Magistratura democratica
Diritti senza confini

La protezione nazionale post dl 20/2023 *

di Elena Masetti Zannini
giudice del Tribunale di Milano

Pubblichiamo il secondo dei contributi del seminario svoltosi in Cassazione il 20 marzo 2024 intitolato Le novità normative del d.l. n. 20/2023, anch’esso incentrato sul tema dell’abrogazione parziale dell’art. 19 co.1.1 d.lgs. n. 286 del 1998.
Il video integrale dell'evento è disponibile sul canale YouTube di Magistratura democratica all'indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=iEnzotKRCe0   

1. Come noto, il D.L. n. 20/2023 ha modificato i confini della protezione speciale in maniera sostanziosa, dando la stura a non pochi dubbi interpretativi circa la effettiva portata delle novità normative e, dunque, circa il contenuto residuo della protezione speciale. 

Più precisamente, nella Gazzetta Ufficiale n. 107 del 5 maggio 2023 è stata pubblicata la legge 5 maggio 2023, n. 50 (entrata in vigore, ai sensi dell’art. 1, comma 2, il giorno successivo, ossia il 6 maggio 2023), di conversione, con modifiche, del decreto legge 10 marzo 2023, n. 20, recante «Disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare», entrato in vigore l’11 marzo 2023.

In relazione alla protezione speciale, l’art. 19.1.1. TUI, nella sua attuale formulazione, prevede che: «Non sono ammessi il respingimento o l’espulsione o l’estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani o degradanti o qualora ricorrano gli obblighi di cui all’art. 5 comma 6. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell’esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani».

L’analisi delle modifiche introdotte dal legislatore e le conseguenti riflessioni in termini interpretativi richiede un richiamo all’impianto complessivo nel quale si inserisce la protezione speciale: invero, come ricordato dalla Suprema Corte in diverse pronunce[1], il diritto di asilo costituzionale (art. 10 comma 3) è attuato dal sistema eurounitario della protezione internazionale unitamente alle misure di protezione nazionale (previste dal diritto dell’Unione europea ai sensi dell’art. 6 par. 4 Dir. Ue n. 115/2008 – Direttiva rimpatri). Ne deriva che, «avendo le situazioni giuridiche soggettive che sostanziano il diritto alla protezione internazionale e nazionale natura di diritti autodeterminati (Cass. 8819 del 2020; Cass. n. 30365 del 2023), il giudice del merito che esamina la domanda, è tenuto, nei limiti del principio dispositivo, ovvero sulla base dei fatti allegati e di quelli acquisiti al processo mediante l’esercizio del potere dovere di cooperazione istruttoria cui è tenuto (art. 3 d. lgs. n. 251 del 2007), ad accertare, anche d’ufficio, se sussistono le condizioni anche per il rilascio di un permesso speciale fondato sul nostro sistema di protezione nazionale che tra la sua fonte dall’art. 10, terzo comma, Cost. e dall’obbligo, non cancellato dal legislatore ordinario che è variamente intervenuto a modellarne il contenuto, di rispettare il sistema dei diritti umani proveniente dalle Convenzioni Internazionali che se ne occupano, prima tra tutte la CEDU, secondo la declinazione che ne fornisce la Corte di Strasburgo e la Carta dei diritti fondamentali dell’UE (art. 5 c. 6, d. lgs. n. 286del 1998, per la parte attualmente ancora vigente)[2]».

 

2. Per comprendere quale spazio residui alla protezione speciale nel contesto del novellato art. 19 TUI, occorre prendere le mosse dalla pronuncia della Suprema Corte (n. 8400/2023): la protezione speciale si traduce in una «modalità di valutazione con parametri vincolati, a rilevanza diretta, in cui acquistano particolare pregnanza alcune specificazioni, segnatamente la specificazione che si valuta non solo la natura ed effettività dei vincoli familiari, ma anche l’inserimento sociale – nozione questa più ampia della sola integrazione lavorativa – e assume rilievo anche l’esistenza di legami familiari culturali o sociali con il paese d’origine». La norma, come noto, richiama l’art. 5 comma 6 d. lgs. n. 286/1998, disposizione che attua il principio di non refoulement. Se tale è il ruolo originario dell’art. 5 comma 6 d. lgs. n. 25/2008, assume maggior pregnanza, oggi, a seguito delle radicali modifiche normative, il richiamo al rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali (di diretta applicazione laddove siano self-executing come avviene per gli obblighi negativi e, per certo, per il principio di non refoulement – non respingimento o non allontanamento).

