso alla pma, le due sentenze fanno riferimento alla sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, l. 40[21]. Nel nostro caso, tuttavia, l’argomento sembra non centrare il bersaglio. La questione all’esame della Corte di cassazione non riguardava infatti la legittimità o meno della richiesta di accesso alle tecniche da parte di una coppia di donne, come appunto nel caso deciso dalla Consulta, riguardava invece lo stato del figlio, di una persona già nata, titolare di diritti inviolabili tra cui quello ad uno stato giuridico pienamente tutelato.
Potremmo discutere entrambi gli argomenti sviluppati dalla Consulta e richiamati dalla Cassazione: il fatto che la legge configuri le pma come rimedio alla sterilità o infertilità e, soprattutto, il fatto che le “limitazioni di ordine soggettivo all'accesso alla pma”, rispondono al “trasparente intento di garantire che il suddetto nucleo riproduca il modello della famiglia caratterizzata dalla presenza di una madre e di un padre”, intento corrispondente al preminente interesse del bambino che deve ancora nascere, riguardo al quale “non è … irragionevole [...] che il legislatore si preoccupi di garantirgli quelle che, secondo la sua valutazione e alla luce degli apprezzamenti correnti nella comunità sociale, appaiono, in astratto, come le migliori condizioni ‘di partenza’”.
Per quanto mi riguarda, fin da quando, in anni lontani, ho cominciato ad occuparmi di questi temi[22], ho sempre ritenuta illegittima la pretesa di fissare rigidi criteri di accesso alla pma, che mi appaiono, ora, come allora, in contrasto con il diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8 Cedu, 7 Carta di Nizza), lesivi dei diritti fondamentali della persona (art. 2 Cost.), dell’autonomia nelle scelte personali (art. 13 Cost.), senza che questo sacrificio sia adeguatamente bilanciato dall’esigenza di salvaguardare beni che, nell’ordine costituzionale, abbiano un peso prevalente o almeno eguale rispetto ad essi. Non un supposto e preminente interesse del bambino che deve nascere. A ben vedere, infatti, il bambino progettato non è un bambino, è “un progetto” la cui realizzazione è del tutto incerta nel momento in cui viene compiuta la scelta di ricorrere alla pma. Impedirne la realizzazione non offre al bambino sperato prospettive di vita migliore, in una famiglia “astrattamente” corrispondente a un modello “socialmente accettato”. Gli preclude invece qualsiasi possibilità di nascita, quasi che fosse possibile comparare la “non vita” con la possibilità di vita che gli viene offerta. Mi pare evidente “l’intima contraddittorietà insita nell’affermazione di un diritto a non nascere”[23]. Il preminente interesse del bambino è invece quello del nato i cui diritti vanno pienamente tutelati prima di tutto garantendogli lo stato familiare. In questo sta la vera differenza con l’adozione: l’adozione riguarda un bambino nato riguardo al quale è possibile prendere decisioni tenuto conto del suo interesse effettivo. La pma offre una possibilità di nascita: l’alternativa non è una vita migliore, è non nascere affatto. Dietro l’apparente tutela dei diritti del bambino si cela in realtà la difesa di un modello di famiglia, quello “tradizionale”, “socialmente accettato”, corrispondente al paradigma eterosessuale.
Per questo avevo accolto con favore la sentenza della Corte costituzionale n. 162/2014 che ha dichiarato l’illegittimità del divieto di fecondazione eterologa non solo perché lesivo della salute riproduttiva (art. 32 Cost.) e dell’eguaglianza (art. 3 Cost.), ma anche perché irragionevolmente limitativo dell’autonomia nelle scelte personali (art. 13 Cost.). La pma, fa notare la Corte, è orientata alla vita e dunque l’unico interesse da garantire è quello del nato ad una condizione giuridica pienamente tutelata[24]. Da questo punto di vista, delude la più recente sentenza n. 221/2019, dal cui orizzonte viene eclissato il rispetto dell’autonomia nelle scelte personali, a vantaggio di una “discrezionalità del legislatore” di ampiezza indeterminata e non ponderata sui parametri costituzionali.
Non voglio tuttavia indugiare oltre su questo punto perché la questione all’esame della Corte di Cassazione non era quella se è oppure no legittimo il rifiuto opposto da un centro di pma alla richiesta di una coppia di donne di accedere alle tecniche. Le ricorrenti, infatti, avevano già fatto ricorso alla pma in Danimarca, esercitando un diritto (quello al libero accesso ai servizi negli Stati dell’Unione) riconosciuto a tutti i cittadini europei. La questione era invece se la bambina, nata in seguito al felice esito di quella fecondazione, cittadina italiana per nascita, ha diritto a risultare figlia delle due donne che la hanno voluta esprimendo il consenso all’applicazione delle tecniche. Riguardo a questa bambina è privo di significato parlare di un suo diritto ad una famiglia composta da un padre ed una madre. Il donatore, infatti, non è padre, deve restare anonimo, nei suoi confronti non può essere fatto valere nessun diritto (art. 9, 3). Nella vita di questa bambina ci sono due mamme.
In altri termini, la questione relativa allo stato del figlio è distinta ed autonoma rispetto a quella della liceità della tecnica prescelta per farlo nascere. Lo ha d’altra parte chiarito la stessa Corte di Cassazione in un altro caso in cui era questione di stato del figlio nato da tecnica diversa, ma pur sempre vietata dalla legge: la fecondazione post mortem[25].
Negare il diritto della bambina allo stato, per la ragione che la legge italiana vieta il ricorso alla fecondazione eterologa alle coppie di donne ha allora l’amaro sapore di una sorta di rivincita moralistica che colpisce i bambini, negando loro la possibilità di avere due genitori (con tutte le garanzie giuridiche e sociali che ne conseguono in termini personali ed economici), per dare una lezione alle madri. Quel che si difende non è il bambino: è il modello.
