Magistratura democratica
Pillole di Sezioni Unite

Sentenze di novembre 2023-gennaio 2024

Le più interessanti sentenze emesse dalle Sezioni Unite penali della Corte di cassazione depositate nel periodo novembre 2023-gennaio 2024

1. Le omesse o false indicazioni di informazioni contenute nell’ autodichiarazione finalizzata a conseguire il reddito di cittadinanza integrano il delitto di cui all’art.7 d.l. 28.1.2019 n.4 solo se funzionali ad ottenere un beneficio non spettante ovvero spettante in misura superiore a quella di legge.

(Cass. Sez. Un. n. 49686 del 13.07.2023, dep.13.12.2023, Giudice). 

1.1 Le sezioni unite penali con la decisione n. 49686 del 2023 hanno risolto nel senso di cui sopra un contrasto interpretativo (v. ord. n.2588 del 2023) sorto in merito al perimetro di punibilità della condotta descritta dal primo comma dell’art.7 del d.l. n.4 del 2019, disposizione che testualmente recita: «salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all'articolo 3, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute, è punito con...».

1.2 La questione interpretativa rimessa all’organo di composizione dei conflitti ha riguardato, in particolare, la natura di reato di pericolo presunto (mera condotta di alterazione del vero, sostenuta dal dolo specifico di ottenere l’erogazione del reddito di cittadinanza) o di pericolo concreto (con irrilevanza della condotta di alterazione del vero nelle ipotesi di "non incidenza" delle informazioni alterate o omesse sull’ottenimento della prestazione patrimoniale da parte dell’istante). 

Per la prima opzione ermeneutica si era pronunziata, tra le altre, Sez. III n.5289 del 25.10.2019, dep. 2020, ric. Sacco, rv 278573. In detto arresto, con motivazione ripresa da altre decisioni posteriori (v. Sez. II n.2402 del 5.11.2020, dep.2021; Sez. III n.33808 del 21.4.2021) si è sostenuto che ad integrare il fatto tipico è esclusivamente la falsità o la incompletezza delle informazioni, rese con la finalità di accedere al beneficio del reddito di cittadinanza, non essendo necessario che dette informazioni false abbiano – in concreto - determinato l’erogazione dell’assegno altrimenti non dovuto (o dovuto in misura inferiore).

Per il secondo indirizzo interpretativo si era pronunziata Sez. III n. 44366 del 15.9.2021, Gulino, rv 282336. In detto arresto si è sostenuto che la descrizione legislativa del fatto punibile (al fine di ottenere indebitamente il beneficio) porta a ritenere che ai fini della punibilità l’erogazione del sussidio debba risultare non dovuta o dovuta in quantità inferiore, con efficacia causale delle false indicazioni o delle omissioni su detto effetto. In tale direzione si era posta, tra le altre, Sez. II n. 29910 del 8.6.2022, Pollara, rv 283787 .

1.3 Le Sezioni Unite nell’affrontare il tema devoluto hanno aderito al secondo degli orientamenti in contrasto ed hanno anzitutto precisato che la particolare disposizione incriminatrice contenuta nella disciplina del reddito di cittadinanza si differenzia – anche per l’intero contesto normativo in cui si colloca – con la disposizione in tema di falsità di dichiarazioni rese in sede di domanda di ammissione al patrocinio a spese dello Stato (art.95 dPR n.115 del 2002). 

Tale precisazione si è resa necessaria in ragione del fatto che il primo orientamento, teso a valorizzare la dolosa alterazione del vero "in quanto tale", prendeva le mosse dal principio di diritto affermato (quanto all’art.95 del dPR n.115 del 2002 in tema di ammissione al gratuito patrocinio) da Sez. Unite n. 6591 del 27.11.2008, dep.2009, Infanti.  

Viene evidenziato, in particolare, che la disciplina del gratuito patrocinio è finalizzata a garantire l’effettività della difesa nel processo penale e si basa su cadenze procedimentali improntate alla massima celerità, sicché i dati comunicati con la domanda assumono un ruolo pressoché decisivo e ciò comporta la possibile evocazione di un «dovere di lealtà» del cittadino, tale da integrare (in quel caso) l’oggetto giuridico della tutela penale . 

Nel caso della domanda di erogazione del reddito di cittadinanza vi sono profonde diversità sia strutturali che funzionali, il che impedisce di ritenere corretta la identificazione del bene protetto (v. sentenza Sacco) nel «dovere di lealtà del cittadino verso le istituzioni».