Una prima, palese, modifica riguarda l’abrogazione della norma di adattamento ordinario rispetto al diritto alla vita privata e familiare di cui all’art. 8 CEDU, abrogazione che porta quindi gli interpreti a domandarsi se la norma sia intervenuta sulla indicazione dei requisiti che consentono l’ingerenza dello Stato nella vita privata e familiare. La precedente versione dell’art. 19.1.1. TUI consentiva l’ingerenza dello Stato solo per ragioni di sicurezza nazionale, ordine e sicurezza pubblica, protezione della salute. Pertanto, con una norma di adattamento ordinario, senza rinvio, si riformulava l’obbligo internazionale dell’art. 8 CEDU, modificandone il contenuto e offrendo una tutela più elevata. L’attuale art. 19.1.1. TUI, con il richiamo ai soli obblighi costituzionali e internazionali, rende nuovamente attuale il richiamo ai requisiti previsti dalla norma convenzionale (art. 8 comma 2 CEDU) di tal ché occorre chiedersi se sia possibile ritenere legittima l’interferenza nel caso in cui essa sia prevista dalla legge e costituisca una misura necessaria per la sicurezza nazionale, pubblica, alla protezione della salute o della morale, alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.

 

3. Sulla interpretazione della portata dell’art. 19.1.1 TUI si possono individuare diverse tesi.

Una prima tesi trae fondamento dai lavori preparatori: è la tesi più restrittiva, secondo la quale è stato abrogato il divieto di respingimento ed espulsione di una persona nelle ipotesi in cui vi sia fondato motivo di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare. Conseguentemente, il soggetto interessato – caduto il divieto di espulsione – non ha più la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno per protezione speciale, fatta salva, in via transitoria, la possibilità di rinnovo (per una volta sola e per un anno) dei permessi già rilasciati e ferma restando l’eventuale loro conversione in permessi di soggiorno per motivi di lavoro (comma 3).

Una seconda tesi, di più ampio respiro, si basa sulla interpretazione letterale della norma, per giungere a ritenere che siano stati eliminati soltanto i criteri interpretativi della vita privata e familiare ma non la tutela sostanziale della stessa, ciò considerando che l’art. 5 comma 6 è norma di chiusura del sistema.

Ne deriva che sulla base dell’art. 19 TUI possono essere tutelate tre situazioni, per le quali, quindi, opera tutt’oggi il principio di non refoulement: 1. nel caso di rischio di non essere protetto da persecuzione nello Stato di origine o rinvio; 2. nel caso di rischio di subire torture o trattamenti inumani o degradanti nello Stato di origine o rinvio; 3.  nel caso di divieto di rifiuto di rilascio o di rinnovo o di revoca del permesso di soggiorno in presenza di obblighi costituzionali o internazionali. Al riguardo, giova ricordare che tra gli obblighi costituzionali rientra la tutela del diritto di asilo (art. 10 comma 3 Cost. oltre alla tutela delle libertà democratiche) e il divieto di estradizione per reati politici, mentre tra gli obblighi internazionali rientra diritto al rispetto della vita privata e familiare (art 8 CEDU), il diritto alla vita (art 2 CEDU), il divieto torture o pene o trattamenti inumani o degradanti (art. 3 CEDU), il diritto di ogni individuo ad un livello di vita adeguato per sé e per la propria famiglia che includa alimentazione, vestiario, alloggio adeguato e miglioramento continuo delle proprie  condizioni di vita nonché il diritto fondamentale di ogni individuo alla libertà dalla fame (art. 11 del Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali)[3].

In tale contesto interpretativo, dunque, diventa più che mai fondamentale determinare quale spazio residui alla tutela delle situazioni di vulnerabilità, fulcro di quei ‘motivi umanitari’ previsti dall’art.  5 comma 6 TUI nella sua precedente formulazione.

