Magistratura democratica
Giurisprudenza e documenti

Procedure accelerate e mancato rispetto dei termini: intervengono le Sezioni Unite

di Umberto Castagnini , Massimiliano Sturiale
giudici del tribunale di Firenze

Con la sentenza n. 11399 del 9 aprile 2024 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione – su rinvio pregiudiziale sollevato dal Tribunale di Bologna – prendono posizione in ordine al tema delle conseguenze derivanti dal superamento dei termini nelle procedure c.d. accelerate. La pronuncia, nel risolvere il contrasto sviluppatosi tra le varie Sezioni Specializzate, apre numerosi spunti di riflessione. 

Sommario: 1. La sentenza della Corte - 2. La questione sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite - 3. Il quadro normativo di riferimento - 4. I vari orientamenti della giurisprudenza di merito - 5. La soluzione delle Sezioni Unite - 6. Le questioni risolte e gli scenari aperti

 

1. La sentenza della Corte

Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 11399 pubblicata il 9 aprile 2024, adite con il nuovo strumento del rinvio pregiudiziale ex art. 363bis c.p.c. sollevato dal Tribunale di Bologna con ordinanza del 11 giugno 2023, hanno affermato il principio secondo cui «in caso di ricorso giurisdizionale avente ad oggetto il provvedimento di manifesta infondatezza emesso dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale nei confronti di soggetto proveniente da Paese sicuro vi è deroga al principio generale di sospensione automatica del provvedimento impugnato solo nel caso in cui la commissione territoriale abbia applicato una corretta procedura accelerata, utilizzabile quando ricorra ipotesi di manifesta infondatezza della richiesta protezione.

In ipotesi contraria, quando la procedura accelerata non sia stata rispettata nelle sue articolazioni procedimentali, si determina il ripristino della procedura ordinaria ed il riespandersi del principio generale di sospensione automatica del provvedimento della Commissione Territoriale».

 

2. La questione sottoposta al vaglio delle Sezioni Unite

Il Tribunale di Bologna, con l’ordinanza sopracitata, ha inteso sottoporre al vaglio preliminare del massimo organo di nomofilachia la questione relativa alle conseguenze che si producono in caso di superamento dei termini della procedura accelerata dettati dall’art. 28 bis D.Lvo n. 25/2008, sulla quale vi è difformità di orientamenti fra le diverse sezioni distrettuali specializzate. 

Deve al riguardo preliminarmente evidenziarsi che in alcuni casi tassativamente individuati dall’art. 28 bis commi 1 e 2, la domanda di protezione internazionale può essere esaminata dalla Commissione territoriale competente con un esame prioritario seguendo procedure amministrative diverse da quelle ordinaria, cd. accelerate.

Tali procedure si caratterizzano per una notevole concentrazione dei tempi. L’art. 28 bis del D. Lvo. n. 25/2008 prevede, infatti, che in tali casi «la Questura provvede senza ritardo alla trasmissione della documentazione necessaria alla Commissione territoriale che» entro 5 giorni nei casi del comma 1 e entro 7 nei casi del comma 2 «dalla data di ricezione della documentazione, provvede all'audizione e decide entro i successivi due giorni».

Le conseguenze dell’adozione di una procedura accelerata non riguardano però solo i tempi di durata del procedimento amministrativo, ma impattano notevolmente anche sulla posizione del richiedente il quale intende impugnare una decisione di rigetto (per manifesta infondatezza) adottata all’esito di tale procedura; in tali fattispecie l’art. 35bis del D.Lvo n. 25/2008 prevede, infatti, la non operatività del principio della c.d. sospensiva automatica (la proposizione del ricorso giurisdizionale, cioè, non paralizza l’efficacia esecutiva della decisione); inoltre, sono dimidiati i termini per la proposizione del ricorso giurisdizionale (15 giorni invece che 30). 

Da qui la questione circa il rapporto tra il rispetto dei tempi della procedura accelerata da parte dell’Amministrazione ed il regime processuale applicabile in caso di proposizione del ricorso avverso il provvedimento di rigetto per manifesta infondatezza.

Se la giurisprudenza risulta infatti consolidata nel ritenere che il mancato rispetto dei termini procedimentali non può determinare alcuna consumazione del potere dell’Amministrazione di provvedere sull’istanza del richiedente, né comportare di per sé l’invalidità del provvedimento emesso all’esito, si è registrata una difformità di orientamenti in ordine a quali conseguenze produca il superamento di detti termini sulla posizione del richiedente che intende presentare ricorso giurisdizionale, sia in relazione al termine di impugnazione che alla sospensione automatica dell’efficacia esecutiva del provvedimento di rigetto. Il Tribunale di Bologna, consapevole della difformità di orientamenti e considerato che la questione impatta su numero assai ampio di controversie, ha quindi deciso di sottoporre la questione alle sezioni unite utilizzando il nuovo strumento del rinvio pregiudiziale introdotto all’art. 363 bis c.p.c.

