Magistratura democratica
Pillole di Sezioni Unite

Sentenze di febbraio-marzo 2024

a cura di Redazione

Le più interessanti sentenze emesse dalle Sezioni Unite penali della Corte di cassazione depositate nel periodo febbraio-marzo 2024

1. La sentenza di patteggiamento con cui sia stata concessa la sospensione condizionale della pena non subordinata, come concordato tra le parti, agli obblighi di cui all’art.165, quinto comma, cod.pen., necessariamente previsti in relazione ai reati ivi contemplati, non è ricorribile per cassazione, non determinando tale omissione una ipotesi di illegalità della pena.

(Cass. Sez. Un. n. 5352 del 28.9.2023, dep. 6 febbraio 2024, H. M.). 

Le Sezioni Unite con la decisione n.5352 del 2024 hanno risolto un contrasto interpretativo relativo alla ricorribilità per cassazione della sentenza di patteggiamento in caso di omessa subordinazione della sospensione condizionale della pena agli obblighi di cui all’art. 165 co.5 cod.pen. (previsione introdotta dall’art.6 della legge n.69 del 2019). 

Si tratta di una previsione di legge che in rapporto a determinati reati (in tema di violenza sessuale ed altro) rende obbligatoria la subordinazione della pena sospesa alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni dedicate alla prevenzione di simili reati. 

Un primo orientamento interpretativo (tra le altre, Sez. VI n. 36772 del 12.9.2022, rv 283829) si era espresso nel senso della non ricorribilità – in tal caso - della sentenza di patteggiamento, posto che detta omissione non realizza una ipotesi di «illegalità della pena» e dunque non rientra nei casi di impugnabilità tassativamente previsti dall’art. 448 comma 2 bis cod.proc.pen.. 

Un secondo orientamento (tra le altre, Sez. IV n. 47202 del 18.11.2022, rv 283925) aveva - di contro – sostenuto la ricorribilità della sentenza, ovviamente da parte della pubblica accusa, essenzialmente in ragione della adesione ad una più ampia nozione di illegalità della pena, tale da ricomprendere il caso in cui la sospensione condizionale sia stata applicata senza la prevista condizione obbligatoria. 

1.1 Secondo le Sezioni Unite è inammissibile il ricorso per cassazione avverso siffatta tipologia di decisione (la sentenza applicativa di pena sospesa senza subordinazione alla partecipazione del condannato al percorso di recupero). 

Le linee argomentative della decisione possono essere così sintetizzate:

a) la selezione dei casi di ricorribilità per cassazione di cui all’art.448 co.2 bis ha una eminente finalità di garantire un più rapido passaggio in giudicato del provvedimento impugnato, applicativo di pena su richiesta delle parti, in considerazione delle sue peculiarità, come già evidenziato da Sez. U 2023, Sacchettino, in un contesto di complessiva compatibilità costituzionale e convenzionale;

b) lo sviluppo della giurisprudenza delle Sezioni Unite sulla nozione di pena illegale porta a identificare detta nozione come una pena non prevista dall’ordinamento, ovvero inferiore o superiore ai limiti edittali previsti dalla legge o ancora più grave per genere o specie di quella individuata dal legislatore, senza che possano rilevare profili incidenti sul regime applicativo della sanzione e senza coinvolgere i profili di erronea applicazione dei criteri commisurativi (v. da ultimo, sempre Sez. U 2023, Sacchettino).

Ciò posto, diventa essenziale identificare i connotati dell’istituto della sospensione condizionale della pena, con particolare riferimento ai numerosi casi in cui la sospensione è subordinata all’adempimento di un obbligo di fare in capo al condannato.

1.2. Secondo le Sezioni Unite l’esistenza di detti obblighi non muta – tuttavia - la natura e la funzione dell’istituto, che resta una ‘astensione a tempo’ dall’esecuzione della pena commisurata nella sentenza, cui vengono ricollegati potenziali effetti estintivi. 