 

4. In linea generale, giova ricordare come  la Corte di Giustizia dell'Unione Europea abbia più volte chiarito che gli Stati membri possono concedere forme di protezione umanitaria e caritatevole diverse e ulteriori rispetto a quelle riconosciute dalla normativa europea, purché non modifichino i presupposti e l'ambito di applicazione della disciplina derivata dell'Unione (sentenza B. e D. c. Germania, cause riunite C-57/09, C-101/09 del 9 novembre 2010), com'è stabilito dall'art. 3 della direttiva n. 95/2011, che consente l'introduzione o il mantenimento in vigore di disposizioni più favorevoli in ordine ai presupposti sostanziali della protezione internazionale, purché non incompatibili con la direttiva medesima.

Nel contesto del diritto europeo, la CGUE è stata più volte interpellata in merito al significato da attribuire al concetto di “humanitarian grounds”. In particolare, nelle cause X e X (causa C-638/16 PPU del 7 marzo 2017) e Jafari (causa C-646/16 del 26 luglio 2017), emerge l’idea che i motivi umanitari siano un concetto autonomo e ampio del diritto dell'UE, che non può essere limitato, ad esempio, ai casi di assistenza medica o di assistenza sanitaria. Persiste, dunque, la facoltà degli Stati membri e degli Stati firmatari della CEDU di riconoscere discrezionalmente altre forme di protezione, sulla base di motivi anche diversi rispetto a quelli considerati ai fini del riconoscimento delle forme di protezione internazionale maggiori[4].

Il concetto di vulnerabilità, dunque, non può coincidere esclusivamente né con i diritti umanitari previsti dal diritto internazionale, né, tanto meno, con motivi che possano essere qualificati come “caritatevoli”, le situazioni che danno origine ad ipotesi di vulnerabilità possono avere l'eziologia più varia e non devono necessariamente discendere, come un minus, dai requisiti delle misure tipiche del rifugio e della protezione sussidiaria.

Trattasi di una nozione di cui non esiste una specifica definizione. Attenta dottrina europea ha evidenziato che si tratta di un «Aspetto universale, inevitabile e duraturo della condizione umana» e che «Le persone vulnerabili sono definite come coloro che, per motivi di età, sesso, stato fisico o mentale, o per circostanze sociali, economiche, etniche e/o culturali, hanno particolari difficoltà a esercitare pienamente i propri diritti di fronte al sistema giudiziario, come riconosciuto loro dalla legge. Possono costituire cause di vulnerabilità: l'età, la disabilità, l'appartenenza a comunità o minoranze indigene, la vittimizzazione, la migrazione e lo sfollamento interno, la povertà, il genere e la privazione della libertà[5]».

E’, dunque, un concetto indeterminato e contestualizzato, privo di definizione nella legislazione europea, eppure immanente all’intero impianto normativo eurounitario, oltre che internazionale.

Ed invero, l’art. 21 Direttiva sulle condizioni di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (Direttiva 2013/33/UE, trasfusa nel d. lgs. n. 142/2015) - inserito nel capo IV «Disposizioni a favore delle persone vulnerabili» - prevede un principio generale: «Nelle misure nazionali di attuazione della presente direttiva, gli Stati membri tengono conto della specifica situazione di persone vulnerabili quali i minori, i minori non accompagnati, i disabili, gli anziani, le donne in stato di gravidanza, i genitori singoli con figli minori, le vittime della tratta degli esseri umani, le persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali e le persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale, quali le vittime di mutilazioni genitali femminili».

Gli artt. 22 ss. della medesima Direttiva, impongono la valutazione delle particolari esigenze di accoglienza delle persone vulnerabili. Parimenti, nella Direttiva 2013/32/EU (recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (rifusione) – la c.d. Direttiva procedure -  al punto 29 chiarisce che «Taluni richiedenti possono necessitare di garanzie procedurali particolari, tra l’altro, per motivi di età, genere, orientamento sessuale, identità di genere, disabilità, grave malattia psichica o in conseguenza di torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale. Gli Stati membri dovrebbero adoperarsi per individuare i richiedenti che necessitano di garanzie procedurali particolari prima che sia presa una decisione in primo grado. A tali richiedenti è opportuno fornire un sostegno adeguato, compreso tempo sufficiente, così da creare i presupposti necessari affinché accedano effettivamente alle procedure e presentino gli elementi richiesti per istruire la loro domanda di protezione internazionale».