 

3. Il quadro normativo di riferimento

Prima di esaminare nello specifico gli orientamenti formatisi nella giurisprudenza di merito delle sezioni specializzate è opportuno premettere un quadro riassuntivo della disciplina sia europea che nazionale.

La Direttiva 2013/32/UE (cd. “direttiva procedure recast”), sancisce il principio della c.d. sospensiva automatica: la proposizione del ricorso giurisdizionale sospende in modo automatico, salvo che in casi tassativamente indicati, l’esecuzione del provvedimento impugnato fino all’esito del ricorso(cfr. art.46, paragrafo 5). 

Tale principio – già a norma del predetto art. 46 – si lega a filo doppio ad un altro principio fondamentale che è quello di garantire al richiedente il diritto ad un ricorso effettivo. Se infatti in pendenza di giudizio la decisione venisse eseguita il ricorrente perderebbe di fatto il proprio diritto di partecipare al processo, avrebbe notevoli difficoltà a presenziare all’udienza di audizione nonché a mantenere contatti col proprio difensore. 

L’allontanamento dal territorio nazionale non solo inciderebbe sui diritti processuali del richiedente ma finirebbe per condizionare altresì l’esito del ricorso in quanto la domanda di protezione internazionale non può essere accolta se il richiedente al momento della decisione sia tornato nel proprio paese di origine.

Ciò posto, è lo stesso art. 46, paragrafo 6 a prevedere due casi tassativi di deroga alla sospensione automatica, fra i quali: 1) l’ipotesi in cui la domanda sia stata dichiarata infondata «dopo l’esame conformemente all’articolo 31, paragrafo 8»; 2) l’ipotesi di cui all’art. 32, paragrafo 2, per cui: «nei casi di domande infondate cui si applichi una qualsiasi delle circostanze elencate nell’articolo 31, paragrafo 8, gli Stati membri possono altresì ritenere una domanda manifestamente infondata, se così definita dal diritto nazionale».

L’art. 31, paragrafo 8 individua le varie ipotesi nelle quali «Gli Stati membri possono prevedere che una procedura d’esame sia accelerata e/o svolta alla frontiera o in zone di transito a norma dell’articolo 43» tra cui, alla lettera b), è indicata la provenienza del richiedente da un paese designato di origine sicura.

La previsione di cui all’art. 32, paragrafo 2 rappresenta una mera facoltà per gli Stati membri di introdurre una ulteriore categoria decisoria, quella della manifesta infondatezza, adottabile quando siano applicabili le circostanze elencate nell’art. 31, paragrafo 8 della direttiva, ma anche all’esito di procedura ordinaria, senza quindi che la decisione sia assunta «conformemente all’articolo 31, paragrafo 8».

Tale previsione ha quindi fatto sorgere l’interrogativo se, nell’ordinamento italiano, il legislatore abbia recepito l’autonoma categoria della manifesta infondatezza sganciata dalla procedura accelerata, profilo che fa assumere una diversa rilevanza alla violazione dei termini della procedura accelerata.

Sul piano del diritto nazionale il D.Lvo 28 gennaio 2008, n. 25 all’art. 35 bis, terzo comma, da un lato, recepisce il principio della c.d. sospensiva automatica, dall’altro, enuncia le fattispecie in cui il ricorso giurisdizionale non produce tale effetto. In particolare, tra queste vi sono i casi in cui il ricorso viene proposto: «c) avverso il provvedimento di rigetto per manifesta infondatezza ai sensi dell'articolo 32, comma 1, lettera b-bis); d) avverso il provvedimento adottato nei confronti dei soggetti di cui all'articolo 28-bis, comma 2, lettere c) ed e); d-bis) avverso il provvedimento relativo alla domanda di cui all'articolo 28-bis, comma 1, lettera b)». 

È interessante notare come la norma da ultimo citata leghi apparentemente il mancato effetto sospensivo automatico non al tipo di procedura adottato, ma al contenuto della decisione (“il provvedimento di rigetto per manifesta infondatezza”). 

L’ articolo 32, comma 1, lettera b-bis») - richiamato dalla lettera c)- rinvia a sua volta all’art 28-ter», il quale articolo contiene l’elenco dei casi in cui può dichiararsi la manifesta infondatezza, tra cui la provenienza da un paese di origine sicuro (lett. b).

 

4. I vari orientamenti della giurisprudenza di merito

Il frastagliato quadro normativo sopra sintetizzato ha fatto si – come già accennato in premessa - che all’interno della giurisprudenza di merito si sviluppassero diversi orientamenti in ordine alle conseguenze derivanti dal superamento dei termini per la definizione della procedura c.d. accelerata. 

Il Tribunale di Bologna, nel sollevare la questione pregiudiziale, compie un’opera ricognitiva dei predetti orientamenti sintetizzandoli in tre posizioni contrastanti. 

Il primo dei quali si fonda su una valorizzazione della regola della cd. sospensione automatica contenuta all’ art. 46 della direttiva procedure.

