1. La disposizione contenuta nell’art. 573 comma 1-bis, introdotta dall’art.33 del d.lgs. n.150 del 10 ottobre 2022 si applica alle impugnazioni per i soli interessi civili proposte relativamente ai giudizi nei quali la costituzione di parte civile sia intervenuta in epoca successiva al 30 dicembre 2022, data di sua entrata in vigore (Cass. Sez. Un. n. 38481 del 25.05.2023, dep. 21.09.2023, Dell’Aguzzo).
Le sezioni unite penali con la decisione n. 38481 del 2023 sono intervenute su uno dei primi dubbi interpretativi sorti in riferimento all’intervento di riforma realizzato con il d.lgs. n.150 del 2022.
Come è noto, una delle novità di maggior rilievo – nel settore delle impugnazioni – è rappresentata dalla previsione introdotta al comma 1-bis dell’art.573 c.p.p., secondo cui quando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, il giudice d’appello e la Corte di cassazione, se l’impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice civile o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile.
Si è in tal modo realizzata una inedita translatio iudicii della decisione sul contenuto della impugnazione, dall’ambito penale (ove resta trattata la impugnazione per gli interessi civili che sia proposta ‘accanto’ alla impugnazione a fini penali) a quello civile, con prevedibili dubbi applicativi in punto di ricostruzione dell’assetto sistematico.
Analogo meccanismo di transizione è stato introdotto (v. art. 578 comma 1 bis) nella ipotesi di impugnazione proposta sia a fini penali che a fini civili, nella ipotesi di sopravvenuta improcedibilità dell’azione penale.
1.1. La questione interpretativa rimessa all’organo di composizione dei conflitti ha riguardato, in prima battuta, il profilo del diritto intertemporale.
Secondo un primo indirizzo interpretativo la disposizione de qua – vigente a far data dal 30 dicembre 2022 – sarebbe di immediata applicazione, in assenza di espressa disposizione transitoria, con la conseguenza del necessario "rinvio" al giudice o alla sezione civile competente di tutte le impugnazioni, per i soli interessi civili, «pendenti» e non ancora trattate (in tale direzione Sez. IV n. 2854 del 11.01.2023, rv 284012; Sez. II n. 6690 del 02.02.2023, rv 284216).
Per altro indirizzo interpretativo la nuova disposizione trova applicazione – in ossequio ai principi generali in tema di successione di leggi processuali nel tempo come declinati da Sez. U Lista del 2007 – esclusivamente in riferimento ad atti di impugnazione proposti avverso sentenze che siano state depositate dopo la data di entrata in vigore (30 dicembre 2022).
In tale direzione si sono poste, tra le altre, Sez. V n. 3990 del 20.01.2023, rv 284019; Sez. V n. 4902 del 16.01.2023, rv 284121.
1.2. Le Sezioni Unite nell’affrontare il tema devoluto hanno elaborato una soluzione diversa da quelle che hanno alimentato il conflitto, in ragione della avvertita necessità di assicurare il maggior livello possibile di tutela agli interessi (e all’affidamento) del soggetto costituitosi parte civile.
Si è, pertanto, affermato il principio secondo cui la nuova disposizione, pur regolamentando la fase (eventuale) della impugnazione può trovare applicazione solo lì dove l’atto di costituzione di parte civile sia stato formalizzato dopo l’entrata in vigore del novum legislativo.
Le principali ragioni poste a sostegno della decisione possono essere sintetizzate nel modo che segue:
a) l’intervento di novellazione ha, in modo significativo, riguardato anche la previsione di legge in tema di costituzione di parte civile (art. 78 c.p.p.), essendo stata specificata, a differenza dal passato, la necessità di esporre ab initio le ragioni che giustificano la domanda «agli effetti civili» . Da ciò si desume la necessaria continuità del procedimento sorto dalla domanda iniziale e innestatosi originariamente su quello penale, il che porta ad escludere una possibile "riformulazione" della domanda civile a seguito della translatio iudicii posteriore alla verifica di ammissibilità;
b) se ciò è vero, viene in rilievo la necessità di tutela dell’affidamento (riposto dalla parte nella conformità alla legge e nella correlata capacità di produrre effetti dell’atto compiuto sotto la previgente normativa), quale principio generalissimo, di rilevo costituzionale e convenzionale;
c) va pertanto modulata la vigenza delle nuove disposizioni in modo tale da garantire alla parte civile il massimo grado di tutela, con permanenza degli effetti (anche di quelli prospettici in tema di impugnazione e di regole decisòrie del giudizio) degli atti di costituzione di parte civile depositati entro la data del 30 dicembre 2022.