Non può dunque parlarsi di «pena» con riferimento ai criteri regolativi della sospensione condizionale. 

Il carattere afflittivo di alcuni obblighi (cui la sospensione è correlata) non può certo comportare una assimilazione di detti obblighi alla “pena”, dato il carattere tassativo della elencazione delle pene di cui all’art. 17 cod.pen.. 

Si tratta di condotte imposte al condannato in funzione special-preventiva, non integranti la nozione di pena. 

Non vi è dunque «illegalità della pena» nella ipotesi in cui la sospensione condizionale venga applicata in modo difforme da quanto previsto dalla legge (senza subordinazione ad un obbligo di fare), proprio in ragione del fatto che la illegalità non riguarda la pena in senso proprio.  

 

2. Ai sensi dell'art. 187 disp. att. cod. proc. pen., il giudice dell'esecuzione deve considerare come «pena più grave inflitta», che identifica la «violazione più grave», quella concretamente irrogata dal giudice della cognizione siccome indicata nel dispositivo di sentenza; ai sensi degli artt. 671 cod. proc. pen. e 187 disp. att. cod. proc. pen., in caso di riconoscimento della continuazione tra reati giudicati separatamente con rito abbreviato, fra cui sia compreso un delitto punito con la pena dell'ergastolo per il quale il giudice della cognizione abbia applicato la pena di anni trenta di reclusione per effetto della diminuente di un terzo ex art. 442, comma 2, terzo periodo, cod. proc. pen. (nel testo vigente sino al 19 aprile 2019), il giudice dell'esecuzione deve considerare come «pena più grave inflitta» che identifica la «violazione più grave» quella conseguente alla riduzione per il giudizio abbreviato.

(Cass. Sez. Un. n. 7029 del 28.9.2023, dep. 16.2.2024, Giampà)

2.1. Con la decisione n.7029 del 2024 le Sezioni Unite hanno risolto un conflitto interpretativo sorto in tema di individuazione della pena più grave inflitta in cognizione lì dove venga riconosciuta la continuazione in sede esecutiva (art. 671 cod.proc.pen.) tra fatti oggetto di trattazione in sede di giudizio abbreviato.

Secondo un primo orientamento il giudice della esecuzione (che ha come regola di condotta quella descritta dal legislatore all’art. 187 disp.att. per cui si considera violazione più grave quella per la quale è stata inflitta la pena più grave, anche quando per alcuni reati si è proceduto con giudizio abbreviato) deve individuare la pena più grave come quella più elevata senza tener conto della diminuzione per il rito abbreviato, data la natura processuale di detta riduzione, e su tale ‘risultato’ applicare gli aumenti per la riconosciuta continuazione e, solo successivamente, la riduzione per la scelta del rito. 

Per un secondo orientamento va individuata come pena più grave quella più grave ma comprensiva della riduzione correlata alla scelta del rito (ad es. la pena di trenta anni di reclusione derivante dalla scelta del rito e non quella dell’ergastolo antecedente alla riduzione) e solo su tale risultato vanno applicati gli aumenti per la riconosciuta continuazione e successivamente la riduzione per la scelta del rito (se tutti gli aumenti per continuazione derivano da giudizi definiti con il rito abbreviato).  

2.2. Le Sezioni Unite aderiscono al secondo orientamento, posto che per pena inflitta – dato l’inequivoco tenore della disposizione di legge – deve ritenersi quella risultante dalla definizione completa del giudizio, dunque comprensiva della riduzione dovuta alla scelta del rito, riduzione avente peraltro natura sostanziale (pur se correlata ad una opzione definitoria di carattere processuale). 

L’aderenza al testo della norma regolatrice porta, pertanto, a privilegiare il secondo tra gli orientamenti in contrasto. 