La logica sanzionatoria che fa ricadere sui figli le conseguenze della condotta dei genitori è stata definitivamente espunta dall’ordinamento con la nuova disciplina del riconoscimento dei figli nati da relazioni parentali (art. 251 cc)[26]. Assodato, con le limpide parole della Corte costituzionale[27], che “incestuosi non sono i figli, ma i genitori”, ecco che quella grave violazione dell’ordine morale e giuridico non preclude definitivamente la possibilità di riconoscimento che diviene possibile, da parte di entrambi, indipendentemente dalla buona o mala fede, se conforme all’interesse concreto del bambino.
Per ragioni altrove sviluppate con maggiore ampiezza, non ritengo decisivo il fatto che la nascita sia avvenuta grazie a tecniche vietate dall’ordinamento interno[28]. Il fatto che nascita sia dovuta ad una condotta degli adulti riprovata dall’ordinamento (l’adulterio, lo stupro, l’incesto), non impedisce (o non impedisce più[29]) di costituire legalmente lo stato di figlio. Neppure impedisce l’esercizio della responsabilità genitoriale a meno che non sia dimostrato in concreto il pregiudizio per il bambino[30]. L’art. 9, l. 40 che, nonostante il divieto di fecondazione eterologa (in allora previsto dalla legge), rendeva incontestabile lo stato del figlio, è coerente con questa impostazione.
Oggi lo Stato riconosce a tutti i figli non solo il medesimo stato (art. 315 cc), ma anche il medesimo diritto all’accertamento dello stato.
Il fatto che i genitori abbiano fatto ricorso all’estero ad una tecnica di pma che in Italia non è loro consentita[31] non dovrebbe avere preminente considerazione rispetto al diritto del figlio alla certezza e riconoscibilità sociale delle relazioni con quelli che effettivamente sono i suoi genitori perché ne hanno voluto la nascita nell’ambito di un comune progetto di vita e ne sostengono la crescita in una relazione di amore e di responsabilità.
4. Sgombrato il campo da quello che a me pare un falso problema, una questione non rilevante per la decisione, la domanda alla quale occorre dare una risposta è se, alla luce dell’attuale sistema della filiazione, delle regole e dei principi che lo governano, sia oppure no ammissibile il riconoscimento del figlio da parte non di una madre e di un padre, ma da parte di due madri.
La S.C. risponde negativamente. Nella sentenza n. 8029 la Corte fa leva, oltre che sul divieto di accesso alle pma da parte delle coppie same-sex, anche sul paradigma eterosessuale della filiazione emergente dalle disposizioni del codice civile e dell’ordinamento di stato civile. “L’intera disciplina del rapporto di filiazione, così come delineata dal codice civile – osserva la Corte – rimane tutt’ora saldamente ancorata alla necessità di un rapporto biologico tra il nato e i genitori”, volta a volta identificati nella “madre” e nel “padre”. Ed è questo modello – osserva la Corte – che viene messo in discussione con “la scelta di ricorrere a tecniche che, alterando le dinamiche naturalistiche del processo di generazione degli individui, aprono scenari affatto innovativi rispetto ai paradigmi della genitorialità e della famiglia storicamente radicati nella cultura sociale, attorno ai quali è evidentemente costruita la disciplina degli artt. 29, 30, e 31 Cost.”.
Si può convenire sul fatto che la disciplina dell’accertamento di stato contenuta nel Titolo VII del codice civile fa ripetutamente riferimento al padre e alla madre. Il marito è il padre del figlio nato nel matrimonio (art. 231); il figlio nato fuori del matrimonio può essere riconosciuto dalla madre e dal padre (art. 250); in mancanza di riconoscimento, la paternità e la maternità possono essere accertate in via giudiziale (art. 269 cc). Nell’ordinamento di stato civile sulla scena domina la figura della madre, variamente considerata in quanto gestante (art. 44), puerpera (art. 30), essendo l’attestazione dell’avvenuta nascita (e quindi del parto) necessaria ai fini della dichiarazione di nascita e della formazione dell’atto di nascita. Il fatto è che il codice civile (e l’ordinamento di stato civile), come si è in precedenza notato, disciplina lo stato del figlio generato da una donna e da un uomo nel corso di un rapporto sessuale, la generazione “naturale”, come si suol dire. Non allarga il suo orizzonte oltre questo confine.
La coppia feconda: è questo il modello al quale guarda il codice civile. Ed è anche il modello tenuto presente dai costituenti, quel modello presente nella società del tempo. Né era pensabile, all’epoca, immaginare altre forme di procreazione. Ciò non significa peraltro che quel modello sia stato “costituzionalizzato”, né impedisce la tutela dei diritti delle persone nei diversi contesti che le trasformazioni economiche, sociali, l’evoluzione delle tecniche e dei valori di riferimento via via prospettano. La Costituzione “non cristallizza” quel modello di famiglia[32]. Il passaggio da un unico modello di famiglia alla pluralità dei modelli familiari si è ormai compiuto anche nelle tavole della legge[33]. I diritti del bambino, in quanto “persona”, devono essere tutelati anche quando si trovi a vivere in una famiglia “altra” rispetto a quel modello tutt’ora presente, ma non più unico, nel nostro sistema.
La questione dello stato del figlio nato da pma non può essere risolta applicando le norme del codice civile. Come in anni lontani ebbe a rilevare la Corte costituzionale[34], le norme del codice civile che disciplinano lo stato di figlio e la sua impugnazione presuppongono che la generazione sia il frutto di un rapporto sessuale tra un uomo e una donna, di modo che esse non trovano applicazione quando il concepimento avvenga grazie a tecniche di procreazione medicalmente assistita.[35].