2. L’apertura della procedura fallimentare non osta alla adozione o al mantenimento, se gà disposto, del provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca relativa ai reati tributari (Cass. Sez. Un. n. 40797 del 22.06.2023, dep. 06.10.2023, Fallimento lavanderia Giglio).
2.1. Con la decisione n.40797 del 2023 le Sezioni Unite sono nuovamente intervenute sui rapporti tra sequestro preventivo e dichiarazione di fallimento relativa a beni ricollegabili ad una condotta illecita o comunque destinati alla confisca, nel particolare ambito dei reati tributari.
Il tema giuridico sotteso alle diverse letture delle disposizioni coinvolte resta – come nei precedenti interventi dell’organo di composizione dei conflitti - quello
della contrapposizione tra le aspettative di tutela dei creditori (a non veder svanire la possibilità di soddisfare i crediti derivanti dalle ordinarie attività relazionali) e la imposizione di un vincolo di natura pubblicistica – su beni ricollegabili all’autore di un reato - finalizzato alla esecuzione di una delle diverse forme di confisca.
In tale ambito, ci si è in particolare interrogati – al di là del tema della esatta qualificazione della incidenza del fallimento sulla titolarità dei beni - sulla possibile valenza della «anteriorità» della iniziativa, lì dove la dichiarazione di fallimento (o della liquidazione giudiziale, secondo la nuova denominazione introdotta dal Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza del 2019) preceda l’emissione del decreto di sequestro preventivo ai sensi dell’art.321 comma 2 c.p.p. . In talune pronunzie delle sezioni semplici si è ritenuto, infatti, che l’ anteriorità della dichiarazione di fallimento impedisca l’adozione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca.
2.2. Nell’affrontare il tema, le Sezioni Unite si soffermano sul particolare rilievo da attribuirsi alle disposizioni di cui agli articoli 317 e ss. del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, posto che – a far data dal 15 luglio del 2022 – è testualmente prevista l’applicabilità, in tutti casi di sequestro preventivo incidente su beni del debitore, dello ‘statuto regolativo’ di cui agli articoli 52 e ss. del Codice antimafia (d. lgs. n.159 del 2011). Da ciò deriva che la cautela reale finalizzata alla confisca prevale sempre sulla dichiarazione di fallimento (lì dove vi sia coincidenza di beni) ma – al tempo stesso – le aspettative di tutela dei creditori non svaniscono, essendo affidate alla verifica di ricorrenza dei presupposti (assenza di strumentalità/ buona fede) cui la legge ricollega la possibilità di soddisfazione della pretesa.
Tuttavia, viene al tempo stesso affermata – dalle Sezioni Unite – la impossibilità di adottare, in via interpretativa, siffatto modello come criterio regolativo delle situazioni processuali venute in essere in un momento antecedente alla data (15 luglio 2022) di vigenza del novum legislativo.
2.3. Per quanto concerne i rapporti giuridici antecedenti – ed in rapporto alla confisca correlata ai reati tributari regolamentata dall’art. 12 bis del d.lgs. n.74 del 2000 – l’opzione seguita nella decisione in esame è quella della «prevalenza» delle esigenze recuperatorie del profitto (anche per equivalente) del reato, rispetto alle esigenze di tutela dei creditori concorsuali. Da ciò deriva l’affermazione del principio di diritto per cui il sequestro preventivo penale non trova ostacolo di fattibilità ed eseguibilità, ance in rapporto a beni ricompresi nella massa attiva di un fallimento già dichiarato.
Ciò perché, si ribadisce, il fallito conserva la titolarità dei beni attratti alla massa fallimentare sino alla conclusione della procedura. I beni in questione, pertanto, non possono essere esclusi dall’area della confiscabilità, perché non «appartengono» a persona estranea al reato. Si precisa, in particolare, che la riconosciuta legittimazione del curatore fallimentare ad impugnare i provvedimenti impositivi di cautela reale (affermata da Sez. Un. n.45936 del 26.09.2019, Fallimento Mantova Petroli) non implica la prevalenza dei crediti concorsuali rispetto al sequestro, trattandosi di legittimazione ricollegabile ai poteri gestori e finalizzata a consentire l’esercizio processuale delle richieste attinenti la misura.