Sul piano nazionale, l’art. 2 lett. h bis d. lgs. n. 25/2008, prevede un elenco meramente esemplificativo di «persone vulnerabili: minori, minori non accompagnati; disabili, anziani, donne in stato di gravidanza, genitori singoli con figli minori, vittime della tratta di esseri umani, perone affette da gravi malattie o da disturbi mentali; persone per le quali è accertato che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale, vittime di mutilazioni genitali» e, dunque, ancora una volta, ricorda l’importanza di tenere in adeguata considerazione le categorie di soggetti vulnerabili.

Sul piano delle convenzioni internazionali (dunque degli «obblighi di cui all’art. 5, comma 6» richiamato dall’art. 19.1.1. prima parte TUI, ovvero il rispetto degli obblighi internazionali sottoscritti dallo Stato italiano) deve porsi particolare attenzione alle seguenti, unitamente alle Raccomandazioni del Consiglio d’Europa.

 

5. Con riferimento alle donne vittime di violenza – che recentissima pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione europea[6] inquadra chiaramente nel «particolare gruppo sociale» (art. 8 d. lgs. n. 251/2008) – va osservato che le donne e le ragazze migranti, rifugiate e richiedenti asilo, costituiscono un gruppo eterogeneo sotto molti aspetti, e sono più della metà della popolazione migrante in Europa. Le persistenti disuguaglianze di genere nei Paesi di origine e di destinazione hanno un evidente impatto sulla loro esperienza migratoria. Le politiche di migrazione, asilo e integrazione dovrebbero quindi essere sensibili alle differenze di genere, compresi meccanismi specifici di protezione e sostegno. In risposta a questa esigenza, il Consiglio d'Europa ha adottato la Raccomandazione CM/Rec (2022)17 sulla protezione dei diritti delle donne e delle ragazze migranti, rifugiate e richiedenti asilo. La raccomandazione riunisce le disposizioni degli standard internazionali e del Consiglio d'Europa esistenti e le politiche che possono meglio garantire l'empowerment e la protezione dei diritti delle donne e delle ragazze migranti, rifugiate e richiedenti asilo.

In tale contesto si inserisce una ulteriore, fondamentale convenzione: la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica[7] (aperta alla firma l’11 maggio 2011): l’art. 60 sulle «Richieste di asilo basate sul genere», dispone che «1. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che la violenza contro le donne basata sul genere possa essere riconosciuta come una forma di persecuzione ai sensi dell'articolo 1, A (2) della Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951 e come una forma di grave pregiudizio che dia luogo a una protezione complementare/sussidiaria. 2 Le Parti si accertano che un’interpretazione sensibile al genere sia applicata a ciascuno dei motivi della Convenzione, e che nei casi in cui sia stabilito che il timore di persecuzione è basato su uno o più di tali motivi, sia concesso ai richiedenti asilo lo status di rifugiato, in funzione degli strumenti pertinenti applicabili. 3 Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per sviluppare procedure di accoglienza sensibili al genere e servizi di supporto per i richiedenti asilo, nonché linee guida basate sul genere e procedure di asilo sensibili alle questioni di genere, compreso in materia di concessione dello status di rifugiato e di richiesta di protezione internazionale». 

Ed ancora, l’articolo 61 sul «Diritto di non-respingimento» prevede che «1. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per il rispetto del principio di non respingimento, conformemente agli obblighi esistenti derivanti dal diritto internazionale. 2 Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che le vittime della violenza contro le donne bisognose di una protezione, indipendentemente dal loro status o dal loro luogo di residenza, non possano in nessun caso essere espulse verso un paese dove la loro vita potrebbe essere in pericolo o dove potrebbero essere esposte al rischio di tortura o di pene o trattamenti inumani o degradanti». 