Viene inoltre ribadito che gli aumenti per continuazione vanno computati in modo pieno anche oltre il limite dei trenta anni di cui all’art. 78 e vanno ridotti – ciascuno - per il rito prima della applicazione del criterio moderatore, sicché la pena per il reato continuato – ove per la violazione più grave si parta dai trenta anni di reclusione, sarà necessariamente quella di anni trenta di reclusione (secondo l’insegnamento offerto dalla sentenza Sez. Un. Volpe del 2007) .  

 

3. Il divieto previsto dall'art. 240-bis cod. pen., introdotto dall'art. 31 legge 17 ottobre 2017, n. 161, di giustificare la legittima provenienza dei beni oggetto della confisca c. d. allargata o del sequestro ad essa finalizzato, sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale, si applica anche ai beni acquistati prima della sua entrata in vigore ad eccezione di quelli acquisiti nel periodo tra il 29 maggio 2014, data della pronuncia delle 25 Sezioni Unite n.33451/2014 ric. Repaci, e il 19 novembre 2017, data di entrata in vigore della legge n. 161 del 2017.

(Cass. Sez. Un. n. 8052 del 26.10.2023, dep. 23 febbraio 2024, Rizzi).

Le Sezioni Unite penali con la decisione n.8052 del 2024 hanno risolto un contrasto interpretativo relativo alle modalità applicative della variazione apportata al testo dell’attuale art.240-bis cod.pen. dalla legge numero 161 del 17 ottobre 2017. 

In particolare, l’intervento legislativo (implicante la variazione del testo dell’art. 12 sexies l.356 del 1992, allora vigente e successivamente trasfuso nel codice penale all’art. 240 bis cod.pen.) si incentra, in primo approssimazione, sulle modalità di «rappresentazione» della accumulazione patrimoniale del soggetto condannato (per determinati reati) e vieta di introdurre, come possibile fattore di riequilibrio della sproporzione tra reddito e investimenti, la redditività derivante da attività economica non dichiarata a fini fiscali: «[..] è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica. In ogni caso il condannato non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale [..]». 

A detta disposizione ha fatto seguito, come è noto, una integrazione: «salvo che l’obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge [..]», apportata con il d.l. n.148 del 2017 (norma tesa a valorizzare condotte di ravvedimento fiscale, con conseguente riqualificazione del reddito derivante dalla attività economica originariamente non dichiarata). Non è stata mai introdotta una disciplina transitoria espressa.

Ora, il contrasto interpretativo si era delineato in ragione della individuazione (o meno) di limiti applicativi ratione temporis della variazione legislativa.

In particolare, secondo un primo orientamento inaugurato da Sez. I n. 1778 del 11.10.2019, dep. 2020, Ruggieri, la previsione di cui all'art. 31 della legge 17 ottobre 2017, n. 161, secondo la quale il condannato per un reato-spia «non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell'evasione fiscale», ha natura di norma processuale, giacché non eleva l'evasione fiscale a presupposto dell'ablazione, ma introduce, in capo al predetto, un divieto probatorio destinato ad operare nel contesto d'una ricostruzione delle sue capacità economiche da effettuarsi in termini scomposti, ossia in ragione d'anno con riferimento alle risorse necessarie per realizzare gli acquisti nel momento in cui gli stessi sono intervenuti, e non riassuntivi, secondo il metodo di un confronto globale; ne deriva che la suddetta previsione – in ossequio a criteri di ragionevolezza e tutela dell'affidamento – «non può trovare applicazione», anche nei procedimenti in corso, «in relazione a ricostruzioni patrimoniali relative ad anni anteriori a quello di sua introduzione». 