Viene dunque adottato dalle Sezioni Unite lo statuto del delitto di pericolo concreto, in aderenza a canoni interpretativi costituzionalmente orientati ed anche in ragione dell’utilizzo dell’avverbio ‘indebitamente’ da parte del legislatore (tale da qualificare il dolo specifico), con esclusione della punibilità – per mancata integrazione del fatto tipico – nelle ipotesi di falsità o omissioni irrilevanti.

Le sezioni Unite, peraltro, precisano che – in detta chiave interpretativa – l’oggetto giuridico della tutela è rappresentato dal patrimonio dell’ente erogatore e non si tratta di un delitto contro la fede pubblica. 

 

2.   Ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, l’aumento di pena per la recidiva che integri una circostanza aggravante ad effetto speciale non rileva se la stessa sia stata oggetto di contestazione suppletiva dopo la decorrenza del termine di prescrizione previsto per il reato come originariamente contestato.

(Cass. Sez. Un. n. 49935 del 28.9.2023, dep. 14.12.2023, Domingo). 

2.1 Con la decisione n. 49935 del 2023 le Sezioni Unite sono intervenute su un tema definibile come ‘trasversale’, posto a cavallo tra diritto sostanziale e diritto processuale. 

In particolare il contrasto interpretativo oggetto di soluzione è intervenuto circa la ‘incidenza’ sul calcolo della prescrizione della contestazione suppletiva (art.517 cpp) di una circostanza aggravante ad effetto speciale (la recidiva qualificata), posta in essere (in costanza di giudizio di primo grado) dopo la maturazione della prescrizione rispetto al reato come originariamente contestato.

Secondo un primo orientamento, la natura ‘costitutiva’ della contestazione della recidiva impone che, al fine di una sua effettiva "incidenza" sulla entità del termine di prescrizione del reato, la contestazione avvenga prima della consunzione del termine di prescrizione del reato nella forma non aggravata (in tale direzione v. Sez. III n.14439 del 30.1.2014, rv258734). Ciò anche in ragione, secondo alcune pronunzie, dell’obbligo di immediata declaratoria di cause di non punibilità gravante sul giudice che procede ai sensi dell’art. 129 cpp (in tale direzione v. Sez. VI n.  47499 del 22.9.2015, rv 265560) sicché la contestazione "tardiva" non potrebbe far rivivere un reato ormai estinto.

Secondo un diverso orientamento la condizione soggettiva della recidiva necessita, per incidere sulla determinazione della pena, di apposita contestazione ma non è detto che simile contestazione debba avvenire prima della estinzione del reato nella forma non aggravata. Ciò perché la contestazione formale (operata ai sensi dell’art.517 cpp) avrebbe lo scopo di adeguare l’imputazione ad un dato ontologicamente preesistente, il che porta a considerare la maturazione (teorica) della prescrizione – in rapporto al reato non aggravato – come meramente apparente (in tale direzione Sez. V n. 9769 del 19.10.2005, dep.2006, rv 234225; Sez. VI n. 44591 del 4.11.2008, rv 242133 ed altre). 

2.2 Le Sezioni Unite, nell’affrontare il tema muovono dalla considerazione per cui non è corretto attribuire natura «costitutiva» alla contestazione della circostanza aggravante da parte dell’organo dell’accusa. E’ evidente che la circostanza (sia essa intesa come particolare condizione soggettiva o connotazione specifica del fatto di reato) preesiste alla contestazione. La contestazione ha però un indefettibile valore processuale, posto che il giudice non può pronunziarsi su aspetti del fatto o della personalità non oggetto di contestazione (sul tema si indica il recente arresto Corte Cost. n.230 del 2022).

Si pone in evidenza, inoltre, come la chiarezza e precisione della contestazione (anche in rapporto agli elementi circostanziali) componga il nucleo essenziale dei diritti della difesa al giusto processo, come ribadito nell’arresto Sez. U 2019 Sorge in tema di delitti di falso, secondo cui in tema di reato di falso in atto pubblico, non può ritenersi legittimamente contestata, sì che non può essere ritenuta in sentenza dal giudice, la fattispecie aggravata di cui all'art. 476, comma secondo cp, qualora nel capo d'imputazione non sia esposta la natura fidefacente dell'atto, o direttamente, o mediante l'impiego di formule equivalenti, ovvero attraverso l'indicazione della relativa norma.

2.3 Ciò premesso, le Sezioni Unite evidenziano che non è in discussione la – pacifica - facoltà del Pubblico Ministero di rimediare, tramite il potere riconosciuto dall’art.517 cpp, ad una «inerzia o errore» iniziale, con contestazione suppletiva in dibattimento (anche prima della istruttoria) di una circostanza aggravante  nelle ipotesi in cui l’elemento circostanziale esisteva ed era evincibile dagli atti prima dell’esercizio dell’azione penale, sulla scia del risalente insegnamento offerto da Sez. Unite Barbagallo del 1998 .