3. Nel delitto di furto, il fine di profitto che integra il dolo specifico del reato va inteso come qualunque vantaggio anche di natura non patrimoniale perseguito dall’autore (Cass. Sez. Un. n. 41570 del 25.05.2023, dep. 12.10.2023, Caradonna).
Le Sezioni Unite sono state chiamate a pronunziarsi sulla identificazione della finalità di profitto che connota il delitto di furto.
Il contrasto interpretativo è sorto in riferimento alla possibilità o meno di ritenere sussistente la finalità di profitto (che rende punibile ai sensi dell’art. 624 cod.pen. l’impossessamento della cosa mobile altrui) anche nelle ipotesi in cui il vantaggio preso di mira dall’agente non sia di natura puramente economica ma correlato al soddisfacimento di un qualsiasi interesse, anche psichico (finalità di dispetto, ritorsione, vendetta).
Nel risolvere il contrasto, le Sezioni Unite affermano – in linea con l’orientamento maggioritario - che la finalità di profitto non va intesa in senso meramente economico e ciò sia in riferimento al criterio della interpretazione letterale che per considerazioni di ordine sistematico.
Premesso che la questione si riflette sulla delimitazione della punibilità o sulla interferenza con altre figure di reato, in forza della selezione normativa della finalità correlata all’impossessamento della res altrui, viene in primis evidenziato che già sul piano del significato comune, la parola «profitto» non viene correlata esclusivamente all’incremento economico, finendo per identificarsi in qualunque giovamento o vantaggio (non necessariamente valutabile in chiave economica).
Ciò esclude che possa venire in rilievo un deficit di chiarezza e precisione dell’enunciato normativo.
In secondo luogo viene rimarcato come debba esistere – in ogni caso - un nesso funzionale tra l’impossessamento e la realizzazione di un (qualsiasi) vantaggio che l’autore intende trarne.
Dunque il vantaggio può derivare dall’uso o comunque dal godimento esclusivo – anche non prolungato- del bene, il che consente di affermare che il profitto rilevante è quello che deriva dal possesso, ossia dalla conservazione e dal godimento del bene altrui.
4. Qualora l’imputato, nella vigenza della normativa antecedente il d.lgs. n.150 del 2022, abbia eletto domicilio presso il difensore di ufficio ma quest’ultimo non abbia accettato l’elezione, la notificazione dell’atto di citazione va realizzata ai sensi degli artt. 157 e 159 cod.proc.pen. e non mediante consegna di copia al medesimo difensore;
Il provvedimento con cui il giudice del dibattimento dichiari la nullità dell’atto di citazione a giudizio per vizi relativi alla sua notificazione e disponga la trasmissione degli atti al pubblico ministero è abnorme, perché avulso dal sistema processuale (Cass. Sez. Un. n. 42603 del 13.07.2023, dep. 18.10.2023).
1. Con la decisione n.42603 del 2023 le Sezioni Unite sono intervenute su due temi di carattere processuale: a) la portata precettiva della specifica previsione di legge che prevede il necessario assenso del difensore di ufficio indicato come domiciliatario (ai sensi dell’art. 162 comma 4 bis c.p.p.) ; b) la qualificazione di abnormità, o meno, del provvedimento con cui il giudice del dibattimento, in presenza di vizi della notificazione dell’atto di citazione, disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero.
1.1. Quanto al primo tema era sorto un conflitto interpretativo circa le conseguenze del mancato assenso del difensore domiciliatario e la possibilità di ricorrere alla modalità di notifica di cui all’art.161 comma 4 c.p.p. .