Si sostiene, in particolare, che il quadro normativo nazionale vada interpretato in armonia con i principi dettati dalla direttiva europea. 

La deroga alla sospensione automatica, e quindi al principio di effettività della tutela giurisdizionale di cui tale regola è espressione, è consentita soltanto se la domanda sia stata dichiarata infondata «dopo l’esame conformemente all’articolo 31, paragrafo 8», il che porta ad escludere che vi possa essere deroga se la procedura accelerata non sia stata seguita in tutti i suoi passaggi.

Del resto, si evidenzia che è la stessa disciplina interna a legare a filo doppio i casi di manifesta infondatezza a quelli in cui può essere adottata una procedura accelerata (v. rinvio contenuto nell’art. 28ter). 

Secondo questo indirizzo, dunque, tanto la lettera delle disposizioni interne quanto ragioni desumibili dal diritto europeo impongono la procedura accelerata per ogni caso di manifesta infondatezza (e di inammissibilità), sicché la sua mancata adozione conduce, in caso di proposizione di ricorso giurisdizionale, alla sospensione automatica del provvedimento amministrativo.

A sostegno di questo orientamento vi è un passaggio di una pronuncia della S.C. per cui «detti termini, in difetto di esplicita previsione normativa, non hanno natura perentoria; in ogni caso, il loro superamento non può risolversi in un vizio della domanda di riconoscimento della protezione internazionale o del relativo procedimento, posto che essi sono evidentemente posti a garanzia della celerità dell'esame della domanda stessa, e quindi in ultima analisi a vantaggio del richiedente», sicché «se da un lato il superamento dei termini previsti dall'art. 28 bis, primo e secondo comma, per la fissazione dell'audizione e la decisione della domanda di protezione non è causa di nullità del relativo procedimento, tuttavia ciò non giustifica la proroga del trattenimento oltre la durata massima consentita dalla predetta disposizione» (Corte di cassazione Sez. 1, Sentenza n. 2458 del 2021). 

In buona sostanza, il sacrificio dei diritti processuali che sono espressione del principio di effettività della tutela (quali la sospensione automatica dell’efficacia della decisione a seguito del ricorso giudiziale, nonché i termini congrui per la proposizione del ricorso) può avvenire solo se ciò è a vantaggio del richiedente, e quindi solo se sono rispettate le norme di legge che disciplinano le procedure accelerate. 

Altro orientamento invece valorizza il disposto di cui all’art. 32, paragrafo 2 della Direttiva, che autorizza gli Stati membri a introdurre una categoria di «manifesta infondatezza» nei casi di domande infondate cui si applichi una qualsiasi delle circostanze elencate nell’articolo 31, paragrafo 8.

Secondo questa tesi gli Stati membri sono autorizzati ad adottare un atto di trasposizione con cui definire, nei casi tassativi previsti dall’art. 31, paragrafo 8, una nozione di «manifesta infondatezza» sganciata dall’adozione di una preventiva procedura accelerata. 

E questo è quello che avrebbe fatto il Legislatore italiano con il d.l. 4 ottobre 2018 n. 113, introducendo l’art. 28 ter (titolato «Domande manifestamente infondate») ovvero una categoria di manifesta infondatezza del tutto sganciata dall’adozione di una preventiva procedura accelerata.

Data questa premessa metodologica, tutte le considerazioni sopra esposte in ordine alla necessità di rispetto della procedura accelerata restano valide per i casi di inammissibilità di cui alla lettera b) dell’art. 35 bis, terzo comma (in particolare per le ipotesi di domande reiterate), ma non, dunque, per i casi di manifesta infondatezza.

In ipotesi di domande reiterate, infatti, come sottolineato dalla Corte di giustizia l’art. 40 della Direttiva 2013/32/UE (come l’art. 29 comma 1 bis del D.lgs. n. 25 del 2008) prevede inderogabilmente due fasi nettamente distinte (una prima fase, che in Italia è di competenza del Presidente della Commissione territoriale, concerne la valutazione se vi siano elementi nuovi e, secondo la Direttiva 2013/32, se gli stessi «aumentano in modo significativo la probabilità» di una positiva valutazione di merito; una seconda fase, in Italia di competenza della Commissione territoriale in sede collegiale, riguarda tale valutazione di merito) senza che in caso di inammissibilità dal complesso della Direttiva possa desumersi una facoltà di deroga analoga a quella prevista del citato art. 32, paragrafo 2.

Tale soluzione presenta – è bene evidenziare – quello che viene definito dai suoi sostenitori un vantaggio sul piano pratico, consistente nella possibilità per la parte pubblica di dichiarare la manifesta infondatezza, ottenendo la deroga alla sospensione automatica, nei numerosi casi in cui la sussistenza di una ipotesi di non attinenza con la protezione internazionale o di incoerenza e contraddittorietà dell’allegazione (rilevanti ai sensi dell’art. 28 ter, primo comma lettere a) e c)) non può essere riscontrata dalla mera lettura della domanda (è invero noto che nel cd. modello C3 i richiedenti sovente non indicano le ragioni della domanda).