Il punto è se l’esercizio «ulteriormente differito» di tale potere di integrazione della contestazione possa o meno porsi come condizione di «rinnovata esistenza» di un reato che secondo la regola generale di cui all’art.129 cpp andava – di ufficio - dichiarato già estinto per intervenuta prescrizione (maturata in rapporto alla contestazione originaria).

2.4 A tale quesito viene fornita risposta negativa, essenzialmente per le ragioni di seguito indicate :

a)   la previsione di cui all’art.129 cpp contiene un preciso dovere rivolto al giudice procedente di "immediato" apprezzamento di fatti da cui possa dipendere l’estinzione del reato. Pur non potendosi escludere la necessità di un contraddittorio su tale aspetto, la pronunzia liberatoria è costruita in chiave di obbligo, in presenza delle condizioni di legge;

b)   non può pertanto ritenersi che il mancato adempimento di un obbligo gravante sul giudice – ossia la dichiarazione di avvenuta estinzione del reato per prescrizione – crei l’esistenza di un valido spazio procedimentale in cui collocare la contestazione suppletiva inerente la recidiva in modo efficace.

La decisione, pertanto, valorizza l’obbligo di intervento ex officio del giudice nelle ipotesi di constatazione immediata delle ‘cause di non punibilità’ di cui all’art.129 comma 1 cpp – quantomeno in rapporto alla intervenuta estinzione del reato per prescrizione – anche in chiave di deroga alle modalità di trattazione ordinaria della fase processuale in cui si colloca l’intervento giudiziale, lì dove si afferma che l’attivazione del giudice in simili casi deve essere tempestiva e tale da precludere la stessa ‘prosecuzione’ del giudizio (nel corso della quale potrebbe aver luogo, come nel caso oggetto della decisione, l’iniziativa del Pubblico Ministero ai sensi dell’art.517 cpp). 

In ogni caso una prosecuzione del giudizio posteriore alla maturazione della causa estintiva rispetto alla formulazione originaria della imputazione sarebbe un contenitore «inidoneo» alla effettiva incidenza di iniziative della parte pubblica, tese a rimediare alla precedente inerzia.   

2.5 In ciò, peraltro, pare che le Sezioni Unite abbiano introdotto un passaggio «evolutivo» nella interpretazione della norma rispetto ad un precedente arresto del medesimo organo di composizione dei conflitti.   

In particolare, con la decisione Sez. Unite 2005 PG in proc. De Rosa si era affermato che l'art. 129 cod. proc. pen. non attribuisce al giudice un potere di giudizio ulteriore ed autonomo rispetto a quello già riconosciutogli dalle specifiche norme che regolano l'epilogo proscioglitivo nelle varie fasi e nei diversi gradi del processo - artt. 425, 469, 529, 530 e 531 stesso codice -, ma enuncia una regola di condotta rivolta al giudice che, operando in ogni stato e grado del processo, presuppone un esercizio della giurisdizione con effettiva pienezza del contraddittorio. 

La decisione del 2005, in particolare, pur intervenuta sulla fase della udienza preliminare, afferma in modo chiaro che la esistenza della disposizione generale di cui all’art.129 cpp non va vista come potere (anche in rito) atipico di intervento del giudice in tema di decisione della res iudicanda, dovendosi armonizzare il contenuto della disposizione con le specifiche norme che regolamentano la attività decisoria in ogni singola fase del procedimento.  

Da qui la considerazione per cui lì dove la estinzione del reato, come originariamente contestato, vada a collocarsi in fase dibattimentale già in atto, la decisione «immediata» ai sensi dell’art.129 cpp, ipotizzata come necessaria nell’arresto in commento, dovrebbe – quantomeno – essere preceduta da un invito del giudice procedente – rivolto alle parti – a rassegnare le proprie conclusioni, non potendosi prescindere dalla osservanza della sequenza processuale di cui agli articoli 523 e ss. cod.proc.pen. .  

Si tratta, in ogni caso, di considerazioni da svilupparsi in rapporto alla evoluzione della giurisprudenza, fermo restando che il ragionamento espresso nella sentenza Domingo risulta impostato essenzialmente in chiave di necessario rispetto delle «sequenze procedimentali» relative all’esercizio dei poteri delle parti, anche in chiave di tutela della parità di armi ed effettività del contraddittorio. 

17/05/2024
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