Il legislatore, quando nel 2004 ha disciplinato la procreazione medicalmente assistita, ha tenuto conto di questo insegnamento. Il consenso all’applicazione delle tecniche (art. 6, l. n. 40/2004) non costituisce solo consenso informato al trattamento medico (nella prospettiva ora compiutamente delineata dalla l. n. 219/2017), per il quale sono prescritti i requisiti indicati dagli artt. 5 e 6[36], costituisce nello stesso tempo assunzione di responsabilità nei confronti del nato, ed in tal caso è sufficiente che sia “ricavabile da atti concludenti” (art. 9, c. 1)[37]. Nella pma si è genitori “per scelta”. E’ il consenso che rende tali: “i nati in seguito all’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli … della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell’art. 6” (art. 8). Nel caso di ricorso a tecniche eterologhe, nel 2004 vietate ed ora ammesse[38], il marito o compagno della madre che ha prestato il suo consenso non può impugnare la propria paternità (art. 9, c. 1), mentre il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica col nato (art. 9, c. 3). La disciplina degli artt. 8 e 9 si applica non solo ai nati dalle tecniche originariamente ammesse dal legislatore, ma ad ogni ipotesi di pma anche non prevista[39], o vietata[40] in quanto riguardano in termini generali lo stato del figlio nato in seguito all’applicazione delle tecniche[41]. Tutti “i nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di pma hanno lo stato di figli … della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime ai senso dell’art. 6”[42].
Il consenso è il fondamento dello stato del figlio, uno stato che origina non dalla generazione, ma dalla scelta, dalla volontà/responsabilità di essere genitori (art. 8). L’impugnativa di paternità da parte del padre consenziente non è ammissibile in quanto lo stato di figlio si è legittimamente formato grazie a quel consenso che è stato causa del concepimento e della nascita e con il quale il genitore ha assunto la responsabilità, non revocabile, verso il figlio[43]. La lettura congiunta degli artt. 8 e 9 (che nella versione 2004 faceva riferimento alla fecondazione eterologa effettuata in violazione del divieto di legge) rende evidente che la regola del consenso si applica non solo in caso di tecniche consentite, ma anche in quello di tecniche vietate. Quel che rileva, aggiunge l’art. 9, è che un consenso vi sia, anche se “ricavabile da atti concludenti”. In seguito alla sentenza della Corte costituzionale n. 162/2014 tali regole si applicano non solo in caso di donazione di gameti maschili, ma in ogni caso di eterologa, compreso quello di donazione di ovociti e di doppia donazione, quando non sussiste legame genetico né con la madre, né con il padre.
Due sono le regole poste dagli articoli 8 e 9: da un lato lo status del nato da pma si fonda sull’intenzione di essere genitori, non sulla derivazione genetica. Dall’altro lo stato – proprio in quanto si fonda sul consenso e non sulla derivazione genetica - non può essere contestato se non dimostrando che il consenso mancava[44]. Identica è la ratio che le giustifica: il principio di responsabilità per la procreazione, la tutela dei diritti del figlio e del preminente interesse del minore.
Se, dunque, con uno sguardo di sintesi, vogliamo rappresentare l’attuale sistema della filiazione, possiamo affermare che l’unico stato di figlio può essere costituito sulla base di regole differenti a seconda che si tratti di figli generati, adottati, o voluti con pma. Ai primi sono rivolte le norme del codice civile.
Anche a seguito delle riforme del 2012 e 2013 che hanno riscritto il diritto della filiazione, il codice civile è rimasto fedele alla sua originaria impostazione: le sue norme si occupano dei figli generati. La generazione, tuttavia, non costituisce più l’unico fondamento della filiazione, accanto ad essa si collocano con pari dignità l’accoglienza (adozione), e l’intenzione, la scelta di essere genitori (pma). Se lo stato di figlio è unico a prescindere dalla sua origine, diversi sono i modi in cui in cui viene costituito, in seguito a generazione (artt. 231 ss. cc), ad adozione (l. n. 184/1983) a pma. Per quanto riguarda i nati da pma, gli artt. 8 e 9 stabiliscono che genitori sono coloro che hanno espresso l’intenzione di ricorrere alle tecniche e tali regole si applicano anche nel caso di ricorso alla pma in violazione di divieti di legge: ad esempio nel caso di fecondazione di una donna sola che dichiari una convivenza che non sussiste, o nel caso in cui siano stati superati i limiti di età, o sia stata fatta una fecondazione post mortem[45]. Ed anche nel caso di nascita da una coppia di donne.
È ammissibile l’accertamento di stato – e la formazione del relativo atto di nascita - nei confronti di due mamme? Il fatto che non ci siano un padre e una madre, ma due madri, non dovrebbe costituire un ostacolo insormontabile, ove si faccia corretta applicazione dei principi fondamentali di tutela dei diritti fondamentali (allo status, all’identità, al rispetto della vita privata e familiare), di eguaglianza (senza discriminazioni per i figli nati da coppie same-sex), di preminente interesse del minore (ad avere fin dalla nascita come genitori le persone che lo hanno voluto e ne hanno cura).
Nel recente un avis consultativ la Corte europea dei diritti dell’uomo[46], portando ad ulteriori conseguenze i principi sviluppati nei suoi precedenti, ha collocato il diritto del bambino allo stato e all’identità, il suo preminente interesse, al primo posto nella scala dei valori costituzionali, riguardo al quale vanno riconosciuti margini di discrezionalità assai circoscritti agli Stati nel bilanciamento con altri diritti e interessi.
Questi principi debbono valere non solo per il riconoscimento di atti nascita stranieri, ma anche per l’interpretazione del diritto interno e l’individuazione della regola applicabile allo stato del figlio di una coppia di donne, perché il valore apicale che l’interesse del bambino riveste nell’ordinamento interno e sovranazionale deve costituire il punto di partenza di ogni ragionamento che riguarda il suo stato, e non essere non limitato all’ordine pubblico internazionale.