In tale ricostruzione giuridica (seguita anche da Sez. III n. 11599/2021; Sez. V n.46782/2021 ed altre) si era valorizzato il principio espresso da Sez. U Repaci del 2014, secondo cui in sede di prevenzione - a differenza di quanto accade per la confisca estesa penale - non è consentito fare ricorso da parte del proposto alla dimostrazione, a fini di riequilibrio, di condotte di evasione degli obblighi tributari. Proprio il citato arresto nomofilattico - ex adverso – confermava che, almeno sino alla entrata in vigore della legge 161 del 2017, la allegazione delle condotte di evasione fiscale, sempre a fini di riequilibrio della sproporzione di valori tra redditi e investimenti, è da ritenersi consentita, anche in ragione del fatto che le condotte di evasione fiscale non sono ricomprese nel - pur numeroso - elenco dei reati sorgente. Ciò posto, si era ritenuto che la introduzione del “divieto probatorio” solo nel 2017, con portata innovativa, non potesse in alcun modo retroagire alle ricostruzioni patrimoniali relative agli anni precedenti. Sul punto, si affermava, non viene in rilievo la natura giuridica della confisca estesa, in quanto tale, che è quella di misura di sicurezza atipica, quanto il generale principio espresso nell’art. 11 delle preleggi, per cui – anche in chiave di tutela dell’affidamento – la legge va applicata solo dal momento della sua entrata in vigore. 

Secondo un diverso orientamento, espresso da Sez. II n. 15551 del 4.11.2021, dep.2022, Gallace, nonché da Sez. II n. 6587 del 12.1.2022, Cuku, (ed altre) la disposizione introdotta nel 2017 (in vigore dal 19 novembre 2017) si applica a tutte le vicende processuali in atto, senza limiti di retroattività, in ragione della peculiare caratteristica delle misure di sicurezza (art. 200 cod.pen.), governate dalla legge in vigore al momento della loro applicazione. 

3.1 Le Sezioni Unite, con un ragionamento estremamente articolato, posizionano l’asse interpretativo in una ottica affine al primo degli orientamenti in esame, ma con una importante diversità, nel senso di restringere la inapplicabilità del novum peggiorativo al solo periodo intercorso tra la decisione Sez. Un. Repaci (29 maggio 2014) e la entrata in vigore della legge n.161 del 2017. 

Le linee argomentative possono essere sintetizzate nel modo che segue:

a) viene ribadita la centralità, in un istituto da sempre in tensione con alcuni principi costituzionali come è quello della confisca estesa, dell’onere di allegazione gravante sul condannato, che non significa ‘prova’ della legittima provenienza dei beni sospetti (perché sproporzionati rispetto al reddito) ma introduzione di elementi che rendano «credibile» la provenienza lecita dei beni;

b) viene ribadita la natura giuridica di misura di sicurezza atipica della confisca estesa, sulla scia dei precedenti arresti tra cui Sez. U Crostella del 2021, con valorizzazione del principio (di derivazione giurisprudenziale) della ragionevolezza temporale tra insorgenza della condizione di pericolosità per avvenuta commissione del reato-spia e acquisizione dei beni oggetto di possibile ablazione;

c) si attribuisce un particolare valore di chiarificazione all’intervento nomofilattico rappresentato da Sez. U Repaci del 29 maggio 2014, posto che solo con tale pronunzia si precisava – in modo netto e con la particolare autorità del precedente derivante da pronunzia emessa a sezioni unite – che l’attività economica sottratta alla imposizione fiscale poteva essere allegata come possibile fattore di giustificazione degli acquisti «solo» in caso di procedura di confisca estesa penale (e non poteva essere allegata in sede di prevenzione).

3.2. Da ciò partono le considerazioni ulteriori dell’organo di composizione dei conflitti. Si ritiene, in particolare, che effettivamente la volontà del legislatore del 2017 è quella di inserire un “limite probatorio” riferito alla dimensione e all’oggetto dell’onere di allegazione difensiva. Da ciò deriva l’appartenenza concettuale della modifica al terreno del diritto processuale e ciò esclude che possa venire in rilievo – come chiave di soluzione del problema – la natura giuridica di misura di sicurezza della confisca (ed in ciò si contrasta in radice il secondo orientamento).

Dunque per le Sezioni Unite la disposizione regolatrice del diritto intertemporale è, nel caso in esame, quella dell’art. 11 disp. prel. cod. civ., il che porta a ritenere, conformemente al primo orientamento, che il limite probatorio – in una ricostruzione patrimoniale necessariamente scomposta temporalmente – possa trovare applicazione solo per gli acquisti posteriori al 19 novembre 2017.

