1. Non assimilabilità alla indennità di fine rapporto, agli effetti dell’art. 12-bis della legge n. 898 del 1970, dell’incentivo all’esodo percepito alla conclusione del rapporto di lavoro dall’ex coniuge obbligato al pagamento dell’assegno divorzile all’ex coniuge non passato a nuove nozze
(Cassazione, Sezioni Unite, n. 6229 del 7 marzo 2024)
Le Sezioni Unite, a composizione di un contrasto, enunciano il seguente principio di diritto: «La quota dell'indennità di fine rapporto spettante, ai sensi dell'art. 12-bis della l. n. 898 del 1970 n. 898, introdotto dall'art. 16 l. n. 74 del 1987, al coniuge titolare dall'assegno divorzile e non passato a nuove nozze, concerne non tutte le erogazioni corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, ma le sole indennità, comunque denominate, che, maturando in quel momento, sono determinate in proporzione della durata del rapporto medesimo e dell'entità della retribuzione corrisposta al lavoratore; tra esse non è pertanto ricompresa l’indennità di incentivo all’esodo con cui è regolata la risoluzione anticipata del rapporto di lavoro».
Sollecitate dalla Prima Sezione civile con l’Ordinanza interlocutoria n. 12014/2023, che evidenziava il contrasto di giurisprudenza a proposito della dell’assimilabilità dell’indennità di incentivo all’esodo al trattamento di fine rapporto, ai fini dell’applicazione dell’art. 12-bis l. n. 898/1970, le Sezioni Unite Civili con la sentenza n. 6229 pubblicata il 7 marzo 2024 hanno risposto al quesito posto in senso negativo.
Partendo dalla considerazione del disposto dell’art. 12-bis cit., il quale prescrive, al primo comma, che il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell'art. 5, ad una percentuale dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge all'atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l'indennità viene a maturare dopo la sentenza, in misura pari al quaranta per cento dell'indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio, le Sezioni Unite hanno escluso che nella detta indennità sia ricompreso il cosiddetto incentivo all’esodo, ossia quella prestazione cui, in base a un intercorso accordo negoziale, è tenuto il datore di lavoro a fronte della disponibilità, manifestata dal lavoratore, di addivenire allo scioglimento anticipato del rapporto di prestazione d’opera. Tale conclusione si fonda sulla considerazione della natura di tale indennità, che non opera quale retribuzione differita, sicché è da escludere la conseguente necessità di farne partecipe il coniuge che di tale retribuzione ha già fruito sotto forma di assegno divorzile. In effetti, tale indennità non si raccorda ad entità economiche maturate nel corso del rapporto di lavoro, onde non trova fondamento giustificativo l’apprensione di una quota di essa da parte del coniuge che ha diritto alla percezione dell’assegno di divorzio: l’esigenza di assicurare, in chiave assistenziale e perequativo-compensativa, una ripartizione dei redditi maturati nel corso del matrimonio qui non ricorre, proprio in quanto non si è in presenza di proventi accantonati nel corso della vita coniugale e divenuti esigibili al cessare del rapporto lavorativo; si è piuttosto al cospetto di un’attribuzione patrimoniale discendente da un sopravvenuto accordo con cui si remunera il coniuge lavoratore per il prestato consenso all’anticipato scioglimento del rapporto di lavoro.
Né a diversa conclusione può pervenirsi in base alla considerazione per cui, secondo la normativa tributaria, posto che l'incentivo all'esodo ha sicuramente la natura di corrispettivo versato al prestatore di lavoro in cambio del suo consenso alla cessazione anticipata del rapporto di lavoro, e dunque si risolve in una remunerazione erogata in dipendenza del rapporto di lavoro, le somme a tale titolo corrisposte devono essere assoggettate a tassazione separata, non diversamente da ciò che accade per il trattamento di fine rapporto, posto che il regime fiscale dell’indennità in parola non interferisce con la qualificazione della stessa sul piano civilistico.
Nello svolgimento dell’indagine sul portato dell’art. 12-bis l. n. 898 del 1970, indagine volta a individuare le erogazioni rientranti nella fattispecie «indennità di fine rapporto» ivi rappresentata, le Sezioni Unite ribadiscono la priorità del criterio dettato dall’art. 12 delle preleggi, basato sulla lettera e sulla ratio della norma, e che dunque non può prescindere dalla considerazione del significato manifestato dalle parole impiegate dal legislatore e dell’interesse specifico tutelato dalla disposizione di legge: così da negare rilievo a una disciplina, quella fiscale, che obbedisce a fini del tutto diversi.