Si potrebbe osservare che la seconda mamma ha la possibilità di stabilire un rapporto giuridico con la bambina, grazie all’adozione in casi particolari, ormai ammessa da orientamenti giurisprudenziali diffusi [47]. Si tratta comunque di una soluzione di ripiego che non garantisce quella tutela “pronta ed effettiva” che la Corte EDU ha indicato come condizione necessaria perché la discrezionalità degli Stati sia correttamente esercitata[48]. Non garantisce al figlio lo status fin dalla nascita, ma solo successivamente, in seguito ad un procedimento camerale che ha i suoi tempi, le sue procedure, le sue incertezze negli esiti. Senza contare che l’adozione in casi particolari ha effetti limitati ai rapporti con l’adottante, non con i suoi parenti[49].
Il riconoscimento della doppia maternità non trova ostacoli testuali nell’ordinamento di stato civile. Nella disciplina dell’atto di nascita (artt. 29, 30 ord. stato civ.) viene fatto riferimento ai “genitori”, senza ulteriori specificazioni, espressione che, in una lettura evolutiva della disposizione, può essere riferita a tutti coloro nei cui confronti viene accertata la filiazione secondo le norme che regolano la costituzione dello stato, alle quali l’ordinamento di stato civile, in quanto norma di grado inferiore, deve essere aderente, anche in assenza di un espresso adeguamento da parte del legislatore. Il fatto che il codice civile consideri genitori il padre e la madre non significa che solo il padre e la madre possano essere considerati tali, quantomeno in situazioni che il codice non aveva preso in considerazione[50].
Se le norme del codice sull’accertamento di stato non trovano applicazione quando il concepimento si verifica grazie a tecniche di procreazione medicalmente assistita[51], allora anche il paradigma eterosessuale che le ispira non si estende automaticamente ai figli nati da pma[52]. Solo un autentico pregiudizio, che la Corte di Cassazione ha stigmatizzato[53], può far pensare che una coppia di donne non sia in grado di offrire ad un bambino l’ambiente idoneo alla sua crescita.
Per quanto riguarda l’adozione, nulla impedisce che il genitore adottivo sia dello stesso sesso di quello d’origine. E’ vero che la l. n. 184/1983 (art. 6) riserva l’adozione di un minore abbandonato a favore di una coppia di coniugi, ma è anche vero che l’adozione di minore in casi particolari (art. 44) può essere effettuata anche a favore di una persona singola, indipendentemente dal fatto che sia dello stesso sesso o di sesso diverso dal genitore. Quel che conta è che l’adozione corrisponda al preminente interesse del minore accertato dal giudice ex art. 57, l. n. 184/1983[54].
Le regole degli articoli 8 e 9 della legge n. 40 possono dunque trovare applicazione anche nel caso in cui due mamme abbiano avuto in Italia un figlio da pma effettuata all’estero. Si può discutere se sia il “consenso, a costituire lo stato di figlio, come suggerisce l’art. 8, l. 40[55], o se occorra un (successivo) atto di “riconoscimento”, come lascerebbe intendere l’art. 9 [56]. In ogni caso si dovrebbe tener conto che “consenso” manifestato in occasione dell’accesso alle tecniche e successivo “riconoscimento” sono strettamente collegati, trovando il secondo il proprio necessario presupposto nel primo dal quale già derivano alcuni effetti[57]. Cosicché il “riconoscimento” sostanzierebbe l’atto pubblico necessario per rappresentare all’ufficiale di stato civile una circostanza (il consenso) (non solo anteriore alla nascita, ma) avvenuta in un momento in cui lo stesso concepimento era incerto; di fronte ad un soggetto (il medico) solitamente non preposto al compimento di atti pubblici in materia di status; ed in forme (anche “per fatti concludenti”, ex art. 9) non appropriate. Anche a voler parlare di vero e proprio riconoscimento, si tratterebbe comunque di un “riconoscimento” sui generis, che attesta non la “verità” della generazione – come nel caso di riconoscimento ex artt. 250 ss. cc - ma la sussistenza del consenso e che per questa ragione non può essere impugnato per difetto di veridicità ex art. 263 cc, ma solo per mancanza del consenso.
Una lettura costituzionalmente orientata del sistema della filiazione, tesa a tutelare i diritti del bambino, consente dunque di giungere ad una soluzione che, grazie alla formazione dell’atto di stato civile a favore di entrambe le donne che hanno reso possibile la sua nascita – l’una con la gravidanza ed il parto e l’altra con l’assunzione di responsabilità nei suoi confronti - tuteli al meglio il suo preminente interesse.
[1] L’approvazione della legge sulle unioni civili – come è noto – è il frutto di un compromesso politico che ha richiesto la cancellazione di ogni riferimento ai figli e l’eliminazione della cd. stepchild adoption. Tuttavia, la cd. clausola di salvaguardia inserita in chiusura del comma 20 fa salvo quanto previsto e consentito dalla giurisprudenza nel campo delle adozioni. Inoltre, qualche non irrilevante riferimento ai figli è rimasto grazie ai rinvii contenuti nel comma 25 alla procedura divorzile (applicabile agli uniti civilmente) ed in special modo all’art. 4, c. 4, l. n. 898/1970, dove si richiede l’indicazione dei “figli di entrambi”. Per una analisi del dato normativo rinvio al mio commento al comma 20 dell’art. 1, l. n. 76, in S. Patti (a cura di), Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze, in Commentario Scialoja-Branca-Galgano, Bologna, 2020.
[2] È quanto ho cercato di argomentare nel al mio I bambini, le loro mamme e gli strumenti del diritto, Genjus, Rivista online, 2019/n.1.