Tuttavia si precisa che il limite alla applicazione all’indietro nel tempo del divieto probatorio sussiste esclusivamente per il periodo in cui – dopo le Sezioni Unite Repaci del 2014 – si era stabilizzata la opzione interpretativa che riteneva possibile simile tipologia di allegazione difensiva e ciò in ragione del fatto che solo con l’intervento delle Sezioni Unite, tale da stabilizzare l’assetto interpretativo, si era creato il tutelabile «affidamento» in tale modalità di esercizio del diritto di difesa. 

 

4. Appartiene al giudice di pace, dopo l'entrata in vigore delle modifiche introdotte dall'art. 2, comma 1, lett. b), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, la competenza per materia ex art. 4, comma 1, lett. a), d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274 in ordine al delitto di lesione personale di cui all'art. 582 cod. pen., nei casi procedibili a querela, anche quando comporti una malattia di durata superiore a venti giorni e fino a quaranta giorni, fatte salve le ipotesi espressamente escluse dall'ordinamento.

(Cass. Sez. Un. n. 12759 del 14 dicembre 2023, dep. 28 marzo 2024, Laurenzi). 

Le Sezioni Unite penali con la decisione n.12759 del 2024 hanno risolto un contrasto interpretativo relativo alle conseguenze – in punto di competenza giurisdizionale- delle variazioni apportate al testo dell’art. 582 cod. pen. dal decreto legislativo n.150 del 2022.

Come è noto, in un quadro complessivo di estensione della procedibilità a querela di parte, la riforma Cartabia ha invertito, nel testo dell’art.582 cod. pen. il rapporto tra regola e eccezione in punto di procedibilità. La procedibilità a querela di parte è diventata la regola (con riscrittura del comma 1 della disposizione) lì dove le ipotesi di procedibilità di ufficio sono state allocate all’interno del secondo comma della disposizione stessa. Al contempo, nessuna variazione è contestualmente intervenuta al testo dell’articolo di legge che regolamenta la competenza del giudice di pace (art. 4 comma 1 lett. a del d.lgs. n.274 del 2000) ove si legge: «[...] 582 limitatamente alle fattispecie di cui al secondo comma perseguibili a querela di parte […]». La questione emersa in sede applicativa riguarda il caso delle lesioni implicanti durata della malattia superiori a venti giorni e contenute nel limite dei quaranta giorni divenute (nella maggior parte dei casi, salve ipotesi specifiche) procedibili a querela di parte. 

Peraltro la attribuzione legale di competenza al Tribunale o al Giudice di Pace determina variazioni circa le conseguenze sanzionatorie dell’eventuale condanna, atteso il particolare catalogo di sanzioni applicabile dal Giudice di Pace ai sensi dell’art. 52 del d.lgs. n.274 del 2000 (pena pecuniaria, permanenza domiciliare o lavoro di pubblica utilità). 

Vi è stato dunque un visibile “disallineamento” dell’intervento di novellazione che non si è esteso al testo della disposizione regolatrice della competenza del Giudice di Pace e che ha determinato incertezze applicative e diversità di soluzioni nomofilattiche. In particolare, per l’ipotesi del transito della competenza al giudice di pace della ipotesi di cui sopra, con interpretazione estensiva del contenuto dell’art. 4 d.lgs. n.274 del 2000 si sono espresse, tra le altre, Sez. V n. 12517/2023, n.36812/2023, n. 41372/2023, mentre per la tesi della avvenuta esclusione in toto della competenza del giudice di pace per tutti i casi di lesione personale, in ragione del limite insuperabile della interpretazione letterale si è espressa Sez. V n.40719/2023 (il rinvio espresso nel testo dell’art. 4 d.lgs. n.274 del 2000 si dirige ad una parte dell’art. 582 cp che non contiene ipotesi procedibili a querela).

