1. L’interessante sentenza, che si annota, ha riguardato un caso in cui l’imputato, nella sua veste di amministratore unico di una società dell’hinterland milanese, è stato chiamato a rispondere del reato di cui all’art. 137, comma cinque, d.lgs n. 152/06, perché, nell’effettuazione di uno scarico in rete fognaria di acque reflue industriali derivanti dalle lavorazioni di tintoria e finissaggio dei tessuti, aveva superato i valori limite fissati nella tabella 3 dell’allegato 5 alla parte terza del predetto decreto.
In particolare, in occasione di un controllo, veniva accertata una concentrazione di rame di 0,60 mg/l, a fronte di un limite tabellare di 0,40 mg/l.
2. Il giudice per meglio inquadrare sul piano giuridico la vicenda, anche avvalendosi dell’apporto di un’articolata consulenza tecnica di parte, si è soffermato preliminarmente sulle principali caratteristiche strutturali dello stabilimento presso cui è stato effettuato l’accertamento e sulle diverse metodiche di campionamento delle acque reflue industriali, che vengono generalmente adottate nelle attività di controllo di conformità degli scarichi.
Più in dettaglio, quanto allo stabilimento, il giudice ha constatato che esso si componeva di due distinte unità produttive, cui facevano capo due apposite reti fognarie, che, prima del loro ingresso nella pubblica fognatura, attraverso due percorsi autonomi e indipendenti, si ricongiungevano in un’unica vasca di raccolta, all’interno della quale confluivano le acque reflue provenienti dalle due unità produttive sopra menzionate.
Quanto alle metodiche di campionamento, invece, il giudice ha osservato che il campionamento può essere di tipo istantaneo, laddove venga eseguito una sola volta su un unico campione di acque di scarico, oppure, di tipo medio composito, laddove vengano prelevati più campioni di acque reflue in un arco temporale della durata minima di tre ore sino ad un massimo di sei, dodici o ventiquattro ore, a seconda delle caratteristiche della lavorazione svolta.
Su quest’ultimo punto, in particolare, il giudice, prendendo spunto dal par. 1.2.2 dell’all. 5 alla parte terza del decreto sopra menzionato, ha cura di sottolineare che «in mancanza di diverse indicazioni opportunamente riportate e motivate sull’autorizzazione allo scarico, il campione rappresentativo del refluo sottoposto ad analisi deve essere un campione medio composito prelevato in un intervallo di tempo minimo di tre ore», con la conseguenza che deve considerarsi del tutto eccezionale il campionamento istantaneo per la cui effettuazione, invece, devono sussistere «particolari e motivate esigenze espressamente specificate nel verbale di accertamento».
3. Oltre a questo il giudice, anche sulla scorta di alcuni importanti arresti della giurisprudenza di legittimità, ha rimarcato l’importanza della corretta scelta del punto esatto nel quale il prelievo del refluo deve essere effettuato.
A tal proposito, il giudice, richiamando l’art. 108, comma cinque, d.lgs n. 152/2006, ha affermato che «il campionamento del refluo industriale, al fine di accertare il reato di superamento dei parametri tabellari, deve essere eseguito, in caso di confluenza tra acque di processo ed acque di diluizione, sullo scarico proveniente dal ciclo lavorativo e non sullo scarico finale», atteso che il risultato che si otterrebbe prelevando dallo scarico finale potrebbe non essere genuino, se all’interno di esso vi confluisce, come è avvenuto appunto nel caso di specie, «un misto di acque reflue provenienti anche da altre unità produttive».
4. Ciò premesso, sulla base di tali risultanze, il Tribunale di Monza ha dedotto che l’organo accertatore avesse violato le prescrizioni normative previste in materia.
Nella specie, infatti, il Tribunale ha constatato che, nella fase del prelievo, era stato posto in essere un campionamento di tipo istantaneo ed era stato scelto come punto da cui effettuare il prelievo la vasca finale di raccolta e, cioè, il luogo in cui confluivano i reflui provenienti dalle due unità produttive componenti lo stabilimento.