[3] Corte cost. 28 novembre 2002, n. 494, in Familia, 2003, 848 ss., con note di G. Ferrando e S. Landini.
[4] A partire da Corte EDU, 13 giugno 1979, ric. 683/74, Marckx c. Belgio, in Foro it., 1979, IV, c. 382; Corte EDU, 1° febbraio 2000, ric. 34406/97, Mazurek c. Francia, in Dalloz, 2000, 332, con nota di Thierry. E v. ora Corte EDU, G.C. avis consultatif 10 aprile 2019, R. P 16-2018-001, in Nuova giur. civ. comm., 2019, I, 764, con commento di Grasso; in aticolo29.it, con nota di Schuster.
[5]Lo ha messo in chiaro la Corte di Cassazione quando ha affermato che l’omosessualità della madre, la sua convivenza con un’altra donna, non la rende inidonea a prendersi cura dei figli nati dal precedente matrimonio. In senso contrario non ci sono «certezze scientifiche o dati di esperienza, bensì il mero pregiudizio che sia dannoso per l'equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale» ed in forza del quale «si dà per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto familiare per il bambino». Cass. 11 gennaio 2013, n. 601, in Giur, it., 2013, 1036, con nota di M. Winkler, e di B. Paparo; in Nuova giur. civ. comm., 2013, I, 432, con nota di C. Murgo. A sua volta la Corte Europea dei diritti umani aveva chiarito che quella fondata sull’orientamento sessuale è «una distinzione che la Convenzione non tollera», sulla cui base non è ammissibile negare al padre, che convive con una persona dello stesso sesso, il diritto di visita e l’affidamento della figlia avuta da una precedente relazione coniugale eterosessuale: Corte EDU, Salgueiro da Silva Mouta c. Portogallo, 21 marzo 2000, ricorso n. 33290/96.
[6] Cit. alla nota n. 15.
[7] “Ai sensi dell’art. 11, comma terzo, del citato D P R. 396/2000. “L’ufficiale dello stato civile non può enunciare, negli atti di cui è richiesto, dichiarazioni e indicazioni diverse da quelle che sono stabilite o permesse per ciascun atto ”, e che, secondo quanto previsto al seguente art. 12, "Gli atti dello stato civile sono redatti secondo le formule e le modalità stabilite con decreto del Ministro dell'interno” e che “i modelli di cui al predetto decreto ministeriale non prevedono l’apposizione della formula richiesta dall’odierna ricorrente” Trib. Treviso, decr. 5, marzo 2018, che respinge il ricorso contro il rifiuto dell’Ufficiale di Stato civile.
[8] App. Venezia 23 aprile 2018: “Esse non prevedono la formula richiesta dall'odierna ricorrente ed in nessun caso l'ufficiale dello stato civile potrebbe procedere alla rettifica atteso che l'ordinamento dello stato civile va considerato settoriale, speciale e completo e non prevede alcuna disposizione attributiva all'ufficiale di stato civile del potere di disporne manipolazioni, infatti … tranne che per i casi di errore materiale di scrittura, per la rettificazione degli atti di trascrizione occorre sempre una pronuncia dell'Autorità giudiziaria ordinaria (Consiglio di Stato, 01.12.2016, n. 5048)”.
[9]“Si pensi, ad esempio, che i decreti ministeriali con cui sono state modificate le formule in tema di “divorzio consensuale” o in tema di “unioni civili”, non sono stati neppure pubblicati in Gazzetta Ufficiale. Le formule in materia di filiazione riportano ancora i termini “figli naturali” e “figli legittimi” e la loro modifica va fatta solo in riferimento ad una norma di carattere generale. Usando uno slogan, potremmo dire: “ordine nell’ordinamento dello stato civile!”. Con queste parole si conclude la premessa al volume, Pasquini, Moduli e formule dello stato civile, novembre 2017, reperibile on line http://www.gaspari.it/documenti/212600_demo.pdf
[10] Ad esempio, l’ufficiale stato civile nel caso giunto al Tribunale di Treviso.
[11] Caliaro e Calvigioni, Gli atti di stato civile. Nascita, cittadinanza, matrimonio, morte, Rimini, 2020.
[12] Al riguardo, v. L. Ferri, Degli atti dello stato civile, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1973, 45
[13] “Il giudice investito della …illegittimità del rifiuto di rettifica di un atto di nascita … dispone di una cognizione piena sull’accertamento della corrispondenza di quanto richiesto dal genitore in relazione alla completezza dell’atto di nascita del figlio con la realtà generativa e di discendenza genetica e biologica di quest’ultimo potendo così, a questo limitato fine, avvalersi di tutte le risorse istruttorie fornitegli alla parte”: Cass. 15 maggio 2019, n.13000.
[14] Lo stato di figlio deriva dalla nascita, secondo il fondamentale principio di responsabilità per la procreazione (art. 30, c. 1 Cost.), cosicché anche i relativi doveri in capo al genitore (compreso quello di mantenimento del figlio) decorrono da tale data (a partire da Cass. 26 novembre 1987, n. 7285, in Dir. fam. pers., 1988, 796. E v., tra le tante, Cass. 4 maggio 2000, n. 5586, in Fam. dir., 2000, 549, con nota di R. Pacia Depinguente; Cass. 3 novembre 2006, n. 23596, in Fam. dir., 2007, 1007, con nota di A. Ortore; Cass. 4 novembre 2010, n. 22506). Riconoscimento e dichiarazione giudiziale ne costituiscono mezzi di accertamento e gli atti di stato civile vi danno pubblica certezza con una forma di pubblicità dotata di forza “preclusiva” tale per cui lo stato che risulta dagli atti può essere contestato, ma solo esercitando in giudizio le relative azioni Per una riflessione di più ampio respiro, rinvio al mio, La filiazione naturale e la legittimazione, in Trattato di diritto privato diretto da P. Rescigno, IV, 2a ed., Utet, Torino, 1996, pp. 101 ss.).