Deve escludersi “― perché ciò si tradurrebbe in una distorsione del portato precettivo del cit. art. 12 delle preleggi ―, che la lettera della norma da interpretare e la ratio che questa è in grado autonomamente di esprimere possano essere trascurati in considerazione del significato da attribuire a disposizioni che perseguano interessi diversi e che si occupino, per altri scopi, del medesimo fatto o della medesima situazione giuridica presi in considerazione dalla suddetta norma”: l’intenzione del legislatore deve essere individuata avuto riguardo prioritariamente al testo della norma oggetto di specifico esame e, solo in via subordinata e complementare, in ciò che può desumersi in termini generali dalle finalità perseguite da un più ampio complesso normativo in cui quel testo è inserito.
2. Condizioni per la deroga al principio di sospensione automatica in caso di proposizione del ricorso in sede giurisdizionale a fronte del rigetto della Commissione territoriale della domanda di protezione internazionale per manifesta infondatezza – Ammissibilità del rinvio pregiudiziale ex art. 363 bis c.p.c. in relazione a questione insorta in un procedimento cautelare
(Cassazione, Sezioni Unite, n. 11399 del 29 aprile 2024)
Le Sezioni Unite con la sentenza n. 11399 del 2024 hanno affermato in primo luogo che il rinvio pregiudiziale di cui all’art. 363 bis c.p.c. può riguardare questioni di diritto che sorgano in procedimenti cautelari ante o in corso di causa, quando si tratti di quesiti necessari a definire, anche in modo parziale il giudizio, non rilevando che il provvedimento conclusivo possa non essere immediatamente ricorribile per cassazione ex art. 111 Cost.
Nel merito, hanno affermato che il principio generale della sospensione automatica degli effetti del provvedimento di rigetto della domanda di protezione internazionale, emesso dalla Commissione territoriale che sia oggetto d’impugnazione, può essere derogato, in caso di statuizione di manifesta infondatezza dovuta a provenienza del cittadino straniero da Paese terzo inserito nell’elenco (contenuto in decreto interministeriale aggiornato periodicamente) dei Paesi Sicuri, ma soltanto nel caso in cui la commissione territoriale abbia correttamente applicato le regole proprie della procedura accelerata, rispettando le condizioni imposte dalla legge (tempestiva comunicazione del canale processuale da parte del Presidente della Commissione territoriale e rispetto dei termini endoprocedimentali). In ipotesi contraria, quando la procedura accelerata non sia stata rispettata nelle sue articolazioni procedimentali, si determina il ripristino della procedura ordinaria ed il riespandersi del principio generale di sospensione automatica del provvedimento della Commissione territoriale.
3. Titolo esecutivo giudiziale ed applicazione degli interessi ex art. 1284, comma 4 c.c.
(Cassazione, Sezioni Unite, n. 12449 del 7 maggio 2024)
Le Sezioni Unite risolvono il contrasto giurisprudenziale sul saggio di interesse da applicarsi alle sentenze di condanna che dispongano il pagamento degli interessi legali senza alcuna specificazione, affermando che la misura degli interessi corrisponde al saggio previsto dall’art. 1284, comma 1, cod. civ. se manca, nel titolo esecutivo giudiziale, anche sulla base di quanto risultante dalla sola motivazione, l’accertamento della ricorrenza dei presupposti applicativi della particolare fattispecie prevista dall’art. 1284, comma 4, c.c.
La premessa logica della statuizione è la - relativa - autonomia della fattispecie prevista dall’art. 1284, comma 4, c.c., produttiva dei c.d.” super interessi” (interessi nella misura stabilita dalla legislazione speciale per il ritardo nel pagamento delle transazioni commerciali), sì che ai fini della sua applicazione occorre accertare la ricorrenza dei relativi presupposti, ulteriori rispetto a quelli cui la legge ricollega la spettanza degli interessi nella misura legale.
Le Sezioni Unite escludono dunque la generalizzata applicazione degli interessi ex art. 1284, comma 4, c.c. dal momento in cui è proposta una domanda giudiziale ed a prescindere dalla natura della obbligazione oggetto del rapporto sostanziale controverso, dovendo essere oggetto di specifico accertamento da parte del giudice della cognizione: a) la natura della fonte dell’obbligazione; b) l’esistenza di una determinazione contrattuale degli interessi; c) l’ individuazione della data di proposizione della domanda giudiziale quale momento rilevante per la decorrenza degli interessi in oggetto.