 In definitiva seguendo tale indirizzo, l’adozione o meno della procedura accelerata avrebbe dunque effetto esclusivamente ai fini del dimezzamento del termine per impugnare ai sensi dell’art. 35 bis, terzo comma (secondo il noto orientamento della Corte di cassazione Sez. 1, Ordinanza n. 23021 del 21/10/2020; Sez. 1, Ordinanza n. 6745 del 10/03/2021; Sez. 2, Ordinanza n. 18518 del 2021), ma sarebbe del tutto indifferente ai fini della sospensione automatica potendo la Commissione territoriale adottare un provvedimento di rigetto per manifesta infondatezza anche all’esito di una procedura ordinaria (verificando, ad esempio, solo dopo l’audizione che il richiedente asilo provenga da paese di origine sicuro e non abbia allegato alcuna situazione particolare; che non abbia dedotto fatti attinenti con la protezione internazionale; che abbia rilasciato dichiarazioni incoerenti o contraddittorie ecc.).

Infine, un terzo ed ultimo orientamento per così dire mediano ritiene che si possa condividere la lettura svolta dai fautori del secondo indirizzo con un’ulteriore eccezione relativa ai paesi di origine sicura.

A tale riguardo si evidenzia che l’art. 35 bis, terzo comma distingue l’ipotesi di «rigetto per manifesta infondatezza», di cui alla lettera c), dalla ipotesi dei soggetti provenienti da un paese di origine sicuro, di cui alla lettera d).

Come si è già osservato, poiché la provenienza da paese di origine sicuro concreta una delle ipotesi di «rigetto per manifesta infondatezza», entrambe le lettere - c) e d) dell’art. 35 bis, quarto comma - richiamano la medesima fattispecie della provenienza da paese di origine sicuro, sicché le due disposizioni, a prima vista, sembrerebbero configurare una mera, inutile, ripetizione. 

La differenza fra le due ipotesi contemplate alla lettera c) e d) del terzo comma può essere colta, ad un esame più approfondito, rilevando che nella prima ipotesi (lettera c) la norma richiama «il provvedimento» di rigetto per manifesta infondatezza di cui all’art. 32 (articolo titolato «Decisione» ed avente ad oggetto la catalogazione dei provvedimenti decisori adottati dalla Commissione territoriale), mentre la lettera d), per i soli soggetti provenienti da paese di origine sicuro, richiamando «il provvedimento adottato nei confronti dei soggetti di cui all’art. 28 bis» (articolo titolato «Procedure accelerate») pare fare riferimento, seppure con espressione non limpida, non al provvedimento, ma alla procedura. 

Ne consegue, in questa prospettiva, il recupero di un senso all’apparente erronea reiterazione della stessa disposizione, posto che la manifesta infondatezza ex art. 32 potrebbe essere dichiarata anche senza previa procedura accelerata, ma fra i casi di manifesta infondatezza la lettera d), richiamando espressamente l’art. 28 bis, preciserebbe che, nel caso «dei soggetti di cui all’art. 28 bis» provenienti da paese di origine sicuro, la deroga alla regola europea della sospensione automatica, possibile solo in casi tassativi, si produce solo se sia stata adottata una (corretta) procedura accelerata.

In buona sostanza secondo questo orientamento, verificato che 1) il soggetto proviene da paese sicuro, 2) che non è vulnerabile e 3) che non ha allegato una situazione particolare per cui assume che il paese non sia sicuro per sé, il Presidente dispone la procedura accelerata e la Commissione territoriale addiviene ad un rigetto per manifesta infondatezza che deroga alla regola della sospensione automatica. Se, invece, l’iter segue la procedura ordinaria, o se, seguita la procedura accelerata, all’esito dell’audizione la Commissione territoriale verifichi la mancanza di una di tali condizioni (il soggetto non proviene da paese sicuro; è vulnerabile; ha allegato una situazione che assume essere pericolosa per sé) il provvedimento va qualificato come rigetto nel merito e non vi è deroga alla sospensione automatica. Se, infine, non sia stata seguita regolare procedura accelerata, vi è sospensione automatica tanto se il provvedimento sia stato qualificato quale rigetto nel merito che quale rigetto per manifesta infondatezza.

Secondo tale ultima opzione esegetica, dunque, non in tutti i casi di “manifesta infondatezza” ma per i soli soggetti provenienti da paese sicuro, la sospensione automatica potrebbe essere derogata solo in presenza di una corretta procedura accelerata, i.e. un provvedimento del Presidente della Commissione territoriale tempestivamente comunicato al richiedente asilo, col successivo rispetto dei termini previsti (sette + due giorni) salvo deroghe imposte dalla necessità di «assicurare un esame adeguato e completo della domanda».