[15] Il reclamo proposto contro tale rifiuto è stato in qualche occasione accolto dai tribunali Trib. Bologna, decr., 6 luglio 2018; Trib. Pistoia, decr. 5 luglio 2018; Trib. Genova 16 novembre 2018, tutte in articolo 29.it. In motivazione v. anche App. Napoli, sez. min., 15 giugno 2018 (Articolo 29.it.) con nota di M. Gattuso. In dottrina, in senso favorevole, v. Gattuso, Un bambino e le sue mamme: dall’invisibilità al riconoscimento ex art. 8 legge 40 (Questione Giustizia on line, 2018). In senso contrario, Salanitro, Norme in materia di procreazione medicalmente assistita, in Di Rosa (a cura di), Della famiglia, in Commentario al codice civile., diretto da E. Gabrielli, Leggi complementari, 2° ed., Milano, 2018, 1739.
[16] La questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, l. 40 che non ammette l’accesso alle pma da parte di coppie composte da due donne, sollevata dal Tribunale di Pordenone (ord. 4 luglio 2018), è stata respinta da Corte cost. 23 ottobre 2019, n. 221. La questione appare tuttavia rilevante in un eventuale giudizio instaurato contro il rifiuto opposto da un centro di pma alla richiesta di accesso da parte di una coppia di donne (è questo il caso portato all’esame del Tribunale di Pordenone), non in quello relativo allo stato giuridico del nato.
[17] Il Tribunale di Venezia (ord. 1 aprile 2019) ha sollevato la questione di legittimità dell’art. 1, c. 20 delle l. n. 76/2016 (“nella parte in cui limita la tutela delle coppie di donne omosessuali unite civilmente ai “soli diritti e … doveri nascenti dall’unione civile”) e dell’art. 29, 2° comma dpr 396/2000 (laddove non consente di indicare la doppia maternità). Il caso pisano (Trib. Pisa 15 marzo 2018, in Nuova giur. civ comm., 2018, I, 1569, con nota di A. G. Grasso (ove ampi riferimenti dottrinali); in Articolo29.it, con nota di A. Schillaci - che aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale, dichiarata inammissibile dalla Consulta (15 novembre 2019, n. 237) - riguardava una questione internazionalprivatistica: la supposta impossibilità di applicare (ex art. 33, l. n. 218/1995) nella formazione in Italia dell’atto di nascita di un bambino anche di nazionalità straniera la legge straniera che ammette la doppia maternità.
[18] V. Cass., 30 settembre 2016, n. 19599 (estensore Lamorgese), Foro it., 2016, I, 3329, con nota di G. Casaburi; in Corr. Giur., 2017, 18, con mia nota Ordine pubblico e interesse del minore nella circolazione degli status familiari; in Nuova giur. civ. comm. 2017, 372, con nota di P. Palmeri, Le ragioni della trascrivibilità del certificato di nascita redatto all’estero a favore di una coppia same-sex (ibid., pag. 362); in articolo29.it, con nota di A. Schillaci, Le vie dell’amore sono infinite. La Corte di cassazione e la trascrizione dell’atto di nascita straniero con due genitori dello stesso sesso (la sentenza di cassazione conferma App. Torino, 29 ottobre 2014, in Fam. dir., 2015, 822, con nota di M. Farina). Si trattava di bambino nato in seguito a c.d. fecondazione incrociata (gravidanza portata avanti dalla prima madre grazie all’impianto di embrione formato con l’ovocita della seconda fecondato con seme di donatore anonimo). Successivamente il principio è stato ribadito sia nel caso in cui la seconda madre non aveva alcun legame biologico con il nato Cass., 15 giugno 2017, n. 14878 (estensore Dogliotti), Articolo29.it, con commento di S. Stefanelli, Riconoscimento dell’atto di nascita da due madri, in difetto di legame genetico con colei che non ha partorito.
[19] A sentire la Corte, l’affermazione dei giudici di merito “che si trattava di atti redatti secondo formule e modalità tipiche e predeterminate con decreti del Ministero dell'interno, ha in realtà inteso implicitamente - e, per quanto si dirà, correttamente - pronunciarsi sul fondo della domanda la quale sostanzialmente contestava la ‘corrispondenza’ ‘dell'atto di nascita del figlio con la realtà generativa’ (cfr. Cass. n. 13000 del 2019, n. 21094 del 2009) e chiedeva di ripristinarla”.
[20]Stessa sezione e stesso collegio, estensore Mercolino, alla cui penna si deve anche la decisione delle Sezioni Unite che nega la trascrivibilità dell’atto di nascita straniero con l’indicazione dei due padri: Cass. sez. un., 8 maggio 2019, n. 12193, in Nuova giur. civ. comm., 2019, 740, con commento di U. Salanitro, Ordine pubblico internazionale, filiazione omosessuale e surrogazione di maternità (p. 737 e segg.); in Fam. dir., 2019, 753, con note di Ferrando e Dogliotti; in Familia, 2019, 369, con nota di M. Bianca. E v. anche il mio commento, I bambini prima di tutto. Gestazione per altri, limiti alla discrezionalità del legislatore, ordine pubblico, in Nuova giur. civ. comm., 2019, 815.
[21] Corte cost. 23 ottobre 2019, n. 221. Nel caso di specie, di fronte al rifiuto del centro di pma di ammettere la coppia di donne richiedenti alla fecondazione assistita, era stato fatto ricorso al Tribunale ex art. 700 c.p.c e il Tribunale di Pordenone aveva sollevato la questione di legittimità dell’art. 5 l. 40 che tale accesso non consente.