 

6. Con riguardo alle persone con disabilità, va certamente ricordata la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità. Ai sensi dell’art. 1 comma 2 della citata Convenzione, per “persone con disabilità” si intendono «coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri».

L’Italia, con legge n. 18 del 3 marzo 2009 ha ratificato e resa esecutiva tale convenzione, e ha firmato anche il Protocollo opzionale. Con lo stesso provvedimento ha istituito l’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità[8] che rientra pertanto nell’ambito dei meccanismi di coordinamento che gli Stati hanno l’obbligo di implementare per promuovere e monitorare l’attuazione della Convenzione. Si tratta, quindi, di un ulteriore tassello a tutela di soggetti che devono essere inquadrati nell’alveo delle persone vulnerabili. 

Proseguendo l’analisi sulla base dell’elenco che individua - in via esemplificativa - le persone vulnerabili (di cui al citato art. 2 lett. h-bis d. L.vo n. 25/2008), giova porre mente alla categoria degli “anziani”, la cui definizione è del tutto assente nella disciplina internazionale. Un ausilio interpretativo può rinvenirsi nel Manuale di emergenza sulle persone anziane di UNHCR[9]: in generale, una persona anziana è definita dalla Nazioni Unite come una persona che ha oltre sessant’anni di età, pur dovendosi considerare, nella valutazione complessiva, il pedaggio di esperienze psicologicamente e psicosocialmente traumatiche, combinate con la scarsa nutrizione e l’esposizione a malattie, elementi, tutti, che possono causare ai rifugiati e ai soggetti ricollocati internamente di invecchiare più velocemente di una popolazione stabile. Elementi, quindi, di cui non si può non tenere conto quando si analizzano le richieste di protezione internazionale.

 

7. Ulteriore categoria di soggetti vulnerabili è costituita dalle persone «per le quali è accertato che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale», in altre parole le persone che, a causa della violenza patita, hanno subito un trauma

Secondo l'American Psychological Association, per trauma si intende «qualsiasi esperienza disturbante che provochi paura, mancanza di aiuto, dissociazione, confusione o altri sentimenti disturbanti abbastanza intensi da avere un effetto negativo duraturo sugli atteggiamenti, sul comportamento e su altri aspetti del funzionamento di una persona. Gli eventi traumatici includono quelli causati dal comportamento umano e dalla natura e spesso mettono in discussione la visione del mondo come luogo giusto, sicuro e prevedibile[10]».

Esempi di eventi traumatici sono l'esposizione a violenze legate alla guerra, la violenza sessuale, la tortura, l'incarcerazione, il genocidio e la minaccia di lesioni personali e di annientamento. 

L'OMS suggerisce che tra le persone che hanno vissuto una guerra o un altro conflitto nei dieci anni precedenti, una persona su 11 (9%) soffrirà di un disturbo mentale moderato o grave. Si stima che una persona su cinque (22%) che vive in un'area colpita da un conflitto soffra di depressione, ansia, disturbo da stress post-traumatico, disturbo bipolare o schizofrenia. I lunghi tempi di attesa per la decisione sulle domande di protezione internazionale e la collocazione in strutture di detenzione aumentano il rischio di problemi prolungati o di sviluppare problemi di salute mentale[11]

 

8. Da ultimo, non certo per ordine di importanza, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea cristallizza il concetto di “dignità umana” (art. 1) che è inviolabile e «deve essere rispettata e tutelata».

Che la vulnerabilità sia concetto immanente al sistema eurounitario – e dunque anche alla disciplina dell’art. 19 TUI come da ultimo modificato – è un dato desumibile anche dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo che si è spinta ad annoverare i richiedenti asilo nella categoria dei soggetti vulnerabili: nella pronuncia  M.S.S. v Belgio e Grecia, 21.1.2011 (application n. 30696/09) (par. 251); si legge che «La Corte conferisce una considerevole importanza allo stato del ricorrente quale richiedente asilo e, come tale, membro di un gruppo particolarmente sottoprivilegiato e di una popolazione vulnerabile bisognosa di protezione speciale» in N.H. e Altri v. Francia, 2 luglio 2020 (par. 162): «I richiedenti asilo possono essere considerati vulnerabili a causa di tutto ciò che hanno subito durante la migrazione e delle esperienze traumatiche che possono aver vissuto in precedenza, il che richiede la necessità di fornire loro una protezione specifica».