A differenza di quanto accade seguendo il primo indirizzo, tale lettura non precluderebbe, d’altra parte, l’emanazione anche in seguito a procedura ordinaria di un provvedimento di manifesta infondatezza nell’ipotesi di sussistenza di una delle fattispecie richiamate dall’art. 28 ter cit. (ad es. nel caso in cui le questioni non avessero alcuna attinenza con la protezione internazionale o emergessero dall’audizione palesi incoerenze o contraddizioni ecc.).

 

5. La soluzione delle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite, dopo aver ritenuto ammissibile la questione, partono nella risoluzione del quesito affermando il legame sussistente tra il principio di sospensione automatica del provvedimento della Commissione e quello di effettività della tutela giurisdizionale. Quest’ultimo – consacrato agli artt. 6 e 13 CEDU e nell’art. 47 della carta dei Diritti fondamentali UE – trova con riferimento alla materia della protezione internazionale una declinazione contenutistica peculiare nell’art. 46 della Direttiva 2013/32/UE.

La norma in questione, infatti, declina il principio de quo in peculiari garanzie per il diritto di difesa della parte debole: in primo luogo, il diritto a termini di impugnazione «ragionevoli» che «non rendono impossibile o eccessivamente difficile» l’accesso alla giustizia (cfr. art. 46 par. 4 direttiva procedure) ed in secondo luogo il diritto del richiedente a rimanere nel territorio «fino alla scadenza del termine entro il quale possono esercitare il loro diritto a un ricorso effettivo oppure, se tale diritto è stato esercitato entro il termine previsto, in attesa dell’esito del ricorso» (art. 46 par 6 sempre della direttiva procedure). Di fatti – come detto – l’allontanamento dello straniero oltre a limitare il suo diritto di difesa ed il suo diritto ad essere ascoltato in giudizio può incidere anche sulla possibilità di giungere ad una decisione di merito eventualmente a lui favorevole.

Ciò posto, il massimo organo di nomofilachia si sofferma poi sulle «modalità di funzionamento della procedura accelerata, dalle ragioni interne alla scelta di adozione della stessa».

In altre parole, i giudici di legittimità si interrogano su quale sia la ratio di tali procedure tale da giustificare una deroga al principio di sospensione del provvedimento della Commissione territoriale. 

Ora, la scansione temporanea molto sincopata dettata dall’art. 28 bis D.Lvo n. 25/2008 – il quale prevede che la Commissione territoriale, ricevuta dalla Questura la necessaria documentazione, entro cinque o sette giorni dalla data di ricezione della documentazione, provvede all'audizione e decide entro i successivi due giorni – mette in luce come la procedura accelerata «sia caratterizzata dal fatto che in tutte le ipotesi delineate dal suddetto art. 28 bis» vi è «la immediata acquisizione dei dati e documenti necessari alla valutazione e la conseguente possibilità di una rapida decisione».

In altre parole, il legislatore europeo – e poi quello nazionale – consente una deroga al principio generale della sospensione automatica tramite la procedura accelerata tutte le volte in cui, data la presenza già agli atti o la facile acquisibilità degli elementi da valutare, la decisione sulla domanda di protezione internazionale possa essere resa in tempi brevi. 

Data quindi la stretta connessione tra semplicità del quadro istruttorio, ristrettezza dei tempi della decisione e deroga al principio della sospensione, in caso di prolungamento dei tempi, per le infinite variabili nell’accertamento che possono presentarsi, si realizza di fatto una diversa fattispecie procedimentale, che non può più qualificarsi come accelerata, con conseguenze anche sul regime processuale del ricorso e sull’effetto sospensivo automatico.

Le Sezioni Unite, quindi, ritengono che al fine di poter ritenere derogato il principio generale di sospensione del provvedimento della Commissione «deve essere stata svolta e rigorosamente osservata la procedura accelerata, con i termini suoi propri nei casi, espressamente previsti, di manifesta infondatezza (o inammissibilità). Qualora la procedura non venga osservata (anche se originariamente adottata) e dunque la ragione da valutare non sia così “manifesta”, occorrendo accertamenti o comunque tempi di maggior durata, il procedimento assumerà la veste ordinaria con il ripristino di tutti gli effetti, compresa la sospensione del provvedimento della Commissione territoriale».

È interessante anche evidenziare che le sezioni unite con la pronuncia in commento mettono in rilievo le profonde differenze sussistenti tra la c.d. sospensiva automatica e la possibilità per il giudice di adottare una pronuncia cautelare di immediata sospensione dell’efficacia del provvedimento ai sensi dell’art. 35bis comma 4. 

Si sottolinea come lo strumento cautelare «seppur connotato da celerità di tempi e di modalità accertative, presuppone comunque un onere allegatorio e probatorio in capo al richiedente circa le gravi e circostanziate ragioni e si pone certamente su un piano di valutazione estraneo alla diretta operatività del principio di effettività della tutela che opera con la sospensione automatica».

Questo perché la deroga al principio generale della sospensione si lega anche al tema del bilanciamento tra posizioni soggettive richiedenti tutela e interesse pubblico ad un rapido accertamento dei loro diritti.