Da questo il Tribunale ha rilevato il mancato rispetto delle modalità di campionamento previste dalla legge, innanzitutto perché non erano state indicate le ragioni per cui si era optato per un prelievo istantaneo in luogo di quello medio composito [1], che sarebbe stato invece il più idoneo a rappresentare lo scarico alla luce delle condizioni concrete del procedimento produttivo e, poi, perché si era individuato come punto per l’effettuazione del prelievo la vasca finale di raccolta, in cui confluivano le acque provenienti dalle due diverse unità produttive, anziché «il tratto intermedio precedente al ricongiungimento delle acque nella vasca di raccolta e riconducibile alla singola unità produttiva».
5. Il giudice ha inoltre aggiunto, con una motivazione dall’incedere sempre più serrato, che non si era dato il giusto peso all’estrema variabilità del processo di tintoria, alle marcate oscillazioni, verificate in occasione dei controlli eseguiti negli anni precedenti, del valore del rame e allo scarto estremamente esiguo tra il risultato dell’analisi pari a 0,60 mg/l e il massimo tabellare previsto dalla legge pari a 0,40 mg/l [2].
6. Sulla scorta di quanto sopra esposto, il Tribunale ha concluso ritenendo che l’accertamento eseguito presso lo stabilimento dell’imputato dovesse essere notevolmente riconsiderato nella sua valenza probatoria, in quanto «la concentrazione di rame riscontrata ben avrebbe potuto essere differente (e, dunque, anche sotto soglia) laddove fosse stato posto in essere il più opportuno campionamento medio composito; metodica che – giova ancora una volta ricordarlo – costituisce la regola ai sensi del par. 1.2.2 dell’all. 5 alla III parte del d.lgs. n. 152/2006» [3].
7. Sul finire della sentenza, però, per una maggiore completezza, il giudice va oltre e afferma che, se anche le modalità di campionamento e il punto di prelievo fossero stati corretti, non si sarebbe potuto pervenire a conclusioni diverse, difettando nel fatto contestato, secondo una lettura della norma incriminatrice costituzionalmente orientata, «il requisito oggettivo dell’offesa (sub specie di messa in pericolo) del bene giuridico tutelato (l’ambiente)».
Al riguardo il giudice premette che la fattispecie contestata all’imputato rappresenta sostanzialmente un reato di pericolo concreto [4].
Conseguentemente il semplice superamento dei limiti tabellari non è sufficiente a rendere il fatto penalmente rilevante, se da tale superamento non derivi una concreta ed effettiva minaccia per il bene giuridico presidiato dalla norma incriminatrice.
Orbene, nel caso di specie, come si è già detto, il Tribunale ha constatato che, in sede di controllo, a fronte di un limite tabellare massimo di 0,40 mg/l della sostanza “rame”, si è accertato un valore di poco superiore pari a 0,60 mg/l, e, dunque, uno scarto troppo esiguo per poter realizzare «una concreta messa in pericolo del bene giuridico tutelato dall’art. 137, co. 5 d.lgs. n. 152/2006».
Sulla base di tutte queste argomentazioni, pertanto, il Tribunale di Monza ha deciso di assolvere l’imputato per l’insussistenza del fatto.
[1] Nel corso dell’istruttoria era emerso che il controllo mediante campionamento istantaneo era stato eseguito, nonostante le condizioni reali dello scarico su cui si operava, “a fini tariffari”.
[2] Secondo il giudice l’estrema esiguità dello scarto avrebbe, già di per sé, dovuto indurre «all’effettuazione di un campionamento medio composito al fine di rendere l’analisi chimica realmente rappresentativa della composizione degli scarichi stessi».
[3] In effetti la giurisprudenza di legittimità ha specificato che «la metodica normale è quella del campionamento medio … in quanto è consentito all’organo di controllo procedere con modalità diverse di campionamento, anche istantaneo, qualora ciò sia giustificato da particolari esigenze» (cfr. Cass., Sez. 3, 1296 del 10 marzo 2016 – dep. 12 gennaio 2017, citata nella sentenza in commento).
[4] Da notare, invece, che la Cassazione, almeno in un’occasione, si è limitata a sostenere che il reato de quo costituisca una fattispecie di pericolo astratto (cfr. Cass., Sez. 3, 24426 del 25 maggio 2011 – dep. 17 giugno 2011). Da questo punto di vista, è senza dubbio meritorio che il giudice monzese, nella specie, abbia interpretato la norma di cui all’art. 137, comma cinque, d.lgs n. 152/2006, secondo una lettura costituzionalmente orientata, stante l’irrisoria eccedenza rispetto ai parametri tabellari accertata durante l’attività di campionamento.