In tema di dignità umana, molti spunti di riflessione possono trarsi da un caso deciso dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea[12], e dalle puntuali considerazioni  dell’Avvocato Generale Emiliou: «Non si può escludere che una parte dell'area operativa dell'UNRWA (in questo caso, la Striscia di Gaza) possa presentare carenze sistemiche di gravità tale da comportare il rischio sostanziale che chiunque vi venga rimandato si trovi in una situazione di disagio, in cui non è in grado di soddisfare i suoi bisogni più elementari, come ad esempio l'accesso ai servizi sociali, al cibo, all’igiene personale e ad un luogo in cui vivere, o tale da compromettere la sua salute fisica o mentale o da essere messo in uno stato di degrado incompatibile con la dignità umana, in contrasto con la Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea[13]». 

Situazioni di degrado che violano la condizione fondamentale della dignità umana sono oggetto, altresì, di una recente pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo, Camara v. Belgium (app n. 49255/22)[14]: i giudici di Strasburgo hanno valutato la situazione dei richiedenti asilo in Belgio, divenuti senza tetto a causa delle carenza di posti nelle strutture di accoglienza, evidenziando come centinaia di richiedenti asilo dormano per strada, quindi malattie come la scabbia si stiano diffondendo e molti soffrano la fame. Dinnanzi all’inerzia del governo belga (in particolare il Fedasil – la c.d. Federal Agency for the Reception of Asylum-Seekers – condannato dal Tribunale del lavoro di Bruxelles ben seimila volte in un solo anno) i richiedenti asilo si sono rivolti alla Cedu per ottenere una sentenza che accerti la responsabilità dello Stato belga.

A seguito della sentenza Camara, la Cedu ha adottato provvedimenti su 148 domande nell’ambito Rule 39 presentate per conto di 148 richiedenti asilo di varie nazionalità che vivono in Belgio senza alloggio. Ciò è particolarmente significativo in quanto la Cedu concede tali misure solo «in casi eccezionali, quando il richiedente corre un rischio reale di danno irreversibile». In tutti i 148 casi, la Corte ha ordinato allo Stato belga di conformarsi alle decisioni emesse dal Tribunale del lavoro di Bruxelles nei confronti di ciascun ricorrente e di fornire loro alloggio e assistenza per soddisfare i loro bisogni primari[15]

Proprio la tutela della dignità umana (in una con ulteriori elementi specifici del caso concreto) ha portato il Tribunale di Milano[16] a riconoscere la protezione speciale ad un richiedente protezione internazionale senza tetto, che aveva reiterato la domanda di protezione internazionale nella vigenza della novella legislativa, e viveva in condizioni di degrado (fino al punto di essersi prostituito per procurarsi una fonte di sostentamento). Il Collegio ha fatto applicazione, tra i tanti, dei principi della Suprema Corte che in tema di dignità umana ha fornito chiari criteri interpretativi[17]: «Ai fini del riconoscimento, o del diniego, della protezione umanitaria prevista dall’art. 19, commi 1 e 1.1, del d.lgs. n. 286 del 1998, il concetto di nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, costituente il limite minimo essenziale al di sotto del quale non è rispettato il diritto individuale alla vita e all’esistenza dignitosa, dev’essere apprezzato dal giudice di merito (…) anche con riguardo a qualsiasi contesto che sia, in concreto, idoneo ad esporre i diritti fondamentali alla vita, alla libertà e all’autodeterminazione dell’individuo al rischio di azzeramento o riduzione al di sotto della predetta soglia minima».