 Se è possibile quindi solo a determinate condizioni – rappresentate dalla semplicità istruttoria del caso che consente una celere definizione dello stesso – determinare un sacrificio dell’effettività della tutela dei diritti vantati dal migrante e quindi non consentire l’effetto sospensivo automatico, è anche parimenti vero che i rapidi tempi di definizione del procedimento cautelare descritto dall’art. 35bis comma 4 impongono che il suo ambito di applicazione sia circoscritto ai soli casi in cui può operare la deroga al principio di sospensione automatica. La sospensione automatica e la sospensione che consegua ad un procedimento di accertamento giudiziale con oneri per la parte richiedente, nella prospettiva delle Sezioni Unite, operano su piani diversi e non sono sovrapponibili. 

 

6. Le questioni risolte e gli scenari aperti

La pronuncia in commento afferma in maniera chiara che la mera provenienza del ricorrente da un paese di origine sicuro non è sufficiente a determinare una deroga all’applicazione dell’effetto sospensivo automatico, espressione del principio di effettività della tutela giurisdizionale, quando la decisione di rigetto è stata adottata con procedura ordinaria o all’esito di procedura accelerata svolta in maniera irregolare, ovvero senza il rispetto dei termini del procedimento.

La Suprema Corte, pur non prendendo espressamente posizione sul punto, sembra quindi recepire, nella sostanza, il primo degli orientamenti descritti nell’ordinanza di rinvio, valorizzando il legame sistematico, concettuale e testuale (art. 35-bis, comma 3, lett. c); art. 32, comma 1, lett. b-bis); art. 28-ter; art. 28-bis) tra le ipotesi di manifesta infondatezza e le procedure accelerate, senza che possa assumere un autonomo rilievo, in assenza di precise norme nazionali di riferimento, la categoria della manifesta infondatezza sganciata dalla procedura accelerata. 

Il principio di diritto affermato dal massimo organo di nomofilachia si riferisce espressamente alla sola ipotesi di manifesta infondatezza per provenienza da paese di origine sicuro, considerato anche il caso da cui ha tratto origine il rinvio pregiudiziale.

Tuttavia, i principi affermati dalle Sezioni Unite appaiono applicabili a tutte le ipotesi di rigetto della domanda per manifesta infondatezza nei casi di cui all’articolo 28-ter.

Si osserva, infatti, che, laddove la Suprema Corte avesse voluto valorizzare la distinzione tra il rigetto per manifesta infondatezza in caso di provenienza da paese di origine sicuro e le altre ipotesi contemplate dal d.lgs 25/2008 (v. ad es. il terzo orientamento cit.) avrebbe ragionevolmente fornito ulteriori precisazioni e limitazioni.

Anche il richiamo operato nella sentenza all’art. 32, comma 1, lett b-bis), che rimanda all’ipotesi di rigetto della domanda «per manifesta infondatezza nei casi di cui all’art.28-ter», è di carattere generale. 

Del resto, la stessa ratio decidendi della sentenza si presta ad un’applicazione generalizzata dal momento che valorizza il legame esistente tra semplificazione e speditezza procedimentale, facilità di accertamento e deroga all’effetto sospensivo automatico, profili che ricorrono anche al di là dei casi di provenienza da paese di origine sicuro.

La sentenza delle Sezioni Unite lascia tuttavia alcune questioni aperte.

a) Innanzitutto, come evidenziato dal Tribunale remittente, l’iter della procedura accelerata prevede la necessità di un esame preliminare da parte Presidente della Commissione Territoriale (art. 28, primo comma, prima parte), il quale dispone la procedura accelerata con provvedimento comunicato “tempestivamente” al richiedente asilo (art. 28, primo comma, seconda parte). 

Si osserva nell’ordinanza di rinvio che «l’applicazione o meno di una procedura accelerata…è sempre rimessa alla decisione del Presidente della Commissione Territoriale, il quale deve assicurarsi, oltre che della provenienza, anche della carenza di cause di vulnerabilità soggettive, e che il richiedente non abbia dedotto gravi motivi per ritenere che per la sua situazione particolare il Paese di provenienza non sia per lui sicuro. La decisione del Presidente, quindi deve essere tempestivamente comunicata al richiedente, anche al fine di difendersi rispetto a tale scelta procedimentale, anche mediante consultazione col proprio difensore (contestando la provenienza da paese sicuro, allegando condizioni soggettive di vulnerabilità, inducendo e chiarendo i gravi motivi)».

Il quesito formulato dal Tribunale di Bologna faceva espresso riferimento, non solo al rilievo del rispetto dei termini prescritti dall’art. 28-bis, ma anche alla necessità di una decisione espressa e tempestivamente comunicata del Presidente della Commissione Territoriale in ordine alla tipologia di procedura applicata.