Da ciò consegue che il titolo esecutivo giudiziale deve contenere l’accertamento dei presupposti applicativi dell’autonoma fattispecie di cui all’art. 1284, comma 4, c.c., applicandosi, in difetto, gli interessi nella misura legale, in quanto il giudice dell’esecuzione non ha poteri di cognizione ed integrazione del titolo, ma è tenuto limitarsi a dare attuazione al comando ivi contenuto.
4. Inapplicabilità della sospensione feriale dei termini nelle cause concernenti l’assegno di mantenimento di coniuge e/o figli in sede separativa e divorzile
(Cassazione, Sezioni Unite, n. 12946 del 13 maggio 2024)
Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 12946 del 2024 hanno risolto il dubbio interpretativo prospettato dalla Prima Sezione Civile in ordine alla derogabilità del regime ordinario della sospensione feriale dei termini processuali nelle cause relative all’assegno di mantenimento dei figli o dei coniugi in sede separativa o divorzile, precisando che il problema dell’applicazione del Reg. CE n. 41 del 2009 (che ha esteso la nozione di debito alimentare familiare) al regime giuridico della sospensione feriale dei termini non si pone perché il requisito dell’urgenza è correlato all’ambito di operatività del Regolamento, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari e non al regime processuale interna di dettaglio peraltro applicato a causa non transfrontaliera. Per quanto riguarda poi l’applicazione dell’art. 83, c.3, lettera a) del d.l.18 del 2020, si tratta di disciplina normativa speciale ed a termine riferibile esclusivamente ad un contesto temporale eccezionale e provvisorio (periodo COVID) del tutto inidonea a derogare al regime generale di sospensione feriale dei termini processuali.
5. Mutuo bancario a tasso fisso con ammortamento “alla francese” e validità dell’oggetto del contratto
(Cass. Sez. Unite, n. 15130 del 29 maggio 2024)
L’ammortamento “alla francese” è caratterizzato dal fatto che il rimborso del capitale e degli interessi avviene secondo un piano che prevede il pagamento del debito “ a rate costanti” comprensive di una quota di capitale crescente ed una quota di interessi decrescente: il mutuatario si obbliga a pagare rate di importo identico composte e gli interessi sono da subito calcolati sull’intero capitale erogato benché quest’ultimo non sia ancora integralmente esigibile.
Le Sezioni Unite escludono che tale forma di ammortamento determini un effetto anatocistico, in quanto gli interessi dovuti sulle singole rate sono calcolate sul capitale residuo, non ancor restituito, senza che si verifichi l’addebito di interessi sugli interessi maturati, che è l’ipotesi disciplinata dall’art. 1283 c.c.
Sulla base di una pluralità di indici normativi (art. 820, comma 3, c.c.; art. 1820 c.c.; art. 182, comma 1, c.c.; art. 1185, comma 2, c.c.; artt.1193 e 1194 c.c.) la pronuncia in esame afferma la legittimità dell’effetto tipico dell’ammortamento alla francese in forza del quale gli interessi diventano convenzionalmente esigibili prima che diventi esigibile il capitale.
L’omessa indicazione, nel contratto di mutuo bancario, del regime di capitalizzazione “composto” degli interessi debitori, non comporta inoltre la nullità per indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto, allorquando il contratto contenga le indicazioni proprie del tipo legale (art. 1813 e ss. c.c.), vale a dire la chiara ed inequivoca indicazione dell’importo erogato, della durata del prestito, della periodicità del rimborso ed il tasso di interesse predeterminato.
La maggior quota di interessi complessivamente dovuti in presenza di “ammortamento alla francese” rispetto a quello “all’italiana” non costituisce un prezzo ulteriore o occulto, ma è il naturale effetto della scelta concordata di prevedere che il piano di rimborso si articoli nel pagamento di una rata costante e non decrescente.
Da ciò la conseguenza che la mancata esplicitazione del regime di ammortamento non determina mancanza di trasparenza delle condizioni contrattuali, né violazione dell’art. 117 Tub, in quanto né tale disposizione, nè la normativa più recente richiede l’esplicitazione del regime di ammortamento nel contratto.