4.1. Le linee argomentative che hanno condotto le Sezioni Unite ad affermare il principio di diritto evidenziato in apertura possono essere così sintetizzate:

a) si ribadisce che l’interpretazione di una disposizione di legge non può mai travalicare il significato delle parole contenute nella disposizione (secondo il senso comune delle medesime) secondo il criterio della interpretazione letterale;

b) la possibile interpretazione estensiva deve dunque, necessariamente, basarsi su uno dei significati ‘estraibili’ in modo chiaro dal testo della disposizione da interpretare, senza poter valorizzare con portata decisiva il contenuto di lavori preparatori o relazioni illustrative; 

c) il ricorso alla analogia, pur possibile in campo processuale penale, presuppone la previa individuazione della lacuna da colmare.

Tutto ciò posto, viene al contempo evidenziato che la questione della “fedeltà al testo” non significa ignorare la necessità di un esame coordinato della singola disposizione con altre disposizioni di pari rango, al fine di individuare il significato e l’ambito applicativo di ciascuna di esse. 

L’interprete deve tener conto della necessità di ricostruire, in caso di interferenze tra più norme, un insieme le cui parti siano reciprocamente coerenti (v. Sez. Un. 22474 del 2016 Passarelli). 

4.2. Da qui muove la ricognizione del “rapporto tra norme” che conduce alla considerazione della sostanziale irrilevanza della indicazione, nel corpo dell’art. 4 d.lgs. n.274 del 2000 della allocazione topografica dei casi di procedibilità a querela nel testo dell’art.582 del codice penale (primo o secondo comma), con prevalenza del senso del rinvio alle ipotesi (tutte) di procedibilità a querela del reato di lesioni personali. 

Nella operazione ermeneutica viene valorizzato il rapporto tra legge delega (l. n. 468 del 1999) e decreto delegato (n. 274 del 2000) allo scopo di riconoscere il portato della attribuzione al giudice di pace delle ipotesi di reato di lesioni procedibili a querela, nonché la natura di rinvio formale o mobile del testo dell’articolo 4 GdP, tale da seguire l’evoluzione nel tempo della norma richiamata (confermato da Corte Cost. n. 236 del 2018). Il rinvio, ove si accedesse alla interpretazione meramente letterale suggerita da Sez. V n.40719/2023 resterebbe del tutto privo di effetto, in modo irragionevole ed estraneo alle visibili intenzioni del legislatore. 

Ciò che si realizza, pertanto, lì dove le Sezioni Unite affermano che la competenza del Giudice di Pace non solo è ancora vigente ma «ingloba» tutti i casi in cui il reato di lesioni risulti procedibile a querela è una interpretazione «sistematica», tesa a estrarre dai testi delle disposizioni coinvolte il significato più coerente con il complessivo contesto normativo. 

4.3. Infine le Sezioni Unite hanno evidenziato che il transito dalla competenza del Tribunale a quella del Giudice di Pace del reato di lesioni volontarie (nei limiti prima descritti, con durata della malattia contenuta nei quaranta giorni e non ricorrendo ipotesi specifiche o aggravanti) proprio in ragione della peculiarità del sistema sanzionatorio applicabile dal Giudice di Pace potrebbe risolversi in una variazione meno favorevole per l’imputato, posto che nei reati di competenza del Giudice di Pace non è previsto il beneficio della sospensione condizionale della pena; da ciò la necessità, per i fatti oggetto dei giudizi in corso e commessi prima della entrata in vigore del d.lgs. n.150 del 2022, di una valutazione da operarsi in concreto, da parte del Tribunale (che può applicare le pene del giudizio di pace) caso per caso, in punto di concedibilità o meno della pena sospesa (ritenuto esito potenzialmente più favorevole rispetto all’ applicazione immediata di una delle sanzioni del giudizio di pace, sempre con necessità di uno specifico contraddittorio sul punto).

12/09/2024
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