Tale questione non risulta affrontata funditus dalle Sezioni Unite le quali, tuttavia, nell’escludere la deroga all’effetto sospensivo automatico in caso di «irregolarità della procedura accelerata», e mancata rigorosa osservanza della procedura «nelle sue articolazioni procedimentali» sembrerebbero attribuire rilevanza non solo ai termini del procedimento che si instaura a seguito della decisione del Presidente della Commissione Territoriale, ma anche al segmento procedimentale antecedente; ciò anche per la diretta incidenza sulla conoscibilità da parte del richiedente dei termini e delle regole della procedura e quindi, di fatto, sul diritto di difesa e sul principio di effettività della tutela giurisdizionale, principio cardine della decisione.

b) Sotto il profilo del rispetto dei termini procedimentali la pronuncia non fornisce indicazioni sulle modalità di calcolo. Due sono i profili applicativi più rilevanti che si pongono nella prassi applicativa davanti alle Sezioni Specializzate.

L’art. 28-bis, comma 2 d.lgs 25/2008 prevede che «la Questura provvede senza ritardo alla trasmissione della documentazione necessaria alla Commissione territoriale che, entro sette giorni dalla data di ricezione della documentazione, provvede all'audizione e decide entro i successivi due giorni». La pronuncia in commento non chiarisce se il rispetto del termine della procedura debba essere valutato nel suo complesso o nelle singole scansioni procedimentali, né è precisato cosa debba intendersi per trasmissione “senza ritardo”. 

Dovendo valutare l’incidenza dei tempi del procedimento sulla posizione del richiedente asilo la scansione procedimentale sembrerebbe però avere una mera rilevanza organizzativa interna all’amministrazione mentre, nei confronti del richiedente, ciò che appare rilevante risulta la prevedibilità della durata del procedimento e quindi il rispetto del termine massimo previsto dalla legge. 

Quanto ai tempi per la trasmissione “senza ritardo”, al fine di riempire di contenuto tale espressione generica, considerato anche l’ausilio di piattaforme telematiche a disposizione dell’autorità amministrativa che agevolano la trasmissione dei dati, sembra possibile fare riferimento al giorno successivo alla formalizzazione dell’istanza ove non si tratti di un giorno festivo. Pertanto, il termine complessivo massimo risulterebbe di dieci giorni nei casi previsti dal comma 2 dell’art. 28-bis e di sei giorni nelle ipotesi previste dal comma 1 dell’art. 28-bis.

Ulteriore elemento problematico è l’individuazione del dies a quo. 

Non sussistono dubbi circa l’irregolarità della procedura nell’ipotesi in cui risultino superati i termini a decorrere dalla formulazione del cd. modello C3. 

Il momento in cui si è manifestata la volontà del richiedente protezione internazionale non coincide però sempre e necessariamente con la formalizzazione innanzi al funzionario della Questura e alla redazione dei relativi moduli, risultando spesso tale formalizzazione successiva, a volte anche di diversi mesi, come dimostrano altresì i vari procedimenti d’urgenza sovente instaurati dai richiedenti asilo per poter presentare la domanda.

Tale circostanza può emergere documentalmente da altri atti contenuti nel fascicolo. come l’elezione di domicilio, il fotosegnalamento, l’inserimento nel CAS, l’invio della richiesta di protezione a mezzo PEC.

Ora, se il rispetto dei termini della procedura secondo le Sezioni Unite è condizione necessaria per giustificare una compressione dei diritti processuali del richiedente asilo allora l’avvio del procedimento non può essere rimesso alla mera discrezionalità dell’amministrazione e alle diverse prassi presenti sul territorio nazionale, determinate da ragioni meramente organizzative.

Al fine di evitare possibili elusioni dei termini procedimentali (differimento della redazione del modello C3), posti a tutela della effettività della tutela giurisdizionale, il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite va quindi letto alla luce dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui il cittadino straniero deve essere considerato “richiedente protezione internazionale” nel momento in cui manifesta in qualsiasi modo la volontà di chiedere protezione, come stabilito dalla normativa interna ed europea, poiché è da tale momento che si radica lo statuto protettivo previsto dall’ordinamento in favore del richiedente asilo (Cass. 21910/2020).

Pertanto, non può ritenersi irrilevante il tempo trascorso tra la manifestazione della volontà di richiedere protezione internazionale e la redazione del modello C3 anche perché l’Amministrazione ha, già a partire dal primo momento, la possibilità di valutare la sussistenza, in astratto, dei presupposti per il possibile avvio della procedura accelerata, ad esempio in caso di provenienza da paese di origine sicuro.

Appare quindi rilevante, ai fini del calcolo complessivo dei termini della procedura, anche il richiamo all’art. 26, comma 2-bis il quale prevede che la formalizzazione della domanda deve avvenire «entro tre giorni lavorativi dalla manifestazione della volontà di chiedere la protezione ovvero entro sei giorni lavorativi nel caso in cui la volontà è manifestata all'Ufficio di polizia di frontiera. I termini sono prorogati di dieci giorni lavorativi in presenza di un elevato numero di domande in conseguenza di arrivi consistenti e ravvicinati di richiedenti». 

c) Merita, infine, attenzione l’obiter contenuto nella sentenza relativamente alla contestabilità della designazione del paese come “sicuro”, profilo connesso che non era stato specificatamente esaminato nell’ordinanza di rinvio ma che è stato oggetto di dibattito nella giurisprudenza di merito, seppure ancora non si registrino prese di posizioni espresse diffuse nelle diverse Sezioni Specializzate.