 

9. In conclusione, quindi, richiamando le S.U. della Suprema Corte, l’art. 19 d. lgs. n. 286/1998 non si limita a riprodurre le ipotesi convenzionali di non refoulement ma indica le condizioni di vulnerabilità tutelabili, ciò in quanto è rimasto, anche a seguito della novella legislativa, il richiamo all’art. 5 comma 6 d. lgs. n. 286/1998 e, dunque, l’obbligo di tutelare le violazioni dei diritti umani di carattere convenzionale e la necessità di dare attuazione – anche mediante la protezione nazionale – al diritto di asilo costituzionale. Condizioni di vulnerabilità tra le quali va annoverata la violazione dei diritti umani conseguenti agli obblighi costituzionali ed internazionali assunti dallo Stato italiano e che la Corte qualifica come «catalogo aperto[18]».


 
[1] Corte di Cassazione n. 10686/2012; Cass. n. 16362/2016; Cass. n. 19176/2020; tutte richiamate, da ultimo, in Cass. SU, ord. n. 10903/2024.

[2] Corte di Cassazione, 23 aprile 2024 n. 10903/2024.

[3] Si segnala una recente decisione del Tribunale di Bologna (sentenza ex art. 275 bis c.p.c. del 28 giugno 2024), in merito al diritto soggettivo di presentazione della domanda di protezione speciale direttamente in Questura a seguito della novella legislativa: il Tribunale di Bologna ha riconosciuto il diritto di presentare la domanda di protezione speciale in via autonoma alla Questura, considerato che la protezione speciale non è stata abrogata, essendo immanente al sistema, «diretta espressione dell’art. 10, terzo comma della Cost., il quale non riceve sufficiente applicazione con la disciplina di derivazione internazionale concernente il rifugio e la protezione sussidiaria, avendo pacificamente una portata assai più ampia». Il Tribunale ha precisato che il legislatore del 2023 ha abrogato soltanto le parti terza e quarta dell’art. 19 TUI, sussistendo tutt’ora il diritto soggettivo fondamentale alla protezione speciale «ove ricorrano i presupposti indicati dal D. L.vo 25 luglio 1998, n. 286, fra cui si evidenziano il rischio di persecuzione nel paese di origine, di essere sottoposto a tortura o a trattamenti inumani o degradanti, di lesione di diritti riconosciuti dalla Costituzione italiana, in particolare dall’art. 10, terzo comma della Carta, e dai Trattati e dalle Convenzioni sottoscritte dal nostro paese, fra cui il diritto fondamentale al rispetto della vita privata e familiare in forme analoghe, per quanto non sovrapponibili con riguardo ai controlimiti, alla previsione delle abrogate parte terza e quinta del primo comma dell’art. 19 D. L.vo 25 luglio 1998, n. 286».

[4] Casebook in materia di protezione internazionale – progetto FRICoRE – ottobre 2021, pag. 224.

[5] F. Ippolito, S. Iglesias Sánchez, Protecting vulnerable groups. The European human rights framework, Hart Publishing, 2015.

[6] Sentenza della Corte di Giustizia (Grande Sezione) nella causa C‑646/21, 11 giugno 2024, K. L. v. Staatssecretaris van Justitie an Veiligheid.

[7] È stato firmato da 45 paesi e il 12 marzo 2012 la Turchia è diventata il primo paese a ratificare la Convenzione. In Italia, il 19 giugno 2013, dopo l'approvazione unanime del testo alla Camera, il Senato ha votato il documento con 274 voti favorevoli e un solo astenuto. Il 20 marzo 2021, nove anni dopo la ratifica, la Turchia ha revocato la propria partecipazione alla convenzione, attraverso un decreto firmato dal presidente Erdoğan. Nel novembre 2019 il Parlamento dell'Unione europea ha adottato una risoluzione, con 500 voti favorevoli, 91 contrari e 50 astensioni, in cui ha invitato il Consiglio europeo a completare la ratifica della Convenzione da parte dell'Unione europea ed esortato i sette Stati membri (Bulgaria, Repubblica ceca, Ungheria, Lituania, Lettonia, Slovacchia, e Regno Unito) sottoscrittori della Convenzione a ratificarla senza indugio. Alcuni Paesi firmatari hanno poi tardato a ratificare la Convenzione. Ad esempio la Moldavia che aveva firmato il 6 febbraio 2017, ha promulgato la ratifica il 20 ottobre 2021. Il 6 ottobre 2021 la Corte di giustizia dell'Unione europea ha decretato che l'Unione europea può approvare la convenzione di Istanbul a maggioranza qualificata. Il 10 maggio 2023 il Parlamento europeo ha espresso voto favorevole per l'adesione dell'Unione europea alla convenzione. La convenzione di Istanbul è entrata in vigore il 1º ottobre 2023 per l’UE. La convenzione è un quadro giuridico completo volto a proteggere le donne da ogni forma di violenza, al fine di prevenire, perseguire ed eliminare la violenza sulle donne e la violenza domestica, e di attuare politiche globali e coordinate. Essendo l'UE nel suo complesso vincolata dalla convenzione, gli Stati membri dovranno adottare le misure necessarie. Si veda Lotta contro la violenza nei confronti delle donne: la convenzione di Istanbul entra in vigore per l'UE, Commissione europea (europa.eu).