Per un primo orientamento la notifica dell’atto di citazione, in simile caso, poteva essere realizzata ai sensi dell’art.161 comma 4 c.p.p. (per inidoneità del domicilio eletto), con consegna dell’atto al medesimo difensore : in tema di elezione di domicilio effettuata dall'imputato presso il difensore d'ufficio, qualora quest'ultimo non accetti la veste di domiciliatario, come consentito dal comma 4-bis dell'art. 162 cod. proc. pen., introdotto della legge 23 giugno 2017, n. 103, e l'imputato non provveda ad effettuare una nuova e diversa elezione di domicilio, si deve procedere comunque mediante notifica allo stesso difensore ai sensi dell'art. 161, comma 4, cod. proc. pen., diversamente determinandosi una situazione di stallo non superabile (in tale direzione, Sez. II n. n.10358 del 14.01.2020, rv 278427, ed altre).
Per un secondo orientamento simile modalità di notificazione non era da ritenersi consentita: in tema di elezione di domicilio effettuata dall'imputato presso il difensore d'ufficio, qualora quest'ultimo non accetti la veste di domiciliatario, come consentito dal comma 4-bis dell'art. 162 cod. proc. pen., introdotto della legge 23 giugno 2017, n. 103, e l'imputato non provveda ad effettuare una nuova e diversa elezione di domicilio, deve procedersi alla notificazione ai sensi degli artt. 157 ed eventualmente 159 cod. proc. pen., in quanto, se si effettuasse la notificazione allo stesso difensore ai sensi dell'art. 161, comma 4, cod. proc. pen., ne risulterebbe frustrata la specifica finalità del comma 4-bis dell'art. 162 cit. di rendere reale ed effettiva la conoscenza del processo da parti di chi si trovi sottoposto a procedimento penale ed assistito da un difensore d'ufficio (così Sez. I n. 17096 del 09.03.2021, rv 281198, ed altre).
1.2. Le Sezioni Unite aderiscono al secondo degli orientamenti in contrasto.
Le ragioni di tale scelta possono essere così sintetizzate:
a) la disposizione di legge di cui all’art. 162 comma 4 bis è chiara nel prevedere che lì dove manchi l’assenso del difensore domiciliatario l’elezione di domicilio è priva di effetto, il che impedisce di fare ricorso alla nozione di inidoneità contenuta nell’art. 161 comma 4 (che presuppone una elezione di domicilio efficace, rilevatasi inidonea ex post);
b) né può farsi ricorso alla ipotesi della "mancanza" (anch’essa ricompresa nella previsione dell’art.161) di una elezione di domicilio, posto che per tale va inteso l’esito di una condotta omissiva del soggetto coinvolto nel procedimento, a fronte di rituale richiesta.
Viene pertanto ribadita la necessità, in caso di mancato assenso, di provvedere alla notifica dell’atto di citazione con le modalità di cui all’art. 157 c.p.p. .
2. Quanto al secondo tema, le Sezioni Unite ribadiscono le conclusioni – abnormità della ordinanza determinativa della regressione – cui si era pervenuti con la decisione emessa, sul medesimo tema, nel 2002 (Sez. Un. Manca, secondo cui in caso di nullità della notificazione del decreto di citazione o di inosservanza del termine stabilito dall'art. 552, comma 3, cod. proc. pen., il giudice del dibattimento deve provvedere egli stesso a rinnovare la notifica, e non può disporre la restituzione degli atti al pubblico ministero con un provvedimento che, determinando una indebita regressione del processo, si configurerebbe come abnorme).
Tuttavia viene rilevato che nel corso degli anni, un diverso orientamento – derivante dai contenuti di altra decisione delle medesime sezioni unite sui confini della abnormità, sentenza Toni del 2009 – ha affermato che essendo, la decisione (che rileva il vizio della notificazione del decreto), ricollegabile al generale potere di rilevazione delle nullità, e non implicando la produzione di un atto nullo da parte del Pubblico Ministero, non potrebbe essere qualificata come abnorme.
Viene pertanto tracciato un percorso parzialmente diverso, rispetto al precedente rappresentato da Sez. Un. Manca, dovendosi precisare che l’esistenza di una disposizione di legge (art.143 disp.att.c.p.p.) che attribuisce il potere di «rinnovazione» della notificazione al giudice del dibattimento, rende "assente" il potere di disporre la regressione del procedimento.
Si tratterebbe, dunque, di un atto emesso, secondo le categorie dogmatiche della sentenza Toni, in difetto di potere (abnormità strutturale).
Al di là delle precisazioni dogmatiche non è variato, in definitiva, l’approdo cui si era pervenuti con la sentenza Sez. Un. Manca del 2002.