Le Sezioni Unite, pur premettendo di non poter affrontare compiutamente la questione nelle sue varie problematiche applicative, sembrano ammettere in linea generale «la possibilità che il richiedente contesti la natura sicura del paese di origine e, dall’altro, la possibilità che il giudice, anche in ragione del dovere di cooperazione istruttoria, debba comunque valutare detta natura anche in presenza di inserimento del paese negli elenchi contenuti nei decreti ministeriali a ciò destinati (si tratta, peraltro, di decreti necessitanti di continuo aggiornamento)».

La decisione del Presidente della CT di avviare una procedura accelerata basata sulla provenienza del ricorrente da paese sicuro trova infatti diretto fondamento nell’inserimento di quel paese nella lista dei paesi sicuri. Designazione effettuata con fonte secondaria (DM), in attuazione dell’art. 2-bis d.lgs 25/2008, di recepimento della direttiva procedure (art. 36 e 37), che disciplina le condizioni per tale qualificazione oltre a prevedere un obbligo di tempestivo aggiornamento.

Non risulta del tutto chiara la connessione, operata dalle Sezioni Unite, tra la contestabilità della qualificazione di un paese come sicuro e la violazione dei termini del procedimento, trattandosi di profili che, invero, pur attenendo entrambi alla valutazione della legittimità della procedura, si pongono su piani equiordinati ma concettualmente distinti.

Le Sezioni Unite, nel formulare tale accostamento (tra contestabilità della qualificazione del paese come sicuro e tempi dell’accertamento), sembrerebbero ammettere la possibilità che la censura relativa alla qualificazione di un paese come sicuro, ad esempio per mutamento della situazione di fatto e mancato aggiornamento del decreto ministeriale, avvenga anche in sede amministrativa prima che giurisdizionale, ipotesi tuttavia che appare difficilmente prospettabile nella pratica. In tal caso, al di là dell’esito della decisione, qualora si rendessero necessari accertamenti non più compatibili con i termini della procedura accelerata, non potrebbe comunque operare la deroga all’effetto sospensivo automatico.

In conclusione, pur non essendo tutte le questioni applicative compiutamente affrontate dalle Sezioni Unite, ciò che appare rilevante è l’affermazione del principio secondo cui la deroga ai diritti processuali del richiedente asilo (quale quello della sospensione automatica), espressione del principio di effettività della tutela, è ammissibile nei limiti in cui sia bilanciata da un sindacato di legalità sulla procedura accelerata, in tutte le sue articolazioni procedimentali, dal presupposto (qualificazione del paese come sicuro), all’avvio del procedimento, sino al rispetto dei termini per la sua conclusione. 

Sindacato, è ben evidenziarlo, che si distingue per gli effetti e per i diversi presupposti, dal potere concesso al giudice, di autorizzare la permanenza del richiedente sul territorio nazionale per «gravi e circostanziate ragioni» (art. 35-bis, comma 4), potere questo che presuppone la corretta instaurazione ed il tempestivo svolgimento della procedura accelerata. 

Il compito preliminare affidato al giudice di merito, a seguito della presentazione dell’istanza cautelare ex art. 35-bis, comma 4, è quindi quello di valutare -secondo un criterio di priorità logica- se la procedura accelerata poteva essere instaurata (in relazione, ad esempio, alla qualificazione del paese di origine come sicuro) e se è stata svolta nel rispetto dei termini previsti dalla legge.

Solo ove tale vaglio risulti positivo, sussistendo una deroga all’effetto sospensivo automatico, il giudice dovrà valutare se, nel merito, sussistono i presupposti per autorizzare la presenza del richiedente sul territorio nazionale durante la pendenza del giudizio ai sensi dell’art. 35-bis, comma 4.

 Ove invece si riscontrino irregolarità nell’avvio e nello svolgimento della procedura, in tutte le sue articolazioni, il giudice dovrà limitarsi a dichiarare che la tempestiva proposizione del ricorso ha determinato la sospensione ex lege del giudizio, con una piena equiparazione al regime processuale previsto in caso di adozione di procedura ordinaria, stante la riespansione di tutte le garanzie processuali, prescindendo dalla valutazione del fumus della domanda giudiziale.

Le Sezioni Specializzate saranno chiamate a confrontarsi con i principi affermati dalle Sezioni Unite non solo in relazione ai nuovi procedimenti ma probabilmente anche in relazione ai procedimenti pendenti, in caso di reiterazione delle istanze cautelari, in quanto gli importanti principi affermati dal massimo organo di nomofilachia, appaiono integrare «nuove ragioni di diritto» tali da giustificare un eventuale riesame (art. 669-septies, comma 1 c.p.c.).

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