[22] Ad esempio, v. Libertà della persona, autonomia della famiglia e intervento pubblico nella disciplina della procreazione artificiale, in Procreazione artificiale e interventi nella genetica umana, Atti del Convegno di Verona, ottobre 1986, Padova, 1987, 254 ss.; Introduzione, in G. Ferrando (a cura di), Procreazione artificiale tra etica e diritto, Atti del convegno di Genova, giugno 1987, Padova, 1989, 1 ss.; Libertà, responsabilità e procreazione, Padova 1999, 277 ss.
[23] G. Ferrando, Libertà, responsabilità e procreazione, cit., 337.
[24] Corte cost., 10 giugno 2014, n. 162, Nuova giur. civ. comm., 2014, I, 802, con mio commento Autonomia delle persone e intervento pubblico nella riproduzione assistita. Illegittimo il divieto di fecondazione eterologa (ibid., II, 392).
[25] Cass.15 maggio 2019, n. 13000.
[26] In questo senso, con ampia motivazione, la recente ordinanza di remissione alla Corte costituzionale relativa al “diritto vivente” in ordine alla non trascrivibilità dell’atto di nascita straniero con l’indicazione della doppia paternità: Cass. 29 aprile 2020, n. 8325.
[27] Corte cost., 28 novembre 2002, n. 494, cit., che dichiara costituzionalmente illegittimo l’art. 278 cod. civ. abr. che impediva in tal caso le indagini sulla paternità e la maternità.
[28] V.G. Ferrando, Maternità per sostituzione all’estero. Le sezioni Unite dichiarano inammissibile la trascrizione dell’atto di nascita. Un primo commento, in Fam. dir., 2019, 677 ss.
[29] La condanna per stupro anche nel codice civile del 1942 costituiva uno dei casi in cui era ammessa l’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità. I figli “adulterini” dal 1975 possono essere riconosciuti anche dal genitore coniugato. Il riconoscimento del figlio incestuoso è ora ammesso (art. 251 cod. civ. e v. già Corte cost., n. 494/2002, cit.) salvo che il giudice non rilevi la sua contrarietà all’interesse del figlio.
[30] Corte cost., 23 febbraio 2012, n. 31, in Foro it., 2012, I, 1992; Corte cost., 23 gennaio 2013, n. 7, ivi, 2014, I, 1402.
[31] Si ricordi che la sanzione amministrativa è prevista solo per il medico che la applica, non per la coppia che la richiede (v. art. 12, c. 1 e 8, l. 40).
[32] Corte cost., 15 aprile 2010, n. 138, in Foro it., 2010, I, 1367, con note di Dal Canto e Romboli.
[33] Senza indugiare oltre sull’argomento mi permetto di rinviare a Ferrando, Introduzione, in Id. (a cura di), Matrimonio, in Commentario al codice civile Scialoja-Branca-Galgano, sub art. 79-158, Bologna-Roma, 2017, 21 e segg. E v. anche Ferrando, Conclusioni, in Salanitro (a cura di), Il sistema del diritto di famiglia dopo la stagione delle riforme. Atti del Convegno 27-29 settembre 2018 Catania, dedicato a Tommaso Auletta, Pacini Giuridica, Pisa, 2019, 317 e segg.
[34] Corte cost. 26 settembre 1998, n. 347, in Nuova giur. civ. comm., 1999, I, 51, con nota di E. Palmerini; in Giur. it. 1999, 461, con note di Balestra e di Uccella.
[35] Seguendo questo percorso, la Corte di Cassazione risolse il problema del disconoscimento del figlio nato da fecondazione eterologa cui il marito aveva dato il proprio consenso non in base all’art. 235 cc allora vigente, ma alla luce dei principi generali dell’ordinamento, quello per cui nemo contra factum proprium venire potest ed il principio di responsabilità per la procreazione, alla luce del quale chi, prestando il proprio consenso, ha dato causa al concepimento e alla nascita del figlio, non può sottrarsi alle conseguenze della propria azione, alla responsabilità che ne deriva: Cass. 16 marzo 1999, n. 2315, Corr. giur, 1999, 429 ed ivi, a p. 401 un commento di P. Schlesinger, Inseminazione eterologa: la Cassazione esclude il disconoscimento di paternità; in Nuova giur. civ. comm., 1999, I, 523, con nota di E. Palmerini; in Fam. dir.,1999, 237, con nota di M. Sesta. Per un commento della sentenza della Cassazione e di quella della Corte costituzionale, v. anche G. Ferrando, Inseminazione eterologa e disconoscimento di paternità tra Corte costituzionale e Corte di cassazione, Nuova giur. civ comm., 1999, II, 223.
[36] Nel senso, invece, che, per effetto del rinvio che l’art. 8 fa all’art. 6 (consenso informato) e di quello che l’art. 6 fa all’art. 5 (che disciplina i requisiti soggettivi) il quale a sua volta richiama l’art. 4 (che prevede i requisiti oggettivi) l’art.8 troverebbe applicazione solo nel caso di tecniche ammesse dalla legge, non nel caso di tecniche vietate, v. Trib. Pisa, ord. 15 marzo 2018, Nuova giur. civ. comm., 2018, 1569, con nota di A.G. Grasso. In dottrina, v. U. Salanitro, Norme in materia di procreazione medicalmente assistita, in Di Rosa (a cura di), Della famiglia, cit., 1739.
[37] Più diffusamente al riguardo, il mio Due mamme, cit.
[38] Nei casi di sterilità e infertilità della coppia (Corte cost. n. 162/2014, cit.) e in quelli di coppie fertili portatrici di malattie geneticamente trasmissibili (Corte cost. 5 giugno 2015, n. 96, in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, 930, con mio commento, ivi, II, 582).