[8] L’Osservatorio è Presieduto dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali ed ha funzioni consultive e di supporto tecnico-scientifico per l’elaborazione delle politiche nazionali in materia di disabilità. Sul punto si veda anche L'approccio dell'UNHCR rispetto alle persone costrette alle migrazioni forzate e agli apolidi con disabilità (https://www.unhcr.org/it/wp-content/uploads/sites/97/2023/04/UNHCR-Approccio-alle-persone-costrette-alle-migrazioni-forzate-ed-apolidi-con-disabilita.pdf).

[9] UNHCR, UNHCR Handbook for Emergencies (alnap.org).

[10] https://www.apa.org/topics/trauma

[11] The Lancet, New WHO prevalence estimates of mental disorders in conflict settings: a systematic review and meta-analysis.

[12] S.N. and L.N. v. Zamenstiik, C- 563/2022, deciso il 13 giugno 2024. Trattasi della domanda pregiudiziale sollevata da Administrativen sad Sofia-grad (Bulgaria) il 9 agosto 2022, in un caso di diniego del riconoscimento della qualifica di rifugiato e dello status umanitario a SN e alla figlia minorenne LN. Oggetto del rinvio è l’Articolo 267 TFUE; interpretazione dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), seconda frase, della direttiva 2011/95/UE e dell’articolo 40, paragrafo 1, della direttiva 2013/32/UE, con particolare riferimento agli elementi da esaminare in caso di domanda reiterata di protezione internazionale, nonché ai criteri inerenti al rischio di estrema deprivazione materiale a cui, in caso di respingimento, sono esposte le persone di origine palestinese, in particolare un minore, che hanno lasciato la zona operativa dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA), alla luce della raccomandazione dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) contro i respingimenti.

[13] Advocate General Emiliou: Palestinian applicants for refugee status can claim that UNRWA’s protection has ‘ceased’ in the light of the general living conditions prevailing in the Gaza Strip (europa.eu).

[14] Camara v. Belgio, sentenza 18 luglio 2023, caso n. 49255/2022.

[15] Tale risultato è stato pubblicato in un comunicato stampa della Corte, nel caso Msallem e altri 147 v. Belgio (ricorso n. 48987/22 e altri 147).

[16] Tribunale di Milano, decreto 13 novembre 2023. N. Zorzella, La “nuova” protezione speciale al vaglio della magistratura. La prostituzione volontaria e la tutela di diritti fondamentali. Commento a Tribunale di Milano 13 novembre 2023, https://www.questionegiustizia.it/articolo/prot-spec-post-cutro

[17] Corte di cassazione, ordinanza n. 15961/2021.

[18] Corte di Cassazione, Sezioni Unite, ordinanza interlocutoria 23 aprile 2024 n. 10903. 

[*]

Il contributo è parte dello Speciale QG 3/2024, di prossima pubblicazione, che raccoglie gli atti del seminario Le novità normative del d.l. n. 20/2023. Trattenimenti, procedure accelerate, domande reiterate, protezione nazionale, svoltosi il 20 marzo 2024 presso l'Aula Giallombardo della Corte di Cassazione.

17/07/2024
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