[39] Si pensi al caso di “scambio di embrioni” (il c.d. caso “Pertini”) deciso dal Tribunale di Roma in base alle regole della l. n. 40, Trib. Roma, sent. 10 maggio 2016, in Fam. dir., 2016, 677, con nota di M.N. Bugetti.
[40] Cass. 15 maggio 2019, n. 13000, relativa ad un caso di fecondazione post mortem.
[41] “I profili …concernenti lo stato giuridico del nato ed i rapporti con i genitori, sono … anch’essi regolamentati dalle pertinenti norme della legge n. 40 del 2004, applicabili anche al nato da pma di tipo eterologo in forza degli ordinari canoni ermeneutici. La constatazione che l’art. 8, comma 1, di detta legge contiene un ampio riferimento ai «nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita», in considerazione della genericità di quest’ultima locuzione e dell’essere la pma di tipo eterologo una species del genus, come sopra precisato, rende, infatti, chiaro che, in virtù di tale norma, anche i nati da quest’ultima tecnica «hanno lo stato di figli nati nel matrimonio o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime»: Corte cost. 162/2014, cit.
[42] Cass. 15 maggio 2019, n. 13000.
[43] A proposito della revoca del consenso, v. Cass. 18 dicembre 2017, n. 30294, Fam. dir., 2018, 21, con nota di A. Figone.
[44] Utili indicazioni in Cass. 18 dicembre 2017, n. 30294, cit.
[45] Ammette l’attribuzione della paternità e del cognome in caso di fecondazione post mortem Cass. 15 marzo 2019, n. 13000. Nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Messina 28 settembre 2017. Contra App. Ancona 12 marzo 2018. Va tenuto presente che il divieto di fecondazione post mortem non riguarda l’impianto di embrioni già formati prima della morte del marito: Trib. Bologna 25 agosto 2018.
[46] Corte EDU, G.C. avis consultatif 10 aprile 2019, R. P 16-2018-001, cit.. A distanza di 5 anni dalla precedente, la Corte Edu torna nuovamente sul caso Mennesson (v. Corte EDU, 26 giugno 2014, ric. 65192/11, Mennesson c. Francia) per riconoscere il diritto del bambino alla trascrizione dell’atto di nascita straniero non solo nei confronti del padre, genitore biologico, ma anche della madre intenzionale. Il diritto al rispetto della vita privata dei bambini nati all’estero da maternità surrogata - secondo l’articolo 8 della Convenzione – “obbliga” gli Stati ad offrire riconoscimento legale alla relazione con la madre intenzionale che sia indicata nel certificato di nascita straniero come “madre legale”. Margini di discrezionalità vengono riconosciuti agli Stati quanto ai “modi” di tale riconoscimento, a condizione che sia garantita una tutela “pronta” ed “effettiva”.
[47] Cass. 22 giugno 2016, n. 12962, cit.; Cass. 15 giugno 2017, n. 14878, cit. In motivazione v. anche Corte cost. n. 272/2017, cit.; Cass. sez. un., n. 12193/2019, cit.
[48] L’inadeguatezza degli strumenti disponibili nell’ordinamento interno per soddisfare i requisiti richiesti dalla Corte EDU costituisce uno degli argomenti sviluppati dall’ordinanza di remissione alla Consulta: Cass. 29 aprile 2020, n. 8523.
[49] Si ritiene infatti che l’art. 74, che prevede anche per l’adottato (con la sola esclusione dell’adozione del maggiorenne) rapporti di parentela con entrambe le reti familiari dei genitori non si applichi (dato il rinvio contenuto nell’art. 55, l. n. 184/1983 all’art. 300 cc) all’adozione dei minori in casi particolari (v. C. M. Bianca, Diritto civile. 2.1 La famiglia, sesta edizione, Milano, 2017, 501). Non si tiene conto in tal modo che la regola generale è posta dall’art. 74 per ogni adozione di minore senza distinguere tra adozione piena o particolare: v. P. Morozzo della Rocca, Il nuovo status e le adozioni in casi particolari, Fam. dir., 2013, 838; L. Lenti, La sedicente riforma della filiazione, Nuova giur. civ. comm., 2013, 201.
[50] In senso contrario, v. Trib. Venezia, ord., 3 aprile 2019 che solleva la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, c. 20, della l. n. 76/2016 “nella parte in cui limita la tutela … delle coppie di donne omosessuali unite civilmente ai “soli diritti e … doveri nascenti dall’unione civile” e dell’art. 29, 2° co d. P.R. 396/2000 – per contrasto con gli artt. l 2,3,I e II comma, 30 e 117 Cost.”.
[51] Corte cost. 26 settembre 1998, n. 347, cit.; Cass. 16 marzo 1999, n. 2315.
[52] Sulla base di ragionamenti di questo tipo il Tribunale di Bologna (3 luglio 2018, cit.) ha ritenuto ammissibile un’interpretazione evolutiva, costituzionalmente orientata, degli artt. 250, 269, tale da rendere ammissibile il “riconoscimento” da parte della seconda mamma.
[53] Cass. 11 gennaio 2013, n. 601, cit.
[54] Anche l’adozione del maggiorenne è stata disposta a favore di una coppia di uomini uniti civilmente: Trib. Rieti 20 marzo 2020.
[55] In questo senso, tra gli altri, cfr. M. Bianca, L’unicità dello stato di figlio, cit., 19.
[56] V., per quanto a malincuore, anche M. Gattuso, Il problema del riconoscimento ab origine della genitorialità omosessuale, in G. Buffone, M. Gattuso, M. Winkler, Unione civile e convivenza, Giuffrè, Milano, 2017, 266.
[57] Come spiega U. Salanitro, Norme in materia di procreazione medicalmente assistita, in De Rosa (a cura di), Della famiglia, cit., vol. III,1739 ss.